N. 9 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 23 marzo 1999

                                 N.  9
  Ricorso  per  questione di legittimita' costituzionale depositato in
 cancelleria il 23 marzo 1999 (della regione Lombardia)
 Comunita' economiche europee  -  Disposizioni  per  l'adempimento  di
    obblighi  derivanti  dall'appartenenza  dell'Italia alle Comunita'
    europee, di cui alla legge n. 25/1999  -  Prevista  attuazione  di
    direttive  comunitarie  mediante  regolamento  ministeriale o atto
    amministrativo - Elencazione delle direttive -  Possibilita',  per
    le   regioni  e  le  province  autonome,  nelle  materie  di  loro
    competenza, di inviare proposte alla Presidenza del Consiglio  dei
    Ministri  -  Dipartimento  per  il  coordinamento  delle politiche
    comunitarie, in merito  al  contenuto  di  detti  provvedimenti  -
    Lamentata ingerenza di numerose direttive, tra quelle elencate, in
    materie  di  stretta  competenza  regionale  (agricoltura,  salute
    pubblica, pesca) - Irragionevolezza  -  Violazione  del  principio
    della  autonomia  degli  enti  locali  -  Lesione delle competenze
    legislative e amministrative regionali - Incidenza  sul  principio
    che  consente  allo  Stato  di  porre  limitazioni di sovranita' -
    Contrasto  con  le  previsioni  di  cui  alla  legge  n.  86/1989,
    disciplinanti  gli  strumenti  e  le modalita' di attuazione della
    normativa  comunitaria  -  Richiamo  alla  sentenza  della   Corte
    costituzionale n. 126/1996.
 (Legge 5 febbraio 1999, n. 25, art. 4).
 (Cost., artt. 3, 5, 11, 117 e 118; legge 9 marzo 1989, n. 86).
(GU n.20 del 19-5-1999 )
   Ricorso   della   regione  Lombardia,  in  persona  del  Presidente
 pro-tempore  della  Giunta  regionale,  on.  dr.  Roberto  Formigoni,
 rappresentata e difesa, come da delega a margine del presente atto ed
 in  virtu'  di  deliberazione  di giunta regionale n. VI/4l935 del 12
 marzo l999 di autorizzazione a stare in giudizio, dagli avv.ti proff.
 Giuseppe  Franco  Ferrari  e  Massimo   Luciani,   ed   elettivamente
 domiciliata  presso  lo studio del secondo in Roma, Lungotevere delle
 Navi n. 30;
   Contro  il  Presidente  del   Consiglio   dei   Ministri   per   la
 dichiarazione di illegittimita' costituzionale della legge 5 febbraio
 1999, n.  25, pubblicata in Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 35
 del  12  febbraio  1999,  recante  "Disposizioni per l'adempimento di
 obblighi  derivanti  dall'appartenenza  dell'Italia  alle   Comunita'
 europee  - legge comunitaria 1998", con particolare riguardo all'art.
 4, nella parte in cui demanda a regolamenti ministeriali, da  emanare
 ai  sensi  dell'art. 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, ovvero ad
 atti   amministrativi,   l'attuazione   delle   direttive    elencate
 nell'allegato  D,  concedendo  alle  Regioni  e  province autonome di
 Trento e Bolzano la facolta' di inviare alla Presidenza del Consiglio
 dei Ministri - Dipartimento  per  il  coordinamento  delle  politiche
 comunitarie,  entro  trenta  giorni  dalla  data di entrata in vigore
 della legge comunitaria, eventuali proposte in  merito  al  contenuto
 dei provvedimenti da emanare.
                               F a t t o
   La legge 5 febbraio 1999, n. 25 ("Disposizioni per l'adempimento di
 obblighi   derivanti  dall'appartenenza  dell'Italia  alle  comunita'
 europee  -  legge  comunitaria  1998"),  e'  stata  pubblicata  nella
 Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica italiana, n. 35 del 12 febbraio
 1999.    Essa  contiene,  in  particolare  all'art.  4,  disposizioni
 gravemente lesive delle prerogative costituzionalmente garantite alle
 Regioni.
   Le previsioni ivi contenute sono costituzionalmente illegittime per
 i seguenti motivi di
                             D i r i t t o
   Violazione degli artt. 3, 5, 11, 117 e 118 Cost.;
   1.  - L'art. 4 della legge comunitaria 1998, al comma 1, stabilisce
 che "l'allegato D elenca le direttive attuate o da  attuare  mediante
 regolamento ministeriale da emanare ai sensi dell'art. 17 della legge
 23   agosto   1988,  n.  400,  e  successive  modificazioni,  o  atto
 amministrativo, nel rispetto del  termine  indicato  nelle  direttive
 stesse.  Resta  fermo  il disposto degli artt. 11 e 20 della legge 16
 aprile 1987, n. 183".
   In tale elenco compaiono numerose direttive  disciplinanti  materie
 di  stretta  competenza  regionale  o  perche'  afferenti  al settore
 dell'agricoltura, o perche' concernenti l'igiene alimentare (e quindi
 la salute) umana e animale, o perche' attinenti  (anche)  alla  pesca
 nelle  acque interne:  Dir. 92/1994/CEE, in materia di individuazione
 delle zone agricole  svantaggiate;  Dir.  93/23/CEE,  riguardante  le
 indagini  statistiche  da  effettuare nel settore della produzione di
 suini;  Dir.  93/24/CEE,  riguardante  le  indagini  statistiche   da
 effettuare  nel  settore  della produzione di bovini; Dir. 93/25/CEE,
 riguardante le indagini statistiche da effettuare nel  settore  della
 produzione  di  ovini  e  caprini;  Dir.    97/40/CE,  in  materia di
 utilizzazione e commercializzazione degli enzimi, dei  microorganismi
 e  di loro preparati nell'alimentazione degli animali; Dir. 97/41/CE,
 in  materia  di  fissazione   di   quantita'   massime   di   residui
 rispettivamente  sugli e negli ortofrutticoli, sui e nei cereali, sui
 e nei prodotti alimentari  di  origine  animale  e  su  e  in  alcuni
 prodotti  di  origine  vegetale,  compresi  gli  ortofrutticoli; Dir.
 97/60/CE, in  materia  di  solventi  da  estrazione  impiegati  nella
 preparazione  dei  prodotti  alimentari  e dei loro ingredienti; Dir.
 97/61/CE, relativa alle norme sanitarie applicabili alla produzione e
 commercializzazione dei molluschi bivalvi vivi; Dir.  97/1971/CE,  in
 materia   di   fissazione  delle  quantita'  massime  di  residui  di
 antiparassitari rispettivamente sui e nei cereali, sui e nei prodotti
 alimentari di origine animale e su e in alcuni  prodotti  di  origine
 vegetale,  compresi gli ortofrutticoli; Dir. 97/1977/CE, che modifica
 le direttive 93/23/CEE, 93/24/CEE  e  93/25/CEE;  Dir.  98/3/CE,  che
 adegua  al  progresso  tecnico  la direttiva 76/116/CEE in materia di
 concimi; Dir. 98/28/CE, in materia di igiene dei prodotti alimentari,
 con riguardo al trasporto  via  mare  dello  zucchero  greggio;  Dir.
 98/51/CE,  in  materia  di  riconoscimento  e registrazione di taluni
 stabilimenti e intermediari operanti nel  settore  dell'alimentazione
 degli  animali;  Dir.  98/60/CE,  in  materia  di sostanze e prodotti
 indesiderabili nell'alimentazione degli animali.
   Il  successivo  comma  3  dello  stesso  art.  4  -  adottando  una
 formulazione  che  non  si rinviene in precedenti leggi comunitarie -
 contiene una sorta  di  (solo  apparente)  compensazione  procedurale
 all'illegittima  invasione  sostanziale  delle  competenze  regionali
 perpetrata con il comma 1, nella parte in cui consente alle regioni e
 province  autonome  di  Trento  e  Bolzano,  nelle  materie  di  loro
 competenza,  di  inviare alla Presidenza del Consiglio dei Ministri -
 Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie,  entro
 trenta  giorni  dalla  entrata  in  vigore  della  legge comunitaria,
 proposte in merito al contenuto dei provvedimenti da emanare ai sensi
 del comma 1.
   Le  sopra  citate  direttive  disciplinano  (sovente collocandosi a
 cavallo  tra  l'una  e  l'altra)  materie  come  l'agricoltura  e  la
 zootecnia  (e'  questo  il caso piu' frequente); la pesca anche nelle
 acque interne (e' il caso della Dir. 97/61/CE  sulla  produzione  dei
 molluschi  bivalvi); la sanita' (e' il caso della Dir. 97/41/CE, e di
 tutte le altre che riguardano l'uso di prodotti che possono  incidere
 sulla  salute umana).   Si tratta di materie che rientrano tra quelle
 in cui alle regioni  e'  direttamente  conferita  dalla  Costituzione
 (art.  117)  una  competenza  legislativa  (con  connessa  competenza
 amministrativa) di tipo concorrente, e  che  sono  state  oggetto  di
 trasferimento di risorse e funzioni statali sin dal d.P.R. n. 616 del
 1977.  La  cosa  e'  tanto  evidente, che implicitamente lo riconosce
 anche il censurato art. 4, coninia 3, che non a caso prevede  un  sia
 pur  parziale  e  illegittimamente insufficiente coinvolgimento delle
 Regioni. In tali materie le attribuzioni regionali possono subire una
 compressione,  in  forza  dell'esigenza   di   attuare   il   diritto
 comunitario,  solo  nel  rispetto  di  alcune  precise  condizioni di
 carattere  sostanziale  e  procedurale,  che,   nella   specie,   non
 ricorrono.
   2.  -  Si  deve invero muovere dalla constatazione che ci troviamo,
 qui, in presenza di una legge che prevede ipotesi di attuazione della
 normativa comunitaria che si distinguono, almeno in parte, da  quelle
 previste dalla legge n. 86 del 1989. Come e' noto, tale legge prevede
 (art.  3)  che  "il  periodico adeguamento dell'ordinamento nazionale
 all'ordinamento comunitario" venga assicurato  o  direttamente  dalla
 legge  comunitaria,  o  tramite  decreti legislativi delegati, ovvero
 tramite appositi regolamenti governativi, essi pure autorizzati dalla
 legge comunitaria. E'  fatta  salva,  peraltro,  la  possibilita'  di
 un'attuazione  "in via amministrativa" (art. 4, commi 7 e 8), ma solo
 "per materie particolari".
   La legge n. 25 del 1999 prevede,  conformemente  al  modello  della
 legge  n.  86  del  1989,  l'attuazione diretta; l'attuazione tramite
 decreti  legislativi  delegati;  l'attuazione   tramite   regolamenti
 governativi,  e l'attuazione amministrativa. Si riscontrano pero' tre
 peculiarita':  che i regolamenti governativi sono (art. 3,  comma  1)
 regolamenti   "delegificanti",   in  quanto  da  adottarsi  ai  sensi
 dell'art.  17,  comma  2  della  legge  n.  400  del  1988;  che  tra
 l'attuazione  con  regolamento governativo e quella amministrativa si
 inserisce un'ipotesi intermedia, costituita  dall'attuazione  tramite
 regolamento ministeriale; che l'attuazione amministrativa e' prevista
 per  materie  tutt'altro  che "particolari" (come agricoltura, pesca,
 sanita').
   L'attuazione  tramite  regolamenti  delegificanti  non  pone,  qui,
 problemi  diversi  da  quelli  comuni,  atteso che (come sempre) tali
 regolamenti debbono rispettare i principi  e  criteri  fissati  dalla
 stessa  legge  autorizzante.  In  particolare, per quanto riguarda la
 posizione costituzionale della ricorrente,  e'  da  sottolineare  che
 essi sono tenuti a rispettare quanto disposto dall'art. 2, lett. h) a
 tenor  del quale "Nelle materie di competenza delle regioni a statuto
 ordinario e speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano
 saranno osservati l'art.  9 della legge 9 marzo 1989, n. 86, e l'art.
 6, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio
 1977, n. 616. Saranno inoltre osservate  le  competenze  normative  e
 amministrative  conferite alle regioni con la legge 15 marzo 1997, n.
 59, ed i relativi decreti legislativi attuativi, nonche'  gli  ambiti
 di  autonomia  delle  regioni  a  statuto  speciale  e delle province
 autonome, nel rispetto del principio di  sussidiarieta'".  La  tutela
 dell'autonomia  regionale appare, qui, formalmente assicurata, e solo
 l'eventuale inosservanza dei principi  ora  riportati  da  parte  del
 Governo  potrebbe  dar  luogo,  in futuro, a doglianze da parte della
 ricorrente. Del resto, tale salvaguardia  delle  autonomie  regionali
 aveva   gia'   trovato   espressione   (peraltro   solo  parzialmente
 coincidente) nell'art. 2 della legge  n.  52  del  1996,  laddove  si
 prevedeva  che  "Nelle  materie di competenza delle regioni a statuto
 ordinario e speciale e delle prvince autonome  di  Trento  e  Bolzano
 saranno osservati per l'attuazione del diritto comunitario l'articolo
 9  della  legge  9  marzo  1989,  n. 86, e l'art. 6, primo comma, del
 decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616".
   Ben  diversa  la  situazione  per  quanto   concerne   l'attuazione
 amministrativa e quella tramite regolamento ministeriale. La legge n.
 25 del 1999, infatti, dopo aver inserito all'art. 2, tra i principi e
 criteri   direttivi   cui  i  decreti  legislativi  delegati  debbono
 uniformarsi, l'obbligo di osservare il riparto  costituzionale  delle
 competenze  e  gli  ambiti  di autonomia legislativa e amministrativa
 riconosciuti alle  regioni  nelle  materie  di  loro  competenza,  ha
 previsto che lo stesso obbligo gravi solo sui regolamenti governativi
 delegificanti  (art.  3),  e non sui regolamenti ministeriali o sugli
 atti amministrativi puntuali. A parte l'applicabilita' anche qui, del
 brocardo ubi lex voluit dixit..., non si puo'  pensare  che  l'omessa
 indicazione  dell'obbligo  a proposito dei regolamenti ministeriali e
 degli atti amministrativi-attuativi sia casuale o comunque scusabile:
 il tenore letterale della disposizione  censurata  e'  inequivoco,  e
 tale  da  escludere  che,  in  sede  di  attuazione  amministrativa o
 ministeriale,  sussista  uno  specifico  vincolo  al  rispetto  delle
 competenze regionali.
   Di  qui, l'evidente illegittimita' dell'art. 4, nella parte in cui,
 a differenza dell'art. 3, mentre demanda a regolamenti ministeriali o
 atti amministrativi la trasposizione nell'ordinamento interno  di  un
 cospicuo  pacchetto  di  direttive  in materie di pacifica competenza
 regionale, non contiene alcuna enunciazione che tenga conto o  mostri
 di  tenere  conto  dell'incidenza che tale interposizione dello Stato
 finisce per avere  su  di  una  rilevante  sfera  delle  attribuzioni
 regionali.
   Per soprammercato, come gia' accennato, l'attuazione amministrativa
 e  ministeriale  viene prevista, al contrario di quanto stabilito dal
 "modello" di cui alla legge n. 86 del 1989,  per  materie  tutt'altro
 che   "particolari",   e   quindi   senza  alcuna  reale  valutazione
 dell'effettiva necessita' che dette materie  siano  disciplinate  con
 regolamento  ministeriale, ovvero siano oggetto di attuazione a mezzo
 di atti amministrativi puntuali. Tanto, in violazione  del  principio
 di  coerenza  e  ragionevolezza  delle  scelte  legislative  - di cui
 all'art. 3 della Costituzione -  e  con  evidente  pregiudizio  delle
 attribuzioni  regionali  di  cui  agli  artt.  5,  117  e 118, per la
 mancanza  delle  garanzie  procedurali  che  -   come   appresso   si
 dimostrera' - sono assicurate dagli altri strumenti di attuazione del
 diritto comunitario previsti dalla legge n. 86 del 1989.
   3.  -  A  eliminare  i  dubbi sulla legittimita' della disposizione
 censurata non puo' valere la previsione di cui al comma 3, laddove si
 esperisce  un  tentativo  solo  apparente,  di  mera   facciata,   di
 coinvolgere  le  regioni nel procedimento di attuazione regolamentare
 delle direttive di cui all'allegato D. Si deve  infatti  considerare,
 anzitutto, che il termine per la presentazione delle "proposte" e' di
 soli  trenta  giorni:  il numero e la complessita' delle direttive da
 attuare rende addirittura derisoria tale previsione,  per  l'evidente
 impossibilita'  di  una  seria riflessione, in tempi tanto ristretti,
 sul da farsi.  In secondo luogo, la  legge  qualifica  il  contributo
 regionale  come  mera  "proposta",  e  non impone all'Amministrazione
 statale nessun criterio per il recepimento delle varie proposte e per
 il raffronto tra di loro, lasciandola totalmente libera  di  adottare
 le  determinazioni che vuole, e riducendo la partecipazione regionale
 ad una semplice lustra.
   Evidentemente il legislatore, pur riconoscendo espressamente che le
 direttive da attuare incidono in materie in cui le regioni godono  di
 potesta' legislativa, invece di imporre un obbligo all'osservanza del
 riparto  costituzionale  delle competenze nell'emanazione dei decreti
 ministeriali di attuazione, al pari di  quello  di  cui  all'art.  2,
 comma 1, lett. h), e all'art. 3, con l'art. 4 ha preferito optare per
 un meccanismo (inedito) che relega le regioni in un ruolo eventuale e
 meramente  propositivo  rispetto  al  contenuto  di provvedimenti che
 resta in capo ai Ministeri adottare.
   Viene  cosi'  ad  essere   palesemente   intaccato   un   principio
 fondamentale  dell'ordinamento  costituzionale  - quello di autonomia
 sancito nell'art.  5 della Costituzione - che non puo'  certo  essere
 totalmente  disatteso  in forza della pur importante esigenza di dare
 attuazione a norme comunitarie.  "E'  principio  indubitabile"  -  ha
 affermato da codesta ecc.ma Corte nella. sent. n. 126 del 1996 - "che
 la  partecipazione  dell'Italia al processo di integrazione europea e
 agli obblighi  che  ne  derivano  deve  coordinarsi  con  la  propria
 struttura   costituzionale   fondamentale,   della   quale  fa  parte
 integrante la struttura regionale dello Stato...  L'attuazione  negli
 Stati membri delle norme comunitarie deve tener conto della struttura
 (accentrata,  decentrata,  federale)  di  ciascuno di essi, cosicche'
 l'Italia e' abilitata,  oltre  che  tenuta  dal  suo  stesso  diritto
 costituzionale, a rispettare il suo fondamentale impianto regionale".
 Ne deriva necessariamente che, in tutti i casi in cui l'attuazione di
 norme  comunitarie  involge  materie di competenza regionale, e' alle
 regioni che spetta il diritto, oltre che l'obbligo,  di  recepire  il
 diritto  comunitario  nel  proprio  ordinamento interno, sia pure nel
 rispetto dei limiti che  la  Costituzione  pone  all'esercizio  delle
 funzioni legislative ed amministrative regionali e nel rispetto degli
 interessi  unitari  di  cui  lo  Stato  e'  e  rimane necessariamente
 portatore.
   Sulla scorta di tali premesse, dunque, negli ambiti  di  competenza
 regionale  l'intervento  statale  in  attuazione di norme comunitarie
 dovrebbe essere consentito solo - come affermato in passato anche  da
 codesta  ecc.ma  Corte  (cfr. sent. n. 304 del 1987) - se residuale e
 comunque   sorretto   da   idonei   presupposti   giustificativi    e
 costituzionali,   quali  il  soddisfacimento  di  esigenze  unitarie,
 l'adempimento di  obblighi  nell'ipotesi  di  comportamenti  omissivi
 delle  regioni, ovvero eccezionali motivi di urgenza. Tale principio,
 che ha trovato successivamente conferma anche in altre  decisioni  di
 codesta  ecc.ma Corte (cfr. sentt.  nn. 433/1987 e 448/1990), esprime
 indubbiamente un'importante  garanzia  dell'autonomia  regionale,  la
 quale   puo'  trovare  giustificata  comprensione  solo  in  nome  di
 fondamentali esigenze di unitarieta' nel recepimento della  normativa
 comunitaria.
   4.  -  La legge impugnata, comunque, e' affetta, nella parte di che
 trattasi, da un'ancor piu' radicale illegittimita'.
   Si deve muovere dalla sistemazione della materia che e' stata  data
 dalla  sent.  n.  126 del 1996. Questa pronuncia ha precisato che gli
 strumenti  per  evitare  la  responsabilita'  da   inattuazione   nei
 confronti  degli  organi  comunitari "consistono non in avocazioni di
 competenze a favore  dello  Stato,  ma  in  interventi  repressivi  o
 sostitutivi  e suppletivi - questi ultimi anche in via preventiva, ma
 cedevoli di fronte all'attivazione dei poteri regionali e provinciali
 normalmente  competenti   -   rispetto   a   violazioni   o   carenze
 nell'attuazione  o  nell'esecuzione  delle norme comunitarie da parte
 delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano".
   L'accenno alla possibilita'  di  interventi  statali  preventivi  e
 cedevoli  non  deve  indurre  a  credere  che  tali  interventi siano
 possibili senza limiti o condizioni.  Come,  invero,  si  precisa  al
 punto  6.  della  parte motiva, ad finem, "alle eventuali esigenze di
 garanzia di un quadro nazionale...  potra'  farsi  fronte  attraverso
 l'esercizio  dei  poteri piu' sopra indicati (punto 5, lett. b)". Se,
 ora, si va ad esaminare quanto si scriveva al punto 5, lett.  b),  si
 rileva  che  i  poteri di cui lo Stato e' titolare, per assicurare la
 garanzia del quadro nazionale, sono: a) poteri "in via d'urgenza"; b)
 poteri "di legislazione di principio  e  di  dettaglio  suppletiva  e
 cedevole";  c)  poteri  "di  indirizzo  e  coordinamento riconosciuti
 dall'art. 9, legge 9 marzo 1989, n. 86".
   Solo tali poteri sono stati in tal sede indicati, e cio'  significa
 che  solo  tali  poteri  sono stati richiamati dalla parte finale del
 punto 6. della motivazione di quella pronuncia.
   Questo elenco di poteri costituisce un numerus clausus, e lo  Stato
 non  puo'  in  alcun  modo avvalersi di poteri diversi. Il perche' e'
 presto detto. Nel caso dell'intervento  della  legislazione  e  degli
 atti   di  indirizzo  e  coordinamento  vi  sono  tutte  le  garanzie
 procedurali che l'ecc.ma Corte ha, nella sua corposa  giurisprudenza,
 ritenuto indefettibili, e solo nel caso dell'urgenza vi sono esigenze
 che  possono  giustificare  alcune  deroghe.  Dove,  pero', non vi e'
 urgenza, e' essenziale che le  indicate  garanzie  procedurali  siano
 rispettate.    E'  per  questo  che  la  sent. n. 126 del 1996 non ha
 menzionato il regolamento ministeriale o l'atto  amministrativo  come
 strumenti di attuazione "preventiva" ancorche' cedevole: si tratta di
 atti  nei  quali  non sono presenti quelle garanzie, e che quindi non
 sono paragonabili alle leggi (o agli atti con  forza  di  legge)  ne'
 agli   atti   di  indirizzo  e  coordinamento  (ne',  ovviamente,  ai
 regolamenti delegificanti, che danno garanzie alle regioni in  quanto
 per  un  verso  sono  "governativi"  e  per  l'altro  sono  tenuti  a
 rispettare i principi fissati dalla legge autorizzante).
   Conseguentemente,  l'attuazione   in   via   amministrativa   della
 normativa  comunitaria, gia' prevista dalla legge n. 86 del 1986, non
 puo' intervenire preventivamente, in  assenza  di  qualunque  inerzia
 regionale comprovata da apposito procedimento di messa in mora, nelle
 materie  di  competenza  regionale, in violazione degli artt. 5 e 118
 della  Costituzione.  Per quanto riguarda l'attuazione preventiva con
 regolamento ministeriale, poi, essa  e'  ancora  piu'  illegittima  e
 insidiosa.  Per  la  sua  natura  normativa,  infatti, il regolamento
 ministeriale e' idoneo a interferire - lesivamente - con la  potesta'
 legislativa   regionale   garantita   dagli   artt.  5  e  117  della
 Costituzione,  compromettendo  la  posizione   costituzionale   delle
 regioni. La sua "cedevolezza" (per giunta non espressamente stabilita
 dalla  legge  impugnata)  non  elimina ovviamente il vizio, poiche' -
 come si e' dimostrato - lo  Stato  puo'  intervenire  preventivamente
 solo  nel rispetto di ben precise garanzie procedurali. A ben vedere,
 con la sent. n.  126  del  1996,  l'ecc.ma  Corte  ha  elaborato  per
 l'attuazione  diretta  delle  norme  comunitarie da parte dello Stato
 principi coerenti con quelli da applicarsi alla funzione di indirizzo
 e coordinamento.  Tale funzione, ai sensi dell'art. 9, comma 6, legge
 n. 86 del 1989, puo' trovare espressione in una legge o  atto  avente
 forza  di  legge,  ovvero, sulla base di una legge comunitaria, in un
 regolamento adottato ai sensi dell'art. 17, comma 2, legge n. 400 del
 1988, ovvero ancora in una deliberazione del Consiglio dei  Ministri,
 adottata  su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri o del
 Ministro per il coordinamento delle politiche  comunitarie,  d'intesa
 con i Ministri competenti, ma non certo in regolamenti ministeriali o
 atti  amministrativi  come  quelli di cui all'art. 4, legge n. 25 del
 1999. Quando si opera  in  materie  di  competenza  regionale,  tanto
 nell'attuazione  diretta, quanto nell'indirizzo e coordinamento, sono
 il Parlamento o il Governo  nella  sua  espressione  di  vertice  che
 possono legittimamente intervenire, non il singolo ministro.
   5. - I vizi sopra evidenziati appaiono ancor piu' gravi, se solo si
 riflette  su  cio'  che  il  ruolo  delle  regioni  nel  processo  di
 attuazione  comunitaria  e'  stato  oggi  riconosciuto  dallo  stesso
 legislatore  statale  con ben maggiore chiarezza che in passato. Come
 stabilisce l'art.  9, commi 2, 3 e 4 della legge n. 86 del 1989,  nel
 testo  modificata  dalla  legge  n.  128  del  1998, le regioni nelle
 materie di competenza concorrente possono dare  attuazione  immediata
 alle   direttive   comunitarie   con   l'unico  limite  rappresentato
 dall'obbligo di  rispettare  le  indicazioni  derivanti  dalla  legge
 comunitaria  o  da  altra  legge dello Stato circa le disposizioni di
 principio cui non e' possibile derogare e che prevalgono anche  sulle
 contrarie  disposizioni  legislative gia' emanate dalle regioni. Solo
 in mancanza degli atti normativi della regione trovano  applicazione,
 anche  nelle  materie  di  cui  all'art.  117  della Costituzione, le
 disposizioni dettate  per  l'adempimento  degli  obblighi  comunitari
 dalla  legge  dello  Stato  o  da  eventuale  regolamento governativo
 autorizzato. Cio' significa che lo  stesso  legislatore  statale,  in
 sede di definizione delle regole generali dell'attuazione del diritto
 comunitario, ha espressamente negato la possibilita' di un intervento
 amministrativo  (o  regolamentare  non  governativo)  in  materie  di
 competenza regionale, ancorche' manchino leggi  regionali  attuative.
 Di  qui  l'irragionevolezza e l'incoerenza della normativa censurata,
 che risulta pertanto violativa dell'art.  3  della  Costituzione,  in
 riferimento  (in  ragione della conseguente lesione delle prerogative
 regionali) agli artt.  5,  117  e  118.  Violato,  peraltro,  risulta
 (sempre  in  riferimento  agli  artt.   5, 117 e 118) anche l'art. 11
 della Costituzione, atteso che esso permette allo Stato di consentire
 limitazioni di sovranita', ma nel rispetto dei principi  fondamentali
 della  Costituzione,  tra  i  quali  vanno  annoverati quelli posti a
 presidio delle autonomie regionali.
                               P. Q. M.
   Si chiede che l'ecc.ma Corte costituzionale voglia, in accoglimento
 del  presente  ricorso,  dichiarare  l'illegittimita'  costituzionale
 della  legge  5  febbraio  1999,  n.  25,  recante  "Disposizioni per
 l'adempimento di  obblighi  derivanti  dall'appartenenza  dell'Italia
 alle  comunita'  europee  -  legge comunitaria 1998", con particolare
 riguardo all'art.  4.
     Milano-Roma, addi' 12 marzo 1999.
          Avv. Massimo Luciani - avv. Giuseppe Franco Ferrari
 99C0297