N. 385 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 febbraio 1999

                                N. 385
  Ordinanza  emessa  il  25  febbraio 1999 dal giudice per le indagini
 preliminari del tribunale di Reggio Calabria nel procedimento  penale
 a carico di Cacciola Giuseppe
 Processo   penale  -  Misure  cautelari  interdittive  -  Sospensione
    dall'esercizio di un pubblico ufficio  o  servizio  -  Obbligo  di
    interrogatorio  dell'indagato  da  parte  del  g.i.p.  prima della
    emissione del provvedimento cautelare - Disparita' di  trattamento
    rispetto  ad  ipotesi  analoghe  (in particolare art. 294 c.p.p.),
    nelle   quali   l'interrogatorio   e'   previsto   successivamente
    all'adozione del provvedimento - Incidenza sul diritto di difesa.
 (C.P.P. 1988, art. 289).
 (Cost., artt. 3 e 24).
(GU n.28 del 14-7-1999 )
                             IL TRIBUNALE
   Ritenuto  che  il  p.m.,  nell'ambito  del  procedimento  n. 531/99
 r.g.n.r., 53/99 r. g.i.p.,  avanzava  richiesta  di  applicazione  di
 misura  interdittiva  della  sospensione  dall'esercizio dai pubblici
 uffici nei confronti di Cacciola Giuseppe,  nato  a  Rosarno  (Reggio
 Calabria), il 23 agosto 1946, indagato per il reato di cui agli artt.
 81 c.p.v., 323/2 c.p.  nella qualita' di funzionario responsabile del
 reparto  scuole  secondarie  di secondo grado del Provveditorato agli
 studi di Reggio Calabria;
   Rilevato  che  la  norma  del  codice  di  rito  che  sancisce   la
 possibilita'   di   applicare  la  misura  cautelare  impone  che  il
 provvedimento del giudice sulla  richiesta  del  p.m.,  debba  essere
 preceduto,  sulla  base  della  legge  del  16  luglio  1997, n. 234,
 dall'interrogatorio degli  indagati  secondo  le  modalita'  previste
 dagli artt. 64 e 65 c.p.p.;
   Ritenuto  che,  a  giudizio  di questo g.i.p. la norma in questione
 determina, nella sua applicazione pratica, una sostanziale disparita'
 di trattamento rispetto a tutte le altre ipotesi previste dal  codice
 di  rito  relative all'applicazione di misure interdittive, posto che
 l'adempimento  imposto  al  giudice  procedente  nei  confronti   dei
 pubblici  ufficiali  o  incaricati  del  pubblico  servizio non viene
 previsto  nel  caso  di  sospensione  dall'esercizio   di   attivita'
 imprenditoriali e professionali o dalla potesta' su figli minori;
   Ritenuto che non si comprende quale sia la ratio giustificativa del
 predetto  adempimento  nella  misura in cui questo e' stato riservato
 solo ai pubblici ufficiali e agli incaricati  di  pubblico  servizio,
 posto  che lo strumento dell'interrogatorio, ove debba essere inteso,
 (e non puo' che essere inteso in tal modo),  a  garantire  l'indagato
 fornendogli la possibilita' di indicare al giudice gli elementi a sua
 discolpa,  riveste  natura  di  strumento  processuale a tutela di un
 interesse  generale  della  categoria  degli  indagati  raggiunti  da
 richiesta  di misura cautelare, e quindi dovrebbe essere garantito ad
 ogni soggetto nei cui confronti si avanza  una  richiesta  di  misura
 interdittiva,  e  non  appannaggio esclusivo della categoria indicata
 nell'art. 289 c.p.p.;
   Rilevato,  di  contro,  che  per  tutte  le  altre misure cautelari
 personali la regola vigente posta  a  tutela  dell'esigenza  esposta,
 comporta    la   collocazione   dell'interrogatorio   successivamente
 all'adozione  del  provvedimento,  e  che  lo  stesso,  inserito  nel
 contesto   temporale   indicato   nell'art.   289  c.p.p.,  determina
 disarmonia fra le parti del processo;
   Considerato che:
     a) la contestazione dei singoli  addebiti  e  degli  elementi  di
 prova  che  hanno  supponato  il provvedimento costituiscono atti che
 sono gia' a conoscenza  dell'indagato  perche'  trasfusi  nel  titolo
 cautelare,  mentre  invece,  nel caso in cui l'interrogatorio venisse
 adottato prima della sua  emissione,  la  segretezza  degli  atti  di
 indagine non sarebbe piu' tutelata;
     b)  imporre  al  g.i.p.  di  procedere all'espletamento del mezzo
 istruttorio comporta che l'indagato  viene  messo  in  condizioni  di
 sapere  che nei suoi confronti pende una richiesta di applicazione di
 misura cautelare, per cui, se e' vero che anche per  le  interdittive
 si  presenta il problema della tutela delle esigenze cautelari di cui
 alle lettere a), b) e c) dell'art. 274 c.p.p., l'adempimento  imposto
 aumenta  in  via  esponenziale  le possibilita' che costui possa, nel
 periodo  ricompreso  fra  il  ricevimento  dell'avviso   dell'udienza
 camerale   e   l'effettiva  eventuale  emissione  del  provvedimento,
 adoperarsi per inquinamenti probatori, continuare nella  reiterazione
 del   reato,  o  rendersi  non  reperibile,  finendo  col  vanificare
 sostanzialmente le finalita' che la misura richiesta si  prefigge  di
 raggiungere.
   L'attribuzione  dell'obbligo  di  interrogare  fatta  al g.i.p. nei
 termini anzidetti determina quindi un  effettivo  squilibrio  fra  le
 parti  perche'  si  mette  l'indagato  in  condizione di conoscere in
 anticipo la determinazione del p.m., venendosi  cosi'  ad  introdurre
 nel  sistema  processuale  un elemento di pariteticita' in un settore
 per il quale non e' logicamente pensabile una condizione  di  parita'
 fra le parti.
   Infatti,  se  il  potere  di incidere sulla liberta' dei consociati
 attraverso  provvedimenti  coercitivi  o   interdittivi,   e'   stato
 conferito  dal  legislatore  dell'89  al  p.m.  e  al  g.i.p.  in via
 esclusiva, senza contraddittorio fra le parti, cio' vuol dire che  in
 tale settore sono state ritenute prevalenti, com'e' doveroso che sia,
 sulle esigenze di contraddittorio, quelle attinenti alla salvaguardia
 di  interessi  della collettivita', per cui per tale fase e' evidente
 che il legislatore non ha inteso garantire pari posizione alle parti.
   Orbene, se da  un  lato  si  deve  riconoscere  che  introdurre  la
 previsione dell'interrogatorio prima dell'emissione del provvedimento
 cautelare  potrebbe  far  pensare ad un riequilibrio fra le parti del
 processo,  a  ben  intendere   va   rilevato   che   trattasi   della
 realizzazione  di  una  parita'  non  prevista  dal  sistema, che non
 costituisce principio generale del processo penale, che, lo  si  deve
 ribadire,  in  materia cautelare non potra' mai sussistere perche' la
 potesta' di  attivare  in  capo  al  g.i.p.  l'esercizio  del  potere
 coercitivo e' facolta' che non puo' prevedere alcun potere oppositivo
 idoneo ad inibire l'azione in capo alla controparte.
   Infatti  solo  attraverso  tale  cautela e' possibile assicurare la
 salvaguardia delle esigenze di cui si e' dianzi discusso, e cio'  nel
 rispetto   di  un'ottica  che  deve  privilegiare,  e  non  puo'  non
 privilegiare, la protezione di interessi di prevenzione speciale e di
 salvaguardia di beni rilevanti della collettivita', in nome dei quali
 appare   giustificata   la   traslazione  in  un  momento  successivo
 dell'intervento    della    difesa,    investita,     successivamente
 all'emissione  del titolo, di strumenti idonei a contrastare l'azione
 del p.m., idonei ad assicurarne la caducazione,  ove  gli  organi  di
 controllo  non verifichino la sussistenza delle condizioni per la sua
 legittima emissione.
   E' conferma di tale argomentazione la circostanza  che  l'art.  294
 c.p.p.,  prevede sia per la custodia cautelare (294/1 c.p.p.) che per
 le altre misure,  "coercitive  ed  interdittive"  (294/1-bis  c.p.p.)
 l'interrogatorio  dopo  l'esecuzione  del  provvedimento  o della sua
 notificazione. Se si ritiene che la ratio di tale tipo di adempimento
 imposto al giudice per tutti i tipi di misura  cautelare  sia  ancora
 quella  di  dare  all'indagato  la  possibilita' di illustrare le sue
 difese, non potra' non concludersi che la previsione  introdotta  con
 la  novella  del '97 introduce in un sistema improntato su criteri di
 razionalita' ed equilibrio non solo  un  elemento  di  disarmonia  ma
 anche   di   irrazionalita',  scaturente  dalla  constatazione  della
 circostanza che la duplicazione  dell'adempimento  non  trova  alcuna
 giustificazione e ragione logica.
   La  disarmonia  si  riflette  anche  rispetto  alle posizioni degli
 indagati raggiunti da misure diverse da quelle previste dall'art. 289
 c.p.p., anzi rispetto a tali soggetti e' manifesta la  disparita'  di
 trattamento  lesiva  del principio costituzionale di uguaglianza e di
 difesa: e' evidente infatti che mentre  colui  che  e'  sottoposto  a
 custodia  in  carcere,  arresti  domiciliari,  obbligo  di  dimora, o
 sospensione della potesta' o dall'esercizio di funzioni professionali
 o imprenditoriali gode della  possibilita'  di  interloquire  con  il
 g.i.p.   attraverso   l'interrogatorio   solo  dopo  l'emissione  del
 provvedimento, tale limitazione  non  e'  prevista  per  il  pubblico
 ufficiale  o  per l'incaricato di pubblico servizio, categorie per le
 quali, secondo lo schema attuale delle normativa vigente, la facolta'
 di chiarire la propria posizione viene concessa sia  prima  che  dopo
 l'adozione del titolo, venendosi cosi' a creare, come gia' accennato,
 una  duplicazione dello stesso adempimento istruttorio non supportata
 da nessuna esigenza processuale reale.
   E ancora, sempre in virtu' della previsione di legge esaminata,  si
 viene   a  determinare,  sempre  a  favore  della  stessa  categoria,
 l'indubbio beneficio di  apprendere  della  misura  prima  della  sua
 emissione,  il che, a prescindere dai gia' evidenziati riflessi sulle
 esigenze cautelari, pone comunque tali indagati in una  posizione  di
 maggiore  favore  rispetto  a tutti gli altri, in quanto a quel punto
 essi sono messi in condizione  di  interloquire  sull'adozione  della
 misura, presentando al giudice istanze, memorie e documentazione tesa
 a  scardinare  la  ricostruzione del p.m. facolta' che invece restano
 precluse per tutti gli altri, legittimati ad adoperare tali strumenti
 solo  dopo   l'adozione   della   misura,   e   cio'   si   evidenzia
 paradossalmente  anche  nel  caso  in cui la misura coercitiva incida
 sulla liberta' personale con il massimo dei  vincoli,  quando  cioe',
 seguendo la logica che dovrebbe aver mosso il legislatore del '97, si
 sarebbe  dovuto evidenziare con maggior pregnanza rispetto al caso di
 applicazione di semplice misura  interdittiva,  l'esigenza  da  parte
 dell'indagato  di essere interrogato dal giudice, potendo in astratto
 tale  strumento fornire allo stesso elementi tali da far venir meno i
 presupposti per l'applicazione di  un  provvedimento  restrittivo  di
 cosi elevata invasivita'.
   Quel che in definitiva si mira a sottolineare e' che l'introduzione
 della   norma   di  cui  si  tratta  determina  nell'odierno  sistema
 processuale non solo evidenti e manifeste disparita'  di  trattamento
 nell'ambito  della categoria degli indagati raggiunti da richieste di
 provvedimenti cautelari, ma introduce anche all'interno dello  stesso
 un  principio  non  armonizzabile con i criteri che hanno ispirato il
 legislatore  nella  redazione  delle  norme  relative   alle   misure
 cautelari.
   Appare  pertanto  opportuno  investire  il  giudice delle leggi del
 giudizio sulla conformita' della previsione rispetto ai  principi  di
 uguaglianza  e  difesa  previsti  agli  artt.  3  e  24  della  Carta
 costituzionale, ritenuta la rilevanza della questione  rispetto  alla
 decisione  da  adottare,  non potendosi prescindere dall'applicazione
 della norma, censurata nei profili esposti, rispetto  alla  soluzione
 della  questione  di cui il g.i.p. e' stato investito dal p.m. con la
 richiesta di applicazione della  misura  interdittiva  nei  confronti
 degli indagati.
                                P. Q. M.
   Ritenuta  l'impossibilita'  di  procedere sulla richiesta cautelare
 indipendentemente dalla risoluzione della questione proposta;
   Solleva questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  289
 c.p.p.   nella   parte   in   cui   impone  al  g.i.p.  di  procedere
 all'interrogatorio dell'indagato ai sensi degli artt. 64 e 65 c.p.p.,
 prima di  decidere  sulla  richiesta  di  applicazione  della  misura
 interdittiva  della sospensione dell'esercizio di un pubblico ufficio
 o servizio;
   Indica in tale norma, per le ragioni  esposte  in  motivazione,  il
 contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione;
   Dispone    l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale e sospende il giudizio in corso;
   Ordina che a cura della cancelleria l'ordinanza sia  notificata  al
 Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri  e comunicata ai Presidenti
 delle  due  Camere  del  Parlamento,  con  trasmissione  alla   Corte
 costituzionale    della    documentazione   di   tali   notifiche   e
 comunicazioni.
     Reggio Calabria, addi' 25 febbraio 1999.
             Il giudice per le indagini preliminari: Arena
 99C0700