N. 109 SENTENZA 24 marzo - 2 aprile 1999

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo  penale  - Proscioglimento con sentenza irrevocabile perche'
 il fatto non sussiste, per non aver commesso  il  fatto,  perche'  il
 fatto  non costituisce reato o non e' previsto dalla legge come reato
 - Equa riparazione per la detenzione ingiustamente subita a causa  di
 arresto  in  flagranza  o  di fermo di indiziato di delitto entro gli
 stessi limiti stabiliti per la custodia cautelare - Omessa previsione
 -  Spettanza  dello stesso diritto nei medesimi limiti, al prosciolto
 per qualsiasi causa o al condannato che nel corso  del  processo  sia
 stato  sottoposto  ad  arresto in flagranza o a fermo di indiziato di
 delitto  quando,  con   decisione   irrevocabile,   siano   risultate
 insussistenti  le  condizioni  per la convalida - Omessa previsione -
 Violazione del principio di uguaglianza - Riferimento  alla  sentenza
 della Corte n. 310/1996 - Illegittimita' costituzionale.
 
 (C.P.P., art. 314, commi 1 e 2).
 
(GU n.14 del 7-4-1999 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco GUIZZI, prof.
 Cesare MIRABELLI, prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI,
 dott.   Cesare   RUPERTO,   dott.  Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo
 ZAGREBELSKY,  prof.  Valerio  ONIDA,  prof.  Carlo  MEZZANOTTE,  avv.
 Fernanda  CONTRI,  prof.  Guido  NEPPI  MODONA,  prof.  Piero Alberto
 CAPOTOSTI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 314  del  codice
 di  procedura penale, promossi con due ordinanze emesse il 6 ed il 28
 novembre 1997 dalla Corte d'appello di Firenze, iscritte ai nn.  77 e
 78 del registro ordinanze 1998 e pubblicate nella Gazzetta  Ufficiale
 della Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell'anno 1998.
   Udito  nella  camera  di consiglio del 30 settembre 1998 il giudice
 relatore Carlo Mezzanotte.
                           Ritenuto in fatto
   1. -  La Corte d'appello di Firenze, nel corso di  un  procedimento
 di  riparazione  per  ingiusta  detenzione,  con  ordinanza in data 6
 novembre 1997, ha sollevato, in riferimento  agli  articoli  3  e  76
 della   Costituzione,   questione   di   legittimita'  costituzionale
 dell'art. 314 del codice di procedura penale, nella parte in cui  non
 prevede  il  diritto  alla riparazione della detenzione ingiustamente
 subita in  conseguenza  di  arresto  illegittimo  o  non  seguito  da
 ordinanza di custodia cautelare in carcere o di arresti domiciliari.
   Il  giudice  a quo premette in fatto che due domande di riparazione
 erano state proposte  da  due  persone  arrestate  in  flagranza  per
 violazione della disciplina sugli stupefacenti. Una di esse era stata
 liberata  dal pubblico ministero ex art. 389 cod. proc. pen. e la sua
 posizione  processuale  era  stata  poi  definita  con   decreto   di
 archiviazione.    L'altra  si era vista convalidare l'arresto, ma era
 stata  contestualmente  liberata  dal   giudice   per   le   indagini
 preliminari,  che non aveva disposto nei suoi confronti alcuna misura
 cautelare, ed era stata  successivamente  prosciolta  per  non  avere
 commesso il fatto.
   Ad  avviso  del  giudice a quo nei casi sottoposti al suo esame non
 puo' configurarsi, in base all'art.  314  cod.  proc.  pen.,  diritto
 all'equa   riparazione,  in  quanto  la  detenzione  si  e'  esaurita
 nell'ambito della  misura  precautelare  dell'arresto.  In  cio',  la
 disposizione   censurata   contrasterebbe   con   l'art.   76   della
 Costituzione sotto un duplice profilo. In primo luogo, in  quanto  la
 direttiva  n.  100  dell'art.   2 della legge 16 febbraio 1987, n. 81
 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per l'emanazione  del
 nuovo  codice  di procedura penale), nel prevedere la riparazione per
 l'ingiusta detenzione, non distinguerebbe in alcun  modo  tra  misure
 cautelari  e  misure  precautelari.  In  secondo  luogo,  perche' nel
 preambolo dell'art. 2 della citata legge di delegazione e' prescritto
 espressamente che il  codice  di  procedura  penale  deve  attuare  i
 principi della Costituzione ed adeguarsi alle norme delle convenzioni
 internazionali relative ai diritti della persona e al processo penale
 ratificate dall'Italia. L'art. 5, quinto comma, della convenzione per
 la  salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali,
 ratificata dall'Italia con la legge 4 agosto 1955, n.  848,  prevede,
 appunto,  che  ogni  persona  vittima  di  un arresto o di detenzioni
 ingiuste ha diritto a un indennizzo.
   La disposizione censurata contrasterebbe,  secondo  il  remittente,
 anche  con  l'art. 3 della Costituzione, per irragionevole disparita'
 di trattamento tra chi e' privato della liberta'  personale  solo  in
 forza  di  una  misura precautelare, e non ha quindi diritto all'equo
 indennizzo, e chi, raggiunto  da  misura  custodiale  cautelare  dopo
 l'arresto,  ha diritto a veder computato nella custodia cautelare che
 da' luogo a riparazione anche il periodo intercorrente tra  l'arresto
 e l'emissione dell'ordinanza di custodia cautelare.
   2.  -  La  Corte d'appello di Firenze - dovendosi pronunciare sulla
 domanda di riparazione per ingiusta detenzione  proposta  da  persona
 che,  arrestata  in  flagranza  per violazione della disciplina sugli
 stupefacenti e immediatamente  liberata  dal  pubblico  ministero  ai
 sensi  dell'art.  389  cod.  proc. pen., era poi risultata indenne da
 ogni addebito essendo stato nei suoi confronti  emesso  provvedimento
 di  archiviazione  -  con  ordinanza  in  data  28  novembre  1997 ha
 sollevato questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  314,
 commi  1,  2  e 3, del codice di procedura penale, nella parte in cui
 esclude la riparazione per l'ingiusta detenzione sofferta  a  seguito
 di misura precautelare.
   Ad avviso del remittente, tale esclusione contrasterebbe con l'art.
 3   della   Costituzione,   per  il  trattamento  ingiustificatamente
 discriminatorio  riservato   alla   persona   sottoposta   a   misura
 precautelare rispetto a quella soggetta a misura cautelare, posto che
 la detenzione in carcere e' comune ad entrambe le misure.
   La disposizione censurata sarebbe, poi, in contrasto con l'art.  13
 della  Costituzione,  perche'  la  liberta'  personale  "se  violata,
 dovrebbe essere comunque ristorata": e non vi e' dubbio,  secondo  il
 giudice   a   quo   che  dalla  disposizione  censurata  discende  la
 impossibilita' di ristorare la privazione  della  liberta'  personale
 subita sulla base di una misura precautelare.
   La  medesima  disposizione  contrasterebbe,  infine,  ad avviso del
 remittente, anche con l'art. 2 della Costituzione,  dal  momento  che
 l'istituto  della  riparazione  della ingiusta detenzione costituisce
 espressione del principio solidaristico  che  ispira  l'intera  Carta
 costituzionale,   sicche'   la   limitazione   del   suo   ambito  di
 applicabilita' comporterebbe anche una  illegittima  compressione  di
 quel principio.
                         Considerato in diritto
   1.  -   In seguito a due ordinanze della Corte d'appello di Firenze
 questa Corte e' chiamata a decidere se sia conforme agli artt. 2,  3,
 13,  24  e  76  della Costituzione l'art. 314 del codice di procedura
 penale, nella parte in cui non prevede il  diritto  alla  riparazione
 per   la  detenzione  patita  a  seguito  delle  misure  precautelari
 dell'arresto in flagranza e del fermo di indiziato di delitto.
   Per rendere  piu'  chiaro  il  contenuto  dell'intervento  additivo
 sollecitato  dai  remittenti conviene richiamare brevemente l'attuale
 disciplina in materia di riparazione per ingiusta detenzione.
   L'art. 314 cod. proc. pen. stabilisce, al comma 1, che chi e' stato
 prosciolto con sentenza irrevocabile perche' il fatto  non  sussiste,
 per  non  avere  commesso  il fatto, perche' il fatto non costituisce
 reato o non e' previsto dalla legge come reato ha diritto  a  un'equa
 riparazione  per  la  custodia cautelare subita, qualora non vi abbia
 dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave.
   Lo stesso diritto spetta, ai sensi del comma 2, al  prosciolto  per
 qualsiasi  causa o al condannato che nel corso del processo sia stato
 sottoposto a custodia cautelare, quando  con  decisione  irrevocabile
 risulti  accertato  che il provvedimento che ha disposto la misura e'
 stato emesso o mantenuto senza che  sussistessero  le  condizioni  di
 applicabilita' previste dagli artt. 273 e 280 del codice di procedura
 penale.
   Le  citate  disposizioni,  contenute  nei primi due commi dell'art.
 314, si applicano, alle medesime condizioni, in forza del comma 3,  a
 favore   delle  persone  nei  cui  confronti  sia  stato  pronunciato
 provvedimento  di  archiviazione  ovvero  sentenza  di  non  luogo  a
 procedere.
   Manca,  nella  disciplina  posta dall'art. 314, la previsione di un
 corrispondente diritto a favore di chi, in condizioni  analoghe,  sia
 stato  colpito non da una misura cautelare detentiva, ma dalla misura
 dell'arresto in flagranza (artt. 380 e 381) o da quella del fermo  di
 indiziato  di  delitto  (art.  384).  Alla  stregua  della disciplina
 vigente  non  ha  infatti  diritto  ad  alcun  equo  indennizzo   ne'
 l'arrestato  o  il  fermato che sia stato poi prosciolto con sentenza
 irrevocabile perche' il fatto non sussiste, per non avere commesso il
 fatto, perche' il fatto non costituisce reato o non e' previsto dalla
 legge come reato o nei cui confronti sia stato adottato provvedimento
 di archiviazione o sia stata pronunciata  sentenza  di  non  luogo  a
 procedere,  ne' chi, prosciolto per qualsiasi causa o condannato, sia
 rimasto vittima di arresto o fermo non convalidato  dal  giudice  con
 decisione  irrevocabile  o la cui convalida sia stata annullata dalla
 Corte di cassazione su ricorso promosso ai sensi dell'art. 391, comma
 4, del codice di procedura penale. In tutti questi casi la situazione
 in cui versa l'arrestato o il fermato e' speculare a quella regolata,
 per il colpito da misura cautelare, dai  primi  tre  commi  dell'art.
 314,  e  tuttavia  per  essi  non  e' prevista alcuna possibilita' di
 riparazione.
   2. - E' contro questa carenza che si indirizzano le  censure  della
 Corte d'appello di Firenze nelle due ordinanze di remissione.
   Secondo  una  prima  ordinanza,  l'avere la disposizione denunciata
 previsto soltanto la riparazione per detenzione conseguente a  misura
 cautelare  e  non  anche la riparazione per detenzione conseguente ad
 arresto contrasterebbe con l'art. 76  della  Costituzione  sotto  due
 diversi  profili:  da un lato, in forza dell'art. 2, punto 100, della
 legge 16 febbraio 1987, n. 81 (Delega legislativa  al  Governo  della
 Repubblica per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale), il
 Governo   sarebbe  stato  delegato  ad  introdurre  l'istituto  della
 riparazione per ingiusta  detenzione  senza  distinzione  alcuna  tra
 misure  cautelari  e  misure precautelari; dall'altro, lo stesso art.
 2, imponendo nel suo incipit l'adeguamento dell'emanando nuovo codice
 alle norme delle convenzioni internazionali ratificate dall'Italia  e
 relative   ai  diritti  della  persona  e  al  processo  penale,  non
 consentirebbe alcuna differenziazione tra le due situazioni, giacche'
 la convenzione per la salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
 liberta'  fondamentali,  ratificata dall'Italia con la legge 4 agosto
 1955, n. 848, prevede espressamente  all'art.  5,  quinto  comma,  il
 diritto  alla  riparazione  a  favore  della  vittima di arresto o di
 detenzioni ingiuste senza distinzioni di sorta.
   La  disposizione  censurata   violerebbe   poi   l'art.   3   della
 Costituzione  per  la  non giustificata disparita' di trattamento tra
 l'arrestato nei cui confronti sia  stata  disposta  dal  giudice  una
 misura  cautelare  detentiva,  per  il quale, in forza dell'art. 297,
 comma 1, cod. proc.  pen., e' riparabile anche l'iniziale  privazione
 della  liberta'  personale, e l'arrestato indenne da misure cautelari
 restrittive, a favore del quale non e' prevista alcuna riparazione.
   La discriminazione in danno di chi  abbia  subito  la  sola  misura
 precautelare  dell'arresto  sarebbe  altresi' lesiva del principio di
 eguaglianza per un aspetto ancor piu'  generale,  giacche'  l'arresto
 operato  dalla polizia giudiziaria non offenderebbe la liberta' della
 persona in misura minore della detenzione che  consegue  a  ordinanza
 del giudice.
   Per   la   seconda  ordinanza,  proveniente  dalla  medesima  Corte
 d'appello di Firenze, l'omessa previsione della  riparazione  per  la
 detenzione  sofferta a seguito di misura precautelare porrebbe l'art.
 314, commi 1, 2 e 3, cod. proc. pen. in contrasto con l'art. 3  della
 Costituzione,  per il trattamento ingiustificatamente discriminatorio
 riservato alla persona sottoposta  ad  arresto  o  fermo  rispetto  a
 quello   previsto   per   la  persona  colpita  da  misura  cautelare
 restrittiva, posto che la detenzione sarebbe comune  ad  entrambe  le
 ipotesi.
   Le  stesse  disposizioni  violerebbero, poi, gli artt. 2 e 13 della
 Costituzione, poiche' la liberta'  personale  "se  violata,  dovrebbe
 comunque   essere   ristorata",   anche   in  base  al  principio  di
 solidarieta' a cui la Carta costituzionale e' ispirata.
   Poiche' le due ordinanze di remissione sottopongono all'esame della
 Corte  questioni analoghe, aventi ad oggetto la medesima disposizione
 di legge, i relativi giudizi vanno  riuniti  per  essere  decisi  con
 unica sentenza.
   3. - La questione e' fondata.
   E'  in  primo  luogo  evidente  la  violazione  dell'art.  3  della
 Costituzione che l'anzidetta disciplina comporta. La diversita' della
 situazione di chi abbia subito  detenzione  a  causa  di  una  misura
 cautelare   rispetto  a  quella  di  chi  sia  stato  colpito  da  un
 provvedimento di arresto o fermo  non  e'  tale  da  giustificare  un
 trattamento  cosi'  discriminatorio, al punto che la prima situazione
 sia ritenuta meritevole di equa riparazione  e  la  seconda,  pur  se
 ricorrano   presupposti   analoghi,   venga  invece  dal  legislatore
 completamente ignorata.
   Non puo' infatti negarsi che anche nei casi in cui l'arresto  o  il
 fermo  siano  seguiti da sentenza irrevocabile di proscioglimento con
 le formule di cui all'art. 314, comma 1, ovvero, anche se seguiti  da
 sentenza  di  condanna o di proscioglimento per qualsiasi causa (art.
 314, comma 2), non siano stati convalidati, o ancora siano seguiti da
 provvedimento di archiviazione o da sentenza di non luogo a procedere
 (art. 314, comma 3), sussistano presupposti  analoghi  a  quelli  che
 hanno   condotto   il  legislatore  a  qualificare  come  ingiusta  e
 suscettibile  di  riparazione  la  detenzione  conseguente  a  misura
 cautelare.  In  particolare,  l'arresto  o  il  fermo non convalidati
 (situazione speculare a  quella  regolata  dall'art.  314,  comma  2)
 presentano   una   stretta   analogia   con   le   misure   cautelari
 illegittimamente assunte, giacche'  la  mancata  convalida  priva  la
 limitazione  della  liberta'  personale  della sua indefettibile base
 giurisdizionale richiesta dall'art. 13, secondo e terzo comma,  della
 Costituzione,  e  la rende per cio' stesso illegittima, senza che sia
 possibile distinguere l'ipotesi di assenza dei presupposti da  quella
 di inosservanza dei termini per la convalida.
   La  provvisorieta', che contraddistingue i poteri di intervento del
 pubblico  ministero  e  della  polizia  giudiziaria  sulla   liberta'
 personale,   e'  valsa  ad  attribuire  all'arresto  e  al  fermo  la
 denominazione di "precautele", ma e' indubitabile, almeno  sul  piano
 degli  effetti,  la  loro natura custodiale. L'arrestato e il fermato
 per tutto il periodo di operativita' della relativa misura  (fino  ad
 un massimo di 96 ore) sono trattenuti presso una casa circondariale o
 mandamentale  (art.  386, comma 4), con la sola eccezione contemplata
 dall'art.   566, comma 2, ultima  parte,  ovvero  presso  la  propria
 abitazione  o in altro luogo di privata dimora o ancora, ricorrendone
 i presupposti, in un luogo pubblico di cura  o  di  assistenza  (art.
 386,   comma   5,  in  relazione  all'art.  284,  comma  1);  sicche'
 l'esecuzione del provvedimento provvisorio  sostanzialmente  realizza
 una  forma  tipica  di custodia, che non puo' non postulare, rispetto
 alle altre  misure  restrittive,  identita'  di  regime  riparatorio.
 L'esigenza  di una piena equiparazione delle "precautele" alle misure
 detentive e' d'altronde comprovata dall'art. 297, comma 1, cod. proc.
 pen., il quale prevede che  "gli  effetti  della  custodia  cautelare
 decorrono dal momento della cattura, dell'arresto o del fermo".
   Se  si  considera che, in base a questa disposizione, il periodo di
 arresto o fermo e' ritenuto computabile nella durata  della  custodia
 riparabile  quando  il giudice in sede di convalida abbia disposto la
 prosecuzione dello status detentionis applicando una misura cautelare
 personale, mentre non sorge alcun diritto alla riparazione  nel  caso
 in  cui  all'udienza  di  convalida non segua alcuna misura cautelare
 restrittiva, emerge con nettezza di contorni un ulteriore profilo  di
 disparita'  di trattamento e, insieme, di irragionevolezza, anch'esso
 censurabile alla luce dell'art. 3 della Costituzione.
   4.  -  Anche  in  relazione  agli  altri  parametri  evocati  dalle
 ordinanze di remissione l'illegittimita' costituzionale dell'art. 314
 cod.    proc. pen. risulta confermata. In una materia che non tollera
 franchigie temporali a favore di alcuna  autorita',  l'arresto  o  il
 fermo  sono  trattati dal legislatore, ai fini dell'equa riparazione,
 come se fossero provvedimenti che non ledono la liberta' personale.
   Ma un simile trattamento contrasta con la legge di  delegazione  n.
 81  del  16 febbraio 1987, nella quale e' ben presente l'esigenza che
 tutte le offese arrecate alla liberta'  personale  mediante  ingiusta
 detenzione siano riparate, indipendentemente dalla durata di questa e
 quale  che  sia  l'autorita'  dalla  quale  la  restrizione provenga.
 L'indirizzo impartito al Governo al punto 100 dell'art. 2,  comma  1,
 di  tale  legge  e'  infatti  nel  senso  di introdurre, accanto alla
 riparazione  dell'errore  giudiziario,  vale  a  dire  del  giudicato
 erroneo,  gia'  oggetto della disciplina del codice previgente, anche
 la  riparazione  per  la  "ingiusta  detenzione"  senza   distinguere
 l'arresto  o  il  fermo  dalle  misure  cautelari personali: cio' che
 lascia trasparire l'intendimento del legislatore  delegante  che  non
 venissero  a  determinarsi,  su questo piano, differenze tra custodia
 cautelare  e   custodia   precautelare,   che   sarebbero   risultate
 difficilmente giustificabili.
   5. - Sotto un distinto ma convergente profilo, questa Corte ha gia'
 rilevato,  trattando  della  detenzione  ingiusta patita a seguito di
 ordine di esecuzione illegittimo (sentenza n. 310 del 1996),  che  lo
 stesso  incipit  dell'art.  2  della citata legge di delegazione, nel
 prevedere che il nuovo codice si  debba  adeguare  alle  norme  delle
 convenzioni  internazionali  ratificate  dall'Italia  e  relative  ai
 diritti della persona e al processo penale, depone  nel  senso  della
 non  discriminazione  tra  le  diverse  cause  di  restrizione  della
 liberta'  personale,  giacche'  proprio   la   convenzione   per   la
 salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e delle liberta' fondamentali,
 ratificata dall'Italia con la legge 4 agosto 1958,  n.  848,  prevede
 espressamente, all'art. 5, il diritto alla riparazione a favore della
 vittima  di  arresto  o  di  detenzioni ingiuste senza distinzioni di
 sorta.
   L'obliterazione della riparazione della detenzione patita a seguito
 di una misura precautelare, quando abbia avuto luogo  su  presupposti
 analoghi  a  quelli  che  hanno  condotto  a  considerare ingiusta la
 detenzione conseguente a misura cautelare, costituisce  una  autonoma
 ed illegittima scelta del legislatore delegato.
   6.  -  Quanto  agli artt. 2 e 13 della Costituzione, evocati in una
 delle due ordinanze di remissione, nella quale si  rileva  che  nella
 disciplina  censurata  sono simultaneamente coinvolti il principio di
 solidarieta' e quello della inviolabilita' della liberta'  personale,
 a  questa  Corte  non  resta che richiamarsi alla sentenza n. 446 del
 1997, dove  e'  stato  posto  in  luce  il  fondamento  squisitamente
 solidaristico della riparazione per l'ingiusta detenzione ed e' stato
 chiarito  che  in  presenza  di  una lesione della liberta' personale
 rivelatasi comunque ingiusta con  accertamento  ex  post  in  ragione
 della qualita' del bene offeso si deve avere riguardo unicamente alla
 oggettivita'   della   lesione   stessa.   Tali   essendo   le   basi
 costituzionali dell'istituto, anche per questo  ulteriore  ordine  di
 considerazioni  la  riparabilita'  dell'ingiusta detenzione, subita a
 seguito di misura precautelare, non puo' non essere riconosciuta.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti i giudizi:
     dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'articolo 314, comma
 1, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che
 chi e' stato prosciolto con sentenza irrevocabile  perche'  il  fatto
 non  sussiste,  per non avere commesso il fatto, perche' il fatto non
 costituisce reato o non  e'  previsto  dalla  legge  come  reato,  ha
 diritto  a  un'equa  riparazione  per la detenzione subita a causa di
 arresto in flagranza o di fermo di indiziato di  delitto,  entro  gli
 stessi limiti stabiliti per la custodia cautelare;
     dichiara  l'illegittimita' costituzionale dell'art. 314, comma 2,
 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che lo
 stesso diritto nei medesimi limiti spetta al prosciolto per qualsiasi
 causa o al condannato che nel corso del processo sia stato sottoposto
 ad arresto in flagranza o a fermo di indiziato di delitto quando, con
 decisione irrevocabile, siano risultate insussistenti  le  condizioni
 per la convalida.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 24 marzo 1999.
                        Il Presidente: Granata
                       Il redattore: Mezzanotte
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 2 aprile 1999.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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