N. 241 SENTENZA 9 - 17 giugno 1999
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Processo penale - Incompatibilita' del giudice - Partecipazione al giudizio nei confronti di un imputato del giudice che abbia pronunciato o concorso a pronunciare sentenza nei confronti di quello stesso imputato per il medesimo fatto - Divieto - Omessa previsione - Riferimento alle sentenze della Corte nn. 306, 307, 308/97, 371 del 1996 - Violazione del principio della terzieta' del giudice - Illegittimita' costituzionale. (C.P.P., art. 34, comma 2).(GU n.25 del 23-6-1999 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: dott. Renato GRANATA; Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, prof. Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, prof. Guido NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
ha pronunciato la seguente Sentenza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 9 luglio 1997 dalla Corte d'appello di Venezia, iscritta al n. 668 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell'anno 1997. Udito nella camera di consiglio del 24 marzo 1999 il giudice relatore Carlo Mezzanotte. Ritenuto in fatto Con ordinanza in data 9 luglio 1997, la Corte d'appello di Venezia, nel corso di un procedimento di ricusazione, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio nei confronti di un imputato il giudice che abbia pronunciato o concorso a pronunciare sentenza nei confronti del medesimo imputato su reato formalmente concorrente, ai sensi dell'art. 81, comma primo, cod. pen., con quello sul quale e' chiamato a decidere. Il remittente premette che la dichiarazione di ricusazione e' stata proposta nei confronti dei componenti del Tribunale di Rovigo, in quanto i fatti addebitati al ricusante (violazione della legge penale tributaria di cui all'art. 1, comma 2, lettera b), della legge 7 agosto 1982, n. 516) integrerebbero un reato in concorso formale con il delitto di bancarotta (artt. 223, in relazione all'art. 216, comma primo, numero 1, e 219 della legge fallimentare) per il quale egli e' gia' stato giudicato da quel tribunale nella medesima composizione. Il giudice a quo ricorda che il criterio della "forza della prevenzione" ha condotto questa Corte a negare che il giudice, il quale si sia pronunciato sulla res iudicanda, anche solo per valutare la sussistenza di gravi indizi di reita', possa poi pronunciare o concorrere a pronunciare sentenza nel medesimo processo, e ad affermare, con la sentenza n. 371 del 1996, l'incompatibilita' del giudice che si sia espresso in sentenza, sia pure incidenter tantum sulla posizione collegata di un terzo. A suo avviso, la situazione prospettata non potrebbe dirsi risolta dalla citata sentenza n. 371 del 1996 per un duplice ordine di ragioni: quella sentenza riguarda l'ipotesi in cui il giudice si sia espresso sulla posizione di un terzo, laddove nel caso di specie si tratterebbe di pronuncia relativa ad imputato in un precedente processo, successivamente chiamato a rispondere di reato concorrente ex art. 81, comma primo, cod. pen.; nella ipotesi in esame il giudice non si sarebbe anteriormente pronunciato incidenter sulla medesima o su una connessa imputazione, ma principaliter sulla medesima condotta oggetto della successiva res iudicanda. Secondo il remittente, la stessa ratio che ha ispirato la sentenza n. 371 del 1996 ricorrerebbe nel caso di specie, poiche' i medesimi magistrati, quali membri dello stesso organo giudicante, dopo avere giudicato l'imputato su un determinato comportamento (integrante il delitto di bancarotta, per avere, quale amministratore di societa' dichiarata fallita, distratto merce per L. 74.994.000 o l'importo corrispondente a detta merce), "sono chiamati a decidere nei confronti del medesimo imputato in ordine ad un'accusa che assume come punto di riferimento fenomenico l'identico comportamento, seppure sotto un diverso profilo, per ricondurlo a un titolo di reato formalmente concorrente con quello sul quale si sono gia' pronunciati" (il reato di cui all'art. 1, comma 2, della legge n. 516 del 1982, per avere effettuato cessioni per il controvalore di L. 74.994.000, ossia esattamente le cessioni dell'identica merce, senza fatturarle e senza annotarle nelle scritture contabili obbligatorie). La Corte d'appello di Venezia osserva che, pur trattandosi di reati diversi, la prima sentenza ricomprendeva tra le imputazioni quella concernente la sottrazione della stessa somma oggetto dell'attuale imputazione e rileva che il tribunale ha fondato l'affermazione della responsabilita' dell'imputato per bancarotta sull'accertamento della mancata giacenza delle merci, la cui cessione non documentata costituisce il fulcro della nuova imputazione per violazione della legge n. 516 del 1982. Considerato in diritto 1. - L'ordinanza di rimessione ha ad oggetto l'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, del quale viene denunciata l'illegittimita' costituzionale nella parte in cui non prevede l'incompatibilita' alla funzione di giudizio per il giudice che abbia gia' pronunciato o concorso a pronunciare sentenza nei confronti del medesimo imputato in relazione a un reato formalmente concorrente, ai sensi dell'art. 81, comma primo, cod. pen., con quello su cui e' chiamato a decidere. Ad avviso del giudice a quo, la mancata previsione di una causa di incompatibilita' in una situazione in cui lo stesso giudice, dopo avere deciso su un determinato comportamento (azione od omissione), sia chiamato a decidere nei confronti del medesimo imputato "in ordine ad un'accusa che assume come punto di riferimento fenomenico l'identico comportamento, seppure sotto un diverso profilo, per ricondurlo a un titolo di reato formalmente concorrente", contrasterebbe con il principio del giusto processo, desumibile dagli artt. 3 e 24 della Costituzione, potendo il giudizio essere condizionato dalla cosiddetta "forza della prevenzione", cioe' dalla naturale tendenza a mantenere fermo un giudizio gia' espresso. 2. - La questione e' fondata. Il remittente afferma di avere gia' valutato, in una precedente sentenza, la responsabilita' penale dell'imputato, in quanto chiamato a giudicare di un reato che assume essere stato realizzato in concorso formale con altro reato oggetto del precedente giudizio e con esso, quindi, compenetrato; sicche' la sostanza costituzionalistica del quesito puo' essere ridotta nei seguenti termini: se sia consentito che uno stesso fatto venga valutato piu' volte in punto di responsabilita' penale, in successive sentenze, dallo stesso giudice nei confronti dello stesso imputato, o se, invece, una simile eventualita' sia contraria al principio del giusto processo. E in questo caso ci si deve inoltre chiedere quale debba essere l'istituto del processo penale da utilizzare per ovviare alla violazione. L'ultimo quesito, che investe l'identificazione del rimedio da impiegare, non e' stato esplicitamente posto dal remittente, il quale, sollecitando una sentenza additiva sull'art. 34 cod. proc. pen., tendente a introdurre una nuova fattispecie di incompatibilita', sembra escludere che tale rimedio possa essere ricercato soltanto nell'ambito degli istituti della astensione e della ricusazione. E tuttavia, per rendere piu' agevole l'inquadramento della ratio decidendi della presente pronuncia nell'ormai cospicuo contesto della giurisprudenza costituzionale in materia, anche questo profilo deve essere affrontato, poiche' questa Corte ha gia' piu' volte affermato che alla tutela del principio del giusto processo sono ordinate non soltanto le incompatibilita' determinate da atti compiuti nel procedimento (art. 34 cod. proc. pen.), ma anche l'astensione (art. 36) e la ricusazione (art. 37), questi ultimi istituti essendo finalizzati, al pari delle prime, alla garanzia dell'imparzialita' del giudice, intesa come terzieta', non pregiudizio. 3. - Benche' le varie figure di incompatibilita' previste dall'art. 34 siano destinate a risolversi in altrettante cause di astensione e di ricusazione, il tratto caratteristico che le accomuna, distinguendole da queste, sta nella loro vocazione ad essere assunte, a ulteriore garanzia contro il rischio di pregiudizio del giudice, come criterio di organizzazione preventiva dell'esercizio delle funzioni giurisdizionali, cosicche' il principio di indipendenza abbia uno svolgimento fisiologico e si atteggi, nel sistema processuale penale, prima ancora che come diritto delle parti ad un giudice terzo o come diritto-dovere del giudice a veder assicurata la sua posizione di terzieta', come modo d'essere della giurisdizione. Nella giurisprudenza costituzionale e' peraltro chiaro che l'esigenza di una preventiva organizzazione della terzieta' del giudice come emanazione del principio del giusto processo e' ragionevolmente assunta solo se riferita, di regola, ad un medesimo procedimento e a funzioni tipiche definibili in astratto, e non anche al concreto contenuto degli atti nei quali tali funzioni si estrinsecano (sentenze nn. 306, 307 e 308 del 1997): altrimenti, nella varieta' delle relazioni che possono instaurarsi tra procedimenti distinti, e nella molteplicita' dei contenuti che gli atti di giurisdizione sono in essi suscettibili di assumere, l'intera materia delle incompatibilita' verrebbe dispersa in una casistica senza fine, si' da rendere vano ogni tentativo di realizzare quella terzieta' in via preventiva sul piano organizzativo. 4. - A questo criterio distintivo, che, pur nella unitaria finalita' garantistica che le ispira, rende non completamente fungibili le discipline poste dagli artt. 34, da un lato, e 36 e 37 cod. proc. pen., dall'altro, la Corte si e' generalmente attenuta, giacche' nelle numerose sentenze in materia di incompatibilita' e' stata assecondata la scelta del legislatore di riferire il pregiudizio all'avvenuto esercizio di funzioni nello stesso procedimento, sul presupposto che solo in questi casi l'esigenza di terzieta' del giudice possa essere apprezzata fin dal momento della formazione dei collegi e degli uffici giudicanti, possa essere quindi soddisfatta con tempestive deroghe alle tabelle o agli ordinari criteri di assegnazione degli affari e non resti affidata soltanto all'iniziativa del singolo giudice o delle parti. Negli altri casi, nei quali il pregiudizio consegua all'esercizio di funzioni in un diverso procedimento, lo strumento di tutela del principio del giusto processo si attiene, di norma, alla sola area degli istituti dell'astensione e della ricusazione. 5. - L'anzidetta scelta sistematica, alla quale e' improntata la disciplina positiva, non e' contraddetta dalla sentenza n. 371 del 1996, nella quale il principio del giusto processo ha condotto a configurare una incompatibilita' che non consegue all'esercizio di funzioni in un medesimo procedimento, ma ad atti compiuti in un procedimento diverso, essendosi dichiarato illegittimo l'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio nei confronti di un imputato il giudice che abbia pronunciato o concorso a pronunciare una precedente sentenza nei confronti di altri soggetti, nella quale la posizione di quello stesso imputato in ordine alla sua responsabilita' penale sia gia' stata comunque valutata. Le ragioni che in quella sentenza hanno portato a disattendere il criterio sistematico risultante dal codice di procedura penale ed hanno imposto una diversa collocazione dello strumento di tutela del principio del giusto processo sono state gia' spiegate da questa Corte: di fronte all'eventualita' che un medesimo giudice - persona fisica ritornasse con una sentenza successiva su valutazioni di responsabilita' gia' compiute in una precedente sentenza penale, appariva necessario che il principio di terzieta' - non pregiudizio si dispiegasse al pieno delle sue capacita' qualificatorie, cosi' da far ritenere pregiudicanti, e quindi motivo di incompatibilita', le valutazioni espresse dal giudice in un precedente procedimento penale, che era si' formalmente diverso ma riguardava una vicenda sostanzialmente unitaria (sentenze nn. 306, 307, 308 del 1997) che avrebbe potuto, ed anzi normalmente dovrebbe, essere giudicata nel medesimo contesto processuale. In simili casi l'onere di organizzazione preventiva che si e' venuto ad imporre all'amministrazione della giustizia penale appare certo impegnativo, ma congruo rispetto all'entita' dei principi in gioco. 6. - A piu' forte ragione l'esigenza di un dispiegamento del principio del giusto processo al piu' alto grado delle sue potenzialita', e con esso l'onere di organizzazione preventiva dell'esercizio della funzione di giudizio, va affermata nella presente fattispecie. Se infatti nella sentenza n. 371 del 1996 si e' ritenuto che l'incompatibilita' debba essere estesa all'ipotesi in cui il giudice abbia pronunciato o concorso a pronunciare una precedente sentenza nella quale, per quello stesso fatto, siano state comunque compiute valutazioni incidenter tantum in ordine alla responsabilita' penale di un terzo estraneo al processo, non puo' non essere affermata, quale garanzia indefettibile della terzieta', l'incompatibilita' del giudice che in una precedente sentenza abbia gia' valutato o concorso a valutare il medesimo fatto ai fini della responsabilita' penale, non di un terzo, ma di quello stesso imputato. Deve percio' essere dichiarata l'illegittimita' costituzionale, per contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio nei confronti di un imputato il giudice che abbia gia' giudicato con sentenza quello stesso imputato per il medesimo fatto.
Per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio nei confronti di un imputato il giudice che abbia pronunciato o concorso a pronunciare sentenza nei confronti di quello stesso imputato per il medesimo fatto. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 giugno 1999. Il Presidente: Granata Il redattore: Mezzanotte Il cancelliere: Di Paola Depositata in cancelleria il 17 giugno 1999. Il direttore della cancelleria: Di Paola 99C0661