N. 137 SENTENZA 14 - 22 aprile 1999

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Ordinamento  penitenziario  -  Beneficio  del  permesso   premio   -
 Concessione  - Preclusione nei confronti di quei condannati che prima
 dell'entrata in vigore del d.-l. n. 306 del  1992,  convertito  dalla
 legge  n.  356  del  1992, abbiano raggiunto un grado di rieducazione
 adeguato al beneficio richiesto e  per  i  quali  non  sia  accertata
 sussistenza di collegamenti attuali con la criminalita' organizzata -
 Riferimento alla giurisprudenza della Corte in materia (vedi sentenze
 nn.  306  del  1993,  445  del  1997,  504 del 1995 e 445 del 1997) -
 Beneficio qualificato come strumento di rieducazione che consente  un
 reinserimento   del   condannato   nella  societa'  -  Illegittimita'
 costituzionale.
 
 (Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 4-bis, comma 1).
 
(GU n.17 del 28-4-1999 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici: prof. Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.
 Cesare  MIRABELLI,  prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv. Massimo VARI,
 dott.  Cesare  RUPERTO,  dott.  Riccardo   CHIEPPA,   prof.   Gustavo
 ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, prof. Guido
 NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 4-bis della
 legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario  e
 sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'),
 come  modificato  dal  d.-l.  8  giugno 1992, n. 306, convertito, con
 modificazioni, dalla legge  7  agosto  1992,  n.  356,  promosso  con
 ordinanza  emessa  il 19 maggio 1998 dal Tribunale di sorveglianza di
 Torino, iscritta al n. 653 del registro ordinanze 1998  e  pubblicata
 nella   Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  39,  prima  serie
 speciale, dell'anno 1998.
   Udito nella camera di consiglio del 10  febbraio  1999  il  giudice
 relatore Giuliano Vassalli.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -    Chiamato  a pronunciarsi sul reclamo avverso il diniego di
 permesso premio, reclamo proposto da persona condannata anche per  il
 delitto  di  cui  all'art.  74 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, che
 dopo avere espiato  oltre  tredici  anni  di  pena  detentiva,  aveva
 chiesto  che al proprio caso si applicasse la sentenza costituzionale
 n. 445 del 1997, il Tribunale di sorveglianza di Torino premesso  che
 il Gruppo di osservazione e trattamento del carcere aveva predisposto
 un  programma di trattamento approvato dal Magistrato di sorveglianza
 che  esplicitamente   valutava   in   modo   favorevole   l'eventuale
 concessione  di  permessi  premiali,  ma  che lo stesso Magistrato di
 sorveglianza  aveva  dichiarato   inammissibile   la   richiesta   di
 concessione del permesso, ostandovi il disposto dell'art. 4-bis della
 legge  26 luglio 1975, n. 354, e che l'invocata sentenza della Corte,
 riferentesi alla semiliberta', non era  direttamente  estensibile  al
 beneficio  richiesto ha, con ordinanza del 19 maggio 1998, sollevato,
 in riferimento all'art. 27, primo e terzo comma  della  Costituzione,
 questione  di legittimita' del predetto art. 4-bis della legge n. 354
 del 1975, nella parte in cui  preclude  l'accesso  al  beneficio  del
 permesso  premio ai detenuti che, pur non trovandosi nelle condizioni
 previste  dall'art.  58-ter  della  stessa  legge,  abbiano  comunque
 maturato   le   condizioni  per  l'accesso  a  tale  beneficio  prima
 dell'entrata in vigore del d.-l. 8 giugno 1992, n.   306,  convertito
 dalla legge 7 agosto 1992, n. 356.
   In  particolare  il  Tribunale rimettente espone che il soggetto in
 questione, pur "riconosciuto colpevole di gravi reati in  materia  di
 traffico  di  sostanze  stupefacenti  con  un  ruolo non marginale" e
 trovantesi in una posizione tale da "lasciare legittimamente ritenere
 la presenza di  margini  di  possibile  collaborazione  persino  dopo
 l'entrata  in  vigore  della  legge  n. 356/1992", risultava tuttavia
 "aver serbato per tutto il periodo di reclusione  ultradecennale  una
 condotta  corretta  e  rispettosa,  senza  aver riportato alcuna nota
 disciplinare, ed  aver  fattivamente  partecipato  ad  una  attivita'
 lavorativa inframuraria, sino a che cio' era stato compatibile con le
 sue  condizioni  di  salute,  riportando percio' anche un encomio nel
 carcere",  che  "aveva  coltivato  interessi  culturali  durante   la
 detenzione  incrementando  le  proprie  risorse psichiche", che aveva
 "beneficiato  complessivamente   di   675   giorni   di   liberazione
 anticipata,   costituenti   evidente   riconoscimento   della   lunga
 partecipazione all'opera di rieducazione", tanto da aver meritato  la
 sopra   menzionata  positiva  relazione  di  sintesi  del  Gruppo  di
 osservazione e trattamento del carcere, seguita da  un  programma  di
 trattamento  approvato  dal Magistrato di sorveglianza ed includente,
 come sopra detto, l'eventuale concessione di permessi premio.
   Il Tribunale rimettente sottolinea  in  particolare  che  all'epoca
 dell'entrata  in vigore della legge n. 356 del 1992 il detenuto aveva
 raggiunto le condizioni per essere ammesso ai permessi premio  e  che
 nel  corso degli anni successivi non risultava essersi mai discostato
 dalla partecipazione al trattamento penitenziario.
   2. - Rileva il giudice a quo  che  l'esame  delle  decisioni  della
 Corte  sulla norma denunciata (ad iniziare con la sentenza n. 306 del
 1993 per terminare  con  la  decisione  sopra  ricordata)  conduce  a
 ravvisare  "una  chiara  linea evolutiva fondata sulla valorizzazione
 del contenuto dell'art. 27, primo e terzo comma della  Costituzione",
 nel   senso   di   una  affermazione  di  principio  della  "relativa
 costituzionalizzazione"  delle  posizioni  giuridiche  acquisite  nel
 corso  del  trattamento  penitenziario.    Cosi'  da  profilare  come
 contrastanti con la funzione rieducativa della pena quelle  modifiche
 legislative  che, incidendo sul trattamento penitenziario gia' in via
 di sviluppo, provochino una regressione di tale trattamento  pure  in
 assenza  di  una  condotta  deviante  del  detenuto  o dell'effettivo
 persistere della pericolosita' sociale del detenuto stesso.
   Il   Tribunale   aggiunge   che,   pur   dovendosi  riconoscere  al
 legislatore, "come materia di discrezionalita' politica", la concreta
 configurazione del rapporto tra le varie funzioni della pena, si deve
 tuttavia rilevare che quando "il rapporto tra  i  progressi  compiuti
 dal  detenuto  sulla  via  della  revisione  delle proprie attitudini
 devianti  e  la  risposta  dell'ordinamento  in  tema   di   graduale
 allentamento  delle  modalita'  di  espiazione  della pena abbia gia'
 avuto uno sviluppo concreto  e  sicuramente  dimostrabile",  si  puo'
 determinare   un   grave   urto   tra   la   funzione  rieducativa  e
 quell'intervento legislativo che "paralizzi ulteriori sviluppi di  un
 percorso  gia'  iniziato  e  consolidato dalla vigenza di determinate
 regole". Sempre secondo l'ordinanza del giudice rimettente, in questi
 casi "la modifica della  soglia  della  ammissibilita'  dei  benefici
 penitenziari   in   peius   contrasta  sicuramente  con  la  funzione
 rieducativa della pena poiche'  compromette  non  solo  gli  sviluppi
 futuri del trattamento, ma anche i percorsi gia' compiuti".
   A questo punto il Tribunale di sorveglianza si domanda "quale debba
 considerarsi   il   momento   in  cui  l'evoluzione  del  trattamento
 penitenziario consolida una posizione che  il  legislatore  non  puo'
 piu'  comprimere senza il sacrificio della funzione rieducativa della
 pena"; e trova congrua la risposta fornita dalla citata  sentenza  n.
 445   del  1997  di  questa  Corte,  secondo  la  quale  l'intervento
 legislativo ingiustificatamente ablatorio, perche'  contrastante  con
 l'art.  27  della  Costituzione,  si  verifica  quando esso incide su
 soggetti che al momento della nuova legge avevano  gia'  maturato  le
 condizioni   per  essere  ammessi  al  trattamento  piu'  favorevole,
 sussistendo al contempo le condizioni oggettive e soggettive  per  la
 concessione.
   Senonche'  la  suddetta sentenza - prosegue il giudice rimettente -
 si  riferisce  esplicitamente  ad  un   caso   di   ammissione   alla
 semiliberta',  mentre nel caso esaminato in sede di reclamo si tratta
 di una richiesta di permesso premio. Di qui  la  ritenuta  permanenza
 dell'ostacolo frapposto dall'art. 4-bis primo periodo, della legge 26
 luglio 1975, n. 354, cosi' come modificato dall'art. 15, comma 1, del
 d.-l.  n.  306 del 1992, convertito, con modificazioni, dalla legge 7
 agosto 1992, n.   356, e  la  conseguente  necessita'  di  sottoporre
 all'esame  della  Corte  "il  dubbio circa il contrasto con l'art. 27
 commi 1 e 3 dell'art.  4-bis della legge 26 luglio 1975 n. 354,  come
 modificato dalla legge 7 agosto 1992 n. 504 (recte: 356), nella parte
 in  cui  preclude  l'accesso al beneficio di cui all'art. 30-ter Ord.
 pen. ai detenuti che, pur non  trovandosi  nelle  condizioni  di  cui
 all'art.  58-ter  Ord.  pen.,  abbiano comunque maturato i termini di
 ammissibilita' della concessione di tale beneficio prima dell'entrata
 in vigore del d.l. 8 giugno del 1992, ed  a  tale  data  risultassero
 nelle condizioni per l'ottenimento del beneficio stesso".
   3. - Quanto alla rilevanza della proposta questione di legittimita'
 costituzionale  il  Tribunale  rimettente  osserva  che  la natura di
 "giudizio  allo  stato  degli  atti"  propria  del  procedimento   di
 sorveglianza  ed  il carattere preliminare della valutazione in punto
 di ammissibilita' del beneficio non consentono di formulare una sorta
 di anticipato  giudizio  di  concessione  ostacolato  unicamente  dal
 disposto  della norma denunciata; ma che cio' non basta per escludere
 la rilevanza dato che fino a quando  non  venga  rimosso  il  divieto
 derivante  dall'art.    4-bis  l'ammissibilita'  stessa  del permesso
 premio non potrebbe essere discussa.
   4.  -  Nel  giudizio  non  si e' costituita la parte privata ne' ha
 spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei Ministri.
                         Considerato in diritto
   1. -   Il Tribunale  di  sorveglianza  di  Torino,  giudicando  sul
 reclamo  proposto contro il diniego di permesso premio da un detenuto
 considerato non inseribile tra i  soggetti  di  cui  all'art.  58-ter
 dell'Ordinamento   penitenziario   (legge   n.  354  del  1975,  come
 modificata dal d.-l. n.   306 dell'8 giugno  1992,  convertito  dalla
 legge  7 agosto 1992, n.  356), ma che tuttavia risultava trovarsi al
 momento dell'entrata in vigore del suddetto d.-l. 8 giugno  1992,  n.
 306,  nelle  condizioni per essere ammesso al beneficio richiesto, ha
 sollevato questione di legittimita' costituzionale per contrasto  con
 l'art.  27, primo e terzo comma, della Costituzione, "dell'art. 4-bis
 della legge 26 luglio 1975 n. 354,  come  modificato  dalla  legge  7
 agosto  1992,  n.    504 (recte: n. 356), nella parte in cui preclude
 l'accesso al beneficio dell'art. 30-ter Ord. pen., ai  detenuti  che,
 pur non trovandosi nelle condizioni di cui all'art. 58-ter Ord. pen.,
 abbiano   comunque   maturato   i  termini  di  ammissibilita'  della
 concessione di tale beneficio prima
  dell'entrata in vigore del d.l. 8 giugno del 1992, ed  a  tale  data
 risultassero   nelle   condizioni  per  l'ottenimento  del  beneficio
 stesso".
   Il tribunale rimettente si riporta in proposito  alla  sentenza  n.
 445  del  1997  di  questa  Corte, con la quale e' stato ritenuto che
 "quando la condotta  penitenziaria  del  detenuto  ha  consentito  di
 accertare  il  raggiungimento  di uno stadio del percorso rieducativo
 adeguato al beneficio da conseguire", "la innovazione legislativa che
 vieta la concessione di misure alternative  alla  detenzione  finisce
 per   atteggiarsi  alla  stregua  di  un  meccanismo  a  connotazioni
 ablative, riproducendo cosi' quei caratteri di "revoca"  non  fondata
 sulla  condotta  colpevole  del  condannato  che questa Corte ha gia'
 censurato" (il riferimento e' essenzialmente alla sentenza n. 306 del
 1993).
   Senonche' - prosegue il Tribunale - con  la  suddetta  sentenza  n.
 445  del  1997  questa  Corte si era riferita ad un caso nel quale la
 richiesta del detenuto era rivolta all'ottenimento dell'ammissione al
 beneficio della semiliberta',  mentre  nel  caso  oggi  in  esame  la
 richiesta  del  detenuto  e'  rivolta  all'ottenimento di un permesso
 premio. Di qui la sollevata questione di legittimita'  costituzionale
 con   specifico  riferimento  all'ammissibilita'  a  fruire  di  tale
 beneficio.
   2. - La questione e' fondata.
   Il percorso  compiuto  dalla  giurisprudenza  di  questa  Corte,  a
 partire dalla sentenza n. 306 del 1993, per mantenere il rispetto del
 principio  rieducativo  nella  fase  dell'esecuzione  penale anche in
 presenza di leggi con cui e' stato  ritenuto  -  per  far  fronte  ai
 pericoli  creati  dalla criminalita' organizzata - di restringere gli
 accessi alle misure  alternative  alla  detenzione  o  a  determinati
 benefici  penitenziari, e' rievocato dall'ordinanza del giudice a quo
 come  gia'  lo  fu  nella  sentenza  n.  445  del  1997,  alla  quale
 l'ordinanza  stessa  particolarmente  si  richiama a fondamento della
 questione sollevata.
   Il   punto   di   arrivo   di   tale   percorso   e'  rappresentato
 dall'affermazione   secondo   cui   non   si   puo'   ostacolare   il
 raggiungimento   della   finalita'   rieducativa,   prescritta  dalla
 Costituzione nell'art. 27, con il precludere l'accesso a  determinati
 benefici  o  a  determinate  misure  alternative in favore di chi, al
 momento in cui e' entrata in vigore una legge restrittiva, abbia gia'
 realizzato tutte le condizioni per usufruire di quei  benefici  o  di
 quelle  misure.  Fermo  restando  ovviamente,  come rimarca la stessa
 ordinanza di rimessione, che nella materia in esame  il  giudizio  di
 meritevolezza  e' dato sempre "allo stato degli atti" (donde anche le
 previsioni di  sempre  possibili  revoche  o  di  dinieghi  di  nuova
 concessione  nel caso di benefici reiterabili nel tempo) e nella piu'
 attenta valutazione ad opera del  giudice  competente  di  tutti  gli
 elementi   sottopostigli   nel   momento  nel  quale  e'  chiamato  a
 deliberare. In particolare (e il richiamo e' qui doveroso rispetto  a
 taluni  passaggi  dell'ordinanza  di rimessione) non potrebbe bastare
 per ottenere un ulteriore beneficio il solo fatto di avere  meritato,
 gia'  prima  dell'entrata  in  vigore  della  legge  modificatrice, i
 benefici consistenti negli sconti di pena che  prendono  il  nome  di
 liberazione  anticipata.  Occorrono  infatti  sempre  altri requisiti
 correlati ai caratteri del beneficio o della misura che si tratta  di
 concedere,  e  tutti  nel  segno  della  loro persistente attualita'.
 Occorre inoltre, in conformita' con  la  costante  giurisprudenza  di
 questa  Corte, risalente alla sentenza n. 306 del 1993, che anche per
 i soggetti di cui al primo periodo del comma  primo  dell'art.  4-bis
 non  sia  accertata  la  sussistenza  di  collegamenti attuali con la
 criminalita' organizzata (cfr. anche sentenze nn. 504 del 1995 e  445
 del  1997).  Ma pur con queste doverose cautele e precisazioni rimane
 valido quanto affermato nella  giurisprudenza  di  questa  Corte,  in
 particolare nella sentenza n. 445 del 1997 sopra ricordata, nelle sue
 proposizioni conclusive e nel suo contenuto essenziale.
   E pertanto cosi' come e' stato affermato che non puo' essere negata
 l'ammissione  alla  semiliberta'  nei  confronti  dei condannati che,
 prima dell'entrata in vigore dell'art.  15,  comma  1,  del  d.-l.  8
 giugno  1992,  n.  306  (convertito  con  modificazioni dalla legge 7
 agosto 1992, n. 356), abbiano  raggiunto  un  grado  di  rieducazione
 adeguato  al  beneficio  richiesto e per i quali non sia accertata la
 sussistenza di collegamenti attuali con la criminalita'  organizzata,
 altrettanto  non  puo'  non  ripetersi,  nei  confronti  degli stessi
 soggetti e nel ricorrere di tutte le altre condizioni di  legge,  per
 la ammissione al beneficio previsto dall'art. 30-ter dell'Ordinamento
 penitenziario.  Ed infatti il permesso premio, pur non potendo essere
 ricondotto alla categoria delle misure alternative  alla  detenzione,
 e',  per  il  chiaro  dettato  della  legge, una parte integrante del
 programma di trattamento  (comma  3  del  suddetto  art.  30-ter)  e,
 secondo  proposizioni  piu'  volte  ripetute  in  decisioni di questa
 Corte, strumento di  rieducazione  in  quanto  consente  un  iniziale
 reinserimento del condannato nella societa' (sentenze n. 188 del 1990
 e n. 504 del 1995).
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  l'illegittimita' costituzionale dell'art. 4-bis, comma 1,
 della  legge  26  luglio  1975,  n.   354   (Norme   sull'ordinamento
 penitenziario  e sulla esecuzione delle misure privative e limitative
 della liberta'), nella parte in cui non prevede che il beneficio  del
 permesso  premio  possa  essere concesso nei confronti dei condannati
 che, prima della entrata in vigore dell'art. 15, comma 1, del d.-l. 8
 giugno 1992, n. 306, convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  7
 agosto  1992,  n.  356,  abbiano  raggiunto  un grado di rieducazione
 adeguato al beneficio richiesto e per i quali non  sia  accertata  la
 sussistenza di collegamenti attuali con la criminalita' organizzata.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 14 aprile 1999.
                        Il Presidente: Granata
                        Il redattore: Vassalli
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 22 aprile 1999.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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