N. 324 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 marzo 1999

                                N. 324
  Ordinanza emessa il 26 marzo 1999 dalla Corte di assise di S.  Maria
 Capua  Vetere  nel procedimento penale a carico di De Luca Corrado ed
 altri
 Processo penale - Misure cautelari personali - Custodia cautelare  in
    carcere  -  Durata massima - Limite complessivo e limite di fase -
    Ipotesi di decorrenza ex novo dei termini in seguito a regressione
    del procedimento o rinvio ad altro giudice - Perdita di  efficacia
    della  misura  solo  nel caso di superamento del termine di durata
    complessivo  e  non  anche  nel caso di superamento del doppio del
    termine  di  fase  -  Disparita'  di  trattamento  rispetto   alla
    disciplina  dei casi di sospensione dei termini di custodia di cui
    all'art. 304, comma 6, cod. proc. pen.).
 (C.P.P. 1988, art. 303, comma 4).
 (Cost., art. 3).
(GU n.23 del 9-6-1999 )
                             IL TRIBUNALE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza:
     lette le istanze, con le quali si chiede di dichiarare la perdita
 di  efficacia  della  misura  restrittiva,  ai  sensi  del  combinato
 disposto  degli artt. 303, 304 comma 6 c.p.p., e alla luce della nota
 sentenza  della  Corte   costituzionale   n.   292/1998,   presentate
 nell'interesse  di De Luca Corrado, Leccia Pasquale, Pezzella Nicola,
 Pezzella Francesco,  Russo  Giuseppe,  Ferraiuolo  Alfonso,  Apicella
 Pasquale,  Basco  Antonio,  D'Alessandro  Cipriano,  Diana  Raffaele,
 Martinelli  Enrico,  Zara  Alfredo,  Panaro  Sebastiano,   Carannante
 Francesco,  Della  Corte Vincenzo, Venosa Raffaele, Venosa Salvatore,
 Venosa Umberto, Venosa  Luigi,  Picca  Aldo,  Lanza  Benito,  Alfiero
 Vincenzo,  Conte  Andrea,  Pellegrino  Valentino,  Schiavone  Saverio
 Paolo, Iovine Mario, Vargas Pasquale, Cacciapuoti Alfonso, Compagnone
 Francesco, Basile Luigi, Orvino Ulderico, De Falco Antonio, Mauriello
 Francesco e Reccia Stefano;
   Visto il parere contrario del p.m.;
   Premesso che, con due separati provvedimenti,  entrambi  emessi  in
 data 23 novembre 1998, il tribunale di Napoli - sez. XII del riesame,
 in qualita' di giudice d'appello, evidenziava che: "... non e' dubbio
 che   nella   specie,   a  seguito  della  sentenza  di  incompetenza
 pronunciata dalla Corte di assise di  Napoli,  si  e'  verificata  la
 regressione  del procedimento nella fase delle indagini preliminari e
 la nuova decorrenza del termine dell custodia  cautelare  relativo  a
 tale  fase, secondo quanto previsto dall'art. 303/2 c.p.p.". La norma
 citata  dispone,  infatti,  che  "nel  caso  in  cui,  a  seguito  di
 annullamento  con  rinvio  da  parte  della Corte di cassazione o per
 altra causa, il procedimento regredisca a una fase o a  un  grado  di
 giudizio diversi ovvero sia rinviato ad altro giudice, dalla data del
 provvedimento  che  dispone  il  regresso  o  il  rinvio ovvero dalla
 sopravvenuta esecuzione della custodia cautelare decorrono di nuovo i
 termini previsti dal comma 1 relativamente a ciascuno stato  e  grado
 del procedimento".
   La  previsione  dell'art.  303/2  era  stata  piu' volte oggetto di
 questioni  di  incostituzionalita',  sempre  ritenute  manifestamente
 infondate   dalla   Corte   di   cassazione.  Si  era  affermato,  in
 particolare;   che   la   norma,   nel   parificare,   agli   effetti
 dell'allungamento   del   termine   di   fase,   la  regressione  del
 procedimento  per  nullita'  (anche  nel  caso  di  gravi   vizi   di
 costituzione delle parti) alle altre ipotesi di regressione stabilite
 dalla  legge,  non  contrasta  con  i principi di ragionevolezza e di
 uguaglianza (art.  3  Cost.),  poiche'  essa  intende  in  ogni  caso
 bilanciare  le  conseguenze  negative  del  riprendere ex novo l'iter
 processuale con il permanere delle  esigenze  cautelari,  consentendo
 l'allungamento  del  termine di fase, ma comunque entro il termine di
 durata complessiva della custodia stabilito dall'art.  303/4  (Cass.,
 sez.   VI,  n.  915/1993,  Esposito);  che  non  sussiste  violazione
 dell'art. 13, ultimo comma, Cost., in quanto la norma  costituzionale
 impone  che  la  legge  ordinaria  stabilisca,  per  il completamento
 dell'intero  procedimento,  il  limite  massimo   alla   carcerazione
 preventiva,  ma non esige anche che sia fissato altro limite parziale
 interno a ciascuna fase del procedimento stesso (Cass., sez.  VI,  n.
 3525/1993,  Massida); che non sussiste violazione degli artt. 13 e 24
 Cost. perche', da un lato, e'  comunque  previsto  un  tetto  massimo
 della  custodia  cautelare,  conformemente a quanto dispone l'art. 13
 Cost., che riserva alla discrezionalita' del legislatore ordinario  i
 casi  e  i  modi  della  detenzione  e,  in  genere, di ogni forma di
 restrizione della liberta' personale e, dall'altro,  non  puo'  farsi
 commistione  tra  il  diritto  di  difesa inviolabile in ogni stato e
 grado del procedimento, che consente di eccepire una  nullita',  e  i
 riflessi  che  il  suo  esercizio  puo' avere in materia di liberta',
 essendo rimessa alla discrezionalita' difensiva la valutazione  della
 convenienza  di  esercitare,  o meno, una certa facolta', anhe per le
 implicazioni, le conseguenze e  le  interferenze  di  fatto  in  ogni
 direzione  (Cass.,  sez.  I,  n. 421/1994, Gigliotti ed altri; Cass.,
 sez. I, n. 1431/1996, Affuso, ha poi escluso la  sussistenza  di  una
 violazione  dell'art.  76  Cost., per eccesso di delega rispetto alla
 direttiva n. 61 dell'art. 2 della legge 16 febbraio 1987, n. 81).
   Peraltro, con ordinanza 22 novembre 1996  il  tribunale  di  Reggio
 Calabria, in funzione di giudice di appello de libertate, rilevava di
 ufficio "questione di costituzionalita' dell'art. 303/4 c.p.p., nella
 parte  in  cui  non  prevede  che,  oltre  al superamento del termine
 complessivo, possa essere causa di scarcerazione anche il superamento
 del doppio termine di fase,  allorche'  si  verifichi  la  situazione
 descritta nel comma 2 di detto art. 303".
   Nel  caso  che  dava  occasione  alla  questione vi erano state due
 successive regressioni del procedimento  nella  fase  delle  indagini
 preliminari,  a  seguito  di  sentenze  di  incompetenza, e la difesa
 istante aveva invocato l'applicazione dell'art. 304/6, rilevando  che
 dalla data dell'arresto degli imputati alla data dell'ultimo rinvio a
 giudizio  era  decorso  un  periodo  di tempo superiore al doppio del
 termine di fase. Il g.i.p., competente a decidere, aveva rigettato la
 richiesta di  scarcerazione  sul  rilievo  che  la  situazione  degli
 imputati  era disciplinata unicamente dai commi 2 e 4 dell'art. 303 e
 non anche dall'art. 304.
   Con l'atto di appello la difesa aveva riproposto  la  questione  al
 tribunale   e   nella  discussione  aveva  poi  in  via  subordinata,
 denunciato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 304/6 in  quanto
 applicabile  al  solo  caso di sospensione dei termini e non anche ai
 casi di regressione,  con  conseguente  irragionevole  disparita'  di
 trattamento.  ll  tribunale  di  Reggio  Calabria  con l'ordinanza di
 rimessione rilevava che la questione  era  mal  posta  dalla  difesa,
 poiche'  la  fattispecie  del  regresso  "e' disciplinata dalle norme
 contenute nell'art. 303 c.p.p., e non da quelle  contenute  nell'art.
 304   c.p.p.   ...  ogni  riferimento  all'art.  304  c.p.p.  e'  ...
 inconferente, poiche'  disciplina  situazioni  affatto  differenti...
 attiene  all'istituto  della  sospensione  del  termine  di  custodia
 cautelare ed ai suoi limiti cronologici".
   Peraltro, anche il tribunale riteneva irragionevole  la  disparita'
 di disciplina tra istituti - quali appunto la sospensione dei termini
 e  la  interruzione  dovuta a regressione o rinvio del procedimento -
 che presentano una  "sostanziale  omogeneita'"  in  quanto  "entrambi
 rappresentano  degli  accidenti  che  si  verificano  nel cammino del
 procedimento, perlopiu' indipendenti dalla  volonta'  dell'imputato";
 pertanto  sollevava  la  questione  di  costituzionalita' nei termini
 sopra riportati (v.  ord. 22 novembre 1996,  trib.  Reggio  Calabria,
 Ardizzone  ed altro nella Gazzetta Ufficiale n. 45/1997 - prima serie
 speciale - 756).
   La Corte costituzionale con la sentenza n. 292/1998  ha  dichiarato
 la   questione   non   fondata,   affermando  in  motivazione  che  -
 contrariamente a quanto ritenuto dal giudice a quo - "il  superamento
 di  un  periodo di custodia pari al doppio del termine stabito per la
 fase presa in considerazione, determina la perdita di efficacia della
 custodia  anche  se  quei  termini...  sono  cominciati  a  decorrere
 nuovamente  a  seguito  della  regressione  del  processo". La Corte,
 infatti, ha ritenuto che il "limite finale" di durata della  custodia
 cautelare  nelle singole fasi, fissato dell'art. 304/6 nel doppio del
 termine di fase, trovi applicazione non solo nei casi di  sospensione
 dei  termini,  come sembrerebbe indicare le collocazione delle norma,
 ma anche in quelli  di  proroga  o  di  interruzione  determinata  da
 regressione o rinvio del procedimento ad altro giudice.
    Contrariamente   e   quanto  sostiene  la  difesa  appellante,  le
 soluzione intepretativa adottata dalla Corte  costituzionale  non  e'
 giuridicamente vincolante nel presente procedimento.
    Le  sentenze  interpretative di rigetto della Corte costituzionale
 non sono infatti munite,  dell'efficacia  erga  omnes  propria  delle
 decisioni   con   le   quali   viene   dichiarata,   l'illegittimita'
 costituzionale di una disposizione di  legge,  per  cui  assumono  il
 valore  di  mero precedente, certamente autorevole, ma non vincolante
 per il giudice (ss.uu. nn. 930/1996, Clarke, e 21/1998, Gallieri).
   Nel caso della sentenza n. 292/1998, la soluzione interpretativa  -
 ispirata   dall'intento   di  superare  la  denunciata  irragionevole
 disparita' di disciplina tra i casi di  sospensione  dei  termini  di
 custodia  e  quelli  di  interruzione  dovuta a regresso o rinvio del
 procedimento - finisce per creare una omogeneita' di  disciplina  tra
 tali  casi,  nei  quali l'allungamento della durata della custodia e'
 per lo piu' indipendente dalla volonta' dell'imputato, e quello della
 evasione, nel quale l'allungamento deriva  invece  dal  comportamento
 dell'imputato,  per  di  piu'  penalmente illecito. Nella sentenza n.
 292/1998, in verita',  non  vi  e'  menzione  del  caso  di  evasione
 dell'imputato,  ma  anch'esso  rientra  tra  "i fenomeni che comunque
 possono interferire con la disciplina dei termini di fase", ai  quali
 tutti  si  riferirebbe  il  "limite finale" di cui all'art. 304/6, e,
 d'altro canto, l'art. 303/3  e'  espressamente  richiamato  dall'art.
 304/6.
   Anche  prescindendo da tale rilievo, il Collegio ritiene di doversi
 discostare dalla soluzione interpretativa, pur  cosi'  autorevolmente
 indicata, per ragioni che attengono alla origine e alla ragione della
 norma   di   cui   all'articolo   304/3,  alla  sua  collocazione  e,
 soprattutto, alla sua letterale formulazione.
   Invero, l'esigenza di introdurre un "limite finale" di durata della
 custodia cautelare e' stata  avvertita  dal  legislatore  proprio  in
 relazione  all'istituto  della sospensione dei termini, che nelle sue
 concrete applicazioni avrebbe potuto determinare la  quiescenza  sine
 die   del   decorso   dei   termini.  Il  "limite  finale"  e'  stato
 originariamente  introdotto  per le durata complessiva della custodia
 cautelare (art.  272/9 c.p.p. abrogato; art. 304/4 e nuovo c.p.p. nel
 testo  vigente  anteriormente  alla  legge  n.  532/1995)  e  la  sua
 collocazione  (subito  dopo  le norme sulla sospensione dei termini e
 nel nuovo codice proprio dell'articolo intitolato  alla  sospensione)
 rende chiara l'intenzione del legislatore nel senso sopra indicato.
   Prima  dell'entrata  in  vigore  della  legge  n. 532/1995 non pare
 fosse, in realta', neppure ipotizzabile  l'applicazione  del  "limite
 finale"  ai  casi  del  regresso o del rinvio del procedimento (salvo
 quando - beninteso - dopo tali vicende  fosse  intervenuta  anche  le
 sospensione    dei    termini):    infatti,   nel   codice   abrogato
 l'irragionevole prolungamento della custodia nei casi di  regressione
 o  rinvio  del  procedimento, disciplinati dal comma quinto dell'art.
 272 era assicurato dalla specifica previsione del comma  sesto  dello
 stesso  articolo  che  fissava  limiti  massimi di durata complessiva
 della custodia inferiori al "limite finale" di cui al comma nono; nel
 nuovo codice, anteriormente alla legge  n.  532/1995,  i  termini  di
 durata   complessiva   della  custodia  previsti  dall'art.  303/4  -
 applicabili nei casi di regressione  o  rinvio  de'l  procedimento  -
 risultavano  sempre  inferiori  al  "limite  finale"  di cui all'art.
 304/4.
   Cade, quindi, l'argomento "storico" prospettato per  sostenere  che
 il  "limite  finale"  abbia  portata  non  circoscritta  ai  casi  di
 sospensione dei termini.
   L'art. 15/1 della legge  n.  532/1995,  nel  riformulare  il  testo
 dell'art.    304,  ha  introdotto  un "limite finale" di durate della
 custodia anche per le singole fasi (il doppio dei termini di fase)  e
 ha  piu'  favorevolmente  disciplinato  il  "limite finale" di durata
 complessiva della custodia, prevedendo che questa non puo' superare i
 termini di cui all'art.  303/4 aumentati della  meta'  e  richiamando
 comunque  il  previgente  "limite"  (due terzi del massimo della pena
 temporanea), da applicarsi pero' solo se piu' favorevole.
   Che tali previsioni riguardino unicamente i casi di sospensione dei
 termini  della  custodia  si  dovrebbe  desumere  dalla  scelta   del
 Legislatore  di tener ferma la collocazione della norma nell'articolo
 dedicato appunto alla sospensione. Ne' pare che  l'uso  dell'avverbio
 "comunque"  nell'art.  304/6 confermi l'ipotesi che i "limiti finali"
 siano riferiti a tutti i fenomeni  che  possono  interferire  con  la
 disciplina  dei  termini,  e  percio'  anche  ai  casi di proroga dei
 termini e regressione del procedimento. Ben puo' ritenersi,  infatti,
 che  l'avverbio  valga  invece  a sottolineare la correlazione tra la
 norma sui "limiti finali" e tutte le varie ipotesi di sospensione dei
 termini previste nei cinque commi che precedono, nel senso cioe'  che
 i limiti operano quale che sia la causa della sospensione.
   Ma  vi  e'  una ragione ulteriore e decisiva che induce a escludere
 che il "limite finale" di cui all'art. 304/6 sia riferibile  ai  casi
 di regressione o rinvio del procedimento.
   Occorre  infatti  considerare  che  l'art.  304/6,  come sostituito
 dall'art.  15/1 della legge n. 332/1995,  fissa  il  "limite  finale"
 relativo alla fase disponendo che "la durata della custodia cautelare
 non  puo'  comunque superare il doppio dei termini previsti dall'art.
 303, commi 1, 2 e 3". La norma, dunque, richiama espressamente i casi
 di regressione o rinvio del procedimento e il caso di  evasione,  nei
 quali   i   termini  decorrono  ex  novo,  e  la  previsione  risulta
 perfettamente  giustificata  anche  per  chi  ritenga,  come  qui  si
 sostiene, che l'art. 304/6 si applichi solo in  caso  di  sospensione
 dei  termini:  infatti,  ben  puo'  darsi il caso che il procedimento
 regredisca nella fase del giudizio e intervenga poi  sospensione  dei
 termini di custodia.
    Orbene, il significato del richiamo dell'art. 304/6 ai commi 2 e 3
 dell'art. 303 non puo' che essere queIlo di confermare, anche ai fini
 della  individuazione  del  "limite  finale" di durata della custodia
 nella fase, la diversa decorrenza dei termini nei casi del regresso o
 rinvio del procedimento e  della  evasione.  Cio'  comporta  che,  ad
 esempio,  regredito  il procedimento nella fase del giudizio di primo
 grado ed essendo stati poi sospesi i termini, la  custodia  cautelare
 non  potra' superare il doppio del termine di fase, calcolato pero' a
 partire dalla data del provvedimento che ha disposto  il  regresso  e
 non   dall'emissione  del  provvedimento  che  originariamente  aveva
 disposto il giudizio (in tal senso si e'  pronunciata  la  1  sezione
 della  Corte  di cassazione, con sentenza n. 1063/1996, Sarno, che ha
 confermato l'orientamento espresso da questo tribunale,  IV  sezione,
 con ordinanza ex art. 310 c.p.p. in data 21 dicembre 1995).
   Se  il  legislatore del '95 avesse inteso anche equiparare, ai fini
 della individuazione del "limite finale"  di  durata  della  custodia
 nella  fase, le situazioni di regresso o rinvio del procedimento e di
 evasione alle altre, si sarebbe limitato a prevedere che  "la  durata
 della  custodia  cautelare  non  puo' comunque superare il doppio dei
 termini  previsti  dall'art.  303,  comma   1   ...",   eventualmente
 aggiungendo, per maggior chiarezza: "anche nei casi di cui ai commi 2
 e 3 dello stesso articolo".
   Il  dato  testuale  appare dunque chiaro e il Collegio deve tenerne
 conto, poiche' nell'applicare la legge non si puo' ad essa attribuire
 altro senso che quello fatto  palese  dal  signficato  proprio  delle
 parole,  secondo  la  connessione  di  esse,  e  dalla intenzione del
 legislatore".
   Peraltro,   la   conclusione   cui   si   e'   pervenuti    esclude
 incontestabilmente  che  il "limite finale" di cui all'art. 304/6 sia
 riferibile anche ai casi di regressione o rinvio del  procedimento  e
 di  evasione, per la semplice ragione che, se in tali casi il "limite
 finale" di durata della custodia nella fase va computato, come si  e'
 detto, a partire dal momento di nuova decorrenza del termine indicato
 per  ciascuna  delle  ipotesi dai commi 2 e 3 dell'art. 303, e' ovvio
 che detto "limite finale" giammai potra' essere superato  (in  quanto
 scadrebbe  ben  prima l'ordinario termine di fase), se non intervenga
 anche la sospensione dei termini. Il  che  appunto  conferma  che  il
 "limite  finale"  di  cui  all'art. 304/6 e' riferibile unicamente ai
 casi di sospensione dei termini della custodia.
   Le sezioni unite della  Corte  di  cassazione  hanno  ripetutamente
 affermato  che,  sebbene  la sentenza interpretativa di rigetto della
 Corte costituzionale  non  sia  munita  di  efficacia  "erga  omnes",
 facendo  essa sorgere un vincolo solo nel giudizio a quo, non si puo'
 mai giungere a sostenere che per gli altri giudici la decisione della
 Corte costituzionale sia da ritenersi  inutiliter  data.  Sicche'  il
 giudice   che,   in   un   diverso   giudizio,   intenda  discostarsi
 dall'interpretazione   proposta   nella    sentenza    della    Corte
 costituzionale  non  ha  altra  alternativa  che  quella di sollevare
 ulteriormente la questione di legittimita', non potendo mai assegnare
 alla  formula  normativa un significato ritenuto incompatibile con la
 Costituzione (ss.uu. 930/1996, Clarke, e 21/1998, Gallieri).
   Il Collegio, uniformandosi  a  tale  principio,  ritiene  di  dover
 sollevare  nuovamente  la  questione  di legittimita' dell'art. 303/4
 c.p.p. per le medesime ragioni gia' disattese, all'uopo richiamando e
 facendo proprie le motivazioni dell'ordinanza 22  novembre  1996  del
 tribunale di Reggio Calabria".
   Cio'   premesso,  va  evidenziato  che  questa  Corte  si  e'  gia'
 pronunciata sulla medesima questione,  e  nel  rigettare  le  istanze
 allora  presentate,  prospetto' una diversa lettura della sentenza n.
 292/1998.
   Tale interpretazione, tuttavia, non ha trovato, almeno sino ad ora,
 alcuna conferma presso i giudici dell'impugnazione.
   Vi e' anzi da rilevare  che,  oltre  alla  sollevata  questione  di
 illegittimita'  costituzionale  sopra  riportata,  il  tribunale  del
 riesame di Napoli, nella sua  qualita'  di  giudice  di  appello,  ed
 ovviamente   in   diversa   composizione,   ha,   con   due  separati
 provvedimenti, uno dei quali relativo all'attuale procedimento (Della
 Corte Giovanni  del  19  febbraio  1999),  disatteso  le  motivazioni
 adottate  da  questa  Corte, prospettando una diversa interpretazione
 della sentenza n. 292/1998 Corte costituzionale.
   Di tali provvedimenti, peraltro, quello relativo ad Ocone  Vittorio
 del  28  settembre  1998  ha  trovato anche una ulteriore conferma da
 parte dei giudici della Cassazione, che,  nel  rigettare  il  ricorso
 proposto dalla Procura della Repubblica distrettuale, hanno condiviso
 in toto le argomentazioni adottate dal tribunale del riesame.
   Detta  situazione  non  puo' certo essere ignorata da questa Corte,
 che, pur non condividendo il merito  delle  decisioni  adottate,  non
 puo'   esimersi   dal   rilevare   come   il   menzionato   contrasto
 giurisprudenziale  crei  oggettive  incertezze  sui  contenuti  della
 sentenza  n. 292/1998, cosicche' s'impone una verifica costituzionale
 dell'assetto  normativo   vigente   alla   luce   delle   motivazioni
 dell'ordinanza  del  23 novembre 1998 della XII sezione del tribunale
 del riesame di Napoli, sopra integralmente riportate;
                               P. Q. M.
   Visto l'art. 23 della legge  n  87  dell'11  marzo  1953,  dichiara
 rilevante  -  relativamente  alle  posizioni  degli  istanti, come in
 premesa indicati, - e non manifestamente infondata "la  questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  303/4 c.p.p., nella parte in
 cui non prevede che, oltre al superamento  del  termine  complessivo,
 possa  essere  causa di scarcerazione anche il superamento del doppio
 termine di fase, allorche' si verifichi la situazione  descritta  nel
 comma 2 di detto art. 303";
   Sospende la decisione relativamente a tutte le istanze de libertate
 proposte e dispone trasmettersi gli atti alla Corte costituzionale;
   Ordina  che,  a  cura  della cancelleria, la presente ordinanza sia
 notificata agli istanti, ai loro difensori,  al  pubblico  ministero,
 nonche'  al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicata ai
 Presidenti delle due Camere del Parlamento.
     Santa Maria Capua Vetere, addi' 23 marzo 1999.
                   Il presidente: (firma illeggibile)
                             Il giudice estensore: (firma illeggibile)
 99C0557