N. 189 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 gennaio 1999

                                N. 189
  Ordinanza emessa il 27 gennaio 1999  dal  tribunale  di  Genova  nel
 procedimento civile vertente tra Zamboni e Banca Carige S.p.a.
 Previdenza  e  assistenza  sociale  -  Prestazioni  per  anzianita' e
    vecchiaia integrative del trattamento pensionistico obbligatorio -
    Corresponsione  subordinata  alla  liquidazione  del   trattamento
    pensionistico obbligatorio - Incidenza sui principi della liberta'
    di  iniziativa economica privata, di liberta' della contrattazione
    collettiva, di uguaglianza e sulla garanzia previdenziale.
 (D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, art. 18, comma  8-quinquies  aggiunto
    dalla legge 8 agosto 1995, n. 335, art. 15. comma 5).
 (Cost., artt. 3, 38, 39 e 41).
(GU n.14 del 7-4-1999 )
                             IL TRIBUNALE
   Nella   controversia   n.  4649/98,  in  materia  di  previdenza  e
 assistenza obbligatoria, promossa da Zamboni Annamaria, residente  in
 Genova  ed  ivi  elettivamente  domiciliata, in via Bartolomeo Bosco,
 57/1, presso lo studio dell'avv. Carlo Golda, che  la  rappresenta  e
 difende per mandato in atti, appellante;
   Contro  la  banca  Carige  s.p.a.,  Cassa  di Risparmio di Genova e
 Imperia, con sede legale in  Genova,  in  persona  del  Presidente  e
 legale   rappresentante  pro-tempore,  elettivamente  domiciliato  in
 Genova, via Bacigalupo n. 4/3, presso l'avv. Camillo  Paroletti,  che
 lo rappresenta e difende, in uno con il prof. avv. Fausto Cuocolo per
 mandato generale alle liti, in atti, appellata;
   Ha pronunciato la seguente ordinanza;
   Con ricorso rivolto al pretore di Genova in funzione di giudice del
 lavoro, depositato il 5 settembre 1996, Zamboni Anna Maria esponeva:
     di  essere  dipendente della Carige s.p.a. e di avere maturato il
 requisito di 25 anni di  iscrizione  alla  Fondo  aziendale,  essendo
 stata assunta, altresi', prima del 31 dicembre 1983;
     di  avere,  quindi,  maturato  il diritto alla pensione aziendale
 diretta;
     di avere chiesto, in data  1  febbraio  1996,  di  usufruire  del
 trattamento  pensionistico,  subordinate  le dimissioni all'effettivo
 ottenimento della pensione;
     che la Cassa aveva risposto negativamente in ragione del  mancato
 avveramento   della   condizione   della   previa   liquidazione  del
 trattamento obbligatorio - per  il  quale  la  ricorrente  non  aveva
 maturato  i  requisiti - ex art. 18, comma 8-quinquies, decreto-legge
 124/1993, come modificato dalla legge n. 335/1995;
      che   tale   condizione,   se   ritenuta   esistente,   appariva
 incostituzionale  per violazione degli artt. 38, 39, 41 e 3 Cost., in
 quanto incidente sulla liberta' economica privata e in contrasto  con
 il  principio  di parita' di trattamento, sia in rapporto ai fondi di
 previdenza di cui alla legge 357/1990, per i  quali  e'  fatta  salva
 dalla  stessa  legge  335  la  liberta'  di  contrattazione,  sia  in
 relazione a quanto previsto dall'art. 1, comma 27 della stessa  legge
 335  quanto  a  regime transitorio dei dipendenti iscritti alle forme
 esclusive dell'A.G.O.;
     che,  tuttavia,  la  norma  si  prestava  ad   un'interpretazione
 adeguatrice,  giacche',  se il riferimento letterale della norma alle
 forme  pensionistiche  che  "garantiscono  prestazioni  definite   ad
 integrazione"  induceva  ad  escludere  dal  novero  dei  trattamenti
 interessati sia quelli sostitutivi dell'A.G.O.,  (anche  nell'ipotesi
 in  cui  il  trattamento  "integrativo"  sia  erogabile  prima  della
 maturazione dei requisiti  per  la  liquidazione  del  trattamento  a
 carico  dell'A.G.O.)  sia quelli di fondi che non erogano prestazioni
 definite (in tale categoria rientrando necessariamente tutti i  fondi
 di  previdenza  integrativi  per  lavoratori  dipendenti indicati dal
 d.lgs. 124/1993), dall'altro non era dato  comprendere  come  potesse
 coordinarsi  questa  norma con il non modificato art.  7, comma 3 del
 d.lgs., il  quale  ancora  consente  ai  Fondi  pensione  di  erogare
 trattamenti  di  anzianita'  a  condizione  che  sussista un'eta' non
 inferiore a 10 anni rispetto a quella fissata per il pensionamento di
 vecchiaia nell'ordinamento obbligatorio di appartenenza;
     che   l'interpretazione   della    norma    data    dall'Istituto
 rappresentava, per i lavoratori gia' iscritti ai Fondi complementari,
 una  violazione  dei  diritti  acquisiti  con  la  propria anzianita'
 contributiva presso il Fondo.
   Chiedeva, quindi, accertarsi il suo diritto a percepire la pensione
 aziendale e condannarsi parte convenuta  a  corrispondere  la  stessa
 nella misura da liquidarsi in separata sede.
   Si  costituiva  la  banca  Carige  s.p.a. eccependo preliminarmente
 l'inammissibilita' del ricorso per carenza di interesse ad agire, non
 avendo mai la ricorrente reso le dimissioni, nemmeno condizionate.
   Contestava energicamente  che  qualsiasi  prestazione  erogata  dal
 Fondo aziendale potesse dirsi sostitutiva e non meramente integrativa
 dei trattamenti AGO e assumendo l'assoluta generalita' del divieto ex
 art.  18, comma 8-quinquies della legge n. 335, tale da ricomprendere
 gli  stessi  pretesi  "diritti  quesiti"  (che  peraltro   contestava
 ricorrere  nel caso di specie, in cui la ricorrente non aveva nemmeno
 maturato, alla data di entrata in vigore della legge 335, i requisiti
 di anzianita' e contributivi per eccedere alla pensione aziendale).
   Difendeva la legittimita'  costituzionale  del  divieto  in  quanto
 consono  alle  scelte  generali  di  riforma  di omogeneizzazione dei
 trattamenti privati e di blocco dei trattamenti di anzianita' per  il
 risanamento dei trattamenti pensionistici.
   Nel  corso  del giudizio, le parti venivano autorizzate al deposito
 di note difensive.
   Parte ricorrente contestava  l'eccezione  di  interesse  ad  agire,
 facendo   rilevare,  alla  luce  della  costante  giurisprudenza,  la
 ravvisabilita' dell'interesse nella mera sussistenza di un  contrasto
 concreto  ed  oggettivo,  quale  quello  insorto  fra  le  parti, ne'
 potendosi pretendere che la lavoratrice renda le dimissioni, perdendo
 il reddito da lavoro, nell'incertezza  circa  la  liquidazione  della
 pensione.   Ribadiva   le   ragioni   della  ritenuta  non  manifesta
 infondatezza della questione di legittimita' costituzionale  proposta
 e gli altri argomenti svolti in ricorso.
   All'esito della discussione, il pretore respingeva la domanda.
   Superata l'eccezione di inammissibilita' del ricorso per carenza di
 interesse  ad  agire interpretando la missiva della Zamboni in data 1
 febbraio  1996  come  manifestazione  della  volonta'  di  dimettersi
 condizionatamente all'erogazione del trattamento, affermava la natura
 ontologicamente "integrativa" delle prestazioni rese da tutti i Fondi
 privati  e riteneva che la stessa natura che le prestazioni del Fondo
 aziendale erogava a integrazione del trattamento A.G.O. fosse propria
 del trattamento "complessivo" che lo stesso  Fondo  eroga  sino  alla
 liquidazione del trattamento a carico I.N.P.S.
   Premesso,  quindi,  che  la prestazione in oggetto doveva ritenersi
 prestazione definita, in quanto parametrata da un certo  livello  del
 trattamento  obbligatorio,  rilevava  come  scopo  della  legge fosse
 quello, di pubblico interesse,  di  evitare  che  i  Fondi  potessero
 trovarsi nell'impossibilita' di erogare i trattamenti pensionistici a
 coloro  che  avevano  gia' maturato il diritto. A questo scopo si era
 proceduto  ad  un  riallineamento  delle  condizioni  di  accesso  ai
 trattamenti  rispetto  al  quale  potevano dirsi salvi i soli diritti
 acquisiti di coloro che gia' avessero maturato, all'entrata in vigore
 della  legge  335/1995,  i  requisiti  precedentemente  previsti  dai
 rispettivi regolamenti.
   Avverso   tale   decisione   proponeva  appello  parte  ricorrente,
 evidenziando come l'incongruita' del  divieto  in  discussione  fosse
 stata rilevata dallo stesso legislatore: nell'ordine del giorno n. 21
 approvato  dal Senato nella seduta del 3 agosto 1995 si sottolineava,
 in relazione alla norma in esame,  come  la  stessa,  non  producendo
 alcun    risparmio    per    la    finanza    pubblica,   realizzasse
 un'ingiustificata limitazione della liberta' di  contrattazione,  per
 il che si impegnava il Governo a ridefinirne i contenuti nel senso di
 prevedere la possibilita' di godere delle prestazioni, senza aggravio
 alcuno  della  situazione  finanziaria delle gestioni, in presenza di
 accordi fra le parti.
    Riproponeva l'interpretazione adeguatrice della norma in  oggetto,
 anche  in relazione all'esigenza di tutela dei diritti quesiti, e, in
 via subordinata, la relativa questione di legittimita' costituzionale
 per violazione degli artt. 3, 38, 39 e 41 Cost.
   Sul punto, contestava l'argomentazione che il pretore aveva desunto
 dalla ritenuta legittimita' delle norme di  blocco  temporaneo  delle
 pensioni,  sia  perche'  non  riferibili  a  fondi pensione del tutto
 privati sia perche'  comunque  giustificate  dalla  temporaneita'  ed
 emergenza  delle  situazioni  che  la  normativa  sul blocco mirava a
 fronteggiare.
   Resisteva la banca Carige s.p.a., assumendo la giustificatezza  del
 divieto  nella  politica  legislativa  (sorretta da ragioni di ordine
 pubblico) di riallineamento dei trattamenti  previdenziali  garantiti
 da Fondi privati e di blocco temporaneo delle pensioni.
   Sentite le parti all'udienza del 27 gennaio 1999, il tribunale
                             O s s e r v a
   Prima  di  scendere  nel  merito  della  questione  di legittimita'
 costituzionale,  proposta  dalla  difesa  appellante,  e'  necessario
 escludere la definibilita' del giudizio a prescindere dalla soluzione
 della  questione  stessa  (sia pure in via di deliberazione e ai soli
 fini della valutazione di rilevanza dei dubbi di costituzionalita').
   In primo luogo, sembra doversi condividere il giudizio del  pretore
 in  merito  all'ammissibilita'  della  domanda sotto il profilo della
 sussistenza di un concreto interesse della  ricorrente  ad  ottenere,
 quanto meno, il richiesto accertamento del suo diritto a percepire la
 pensione aziendale.
   Secondariamente,  deve  affermarsi  l'applicabilita' della norma in
 discussione alla fattispecie in esame. Non l'esclude, infatti, ne' il
 riferimento  letterale  a  forme  pensionistiche  "che   garantiscono
 prestazioni  definite",  ne'  l'operativita'  del divieto per le sole
 prestazioni integrative.
   Sotto il primo punto di vista, il fatto  che  l'art.  2,  comma  2,
 lett. a) del d.lgs. 124/1993 preveda che, a far data dalla entrata in
 vigore  di  quel decreto legislativo, possano essere istituite, per i
 lavoratori   dipendenti,    esclusivamente    forme    pensionistiche
 complementari  a  regime  di  contribuzione  definita  ovviamente non
 esclude - ed, anzi, presuppone -  la  sopravvivenza  di  preesistenti
 regimi  di  previdenza integrativa a prestazioni definite anche per i
 lavoratori dipendenti, ai quali il divieto in esame e' specificamente
 diretto.
   Sotto il secondo profilo, che mette in discussione la natura  della
 prestazione  per  cui  e'  causa,  sembra al tribunale che essa debba
 essere considerata integrativa e non sostitutiva  del  trattamento  a
 carico dell'A.G.O., con il quale concorre per garantire al lavoratore
 un certo livello reddituale e che solo di fatto e in via eventuale lo
 sostituisce,  allorquando  i  diversi  requisiti di accesso all'una e
 all'altra  provvidenza  portino  alla  liquidazione  della   pensione
 integrativa  in assenza di pensionamento presso l'A.G.O. D'altra pare
 il divieto di liquidazione della pensione a carico del Fondo  privato
 prima  della  liquidazione del trattamento pensionistico obbligatorio
 sarebbe  insuscettibile  di  applicazione  -  e  la norma cadrebbe in
 un'insanabile  contraddizione  -  ove  venisse   riferito   ai   soli
 trattamenti  gia'  "allineati",  sotto il profilo delle condizioni di
 accesso, alle prestazioni dell'A.G.O.  Cio' considerato, il fatto che
 la norma varata dal Parlamento  utilizzi  un'espressione  diversa  da
 quella  dell'originaria formulazione, nella quale si faceva esplicito
 riferimento ai trattamenti "anticipati", non e' certo sufficiente  ad
 affermare  un  mutamento  non  della  sola  forma  bensi' anche della
 sostanza del divieto.
   Quanto alla diversa previsione dell'art. 7, comma 3,  dello  stesso
 d.lgs.  124/1993  -  che consente l'accesso a pensioni integrative di
 anzianita' a condizione che sussista un'eta' non  inferiore  a  dieci
 anni  rispetto  a  quella  fissata  per il pensionamento di vecchiaia
 nell'ordinamento obbligatorio di appartenenza - potra' essere oggetto
 di considerazioni nell'esame della  questione  di  costituzionalita',
 proposta    dall'appellante,    ma    non   consente   di   per   se'
 un'interpretazione della norma  differente  da  quella  fatta  palese
 dall'inequivoco tenore letterale del divieto.
   E  nemmeno  assume  rilevanza  la  lamentata lesione di un presunto
 diritto quesito: alla data di entrata in vigore del precetto  di  cui
 si discute, la ricorrente non era titolare di diritto a pensione, non
 avendo maturato i relativi requisiti, e, comunque, una simile lesione
 potrebbe  essere  fatta  valere  quale  motivo di incostituzionalita'
 della norma ma non quale canone interpretativo idoneo a vanificare la
 lettera della legge.
   Riconosciuta, quindi, la rilevanza della questione di  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  18, comma 8-quinquies del d.lgs. 124/1993,
 si  tratta  di  valutarne  la  non  manifesta  infondatezza,  che  il
 tribunale  ritiene  di  dover  affermare,  non diversamente da quanto
 ritenuto  da  altri  giudici  di   merito,   in   forza   dei   quali
 pronunciamenti la questione stessa gia' risulta pendente dinanzi alla
 Corte  costituzionale  (cfr.    pret.  Bologna,  27 marzo 1996; pret.
 Venezia, 25 luglio 1997, trib.  Treviso, 11 novembre 1997).
   Appare evidente che il divieto, del quale si tratta, limita, per il
 futuro, sia l'adottabilita'  sia  l'efficacia  (se  preesistenti)  di
 clausole  regolamentari dei Fondi privati di cui allo stesso art.  18
 comma 1 - clausole di fonte prevalentemente contrattual-collettiva  -
 che  garantiscano un accesso al pensionamento "anticipato" rispetto a
 quello  consentito  dal  regime  dell'A.G.O.  E  appare   altrettanto
 evidente  che, nella misura in cui interviene su preesistenti assetti
 negoziali, ne altera l'equilibrio (per  esempio,  privando  di  causa
 eventuali  rinunce "corrispettive" rispetto ai vantaggi rappresentati
 dalla garanzia di certe prestazioni di previdenza integrativa).
   Vero e' che,  specialmente  in  un  settore  di  estremo  interesse
 pubblico, qual'e' quello previdenziale, tale genere di intervento non
 e'  precluso  al  legislatore,  quando  sia giustificato da superiori
 esigenze di politica sociale ed economica. Si  tratta,  peraltro,  di
 verificare   che   tali  esigenze  possano  effettivamente  ritenersi
 sussistenti nel caso di specie: del che questo tribunale  ritiene  di
 dover  dubitare  in  termini  tali da giustificare la rimessione alla
 Corte costituzionale della relativa questione di legittimita'.
   Innanzi tutto, il divieto di cui trattasi non sembra  funzionale  a
 ragionevoli esigenze di "allineamento" dei trattamenti pensionistici.
 Posto   che,  parlando  di  trattamenti  integrativi,  non  ha  senso
 ragionare in termini di loro allineamento  al  regime  dell'A.G.O.  -
 bensi',  al  piu',  di  un riavvicinamento, questo si' perseguito dal
 d.lgs. n.   124/1993  -,  pare  al  Collegio  che  la  strumentalita'
 rispetto ad un fine di omogeneizzazione dei trattamenti pensionistici
 debba   essere  valutata,  piu'  logicamente,  con  riferimento  alla
 categoria "omogenea" delle forme pensionistiche complementari. Ma, se
 si ha riguardo alla disciplina  generale  dettata  per  queste  dallo
 stesso   decreto  legislativo,  non  si  rinviene  alcuna  norma  che
 impedisca la liquidazione di trattamenti di anzianita' (quale  quello
 di  cui  si  discute)  in  assenza  di pensione a carico dell'A.G.O.:
 solamente l'art. 7, comma 3, pone un limite "elastico"  ai  requisiti
 per   l'accesso   alle   prestazioni   di  anzianita',  che  dovranno
 contemplare il compimento di un'eta' anagrafica  non  piu'  di  dieci
 anni  inferiore  a  quella prevista per il pensionamento di vecchiaia
 nell'ordinamento  obbligatorio  di  appartenenza,  cosi'  dando   per
 presupposta la possibilita' di pensione integrativa "anticipata".
    Ne'  si  puo'  obiettare  che  la  particolare  "severita'"  delle
 condizione posta dalla norma in esame, rispetto al  meno  restrittivo
 regime previsto per i fondi costituiti o da costituirsi nella vigenza
 della  nuova  disciplina, sia giustificata dal fatto che quella norma
 riguarda  le  forme  pensionistiche  complementari  (preesistenti)  a
 prestazioni   definite,  laddove  i  nuovi  fondi  per  i  lavoratori
 dipendenti  possono  assicurare  solo  prestazioni   in   regime   di
 contribuzione definita.  Un limite uguale od analogo non e', infatti,
 previsto  nemmeno  per  le "nuove" forme pensionistiche complementari
 dei lavoratori autonomi e dei professionisti, benche'  per  esse  sia
 tuttora  consentito  il  regime  di  prestazioni definite (art. 2 del
 decreto legislativo 124/1993); e nel  diverso  trattamento  riservato
 alle  une  e alle altre potrebbe fors'anche ravvisarsi una violazione
 del principio di eguaglianza.
   Quanto   alla   ipotizzata   finalita'   di   prolungamento   della
 contribuzione  inerente  questi  pensionati  "mancati", anche a voler
 attribuire al legislatore un simile, opinabile scopo nel  momento  in
 cui  varava  il  presente  divieto, non si potrebbe che contestare la
 congruita' e l'idoneita' del mezzo, il quale, da  un  lato,  sortisce
 l'effetto   speculare   di   obbligare   l'A.G.O.   alla   successiva
 liquidazione di maggiori trattamenti pensionistici (in relazione alla
 maggiore anzianita' contributiva)  e,  dall'altro,  non  tiene  conto
 della  possibilita' che il titolare di pensione "anticipata" a carico
 del  Fondo  privato  intraprenda  una  nuova  attivita'   lavorativa,
 autonoma  o  subordinata,  cosi'  garantendo  comunque la continuita'
 della contribuzione.
   Nemmeno pare sostenibile che la norma sia imposta  da  esigenze  di
 tutela  della  finanza  pubblica  (e  della  stessa opinione parrebbe
 essere stato il Senato in occasione dell'approvazione dell'ordine del
 giorno del 3 agosto 1995, prodotto  da  parte  appellante).  Anche  a
 prescindere  dalla  considerazione fondamentale che trattasi di fondi
 schiettamente privati, per gli eventuali disavanzi dei quali  non  e'
 posto  a  carico  dello  Stato  alcun  obbligo  di intervento, sembra
 potersi ritenere che strumento idoneo  e  sufficiente  a  tutelare  i
 fondi  dalle  eventuali conseguenze negative di bilancio - in ipotesi
 derivanti  dai  riflessi  della  riforma  del  regime   pensionistico
 obbligatorio  -  sia  quello apprestato dal comma 7 dello stesso art.
 18, decreto legislativo 124/1993, a norma del quale "in  presenza  di
 squilibri  finanziari  delle relative gestioni le fonti istitutive di
 cui all'art. 3 possono rideterminare la disciplina delle  prestazioni
 e  del  finanziamento  per  gli  iscritti  che alla predetta data non
 abbiano maturato i requisiti previsti dalle fonti istitutive medesime
 per  i  trattamenti  di  natura  pensionistica".  Si  noti  che  tale
 possibilita'   di   intervento   lascia   integra   la   liberta'  di
 autodeterminazione delle fonti costitutive  e  consente  di  limitare
 l'utilizzo  dello  strumento  "cautelare" ai casi di reale squilibrio
 (mentre la norma di cui si discute opera a  priori  e  a  prescindere
 dalla  buona  o  cattiva  "salute"  dei  fondi medesimi); casi in cui
 sarebbe presumibilmente utilizzabile anche lo strumento  privatistico
 della risoluzione per eccessiva onerosita' sopravvenuta.
   Vero  e'  che,  in altra occasione, e' stata ritenuta legittima una
 norma limitativa dell'accesso alle pensioni di  anzianita'  in  certo
 senso  analoga a quella in esame: si pensa al "blocco" delle pensioni
 di cui all'art. 1, comma 2-ter, legge 438/1992  (di  conversione  del
 decreto-legge n. 384/1992), che la giurisprudenza di legittimita' (v.
 Cass.,  n. 6771/1995, cui si e' uniformato anche questo tribunale) ha
 ritenuto operante anche per i Fondi integrativi privati. Ma  in  quel
 caso  l'incisivita'  e l'"invasivita'" dell'intervento legislativo si
 collocava in una logica dell'emergenza  (collegata  al  blocco  delle
 pensioni  nel  regime  obbligatorio)  e  si  connotava  in termini di
 eccezionalita' e temporaneita'  che  sono  del  tutto  estranei  alla
 prescrizione  in  esame,  con  la  quale non si sospendono, bensi' si
 invalidano definitivamente le clausole collettive che contemplano  le
 prestazioni vietate.
   Non sembra pertanto manifestamente infondata la prospettata lesione
 degli artt. 39 e 41 Cost., nonche' nell'art. 38 Cost., nella parte in
 cui  tali  norme  precludono  interventi  limitativi  e  lesivi della
 liberta' di contrattazione collettiva, di iniziativa economica  e  di
 assistenza  privata  che  non trovino razionale giustificazione nelle
 esigenze di tutela di  altri,  prioritari  interessi.  Infine,  parte
 appellante  prospetta  un  possibile contrasto della norma in oggetto
 anche con l'art. 3 Cost., sotto un duplice profilo.
   Il primo, riguardante il diverso regime "transitorio" assicurato ai
 lavoratori dipendenti iscritti alle forme esclusive dell'A.G.O.  (per
 i quali l'art.  27,  comma  1,  della  legge  335  ha  conservato  la
 possibilita'    di   pensionamento   anticipato   rispetto   all'eta'
 pensionabile nell'A.G.O., sia pure con le riduzioni di trattamento di
 cui  alla  tabella  d),  pretende  di  mettere  a   confronto   forme
 pensionistiche   complementari   ed   integrative,  quale  quella  in
 giudizio, con forme "esclusive" dell'assicurazione generale,  per  le
 quali  il legislatore ha compiuto un autonomo (e logicamente diverso)
 intervento  correttivo  e  parzialmente  limitativo.  Deve,   quindi,
 escludersene  la fondatezza.  Non privo di fondamento appare, invece,
 l'altro possibile profilo di violazione del principio di eguaglianza,
 relativo al trattamento  riservato  ai  fondi  integrativi  ex  legge
 357/1990  (fondi,  gia'  sostitutivi,  per  i  dipendenti  degli enti
 pubblici creditizi). Se e' vero, infatti, che  per  questi  fondi  la
 legge   335   prevede  l'assoggettamento  allo  stesso  regime  delle
 prestazioni dell'A.G.O., e' anche vero che l'art.  3, comma 19  della
 legge  consente  alla  contrattazione  collettiva  di derogare a tale
 regime senza porre limiti, in particolare, sotto il profilo dell'eta'
 di accesso ai trattamenti di  anzianita'.
                               P. Q. M.
   Ritenuta  non  manifestamente infondata e rilevante la questione di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  18,  comma  8-quinquies  del
 d.lgs. 21 aprile 1993, n. 124, introdotto dall'art. 15, comma 5 della
 legge  8 agosto 1995, n. 335, in  relazione agli artt. 3, 38, 39 e 41
 della Costituzione per i  motivi  di  cui  alla  parte  motiva  della
 presente ordinanza;
   Sospende  il giudizio e dispone l'immediata trasmissione degli atti
 alla Corte costituzionale;
   Ordina che, a cura della cancelleria, la presente  ordinanza  venga
 notificata   al   Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,  nonche'
 comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della
 Repubblica.
     Genova, addi' 27 gennaio 1999
                          Il presidente: Russo
                                              Il giudice rel.: Verrina
 99C0314