N. 194 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 dicembre 1998

                                N.  194
  Ordinanza emessa il 17 dicembre 1998 dal tribunale di  Napoli,  sez.
 per  il  riesame nel procedimento penale a carico di Marullo Giovanni
 ed altri
 Processo penale - Misure cautelari personali - Custodia cautelare  in
    carcere  -  Durata massima - Limite complessivo e limite di fase -
    Ipotesi di decorrenza ex novo dei termini in seguito a regressione
    del procedimento o rinvio ad altro giudice - Perdita di  efficacia
    della  misura  solo  nel caso di superamento del termine di durata
    complessivo e non anche nel caso di  superamento  del  doppio  del
    termine   di  fase  -  Disparita'  di  trattamento  rispetto  alla
    disciplina dei casi di sospensione dei termini di custodia di  cui
    all'art. 304, comma 6, cod. proc. pen.
 (C.P.P. 1988, art. 303, comma 4).
 (Cost., art. 3).
(GU n.14 del 7-4-1999 )
                             IL TRIBUNALE
   Ha   emesso   la   seguente   ordinanza   sugli   appelli  proposti
 nell'interesse  di  Marullo  Giovanni   (cosi'   corretta   l'erronea
 indicazione di Marullo Vincenzo contenuta nell'atto di impugnazione),
 D'Avanzo   Giovanni,   Ambrosino  Vincenzo  e  Piscopo  Pino  avverso
 ordinanza 23/24 ottobre 1998 del tribunale  di  Nola,  con  la  quale
 veniva  rigettata  istanza  di scarcerazione per scadenza, nella fase
 delle  indagini  preliminari,  del  termine  massimo  della  custodia
 cautelare,
                             O s s e r v a
   1.  -  Come  risulta dagli atti trasmessi dall'a.g. procedente, gli
 appellanti sono sottoposti a custodia cautelare (Marullo Giovanni dal
 27 giugno 1995,  D'Avanzo  Giovanni  dal  6  maggio  1996,  Ambrosino
 Vincenzo  dal  27  giugno 1995 e Piscopo Pino dal 28 giugno 1995) per
 reato di associazione mafiosa in forza di ordinanza coercitiva emessa
 dal g.i.p. del  tribunale  di  Napoli  nell'ambito  del  procedimento
 penale n. 15396/1993 della D.D.A. di Napoli.
   Gli   appellanti,  unitamente  ai  coimputati,  furono  rinviati  a
 giudizio avanti alla Corte di Assise  di  Napoli,  la  quale,  pero',
 dichiaro'  la  propria  incompetenza  (eccetto  che  per  i  reati di
 omicidio e per quelli connessi di armi) e rimise  gli  atti  al  p.m.
 della  d.d.a.  di  Napoli. Il p.m. chiese quindi il rinvio a giudizio
 avanti al tribunale di Nola, competente per materia e per territorio,
 ma insorse conflitto tra il g.i.p. distrettuale e il  Presidente  del
 tribunale  di  Nola,  negando  il  primo  e  affermando il secondo la
 necessita' di rinnovare le formalita' dell'udienza preliminare  e  di
 provvedere  all'esito,  come  per  legge,  sulla richiesta del p.m. -
 Intervenuta la sentenza 30 luglio 1997  della  Corte  di  cassazione,
 risolutiva del conflitto, il g.i.p. distrettuale, previa celebrazione
 dell'udienza  preliminare,  ha  emesso  in data 22 ottobre 1997 nuovo
 decreto di rinvio a giudizio degli imputati avanti  al  tribunale  di
 Nola.
   La  difesa  degli  imputati,  con atto 17 ottobre 1998 ha formulato
 istanza  di  scarcerazione  ai  sensi  dell'art.   304/6,   invocando
 l'applicazione  della  sentenza della Corte costituzionale n. 292 del
 18 luglio 1998.
   Il  tribunale  di  Nola  con  l'appellata  ordinanza  ha  rigettato
 l'istanza,  osservando  tra  l'altro:  "il  computo  dei  termini  di
 custodia  deve  far  riferimento  a   periodi   della   stessa   fase
 procedimentale,  come  si  evince dalla sentenza della Corte, periodo
 che, per la fase delle  indagini  preliminari,  e'  compreso  tra  il
 giorno  dell'arresto  e  quello in cui e' stato emesso il decreto che
 dispone il giudizo ... il periodo intercorso tra i  suddetti  decreti
 (3  giugno  1996,  14  giugno  1996  e 17 dicembre 1996, coi quali fu
 disposto il rinvio a giudizio degli imputati  avanti  alla  Corte  di
 Assise;  n.d.e.)  ...  e  le  sentenze  dichiarative  di incompetenza
 (pronunciate dalla Corte di Assise  il  25  novembre  1996  e  il  10
 gennaio  1997;  n.d.e.),  va  computato  come  relativo alla fase del
 giudizio ex art. 303 lettera b), mentre dalla  sentenza  dichiarativa
 di  incompetenza e' incominciato a decorrere un nuovo termine di fase
 delle indagini preliminari, a seguito della regressione del  giudizio
 determinata dalla suindicata sentenza.
   Diversamente si cumulerebbero periodi di detenzione riferibili alla
 fase  delle indagini preliminari con periodi di detenzione riferibili
 alla successiva fase del giudizio di primo  grado,  apertasi  con  il
 decreto  di  rinvio  a giudizio del 3 giugno 1996 e conclusasi con la
 sentenza di incompetenza resa in data 10 gennaio 1997. Ritornando  al
 caso   che  qui  interessa,  i  segmenti  di  fase  cui  occorre  far
 riferimento, ai fini dell'applicazione dell'art.  304,  comma  sesto,
 cpp,  riguardo  alla  fase  delle  indagini  preliminari, sono quello
 compreso tra l'arresto e il primo decreto di  rinvio  a  giudizio  (3
 giugno   1996  ed  equiparati  e  quello  compreso  tra  la  sentenza
 dichiarativa di incompetenza ed il nuovo decreto di rinvio a giudizio
 del 22 ottobre 1997, che ha determinato il passaggio dalla fase delle
 indagini a quella successiva, con  conseguente  inizio  di  un  nuovo
 termine  di  fase.  Ebbene  cumulando  i  segmenti  della  fase delle
 indagini preliminari compresi tra la data  di  arresto  dei  predetti
 imputati  ... e il decreto del 3 giugno 1996 (ed equiparati) e tra la
 sentenza dichiarativa di incompetenza e il nuovo decreto,  si  rileva
 che  non  e'  stato superato il doppio del termine di fase (1 anno ai
 sensi dell'art. 303, lettera a), n.  3 cpp), essendo  trascorsi  meno
 di due anni...".
   2.  -  Con  l'appello  proposto  ai  sensi dell'art. 310 c.p.p., la
 Difesa deduce:
     "I termini di fase sono entrambi trascorsi,  e  per  entrambi  si
 intende  e  quelli della fase delle indagini preliminari e quelli del
 dibattimento.
   Il tribunale allorche' interpreta, e per questa  parte  si  ritiene
 che  vi  sia una erronea interpretazione, il disposto di cui all'art.
 303 c.p.p. n. 2 conclude che la  "fase  decorsa"  comunque  non  puo'
 essere  esaminata...  visto  che  ridecorrono  i termini per ciascuna
 fase.
   Perche' erronea interpretazione? Perche' la  sentenza  della  Corte
 costituzionale fa riferimento, comunque, "al doppio dei termini della
 fase"  quale  interpretazione  del  n.  6 dell'art. 304 del codice di
 rito.
   I termini comunque cumulati, e per questa interpretazione non  v'e'
 necessita'  di  far ricorso alla sentenza della Corte costituzionale,
 essendo giurisprudenza costante non possono superare il doppio...   e
 "nel  computo  del  doppio"  erano e sono compresi quelli, scaturenti
 dalla sentenza di  annullamento  con  rinvio,  ora  perche'  dovrebbe
 ritenersi  "il doppio" limitato alla "fase in corso" senza aggiungere
 i periodi della stessa fase gia' decorsi?
   E' limitazione che non trova aggancio in nessuna norma giuridica  e
 tanto motiva, sia pure in contrasto di decisione, la stessa ordinanza
 impugnata.
   Cosi'  infatti  la  ordinanza impugnata a pag. 6: "... mentre dalla
 sentenza dichiarativa di incompetenza e' incominciato a decorrere  un
 nuovo  termine  di  fase  delle indagini preliminari... " cioe' della
 stessa fase. Nuovo termine ma stessa fase... nuovo  termine  che  non
 superi  il  doppio  di fase. La regressione non annulla gli atti gia'
 compiuti... onde la fase e' identica.
   Dalla precisazione al computo.
   La fase del giudizio  e'  conseguenza  del  primo  decreto  per  il
 giudizio  sino  alla  sentenza  di  incompetenza per territorio. Gia'
 argomento  sostenuto,  e  per  la  verita',  ritenuto  infondato  dal
 tribunale, dallo scrivente.
   Il  rigetto  era erroneo e la riprova la si e' avuta, proprio dalla
 sentenza della Corte costituzionale.
   Al periodo posto in evidenza va aggiunto il periodo  che  ha  quale
 dies  a  quo  il  provvedimento  col quale il g.i.p. dr.ssa Rotondaro
 rimise gli atti al tribunale di Nola.
   Ad entrambi vanno aggiunti i termini decorrenti dal decreto per  il
 giudizio "a tutt'oggi".
   Essi  sono  abbondantemente  decorsi. Tanto anche per la fase delle
 indagini.
   Decreto per il giudizio del 3 giugno 1996, anche se  annullato,  ha
 comportato una carcerazione preventiva dall'arresto alla emissione.
   Dalla  sentenza  di  incompetenza  emessa  il  16 gennaio 1997 alla
 riemissione del nuovo decreto per il giudizio.
   Si e' sempre nella stessa fase per cui i termini non possono essere
 superiori al doppio.... mentre sono stati abbondantemente superati.
   In accoglimento dell'appello la scarcerazione."  (atto  di  appello
 dell'avv. Antonino De Angelis depositato il 9 novembre 1998).
   3.  -  Va  rilevato  che  l'appello relativamente alla posizione di
 D'Avanzo Giovanni e' palesemente infondato, in quanto per il predetto
 la durata della custodia cautelare nella  fase  delle  indagini,  pur
 computata   secondo   la  prospettazione  difensiva  -  vale  a  dire
 dall'esecuzione  del  provvedimento  coercitivo  (6 maggio 1996) alla
 data del rinvio a giudizio avanti al tribunale di  Nola  (22  ottobre
 1997) - non ha comunque superato i due anni, cioe' il preteso "limite
 finale"  pari  al  doppio  del  termine  di fase di cui alla invocata
 sentenza n. 292/1998 della Corte costituzionale.
   Al rigetto  dell'appello  consegue  la  condanna  del  D'Avanzo  al
 pagamento delle spese della procedura incidentale.
   Passando  all'esame  della  posizione  degli  altri  appellanti, va
 osservato che non  e'  dubbio  che  nella  specie,  a  seguito  della
 sentenza di incompetenza pronunciata dalla Corte di Assise di Napoli,
 si  e'  verificata  la  regressione del procedimento nella fase delle
 indagini preliminari e la nuova decorrenza del termine della custodia
 cautelare relativo a tale fase,  secondo  quanto  previsto  dall'art.
 303/2, c.p.p. La norma citata dispone, infatti, che "nel caso in cui,
 a  seguito  di  annullamento  con  rinvio  da  parte  della  Corte di
 cassazione o per altra causa, il procedimento regredisca a una fase o
 a un grado di giudizio diversi ovvero sia rinviato ad altro  giudice,
 dalla  data  del  provvedimento  che  dispone il regresso o il rinvio
 ovvero  dalla  sopravvenuta  esecuzione  della   custodia   cautelare
 decorrono  di  nuovo  i  termini previsti dal comma 1 relativamente a
 ciascuno stato e grado del procedimento".
   La previsione dell'art. 303/2  era  stata  piu'  volte  oggetto  di
 questioni  di incostituzionalita', ma la Corte di cassazione ne aveva
 sempre ritenuto la manifesta infondatezza, osservando: che la  norma,
 nel  parificare,  agli effetti dell'allungamento del termine di fase,
 la regressione del procedimento per nullita' (anche nel caso di gravi
 vizi di costituzione delle parti) alle altre ipotesi  di  regressione
 stabilite dalla legge, non contrasta con i principi di ragionevolezza
 e  di uguaglianza (art. 3 Costituzione), poiche' essa intende in ogni
 caso bilanciare le conseguenze negative del riprendere ex novo l'iter
 processuale con il permanere delle  esigenze  cautelari,  consentendo
 l'allungamento  del  termine di fase, ma comunque entro il termine di
 durata complessiva della custodia stabilito dall'art.  303/4  (Cass.,
 sez.   VI,  n.  915/1993,  Esposito);  che  non  sussiste  violazione
 dell'art.   13,  ultimo  comma,  Costituzione,  in  quanto  la  norma
 costituzionale  impone  che  la  legge  ordinaria  stabilisca, per il
 completamento  dell'intero  procedimento,  il  limite  massimo   alla
 carcerazione  preventiva,  ma  non  esige anche che sia fissato altro
 limite parziale interno  a  ciascuna  fase  del  procedimento  stesso
 (Cass., sez. VI, n. 3525/1993, Massidda); che non sussiste violazione
 degli  articoli  13  e  24 della Costituzione perche', da un lato, e'
 comunque  previsto  un  tetto  massimo  della   custodia   cautelare,
 conformemente  a  quanto  dispone  l'art.  13  dela Costituzione, che
 riserva alla discrezionalita' del legislatore ordinario i  casi  e  i
 modi  della  detenzione  e,  in  genere, di ogni forma di restrizione
 della liberta' personale e, dall'altro, non  puo'  farsi  commistione
 tra  il  diritto  di  difesa  inviolabile  in  ogni stato e grado del
 procedimento, che consente di eccepire una nullita', e i riflessi che
 il suo esercizio puo' avere in materia di liberta',  essendo  rimessa
 alla  discrezionalita'  difensiva la valutazione della convenienza di
 esercitare, o meno, una certa facolta', anche per le implicazioni, le
 conseguenze e le interferenze di fatto in ogni direzione (Cass., sez.
 I, n. 421/1994, Gigliotti ed altri;  Cass.,  sez.  I,  n.  1431/1996,
 Affuso,  aveva poi escluso la sussistenza di una violazione dell'art.
 76 della Costituzione, per eccesso di delega rispetto alla  direttiva
 n. 61 dell'art. 2 della legge 16 febbraio 1987 n. 81.
   Peraltro,  con  ordinanza  22  novembre 1996 il tribunale di Reggio
 Calabria, in funzione di giudice di appello de libertate, rilevava di
 ufficio "questione di costituzionalita' dell'art. 303/4 c.p.p., nella
 parte in cui non  prevede  che,  oltre  al  superamento  del  termine
 complessivo, possa essere causa di scarcerazione anche il superamento
 del  doppio del termine di fase, allorche' si verifichi la situazione
 descritta nel comma due di detto art. 303".
   Nel caso che dava occasione  alla  questione  vi  erano  state  due
 successive  regressioni  del  procedimento  nella fase delle indagini
 preliminari, a seguito di  sentenze  di  incompetenza,  e  la  Difesa
 istante  aveva invocato l'applicazione dell'art. 304/6, rilevando che
 dalla data dell'arresto degli imputati alla data dell'ultimo rinvio a
 giudizio era decorso un periodo di  tempo  superiore  al  doppio  del
 termine   di   fase.  Il  g.i.p.  aveva  rigettato  la  richiesta  di
 scarcerazione sul  rilievo  che  la  situazione  degli  imputati  era
 disciplinata  unicamente  dai  commi  2 e 4 dell'art. 303 e non anche
 dall'art. 304. Con l'atto di appello la Difesa  aveva  riproposto  la
 questione  al  Tribunale  e  nella  discussione  aveva  poi,  in  via
 subordinata,  denunciato  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.
 304/6 in quanto applicabile al solo caso di sospensione dei termini e
 non  anche  ai  casi  di  regressione,  con conseguente irragionevole
 disparita' di  trattamento.  Il  tribunale  di  Reggio  Calabria  con
 l'ordinanza  di  rimessione  rilevava  che la questione era mal posta
 dalla Difesa, poiche' la fattispecie del  regresso  "e'  disciplinata
 dalle norme contenute nell'art. 303 c.p.p., e non da quelle contenute
 nell'art.  304 c.p.p. .... ogni riferimento all'art. 304 c.p.p. e ...
 inconferente, poiche' disciplina situazioni  affatto  differenti  ...
 attiene  all'istituto  della  sospensione  del  termine  di  custodia
 cautelare  ed  ai  suoi  limiti  cronologici".  Peraltro,  anche   il
 Tribunale  riteneva  irragionevole  la  disparita'  di disciplina tra
 istituti - quali appunto la sospensione dei termini e la interruzione
 dovuta a regressione o rinvio del procedimento - che  presentano  una
 "sostanziale  omogeneita'"  in  quanto  "entrambi rappresentano degli
 accidenti che si verificano nel cammino del  procedimento,  perlopiu'
 indipendenti  alla  volonta'  dell'imputato";  pertanto  sollevava la
 questione di costituzionalita' nei termini sopra riportati  (v.  ord.
 22  novembre  1996  tribunale  Reggio Calabria, Ardizzone ed altro in
 Gazzetta Ufficiale n. 45/1997, prima serie speciale, n. 756).
   La Corte costituzionale con la sentenza n. 292/1998  ha  dichiarato
 la   questione   non   fondata,   affermando  in  motivazione  che  -
 contrariamente a quanto ritenuto dal giudice a quo - "il  superamento
 di un periodo di custodia pari al doppio del termine stabilito per la
 fase presa in considerazione, determina la perdita di efficacia della
 custodia  anche  se  quei  termini  ...  sono  cominciati a decorrere
 nuovamente a seguito  della  regressione  del  processo".  La  Corte,
 infatti,  ha ritenuto che il "limite finale" di durata della custodia
 cautelare nelle singole fasi, fissato dall'art. 304/6 nel doppio  del
 termine  di fase, trovi applicazione non solo nei casi di sospensione
 dei termini, come sembrerebbe indicare la collocazione  della  norma,
 ma  anche  in  quelli  di  proroga  o  di interruzione determinata da
 regressione o rinvio del procedimento ad altro giudice.
   4.   -   L'appellante   difesa   lamenta,  in  sostanza,  l'erronea
 applicazione,   da   parte   del   primo   giudice,   del   principio
 interpretativo  fissato dalla Corte costituzionale con la sentenza n.
 292/1998,  dando  per  scontato  che  tale  principio  debba  trovare
 applicazione.  Peraltro,  la  soluzione interpretativa adottata dalla
 Corte costituzionale non e' giuridicamente  vincolante  nel  presente
 procedimento.
   Le  sentenze  interpretative  di rigetto della Corte costituzionale
 non sono infatti  munite  dell'efficacia  erga  omnes  propria  delle
 decisioni    con   le   quali   viene   dichiarata   l'illegittimita'
 costituzionale di una disposizione di  legge,  per  cui  assumono  il
 valore  di  mero precedente, certamente autorevole, ma non vincolante
 per il giudice (ss.uu. 930/96, Clarke, e 21/98, Gallieri).
   Nel caso della sentenza n. 292/1998, la soluzione interpretativa  -
 ispirata   dall'intento   di  superare  la  denunciata  irragionevole
 disparita' di disciplina tra i casi di  sospensione  dei  termini  di
 custodia  e  quelli  di  interruzione  dovuta a regresso o rinvio del
 procedimento - finisce per creare una omogeneita' di  disciplina  tra
 tali  casi,  nei  quali l'allungamento della durata della custodia e'
 per lo piu' indipendente dalla volonta' dell'imputato, e quello della
 evasione, nel quale l'allungamento deriva  invece  dal  comportamento
 dell'imputato,  per  di  piu'  penalmente illecito (nella sentenza n.
 292/1998, in verita',  non  vi  e'  menzione  del  caso  di  evasione
 dell'imputato,  ma  anch'esso  rientra tra i "i fenomeni che comunque
 possono interferire con la disciplina dei termini di fase", ai  quali
 tutti  si  riferirebbe  il  "limite finale" di cui all'art. 304/6, e,
 d'altro canto, l'art. 303/3  e'  espressamente  richiamato  dall'art.
 304/6).
   Anche  prescindendo da tale rilievo, il collegio ritiene di doversi
 discostare dalla soluzione interpretativa,  pur  cosi  autorevolmente
 indicata,  per ragioni che attengono alla origine della ragione della
 norma di cui  all'art.  304/6,  alla  sua  collocazione  e  alla  sua
 letterale formulazione.
   Invero, l'esigenza di introdurre un "limite finale" di durata della
 custodia  cautelare  e'  stata  avvertita  dal legislatore proprio in
 relazione all'istituto della sospensione dei termini, che  nelle  sue
 concrete  applicazioni  avrebbe potuto determinare la quiescenza sine
 die  del  decorso  dei  termini.  Il   "limite   finale"   e'   stato
 originariamente  introdotto  per la durata complessiva della custodia
 cautelare (art.  272/9 c.p.p. abrogato; art. 304/4 nuovo  c.p.p.  nel
 testo  vigente  anteriormente  alla  legge  n.  532/1995)  e  la  sua
 collocazione (subito dopo le norme sulla sospensione  dei  termini  e
 nel  nuovo  codice proprio nell'articolo intitolato alla sospensione)
 rende chiara l'intenzione del legislatore nel senso sopra indicato.
   Prima dell'entrata in vigore della  legge  n.  532/1995,  non  pare
 fosse,  in  realta',  neppure ipotizzabile l'applicazione del "limite
 finale" ai casi del regresso o del  rinvio  del  procedimento  (salvo
 quando  -  beninteso  -  dopo tali vicende fosse intervenuta anche la
 sospensione   dei   termini):   infatti,    nel    codice    abrogato
 l'irragionevole  prolungamento della custodia nei casi di regressione
 o rinvio del procedimento, disciplinati dal  comma  quinto  dell'art.
 272,  era assicurato dalla specifica previsione del comma sesto dello
 stesso articolo che fissava  limiti  massimi  di  durata  complessiva
 della custodia inferiori al "limite finale" di cui al comma nono; nel
 nuovo  codice,  anteriormente  alla  legge  n. 532/1995, i termini di
 durata  complessiva  della  custodia  previsti  dall'art.   303/4   -
 applicabili  nei  casi  di  regressione  o  rinvio del procedimento -
 risultavano sempre inferiori  al  "limite  finale"  di  cui  all'art.
 304/4.
   Cade,  quindi,  l'argomento "storico" prospettato per sostenere che
 il  "limite  finale"  abbia  portata  non  circoscritta  ai  casi  di
 sospensione dei termini.
   L'art.  15/1  della  legge  n.  532/1995,  nel riformulare il testo
 dell'art.   304, ha introdotto un "limite  finale"  di  durata  della
 custodia  anche per le singole fasi (il doppio dei termini di fase) e
 ha piu' favorevolmente disciplinato  il  "limite  finale"  di  durata
 complessiva della custodia, prevedendo che questa non puo' superare i
 termini  di  cui all'art.   303/4 aumentati della meta' e richiamando
 comunque il previgente "limite" (due terzi  del  massimo  della  pena
 temporanea, da applicarsi pero' solo se piu' favorevole.
   Che tali previsioni riguardino unicamente i casi di sospensione dei
 termini  della  custodia  si  desume  dalla scelta del legislatore di
 tener  ferma  la  collocazione  della  norma  nell'articolo  dedicato
 appunto alla sospensione. Ne' pare che l'uso dell'avverbio "comunque"
 nell'art.  304/6  confermi  l'ipotesi  che  i  "limiti  finali" siano
 riferiti a tutti i fenomeni che possono interferire con la disciplina
 dei termini, e percio'  anche  ai  casi  di  proroga  dei  termini  e
 regressione  del  procedimento.  Ben  puo'  ritenersi,  infatti,  che
 l'avverbio valga invece a sottolineare la correlazione tra  la  norma
 sui  "limiti  finali"  e  tutte  le  varie ipotesi di sospensione dei
 termini previste nei cinque commi che precedono, nel senso cioe'  che
 i limiti operano quale che sia la causa della sospensione.
   Ma  vi  e'  una  ragione  ulteriore  che  induce a escludere che il
 "limite finale" di cui all'art.  304/6  sia  riferibile  ai  casi  di
 regressione o rinvio del procedimento.
   Occorre  infatti  considerare  che  l'art.  304/6,  come sostituito
 dall'art.  15/1 della legge n. 332/1995,  fissa  il  "limite  finale"
 relativo alla fase disponendo che "la durata della custodia cautelare
 non  puo'  comunque superare il doppio dei termini previsti dall'art.
 303, commi 1, 2 e 3". La norma, dunque, richiama espressamente i casi
 di regressione o rinvio del procedimento e il caso di  evasione,  nei
 quali   i   termini  decorrono  ex  novo,  e  la  previsione  risulta
 perfettamente  giustificata  anche  per  chi  ritenga,  come  qui  si
 sostiene,  che  l'art.  304/6 si applichi solo in caso di sospensione
 dei termini: infatti, ben puo' darsi  il  caso  che  il  procedimento
 regredisca  nella  fase del giudizio e intervenga poi sospensione dei
 termini di custodia.
   Orbene, il significato del richiamo dell'art. 304/6 ai commi 2 e  3
 dell'art. 303 non puo' che essere quello di confermare, anche ai fini
 della  individuazione  del  "limite  finale" di durata della custodia
 nella fase, la diversa decorrenza dei termini nei casi del regresso o
 rinvio del procedimento e  della  evasione.  Cio'  comporta  che,  ad
 esempio,  regredito  il procedimento nella fase del giudizio di primo
 grado ed essendo stati poi sospesi i termini, la  custodia  cautelare
 non  potra' superare il doppio del termine di fase, calcolato pero' a
 partire dalla data del provvedimento che ha disposto  il  regresso  e
 non  dalla  emissione  del  provvedimento  che  originariamente aveva
 disposto il giudizio (in tal senso si e'  pronunciata  la  I  Sezione
 della  Corte  di cassasione, con sentenza n. 1063/1996, Sarno, che ha
 confermato l'orientamento espresso da questo tribunale,  IV  sezione,
 con ordinanza ex art. 310 c.p.p. in data 21 dicembre 1995).
   Se  il  legislatore  del  1995,  ai  fini  della individuazione del
 "limite finale" di durata della custodia nella  fase,  avesse  inteso
 invece  equiparare  alle altre le situazioni di regresso o rinvio del
 procedimento e di evasione, si sarebbe limitato a prevedere  che  "la
 durata  della custodia cautelare non puo' comunque superare il doppio
 dei  termini  previsti  dall'art.  303,  comma  1...",  eventualmente
 aggiungendo, per maggior chiarezza: "anche nei casi di cui ai commi 2
 e 3 dello stesso articolo".
   Il  dato testuale appare dunque chiaro e il Collegio e' obbligato a
 tenerne conto, poiche' "nell'applicare la legge non si puo'  ad  essa
 attribuire  altro  senso  che  quello  fatto  palese  dal significato
 proprio delle  parole,  secondo  la  connessione  di  esse,  e  dalla
 intenzione del legislatore".
   Peraltro, cosi' interpretato il richiamo dell'art. 304/6 ai commi 2
 e  3 dell'art. 303, appare ancor piu' evidente che il "limite finale"
 non si riferisce ai casi di regressione o rinvio del  procedimento  e
 di   evasione,   nei   quali   potrebbe  trovare  rarissima,  se  non
 impossibile, applicazione. Infatti, se detto limite nelle ipotesi  di
 cui  ai  commi 2 e 3 dell'art. 303 va computato a partire dal momento
 di nuova decorrenza del termine, esso (salva l'ipotesi eccezionale in
 cui si verifichino due o piu' regressi) non puo' concretamente essere
 superato (in quanto ben prima viene a scadere l'ordinario termine  di
 fase)  se  non  intervenga, dopo la regressione, anche la sospensione
 dei  termini.  Sicche',  in  definitiva,  trova  ulteriore   conforto
 l'interpretazione  secondo  cui  il  "limite  finale"  della custodia
 cautelare nelle singole fasi pari al doppio del termine ordinario  di
 cui  all'art.  304/6  e' riferibile unicamente ai casi di sospensione
 dei termini.
   5. - Le sezioni unite della Corte di cassazione hanno ripetutamente
 affermato che, sebbene la sentenza interpretativa  di  rigetto  della
 Corte  costituzionale non sia munita di efficacia erga omnes, facendo
 essa sorgere un vincolo solo nel giudizio a  quo,  non  si  puo'  mai
 giungere  a  sostenere  che  per gli altri giudici la decisione della
 Corte costituzionale sia da ritenersi  inutiliter  data.  Sicche'  il
 giudice   che,   in   un   diverso   giudizio,   intenda  discostarsi
 dall'interpretazione   proposta   nella    sentenza    della    Corte
 costituzionale  non  ha  altra  alternativa  che  quella di sollevare
 ulteriormente la questione di legittimita', non potendo mai assegnare
 alla formula normativa un significato ritenuto incompatibile  con  la
 Costituzione (ss.uu. 930/96, Clarke, e 21/98, Gallieri).
   Il  collegio,  uniformandosi  a  tale  principio,  ritiene di dover
 sollevare nuovamente la questione  di  legittimita'  dell'art.  303/4
 c.p.p. per le medesime ragioni gia' disattese, all'uopo richiamando e
 facendo  proprie  le  motivazioni dell'ordinanza 22 novembre 1996 del
 tribunale di Reggio Calabria.
                               P. Q. M.
   Visto  1'art.  310  c.p.p.,  conferma  l'impugnata  ordinanza   nei
 confronti  di D'Avanzo Giovanni che condanna al pagamento delle spese
 della procedura incidentale a lui relative. Dispone lo stralcio della
 posizione  del  predetto  appellante  e  la  formazione  di  separato
 fascicolo  contenente  gli  atti  che  specificamente lo riguardano e
 copia  di quelli comuni.  Manda alla cancelleria per gli adempimenti,
 anche ai sensi dell'art.  94/1-ter d.a. c.p.p.;
   Visto 1'art. 23 della legge n.  87  dell'11  marzo  1953,  dichiara
 rilevante,   relativamente   alle   posizioni  di  Marullo  Giovanni,
 Ambrosino Vincenzo e Piscopo Pino, e non manifestamente infondata "la
 questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  303/4  c.p.p.,
 nella  parte in cui non prevede che, oltre al superamento del termine
 complessivo, possa essere causa di scarcerazione anche il superamento
 del doppio del termine di fase, allorche' si verifichi la  situazione
 descritta nel comma due di detto art. 303";
   Sospende   il  procedimento  in  corso  nei  confronti  di  Marullo
 Giovanni, Ambrosino Vincenzo e Piscopo Pino, disponendo  trasmettersi
 gli atti alla Corte costituzionale;
   Ordina  che,  a  cura  della cancelleria, la presente ordinanza sia
 notificata agli appellanti Marullo  Giovanni,  Ambrosino  Vincenzo  e
 Piscopo  Pino,  al  loro  difensore, al pubblico ministero nonche' al
 Presidente del consiglio dei ministri e sia comunicata ai  Presidenti
 delle due Camere del Parlamento.
   Cosi' deciso in Napoli, il 17 dicembre 1998
                     Il presidente est.: Guglielmo
 99C0319