N. 194 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 dicembre 1998
N. 194 Ordinanza emessa il 17 dicembre 1998 dal tribunale di Napoli, sez. per il riesame nel procedimento penale a carico di Marullo Giovanni ed altri Processo penale - Misure cautelari personali - Custodia cautelare in carcere - Durata massima - Limite complessivo e limite di fase - Ipotesi di decorrenza ex novo dei termini in seguito a regressione del procedimento o rinvio ad altro giudice - Perdita di efficacia della misura solo nel caso di superamento del termine di durata complessivo e non anche nel caso di superamento del doppio del termine di fase - Disparita' di trattamento rispetto alla disciplina dei casi di sospensione dei termini di custodia di cui all'art. 304, comma 6, cod. proc. pen. (C.P.P. 1988, art. 303, comma 4). (Cost., art. 3).(GU n.14 del 7-4-1999 )
IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza sugli appelli proposti nell'interesse di Marullo Giovanni (cosi' corretta l'erronea indicazione di Marullo Vincenzo contenuta nell'atto di impugnazione), D'Avanzo Giovanni, Ambrosino Vincenzo e Piscopo Pino avverso ordinanza 23/24 ottobre 1998 del tribunale di Nola, con la quale veniva rigettata istanza di scarcerazione per scadenza, nella fase delle indagini preliminari, del termine massimo della custodia cautelare, O s s e r v a 1. - Come risulta dagli atti trasmessi dall'a.g. procedente, gli appellanti sono sottoposti a custodia cautelare (Marullo Giovanni dal 27 giugno 1995, D'Avanzo Giovanni dal 6 maggio 1996, Ambrosino Vincenzo dal 27 giugno 1995 e Piscopo Pino dal 28 giugno 1995) per reato di associazione mafiosa in forza di ordinanza coercitiva emessa dal g.i.p. del tribunale di Napoli nell'ambito del procedimento penale n. 15396/1993 della D.D.A. di Napoli. Gli appellanti, unitamente ai coimputati, furono rinviati a giudizio avanti alla Corte di Assise di Napoli, la quale, pero', dichiaro' la propria incompetenza (eccetto che per i reati di omicidio e per quelli connessi di armi) e rimise gli atti al p.m. della d.d.a. di Napoli. Il p.m. chiese quindi il rinvio a giudizio avanti al tribunale di Nola, competente per materia e per territorio, ma insorse conflitto tra il g.i.p. distrettuale e il Presidente del tribunale di Nola, negando il primo e affermando il secondo la necessita' di rinnovare le formalita' dell'udienza preliminare e di provvedere all'esito, come per legge, sulla richiesta del p.m. - Intervenuta la sentenza 30 luglio 1997 della Corte di cassazione, risolutiva del conflitto, il g.i.p. distrettuale, previa celebrazione dell'udienza preliminare, ha emesso in data 22 ottobre 1997 nuovo decreto di rinvio a giudizio degli imputati avanti al tribunale di Nola. La difesa degli imputati, con atto 17 ottobre 1998 ha formulato istanza di scarcerazione ai sensi dell'art. 304/6, invocando l'applicazione della sentenza della Corte costituzionale n. 292 del 18 luglio 1998. Il tribunale di Nola con l'appellata ordinanza ha rigettato l'istanza, osservando tra l'altro: "il computo dei termini di custodia deve far riferimento a periodi della stessa fase procedimentale, come si evince dalla sentenza della Corte, periodo che, per la fase delle indagini preliminari, e' compreso tra il giorno dell'arresto e quello in cui e' stato emesso il decreto che dispone il giudizo ... il periodo intercorso tra i suddetti decreti (3 giugno 1996, 14 giugno 1996 e 17 dicembre 1996, coi quali fu disposto il rinvio a giudizio degli imputati avanti alla Corte di Assise; n.d.e.) ... e le sentenze dichiarative di incompetenza (pronunciate dalla Corte di Assise il 25 novembre 1996 e il 10 gennaio 1997; n.d.e.), va computato come relativo alla fase del giudizio ex art. 303 lettera b), mentre dalla sentenza dichiarativa di incompetenza e' incominciato a decorrere un nuovo termine di fase delle indagini preliminari, a seguito della regressione del giudizio determinata dalla suindicata sentenza. Diversamente si cumulerebbero periodi di detenzione riferibili alla fase delle indagini preliminari con periodi di detenzione riferibili alla successiva fase del giudizio di primo grado, apertasi con il decreto di rinvio a giudizio del 3 giugno 1996 e conclusasi con la sentenza di incompetenza resa in data 10 gennaio 1997. Ritornando al caso che qui interessa, i segmenti di fase cui occorre far riferimento, ai fini dell'applicazione dell'art. 304, comma sesto, cpp, riguardo alla fase delle indagini preliminari, sono quello compreso tra l'arresto e il primo decreto di rinvio a giudizio (3 giugno 1996 ed equiparati e quello compreso tra la sentenza dichiarativa di incompetenza ed il nuovo decreto di rinvio a giudizio del 22 ottobre 1997, che ha determinato il passaggio dalla fase delle indagini a quella successiva, con conseguente inizio di un nuovo termine di fase. Ebbene cumulando i segmenti della fase delle indagini preliminari compresi tra la data di arresto dei predetti imputati ... e il decreto del 3 giugno 1996 (ed equiparati) e tra la sentenza dichiarativa di incompetenza e il nuovo decreto, si rileva che non e' stato superato il doppio del termine di fase (1 anno ai sensi dell'art. 303, lettera a), n. 3 cpp), essendo trascorsi meno di due anni...". 2. - Con l'appello proposto ai sensi dell'art. 310 c.p.p., la Difesa deduce: "I termini di fase sono entrambi trascorsi, e per entrambi si intende e quelli della fase delle indagini preliminari e quelli del dibattimento. Il tribunale allorche' interpreta, e per questa parte si ritiene che vi sia una erronea interpretazione, il disposto di cui all'art. 303 c.p.p. n. 2 conclude che la "fase decorsa" comunque non puo' essere esaminata... visto che ridecorrono i termini per ciascuna fase. Perche' erronea interpretazione? Perche' la sentenza della Corte costituzionale fa riferimento, comunque, "al doppio dei termini della fase" quale interpretazione del n. 6 dell'art. 304 del codice di rito. I termini comunque cumulati, e per questa interpretazione non v'e' necessita' di far ricorso alla sentenza della Corte costituzionale, essendo giurisprudenza costante non possono superare il doppio... e "nel computo del doppio" erano e sono compresi quelli, scaturenti dalla sentenza di annullamento con rinvio, ora perche' dovrebbe ritenersi "il doppio" limitato alla "fase in corso" senza aggiungere i periodi della stessa fase gia' decorsi? E' limitazione che non trova aggancio in nessuna norma giuridica e tanto motiva, sia pure in contrasto di decisione, la stessa ordinanza impugnata. Cosi' infatti la ordinanza impugnata a pag. 6: "... mentre dalla sentenza dichiarativa di incompetenza e' incominciato a decorrere un nuovo termine di fase delle indagini preliminari... " cioe' della stessa fase. Nuovo termine ma stessa fase... nuovo termine che non superi il doppio di fase. La regressione non annulla gli atti gia' compiuti... onde la fase e' identica. Dalla precisazione al computo. La fase del giudizio e' conseguenza del primo decreto per il giudizio sino alla sentenza di incompetenza per territorio. Gia' argomento sostenuto, e per la verita', ritenuto infondato dal tribunale, dallo scrivente. Il rigetto era erroneo e la riprova la si e' avuta, proprio dalla sentenza della Corte costituzionale. Al periodo posto in evidenza va aggiunto il periodo che ha quale dies a quo il provvedimento col quale il g.i.p. dr.ssa Rotondaro rimise gli atti al tribunale di Nola. Ad entrambi vanno aggiunti i termini decorrenti dal decreto per il giudizio "a tutt'oggi". Essi sono abbondantemente decorsi. Tanto anche per la fase delle indagini. Decreto per il giudizio del 3 giugno 1996, anche se annullato, ha comportato una carcerazione preventiva dall'arresto alla emissione. Dalla sentenza di incompetenza emessa il 16 gennaio 1997 alla riemissione del nuovo decreto per il giudizio. Si e' sempre nella stessa fase per cui i termini non possono essere superiori al doppio.... mentre sono stati abbondantemente superati. In accoglimento dell'appello la scarcerazione." (atto di appello dell'avv. Antonino De Angelis depositato il 9 novembre 1998). 3. - Va rilevato che l'appello relativamente alla posizione di D'Avanzo Giovanni e' palesemente infondato, in quanto per il predetto la durata della custodia cautelare nella fase delle indagini, pur computata secondo la prospettazione difensiva - vale a dire dall'esecuzione del provvedimento coercitivo (6 maggio 1996) alla data del rinvio a giudizio avanti al tribunale di Nola (22 ottobre 1997) - non ha comunque superato i due anni, cioe' il preteso "limite finale" pari al doppio del termine di fase di cui alla invocata sentenza n. 292/1998 della Corte costituzionale. Al rigetto dell'appello consegue la condanna del D'Avanzo al pagamento delle spese della procedura incidentale. Passando all'esame della posizione degli altri appellanti, va osservato che non e' dubbio che nella specie, a seguito della sentenza di incompetenza pronunciata dalla Corte di Assise di Napoli, si e' verificata la regressione del procedimento nella fase delle indagini preliminari e la nuova decorrenza del termine della custodia cautelare relativo a tale fase, secondo quanto previsto dall'art. 303/2, c.p.p. La norma citata dispone, infatti, che "nel caso in cui, a seguito di annullamento con rinvio da parte della Corte di cassazione o per altra causa, il procedimento regredisca a una fase o a un grado di giudizio diversi ovvero sia rinviato ad altro giudice, dalla data del provvedimento che dispone il regresso o il rinvio ovvero dalla sopravvenuta esecuzione della custodia cautelare decorrono di nuovo i termini previsti dal comma 1 relativamente a ciascuno stato e grado del procedimento". La previsione dell'art. 303/2 era stata piu' volte oggetto di questioni di incostituzionalita', ma la Corte di cassazione ne aveva sempre ritenuto la manifesta infondatezza, osservando: che la norma, nel parificare, agli effetti dell'allungamento del termine di fase, la regressione del procedimento per nullita' (anche nel caso di gravi vizi di costituzione delle parti) alle altre ipotesi di regressione stabilite dalla legge, non contrasta con i principi di ragionevolezza e di uguaglianza (art. 3 Costituzione), poiche' essa intende in ogni caso bilanciare le conseguenze negative del riprendere ex novo l'iter processuale con il permanere delle esigenze cautelari, consentendo l'allungamento del termine di fase, ma comunque entro il termine di durata complessiva della custodia stabilito dall'art. 303/4 (Cass., sez. VI, n. 915/1993, Esposito); che non sussiste violazione dell'art. 13, ultimo comma, Costituzione, in quanto la norma costituzionale impone che la legge ordinaria stabilisca, per il completamento dell'intero procedimento, il limite massimo alla carcerazione preventiva, ma non esige anche che sia fissato altro limite parziale interno a ciascuna fase del procedimento stesso (Cass., sez. VI, n. 3525/1993, Massidda); che non sussiste violazione degli articoli 13 e 24 della Costituzione perche', da un lato, e' comunque previsto un tetto massimo della custodia cautelare, conformemente a quanto dispone l'art. 13 dela Costituzione, che riserva alla discrezionalita' del legislatore ordinario i casi e i modi della detenzione e, in genere, di ogni forma di restrizione della liberta' personale e, dall'altro, non puo' farsi commistione tra il diritto di difesa inviolabile in ogni stato e grado del procedimento, che consente di eccepire una nullita', e i riflessi che il suo esercizio puo' avere in materia di liberta', essendo rimessa alla discrezionalita' difensiva la valutazione della convenienza di esercitare, o meno, una certa facolta', anche per le implicazioni, le conseguenze e le interferenze di fatto in ogni direzione (Cass., sez. I, n. 421/1994, Gigliotti ed altri; Cass., sez. I, n. 1431/1996, Affuso, aveva poi escluso la sussistenza di una violazione dell'art. 76 della Costituzione, per eccesso di delega rispetto alla direttiva n. 61 dell'art. 2 della legge 16 febbraio 1987 n. 81. Peraltro, con ordinanza 22 novembre 1996 il tribunale di Reggio Calabria, in funzione di giudice di appello de libertate, rilevava di ufficio "questione di costituzionalita' dell'art. 303/4 c.p.p., nella parte in cui non prevede che, oltre al superamento del termine complessivo, possa essere causa di scarcerazione anche il superamento del doppio del termine di fase, allorche' si verifichi la situazione descritta nel comma due di detto art. 303". Nel caso che dava occasione alla questione vi erano state due successive regressioni del procedimento nella fase delle indagini preliminari, a seguito di sentenze di incompetenza, e la Difesa istante aveva invocato l'applicazione dell'art. 304/6, rilevando che dalla data dell'arresto degli imputati alla data dell'ultimo rinvio a giudizio era decorso un periodo di tempo superiore al doppio del termine di fase. Il g.i.p. aveva rigettato la richiesta di scarcerazione sul rilievo che la situazione degli imputati era disciplinata unicamente dai commi 2 e 4 dell'art. 303 e non anche dall'art. 304. Con l'atto di appello la Difesa aveva riproposto la questione al Tribunale e nella discussione aveva poi, in via subordinata, denunciato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 304/6 in quanto applicabile al solo caso di sospensione dei termini e non anche ai casi di regressione, con conseguente irragionevole disparita' di trattamento. Il tribunale di Reggio Calabria con l'ordinanza di rimessione rilevava che la questione era mal posta dalla Difesa, poiche' la fattispecie del regresso "e' disciplinata dalle norme contenute nell'art. 303 c.p.p., e non da quelle contenute nell'art. 304 c.p.p. .... ogni riferimento all'art. 304 c.p.p. e ... inconferente, poiche' disciplina situazioni affatto differenti ... attiene all'istituto della sospensione del termine di custodia cautelare ed ai suoi limiti cronologici". Peraltro, anche il Tribunale riteneva irragionevole la disparita' di disciplina tra istituti - quali appunto la sospensione dei termini e la interruzione dovuta a regressione o rinvio del procedimento - che presentano una "sostanziale omogeneita'" in quanto "entrambi rappresentano degli accidenti che si verificano nel cammino del procedimento, perlopiu' indipendenti alla volonta' dell'imputato"; pertanto sollevava la questione di costituzionalita' nei termini sopra riportati (v. ord. 22 novembre 1996 tribunale Reggio Calabria, Ardizzone ed altro in Gazzetta Ufficiale n. 45/1997, prima serie speciale, n. 756). La Corte costituzionale con la sentenza n. 292/1998 ha dichiarato la questione non fondata, affermando in motivazione che - contrariamente a quanto ritenuto dal giudice a quo - "il superamento di un periodo di custodia pari al doppio del termine stabilito per la fase presa in considerazione, determina la perdita di efficacia della custodia anche se quei termini ... sono cominciati a decorrere nuovamente a seguito della regressione del processo". La Corte, infatti, ha ritenuto che il "limite finale" di durata della custodia cautelare nelle singole fasi, fissato dall'art. 304/6 nel doppio del termine di fase, trovi applicazione non solo nei casi di sospensione dei termini, come sembrerebbe indicare la collocazione della norma, ma anche in quelli di proroga o di interruzione determinata da regressione o rinvio del procedimento ad altro giudice. 4. - L'appellante difesa lamenta, in sostanza, l'erronea applicazione, da parte del primo giudice, del principio interpretativo fissato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 292/1998, dando per scontato che tale principio debba trovare applicazione. Peraltro, la soluzione interpretativa adottata dalla Corte costituzionale non e' giuridicamente vincolante nel presente procedimento. Le sentenze interpretative di rigetto della Corte costituzionale non sono infatti munite dell'efficacia erga omnes propria delle decisioni con le quali viene dichiarata l'illegittimita' costituzionale di una disposizione di legge, per cui assumono il valore di mero precedente, certamente autorevole, ma non vincolante per il giudice (ss.uu. 930/96, Clarke, e 21/98, Gallieri). Nel caso della sentenza n. 292/1998, la soluzione interpretativa - ispirata dall'intento di superare la denunciata irragionevole disparita' di disciplina tra i casi di sospensione dei termini di custodia e quelli di interruzione dovuta a regresso o rinvio del procedimento - finisce per creare una omogeneita' di disciplina tra tali casi, nei quali l'allungamento della durata della custodia e' per lo piu' indipendente dalla volonta' dell'imputato, e quello della evasione, nel quale l'allungamento deriva invece dal comportamento dell'imputato, per di piu' penalmente illecito (nella sentenza n. 292/1998, in verita', non vi e' menzione del caso di evasione dell'imputato, ma anch'esso rientra tra i "i fenomeni che comunque possono interferire con la disciplina dei termini di fase", ai quali tutti si riferirebbe il "limite finale" di cui all'art. 304/6, e, d'altro canto, l'art. 303/3 e' espressamente richiamato dall'art. 304/6). Anche prescindendo da tale rilievo, il collegio ritiene di doversi discostare dalla soluzione interpretativa, pur cosi autorevolmente indicata, per ragioni che attengono alla origine della ragione della norma di cui all'art. 304/6, alla sua collocazione e alla sua letterale formulazione. Invero, l'esigenza di introdurre un "limite finale" di durata della custodia cautelare e' stata avvertita dal legislatore proprio in relazione all'istituto della sospensione dei termini, che nelle sue concrete applicazioni avrebbe potuto determinare la quiescenza sine die del decorso dei termini. Il "limite finale" e' stato originariamente introdotto per la durata complessiva della custodia cautelare (art. 272/9 c.p.p. abrogato; art. 304/4 nuovo c.p.p. nel testo vigente anteriormente alla legge n. 532/1995) e la sua collocazione (subito dopo le norme sulla sospensione dei termini e nel nuovo codice proprio nell'articolo intitolato alla sospensione) rende chiara l'intenzione del legislatore nel senso sopra indicato. Prima dell'entrata in vigore della legge n. 532/1995, non pare fosse, in realta', neppure ipotizzabile l'applicazione del "limite finale" ai casi del regresso o del rinvio del procedimento (salvo quando - beninteso - dopo tali vicende fosse intervenuta anche la sospensione dei termini): infatti, nel codice abrogato l'irragionevole prolungamento della custodia nei casi di regressione o rinvio del procedimento, disciplinati dal comma quinto dell'art. 272, era assicurato dalla specifica previsione del comma sesto dello stesso articolo che fissava limiti massimi di durata complessiva della custodia inferiori al "limite finale" di cui al comma nono; nel nuovo codice, anteriormente alla legge n. 532/1995, i termini di durata complessiva della custodia previsti dall'art. 303/4 - applicabili nei casi di regressione o rinvio del procedimento - risultavano sempre inferiori al "limite finale" di cui all'art. 304/4. Cade, quindi, l'argomento "storico" prospettato per sostenere che il "limite finale" abbia portata non circoscritta ai casi di sospensione dei termini. L'art. 15/1 della legge n. 532/1995, nel riformulare il testo dell'art. 304, ha introdotto un "limite finale" di durata della custodia anche per le singole fasi (il doppio dei termini di fase) e ha piu' favorevolmente disciplinato il "limite finale" di durata complessiva della custodia, prevedendo che questa non puo' superare i termini di cui all'art. 303/4 aumentati della meta' e richiamando comunque il previgente "limite" (due terzi del massimo della pena temporanea, da applicarsi pero' solo se piu' favorevole. Che tali previsioni riguardino unicamente i casi di sospensione dei termini della custodia si desume dalla scelta del legislatore di tener ferma la collocazione della norma nell'articolo dedicato appunto alla sospensione. Ne' pare che l'uso dell'avverbio "comunque" nell'art. 304/6 confermi l'ipotesi che i "limiti finali" siano riferiti a tutti i fenomeni che possono interferire con la disciplina dei termini, e percio' anche ai casi di proroga dei termini e regressione del procedimento. Ben puo' ritenersi, infatti, che l'avverbio valga invece a sottolineare la correlazione tra la norma sui "limiti finali" e tutte le varie ipotesi di sospensione dei termini previste nei cinque commi che precedono, nel senso cioe' che i limiti operano quale che sia la causa della sospensione. Ma vi e' una ragione ulteriore che induce a escludere che il "limite finale" di cui all'art. 304/6 sia riferibile ai casi di regressione o rinvio del procedimento. Occorre infatti considerare che l'art. 304/6, come sostituito dall'art. 15/1 della legge n. 332/1995, fissa il "limite finale" relativo alla fase disponendo che "la durata della custodia cautelare non puo' comunque superare il doppio dei termini previsti dall'art. 303, commi 1, 2 e 3". La norma, dunque, richiama espressamente i casi di regressione o rinvio del procedimento e il caso di evasione, nei quali i termini decorrono ex novo, e la previsione risulta perfettamente giustificata anche per chi ritenga, come qui si sostiene, che l'art. 304/6 si applichi solo in caso di sospensione dei termini: infatti, ben puo' darsi il caso che il procedimento regredisca nella fase del giudizio e intervenga poi sospensione dei termini di custodia. Orbene, il significato del richiamo dell'art. 304/6 ai commi 2 e 3 dell'art. 303 non puo' che essere quello di confermare, anche ai fini della individuazione del "limite finale" di durata della custodia nella fase, la diversa decorrenza dei termini nei casi del regresso o rinvio del procedimento e della evasione. Cio' comporta che, ad esempio, regredito il procedimento nella fase del giudizio di primo grado ed essendo stati poi sospesi i termini, la custodia cautelare non potra' superare il doppio del termine di fase, calcolato pero' a partire dalla data del provvedimento che ha disposto il regresso e non dalla emissione del provvedimento che originariamente aveva disposto il giudizio (in tal senso si e' pronunciata la I Sezione della Corte di cassasione, con sentenza n. 1063/1996, Sarno, che ha confermato l'orientamento espresso da questo tribunale, IV sezione, con ordinanza ex art. 310 c.p.p. in data 21 dicembre 1995). Se il legislatore del 1995, ai fini della individuazione del "limite finale" di durata della custodia nella fase, avesse inteso invece equiparare alle altre le situazioni di regresso o rinvio del procedimento e di evasione, si sarebbe limitato a prevedere che "la durata della custodia cautelare non puo' comunque superare il doppio dei termini previsti dall'art. 303, comma 1...", eventualmente aggiungendo, per maggior chiarezza: "anche nei casi di cui ai commi 2 e 3 dello stesso articolo". Il dato testuale appare dunque chiaro e il Collegio e' obbligato a tenerne conto, poiche' "nell'applicare la legge non si puo' ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole, secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore". Peraltro, cosi' interpretato il richiamo dell'art. 304/6 ai commi 2 e 3 dell'art. 303, appare ancor piu' evidente che il "limite finale" non si riferisce ai casi di regressione o rinvio del procedimento e di evasione, nei quali potrebbe trovare rarissima, se non impossibile, applicazione. Infatti, se detto limite nelle ipotesi di cui ai commi 2 e 3 dell'art. 303 va computato a partire dal momento di nuova decorrenza del termine, esso (salva l'ipotesi eccezionale in cui si verifichino due o piu' regressi) non puo' concretamente essere superato (in quanto ben prima viene a scadere l'ordinario termine di fase) se non intervenga, dopo la regressione, anche la sospensione dei termini. Sicche', in definitiva, trova ulteriore conforto l'interpretazione secondo cui il "limite finale" della custodia cautelare nelle singole fasi pari al doppio del termine ordinario di cui all'art. 304/6 e' riferibile unicamente ai casi di sospensione dei termini. 5. - Le sezioni unite della Corte di cassazione hanno ripetutamente affermato che, sebbene la sentenza interpretativa di rigetto della Corte costituzionale non sia munita di efficacia erga omnes, facendo essa sorgere un vincolo solo nel giudizio a quo, non si puo' mai giungere a sostenere che per gli altri giudici la decisione della Corte costituzionale sia da ritenersi inutiliter data. Sicche' il giudice che, in un diverso giudizio, intenda discostarsi dall'interpretazione proposta nella sentenza della Corte costituzionale non ha altra alternativa che quella di sollevare ulteriormente la questione di legittimita', non potendo mai assegnare alla formula normativa un significato ritenuto incompatibile con la Costituzione (ss.uu. 930/96, Clarke, e 21/98, Gallieri). Il collegio, uniformandosi a tale principio, ritiene di dover sollevare nuovamente la questione di legittimita' dell'art. 303/4 c.p.p. per le medesime ragioni gia' disattese, all'uopo richiamando e facendo proprie le motivazioni dell'ordinanza 22 novembre 1996 del tribunale di Reggio Calabria.
P. Q. M. Visto 1'art. 310 c.p.p., conferma l'impugnata ordinanza nei confronti di D'Avanzo Giovanni che condanna al pagamento delle spese della procedura incidentale a lui relative. Dispone lo stralcio della posizione del predetto appellante e la formazione di separato fascicolo contenente gli atti che specificamente lo riguardano e copia di quelli comuni. Manda alla cancelleria per gli adempimenti, anche ai sensi dell'art. 94/1-ter d.a. c.p.p.; Visto 1'art. 23 della legge n. 87 dell'11 marzo 1953, dichiara rilevante, relativamente alle posizioni di Marullo Giovanni, Ambrosino Vincenzo e Piscopo Pino, e non manifestamente infondata "la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 303/4 c.p.p., nella parte in cui non prevede che, oltre al superamento del termine complessivo, possa essere causa di scarcerazione anche il superamento del doppio del termine di fase, allorche' si verifichi la situazione descritta nel comma due di detto art. 303"; Sospende il procedimento in corso nei confronti di Marullo Giovanni, Ambrosino Vincenzo e Piscopo Pino, disponendo trasmettersi gli atti alla Corte costituzionale; Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata agli appellanti Marullo Giovanni, Ambrosino Vincenzo e Piscopo Pino, al loro difensore, al pubblico ministero nonche' al Presidente del consiglio dei ministri e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Napoli, il 17 dicembre 1998 Il presidente est.: Guglielmo 99C0319