N. 386 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 maggio 1999

                                N. 386
  Ordinanza emessa l'11  maggio  1999  dal  giudice  per  le  indagini
 preliminari del tribunale di Marsala nel procedimento penale a carico
 di Sparla Giuseppe
 Processo penale - Incidente probatorio - Esame delle persone imputate
    in procedimento connesso - Ricorrenza di particolari condizioni di
    necessita'   ed  urgenza  -  Esclusione  -  Conseguente  lamentato
    automatismo    del    ricorso    all'incidente    probatorio     -
    Irragionevolezza - Lesione del diritto di difesa.
 (C.P.P. 1988, art. 392, lett. d)).
 (Cost., art. 3).
(GU n.28 del 14-7-1999 )
                IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
   Rilevato  che  nel  corso  dell'udienza  preliminare  il  difensore
 dell'imputato Sparla Giuseppe ha avanzato richiesta di procedere  con
 incidente  probatorio  all'esame  di  De  Marco  Salvatore  e Gigante
 Innocenzo, che rivestono la qualifica  di  imputati  in  procedimento
 connesso.
   Considerato  che  sulla  base della disciplina vigente l'ammissione
 dell'incidente probatorio nelle ipotesi riconducibili  all'art.  392,
 lettera  d)  c.p.p. e' praticamente automatica, essendo consentito al
 giudice di verificare la sola rilevanza della prova richiesta,  senza
 alcuna possibilita' di verificarne la non rinviabilita', cio' che era
 in piena coerenza con il previgente testo dell'art. 513 c.p.p., prima
 cioe' dell'intervento della Corte costituzionale.
   Al  riguardo,  chi  scrive  condivide  pienamente  quanto osservato
 dall'altro g.i.p. presso questo tribunale, che nell'ordinanza del  20
 novembre 1998, nell'ambito del procedimento n. 10/1998 r.g., p.m., n.
 575/1998  r.g.,  g.i.p., n. 17/1999 registro delle impugnazioni della
 Corte costituzionale, ha evidenziato che: "come e' noto con la  legge
 n.   243/1997, il legislatore aveva profondamente innovato il sistema
 della valutazione delle  dichiarazioni  rese  dai  soggetti  indicati
 nell'art.  210 c.p.p. (imputati di procedimenti connessi o collegati)
 e dall'indagato/imputato su fatti concernenti la  responsabilita'  di
 altri,   prevedendo   un   complesso  normativo  che  sostanzialmente
 impedisse in via generale agli atti  aventi  contenuto  dichiarativo,
 assunti   in   assenza  di  contraddittorio,  di  assumere  rilevanza
 probatoria piena nei confronti dei chiamati in  correita',  salvo  il
 meccanismo di recupero degli stessi atti disciplinato dall'art. 512 e
 c.p.p.,   cui  ricorrere,  previa  lettura,  nel  caso  di  effettiva
 impossibilita'  di  effettuare  l'esame  in  dibattimento  dovuta   a
 circostanze imprevedibili.
   Fulcro   centrale  della  riforma  disegnata  dal  legislatore  era
 senz'altro l'art. 513 c.p.p.,  che,  come  gia'  detto,  al  fine  di
 garantire  la  formazione  della prova in dibattimento, o comunque di
 non costringere il chiamato in correita' a "subire" le  dichiarazioni
 rese  dal  presunto  correo in assenza di contraddittorio, in caso di
 rifiuto  di  rispondere  del  chiamante  nel  corso   del   giudizio,
 subordinava  la  rilevanza  delle  dichiarazioni rese nel corso delle
 indagini all'accordo delle  parti,  impedendo,  conseguentemente,  la
 rilevanza  automatica  delle  stesse,  mediante  il  meccanismo delle
 letture, previsto  dal  previgente  art.    513  c.p.p.,  cosi'  come
 modificato  dalle  sentenze della Corte costituzionale nn. 254/1992 e
 60/1995.
   Preoccupato, tuttavia, dalla  eventualita'  che  da  tale  modifica
 legislativa  potesse  derivare  un  sistema  per  effetto del quale i
 dichiaranti divenissero in molti casi arbitri del  giudizio,  con  il
 rischio  di  paralizzare  con  il  proprio  rifiuto  di rispondere il
 processo di accertamento della verita', spesso dagli stessi  attivato
 con   precedenti  dichiarazioni  accusatorie,  il  legislatore  aveva
 specularmente modificato l'art.    392  c.p.p.  (in  dottrina  si  e'
 parlato  di meccanismo risarcitorio per il p.m.) che consente tuttora
 alle    parti    (accusa    e    difesa)    di    chiedere    l'esame
 dell'indagato/imputato  su  fatti  concernenti  la responsabilita' di
 altri (lettera C) e dell'imputato/indagato di procedimento connesso o
 collegato (lettera D), in assenza di quelle circostanze  di  economia
 processuale  o  ragioni  di  urgenza  che  non consentano di rinviare
 l'atto  al  dibattimento,  che  caratterizzarono la stessa previsione
 dell'istituto dell'incidente probatorio (vedasi art. 2, n.  40  della
 legge  di  delega  per  l'emanazione  del  nuovo  codice di procedura
 penale) e che continuano a condizionare il ricorso agli  altri  mezzi
 istruttori previsti dallo stesso art. 392 (punti A, C, E, F e G).
    L'intervento   modificativo   e'   stato  realizzato  mediante  la
 soppressione, nei punti C) e D) dell'art.  392,  dell'inciso  "quando
 ricorre  una  delle circostanze previste dalle lettere A e B" sicche'
 si ritiene allo stato pacificamente che, come sopra  evidenziato,  il
 ricorso  all'incidente  probatorio, relativamente ai casi di chiamata
 in correita', sia oggi sottratto all'esistenza  di  qualsiasi  vaglio
 giudiziale,  che  non  sia  quello  della  rilevanza  ai  fini  della
 decisione dibattimentale ed al rispetto dei requisiti di forma  della
 richiesta.
    Si   e'   cioe'   costruito   un  sistema  di  automatico  ricorso
 all'incidente probatorio, in deroga alla natura stessa  dell'istituto
 previsto  come eccezionale momento anticipatorio del dibattimento, in
 presenza di particolari ragioni di urgenza o necessita', praticamente
 condizionato alla sola iniziativa di una delle  due  parti,  rispetto
 alla  quale il giudice (g.i.p. o g.u.p.) puo' solamente prendere atto
 della richiesta e fissare la relativa udienza.
   Ne' puo' costituire  elemento  ostativo  all'interpretazione  sopra
 adottata  dell'art.  392,  lettere  C) e D), il fatto che l'art. 393,
 lettera C) c.p.p. prevede che nella richiesta debbano essere  esposte
 le  circostanze  che  a  norma  dell'art.  392  rendono  la prova non
 differibile in dibattimento, e che tale norma non sia  stata  toccata
 dalla  riforma del 1997; ed infatti, proprio il richiamo all'art. 392
 c.p.p. rende evidentemente la norma in questione  inapplicabile  alle
 richieste  di  incidente  probatorio  sulle  chiamate  in  correita',
 proprio perche' i punti C) e D) della norma richiamata non  prevedono
 oggi  alcuna  condizione di urgenza o indifferibilita' necessaria per
 il ricorso all'istituto processuale in argomento  e  conseguentemente
 nessuna   giustificazione   della   richiesta   deve  essere  esposta
 nell'istanza.
   Del resto, anche la suprema Corte ha ritenuto che dopo la  modifica
 delle  lettere  C)  e  D)  dell'art.  392  c.p.p.,  possa  procedersi
 all'esame dei  chiamanti  in  correita'  "senza  che  sia  necessario
 dimostrare  (e  quindi  indicare  nella  relativa  richiesta)  che la
 persona non potra' essere esaminata nel dibattimento per infermita' o
 altro grave impedimento o che per elementi concreti e specifici vi e'
 fondato motivo di ritenere che la persona  sia  esposta  a  violenza,
 minaccia,  offerta o promessa di denaro o di altra utilita' affinche'
 non renda dichiarazioni o dichiari il falso"   (Cassaz.  sez.  I,  n.
 748/1998 in motivazione).
   Tale  dunque essendo la disciplina dell'istituto in questione, dopo
 la riforma introdotta con la legge n. 243/1997,  si  pone  oggi  come
 elemento  di  novita'  la  sentenza  della  Corte  costituzionale  n.
 361/1998 che, dichiarando la parziale  incostituzionalita'  dell'art.
 513   c.p.p.,   cosi'   come  modificato  dalla  suddetta  legge,  ha
 ridisegnato il meccanismo della valutazione delle dichiarazioni  rese
 dai soggetti indicati nell'art. 210 c.p.p. e dal dichiarante su fatti
 concernenti  le responsabilita' di altri soggetti, prevedendo in tali
 casi, e nell'ipotesi di rifiuto  di  rispondere  in  dibattimento  da
 parte del dichiarante, il ricorso al meccanismo delle contestazioni e
 del  successivo  recupero  delle  dichiarazioni precedentemente rese,
 secondo lo schema gia' previsto dal legislatore nell'art. 500,  commi
 2-bis  e  4  c.p.p.,  per  le dichiarazioni rese dai testimoni che in
 tutto  o  in  parte  omettano  di  confermare  quanto  dichiarato  in
 istruttoria.
   La sentenza della Corte, intervenendo sull'art. 513 come modificato
 dal legislatore del '97, ha sicuramente alterato il meccanismo che da
 quella  riforma  scaturiva,  lasciando  in vita solo quella parte del
 complesso di norme introdotte al fine di riequilibrare il sistema che
 sarebbe viceversa risultato fortemente squilibrato in senso  ostativo
 all'accertamento  della  verita',  risultato  cui  ogni processo deve
 necessariamente tendere.
   Deve quindi verificarsi se il sistema  che  e'  sopravvissuto  alla
 sentenza  costituzionale  n. 361/1998 sia solamente inopportuno o non
 conferente ai principi di economia processuale,  necessitando  quindi
 di  un  auspicabile  intervento  del  legislatore  che,  per  ipotesi
 potrebbe anche non arrivare, oppure giungere con estremo  ritardo,  o
 se viceversa l'art. 392, lettere C) e D), nel prevedere l'automatismo
 del  ricorso  all'incidente  probatorio  in  assenza  di  particolari
 condizioni che ne giustifichino la  richiesta,  ed  alla  luce  della
 possibilita'  introdotta  dal  giudice  delle  leggi di recuperare le
 dichiarazioni rese in istruttoria dai chiamanti in correita' mediante
 l'istituto  delle  contestazioni  previsto  dall'art.   500   c.p.p.,
 presenti   profili   di   sospetta   costituzionalita'   e   richieda
 l'intervento chiarificatore della Corte costituzionale".
   Ritenuta   non   manifestamente   infondata   la    questione    di
 costituzionalita' dell'art. 406, comma 3 c.p.p., per violazione degli
 articoli  3  della  Costituzione,  nella  parte  in cui non subordina
 l'ammissibilita' della richiesta di esame del chiamante in correita',
 nei casi di cui alla lettera D) dell'art. 392 c.p.p., alla ricorrenza
 di una delle circostanze previste dalle lettere A) e B) dello  stesso
 articolo.
   In  proposito,  non  possono  che  nuovamente  essere richiamate le
 considerazioni nell'ordinanza del g.i.p., presso questo tribunale, in
 data 20 novembre 1998:  la  possibile  violazione  del  principio  di
 uguaglianza,  previsto  dall'art.  3  della  Costituzione,  sotto  il
 profilo che l'uguaglianza  formale  implica  per  il  legislatore  la
 necessita'  di distinguere la regolamentazione di situazioni analoghe
 solo in relazione ad una finalita' legislativamente  apprezzabile.
   A tal proposito, non puo'  omettersi  di  evidenziare  che  tra  le
 dichiarazioni  dei  chiamanti in correita' e quelle dei testimoni non
 sono rilevabili differenze ontologiche,  trattandosi  in  entrambi  i
 casi  di  contributi  a  contenuto dichiarativo, aventi ad oggetto la
 descrizione  della  condotta  posta  in  essere  da  terze   persone,
 caratterizzandosi le prime unicamente per la qualifica soggettiva dei
 propalanti  (imputati/indagati di procedimenti connessi o collegati o
 nello  stesso  procedimento),  dalla  quale  deriva  il   particolare
 meccanismo di valutazione della prova previsto dall'art. 192 c.p.p.
   A  conferma  di  quanto  sopra  sostenuto,  va  detto  che  gia' il
 legislatore aveva avvicinato la disciplina processuale dei  testimoni
 a  quella  degli  imputati  di  procedimento  connesso, prevedendo la
 citazione di questi mediante le norme per i testimoni,  l'obbligo  di
 presentazione  al giudice e l'accompagnamento coattivo e che la Corte
 costituzionale, proprio nella sentenza n. 361/1998,  si  esprime  nei
 seguenti  termini  "Tali simmetrie (tra la disciplina dei testimoni e
 quella degli imputati  dichiaranti)  trovano  appunto  spiegazione  e
 giustificazione   nell'analogia   tra  le  posizioni  processuali  di
 soggetti  le  cui  dichiarazioni  sono  contraddistinte   dall'essere
 rivolte  e dall'essere destinate a valere, nei confronti di altri"; e
 la  stessa  Corte  giunge  a  ritenere  compatibile  con  il  vigente
 ordinamento  costituzionale  la  pressocche'  totale  sovrapposizione
 delle due discipline, dichiarando l'art. 513 c.p.p.  incostituzionale
 nella  parte in cui non prevede che, qualora il dichiarante rifiuti o
 comunque  ometta  in  tutto  o  in  parte  di  rispondere  su   fatti
 concernenti  la  responsabilita'  di altri gia' oggetto di precedenti
 dichiarazioni, in mancanza dell'accordo delle parti alla lettura,  si
 applica  l'art.    500,  commi 2-bis e 4 c.p.p., ovvero la disciplina
 processuale  originariamente   prevista   per   il   recupero   delle
 dichiarazioni rese dai testi in istruttoria.
    Se,  dunque,  alla  fine del percorso effettuato dal legislatore e
 dal giudice delle leggi, le discipline processuali relative ai  testi
 ed  agli imputati dichiaranti sulla responsabilita' di altri soggetti
 risultano  praticamente  sovrapponibili  (con   l'unica   differenza,
 peraltro  non  rilevante  ai  fini della valutazione della prova, che
 l'imputato ha pur sempre il diritto di  non  rispondere),  vi  e'  da
 chiedersi  perche' mai alle parti sia consentito l'accesso automatico
 all'incidente probatorio, nei casi previsti dall'art. 392, lettere C)
 e D), con conseguente emarginazione del  giudice  da  ogni  decisione
 sull'ammissibilita'  sostanziale  della  richiesta  e,  quindi, sulla
 presenza di quelle condizioni  di  indifferibilita'  ed  urgenza  che
 giustificano  negli altri casi, e quindi anche nell'ipotesi in cui si
 chieda l'esame del teste (lett. A) e B)), l'anticipazione  del  mezzo
 istruttorio rispetto alla sede naturale del dibattimento.
   Ne   consegue  il  rilievo,  sotto  il  profilo  della  valutazione
 teleologica della normativa in questione, dell'inesistenza di  alcuna
 finalita'   apprezzabile  della  disciplina  che  da  tale  normativa
 scaturisce, e dunque di un evidente elemento di irragionevolezza  del
 sistema, e piu' precisamente di una irragionevole discriminazione tra
 situazioni analoghe.
   Cio'  comporta  la  possibile lesione del principio di uguaglianza,
 inteso come canone di coerenza dell'ordinamento giuridico, cui devono
 uniformarsi pure gli istituti processuali,  tenuto  anche  conto  del
 fatto  che  la  stessa  Corte costituzionale ha riconosciuto la piena
 discrezionalita' del legislatore nella individuazione delle scansioni
 processuali, tuttavia nel rispetto del principio  di  ragionevolezza,
 si'  da  evitare  istituti  o  regole  che  possano  prestarsi ad uso
 distorto, recando in  tal  modo  lesione  all'efficiente  svolgimento
 dell'attivita'  giurisdizionale,  come  ad esempio nel caso in cui il
 ricorso ad un  istituto  processuale  quale  l'incidente  probatorio,
 studiato   come   eccezionale   e   limitato   momento  anticipatorio
 dell'attivita'  di  acquisizione  probatoria,   sia   sostanzialmente
 lasciato,  nei  casi di cui ai punti C) e D) dell'art. 392 c.p.p., ad
 una mera scelta di convenienza di una  delle  parti  e  non  ancorato
 all'esistenza  di  precise  condizioni che ne legittimino il ricorso,
 sottoposte alla valutazione del giudice".
   Ritenuto che  si  tratta  di  questione  rilevante  ai  fini  della
 decisione  sulla  richiesta  di  incidente probatorio, atteso che non
 sono stati indicati elementi  che  dimostrino  la  non  rinviabilita'
 dell'esame.
   Visto l'art. 23, legge n. 87/1953.
                               P. Q. M.
   Dichiara    non    manifestamente   infondata   la   questione   di
 costituzionalita', rispetto all'art. 3 della Costituzione,  dell'art.
 392,   lettera   d)   c.p.p.   nella   parte  in  cui  non  subordina
 l'ammissibilita' della richiesta di esame del chiamante in correita',
 nei casi suddetti, alla ricorrenza di una delle circostanze  previste
 dalle lettere A) e B) dello stesso
  articolo;
   Dispone  la  sospensione  del  procedimento  ed  ordina l'immediata
 trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, ordinando altresi'
 che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata  al
 Presidente del Consiglio dei Ministri, comunicata ai Presidenti delle
 due Camere del Parlamento e notificata al p.m. ed agli indagati.
     Marsala, addi' 11 maggio 1999.
            Il giudice per le indagini preliminari: Airoldi
 99C0701