N. 16 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 27 aprile 1999
N. 16 Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il 27 aprile 1999 (del tribunale di Palermo) Parlamento - Immunita' parlamentari - Procedimento penale pendente presso la procura della Repubblica di Palermo - Direzione distrettuale antimafia - a carico dell'on. Gaspare Giudice, indagato, con altri, per concorso in reati concernenti associazione mafiosa - Richiesta alla Camera dei deputati, da parte di detta procura, ai sensi dell'art. 68, secondo comma, della Costituzione, dell'autorizzazione alla acquisizione e alla utilizzazione dei tabulati documentanti il traffico delle utenze telefoniche in uso all'on. Giudice - Deliberazione della Camera, in data 16 luglio 1998, con la quale tale autorizzazione e' stata negata - Lesione della sfera di attribuzioni costituzionalmente garantite al p.m. in conseguenza dell'esercizio illegittimo, da parte della Camera, del potere di diniego dell'autorizzazione a procedere - Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, sollevato dalla procura di Palermo, perche' venga dichiarato che spetta al pubblico ministero l'acquisizione e l'utilizzazione dei tabulati documentanti i dati del traffico delle utenze telefoniche in uso a membri del Parlamento, sottoposti ad indagine. (Delibera della Camera dei deputati di Roma del 16 luglio 1998). (Cost., artt. 68, ultimo comma, 101, 102 e 112).(GU n.33 del 19-8-1999 )
IL PUBBLICO MINISTERO Letti gli atti del procedimento penale n. 1232/96 a carico, tra gli altri, anche di Giudice Gaspare di Giovanni e di Di Martino Maria Teresa, nato a Canicatti' il 4 marzo 1943, residente a Palermo via Croce Rossa n. 28, indagato: 1) del delitto di cui agli artt. 81 c.p.v. 416, comma 2 e 416-bis, commi 1 e 3, c.p., per aver preso parte attivamente ed in modo rilevante alle attivita' dell'associazione mafiosa Cosa Nostra - ed in particolare dell'articolazione territoriale facente capo al mandamento di Caccamo ed ai suoi principali esponenti, tra i quali Di Gesu' Lorenzo, Gaeta Giuseppe, Biondolillo Giuseppe, Giuffre' Antonino e Panzeca Giuseppe, delle famiglie di S. Maria di Gesu' e di Corso dei Mille ed ai loro principali esponenti, tra i quali Greco Carlo, Tinnirello Lorenzo, D'Agati Giovanni, Vernengo Pietro e di altri uomini d'onore, tra i quali Calo' Giuseppe - avvalendosi quindi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento ed omerta' che ne deriva per commettere delitti; per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o, comunque, il controllo di attivita' economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di appalti e servizi pubblici; per realizzare profitti e vantaggi ingiusti per se' e gli altri, mediante le seguenti principali condotte: contribuendo in modo determinante ad aiutare diversi esponenti mafiosi del mandamento di Caccamo e di altre articolazioni territoriali di Cosa Nostra - tra i quali Lorenzo Di Gesu', Pippo Calo', i fratelli Giuseppe ed Alberto Gaeta - a realizzare operazioni bancarie presso la filiale della Sicilcassa di Termini Imerese Alta, ove egli ha prestato servizio in qualita' di direttore dal 3 marzo 1980 sino al 3 ottobre 1985," finalizzate al riciclaggio ed al reimpiego del denaro proveniente dalle loro attivita' illecite; svolgendo il ruolo di intermediario tra il "gruppo Panzeca" ed il gruppo mafioso di Carlo Greco, Lorenzo Tinnirello, Giovanni D'Agati, Vernengo Pietro ed altri al fine di consentire al primo di inserirsi nel settore delle societa' nautiche nel quale il secondo era gia' integrato ed a questo di disporre dei capitali e delle risorse economiche provenienti dal primo gruppo per acquisire una posizione di egemonia; concorrendo alla gestione delle societa' nautiche Marina uno, Gente di mare ed il Salpancore in modo da preservare l'integrita' degli interessi del gruppo mafioso di Greco Carlo, impedendo che questo venisse coinvolto nella crisi economica che aveva travolto Bazan Gaspare e facendo affluire in queste societa' i capitali del "gruppo Panzeca"; strumentalizzando i propri compiti di funzionario della Sicilcassa al fine di avvantaggiare il "gruppo Panzeca", notevolmente esposto verso il predetto Istituto, mediante una serie di condotte poste in palese violazione della corretta prassi bancaria. Dal 1980 sino al 13 settembre 1982, ai sensi dell'art. 416 c p., e con le aggravanti previste dai commi 2, 4 e 5 dal 14 settembre 1982 sino ad oggi, ai sensi dell'art. 416-bis c.p. con le aggravanti di cui ai commi 4 e 6 dello stesso articolo per far parte di una associazione armata, avendo la disponibilita' di armi ed esplosivi per il conseguimento delle finalita' dell'associazione, e per avere finanziato le attivita' economiche, assunte o controllate, in tutto o in parte, con il prezzo, il prodotto o il profitto di delitti; in Termini Imerese, Caccamo, Palermo, altri comuni della provincia ed in altre localita' del territorio nazionale sino alla data odierna; 2) del delitto di cui agli artt. 110 c.p., 216, 236, r.d. 16 marzo 1942, n. 267 aggravato dall'art 7, legge 203-1991 perche' - in concorso con Bazan Gaspare, Panzeca Giuseppe e con Greco Carlo e D'Agati Giovanni, il primo quale amministratore della soc. F.lli Bazan s.n.c. esercente l'attivita' di concessionaria d'auto - operavano al fine di occultare beni di proprieta' dei fratelli Bazan Gaspare e Renato, ed in particolare le quote societarie dagli stessi posseduti nelle societa' Marina uno s.r.l. e Salpancore soc. coop. a r.l. e Gente di mare s.r.l. pregiudicando in tal modo i creditori personali e quelli insinuati nella procedura di concordato preventivo richiesto in data 14 marzo 1992 per fronteggiare la condizione di insolvenza della predetta societa' F.lli Bazan, ai quali non venivano ceduti in realta' tutti i beni personali dei Bazan ed agevolando in tal modo gli interessi di Cosa Nostra all'interno delle societa' Marina uno, Gente di mare e Salpancore ove vi erano quote facenti capo a Greco Carlo, Tinnirello Lorenzo e D'Agati Giovanni e Vernengo Pietro. In Palermo sino al 7 maggio 1993, data dell'omologazione del concordato preventivo da parte del tribunale di Palermo. 3) del delitto di cui agli artt. 81 c.p.v. e 648-bis c.p. e 7, legge n. 203/1991 perche', in concorso con Bazan Gaspare e Lo Bue Dario, con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, si attivavano al fine di acquisire l'ingresso occulto di danaro proveniente dai traffici illeciti della famiglia mafiosa di Santa Maria di Gesu' consentendone l'investimento nelle societa' Bazan s.n.c., Marina uno s.r.l., Gente di mare s.r.l. e Salpancore soc. coop a r.l. e facendo in modo di evitare che tale capitale illecito non andasse disperso nel fallimento del gruppo Bazan, sostituendo le quote di partecipazione dei Bazan con quelle del gruppo mafioso ed imprenditoriale facente capo a Panzeca Giuseppe, appartenente alla famiglia mafiosa di Caccamo, mediante l'impiego di capitali illeciti di quest'ultimo, occultato nelle forme di debito cambiario, ed operando costantemente allo scopo di agevolare le attivita' illecite di Cosa Nostra finalizzate al controllo del settore della imprenditoria nautica. In Palermo fino al mese di dicembre del 1993; 4) del delitto, di cui agli artt. 81 c.p.v. e 110 c.p., 2621 c.c. agravato dall'art. 7, legge n. 203/1991, perche' - in concorso con Bazan Gaspare tra loro nella rispettiva qualita' di amministratori di diritto e di fatto della societa' Marina uno, con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso - al fine di cedere la societa' Marina uno s.r.l. per sottrarla alle azioni di rivendica dei creditori personali dei fratelli Bazan Gaspare e Renato - rappresentavano fraudolentemente fatti non rispondenti al vero sulla situazione economica della stessa, falsificando i bilanci della societa', simulando attivita' patrimoniali inesistenti e occultando debiti verso i fornitori, nascondendo altresi' la reale partecipazione azionaria di quote appartenenti a Cosa Nostra ed in particolare a Greco Carlo, Tinnirello Lorenzo e D'Agati Giovanni. In Palermo, l'8 febbraio 1992; 5) 110, 216 e 223 legge fall. aggravata dall'art. 7, legge n. 203/1991, perche' in concorso con Bazan Gaspare e Panzeca Giuseppe e con Lanzalaco Salvatore, La Chiusa Pietro e Zappia Giuseppe, nella qualita' di amministratori di fatto e di diritto della societa' Marina uno, tenevano la contabilita' in modo da non consentire la ricostruzione delle attivita' patrimoniali della predetta societa', distraendone i beni, operando sistematicamente a danno della stessa mediante vendite sottocosto a favore di societa' riconducibili a Greco Carlo, Tinnirello Lorenzo e D'Agati Giovanni, Vernengo Pietro ed attraverso pagamenti dilazionati non corrispondenti agli interessi di mercato. In Palermo, sino al 17-18 maggio 1994, data della dichiarazione di fallimento della societa'. 6) del delitto di cui agli artt. 629, commi 1 e 2, c.p. e 7, legge n. 203/1991, perche' - in concorso con Greco Carlo, D'Agati Giovanni, Tinnirello Lorenzo, Vernengo Pietro - mediante minaccia, consistita nella presentazione da parte del Giudice del primo soggetto, all'epoca latitante per delitti di mafia, e con la richiesta da parte di questi di consegnare 500 milioni per ottenere la proprieta' della societa' Marina uno s.r.l., costringeva Lanzalaco Salvatore a subire l'estromissione di fatto dalla sua azienda gestita dal D'Agati Giovanni e dallo stesso Giudice, procurando a costoro un ingiusto profitto con grave danno del Lanzalaco, che era costretto a subire il fallimento della societa' Marina uno a causa delle operazioni di riciclaggio di cui sopra. Delitto commesso avvalendosi delle condizioni di cui all'art. 416-bis c.p. ed al fine di agevolare Cosa Nostra nella sua attivita' di controllo delle imprese locali. Palermo tra il febbraio ed il luglio 1992. P r e m e s s o che questo ufficio, in data 6 aprile 1998, richiedeva al competente giudice per le indagini preliminari l'emissione di una ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di molteplici indagati, tra i quali anche l'on. Gaspare Giudice, sottoposto ad indagini per i reati analiticamente indicati in epigrafe; che il giudice per le indagini preliminari, con provvedimento dell'8 giugno 1998, emetteva una ordinanza di custodia cautelare in carcere anche nei confronti dell'on. Giudice, riconoscendo l'esistenza dei gravi indizi di colpevolezza e la ricorrenza delle esigenze cautelari in relazione alle contestazioni mosse da questo ufficio; che questo ufficio - in ossequio alla disposizione del secondo comma dell'art. 68 della Costituzione - richiedeva alla Camera dei deputati, in data 9 giugno 1998, l'autorizzazione all'esecuzione della misura cautelare della custodia in carcere e contestualmente altresi' l'autorizzazione alla utilizzazione di conversazioni telefoniche intercettate ed alla acquisizione ed alla utilizzazione di dati del traffico telefonico relativi ad utenze in uso all'on. Giudice ed a Infantino Valerio, attualmente detenuto e sottoposto a procedimento penale per i reati di cui agli artt. 416-bis, 319 c.p. ed altro; che questo ufficio, con la nota integrativa del 29 giugno 1998 - con la quale venivano trasmessi alla Giunta per le autorizzazioni a procedere in giudizio della Camera deputati alcuni atti istruttori svolti successivamente alla trasmissione dell'originario compendio probatorio - evidenziava che la richiesta di autorizzazione all'utilizzazione dei tabulati telefonici delle utenze in uso all'on. Giudice, ancorche' non obbligatoria in considerazione della mancanza di alcuna previsione normativa espressa in merito dalla Costituzione o rinvenibile nella legislazione ordinaria, era stata comunque formulata tenuto conto della possibilita' che l'orientamento in proposito della Camera potesse essere diverso; che questo ufficio invero, sempre con la nota citata, rilevava che l'autorizzazione prevista dall'art. 68, comma 3 della Costituzione non poteva ritenersi pacificamente ed univocamente estensibile anche all'acquisizione ed all'utilizzazione dei tabulati telefonici relativi alle utenze in uso ai membri del Parlamento, poiche' - tenuto conto dei principi giurisprudenziali espressi dalla sentenza n. 81 del 1993 emessa dalla Corte costituzionale (sentenza relativa alla questione di legittimita' costituzionale dell'art. 266 c.p.p., promossa con ordinanza emessa l'8 aprile 1992 dal pretore di Macerata, nel procedimento penale a carico di Viele Soccorsa, iscritta al n. 419 del registro ordinanza del 1992, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell'anno 1992) e ribaditi da talune decisioni della Corte di cassazione (cfr. le nn. 1541/94, 1362/92, 7994/95) - il regime normativo relativo alle intercettazioni telefoniche o delle comunicazioni tra presenti comprese quindi anche le particolari garanzie previste per i Parlamentari, e' completamente diverso da quello relativo all'acquisizione dei tabulati telefonici, in quanto il primo ha come obiettivo la salvaguardia del contenuto della conversazione e la determinazione delle tassative condizioni in presenza delle quali e' possibile sacrificarne la segretezza in funzione della realizzazione dell'interesse costituzionalmente protetto alla prevenzione ed alla repressione dei reati (artt. 266 e segg. c.p.p.), mentre il secondo attiene ai dati esteriori della conversazione, quali il tempo, il luogo e le persone in contatto, la cui acquisizione non comporta alcuna intercettazione in senso tecnico ed e' presidiata dalle comuni garanzie previste in materia di tutela della liberta' dei mezzi di comunicazione (art. 15 della Costituzione e 256 c.p.p.); che la Giunta per le autorizzazioni a procedere in giudizio della Camera dei deputati, con relazione presentata alla Presidenza in data 13 luglio 1998, deliberava di proporre all'Assemblea l'accoglimento di tutte le richieste formulate da questo ufficio in data 9 giugno 1998; che il procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Palermo, con nota del 25 luglio 1998, restituiva gli atti inviati alla Camera e trasmetteva la nota del 17 luglio 1998 del Presidente della Camera dei deputati, informando che nella seduta del 16 luglio 1998, l'Assemblea della Camera dei deputati aveva cosi' deliberato: 1) di negare l'autorizzazione all'esecuzione della misura cautelare della custodia in carcere; 2) di concedere l'autorizzazione all'utilizzazione delle intercettazioni di conversazioni telefoniche effettuate su utenze diverse da quella in uso all'onorevole Giudice e nelle quali tuttavia uno degli interlocutori e' stato individuato nel medesimo onorevole Giudice; 3) di concedere l'autorizzazione all'utilizzazione (nei confronti dell'on. Giudice) dei dati provenienti dai tabulati documentanti il traffico di una utenza telefonica cellulare in uso a Valerio Infantino; 4) di negare l'autorizzazione all'acquisizione ed alla utilizzazione dei tabulati documentanti il traffico telefonico relativo alle utenze in uso all'on. Giudice; che questo ufficio - in relazione al punto 4) della predetta decisione della Camera dei deputati - ritiene che sussistano gli estremi per la sollevazione del conflitto di attribuzioni in quanto la medesima deliberazione si profila assunta in violazione degli articoli 68, 101, 102, 104 e 112 della Costituzione; R i l e v a t o che, sotto il profilo soggettivo, l'Ufficio ricorrente dispone della necessaria legittimazione attiva per la sollevazione del conflitto di attribuzioni in conseguenza della menzionata pronunzia con la quale la Camera dei deputati, negando l'autorizzazione all'acquisizione dei tabulati documentanti il traffico delle utenze telefoniche in uso all'on. Giudice, ha illegittimamente condizionato l'esercizio dell'azione penale, obbligatoria ai sensi dell'art. 112 della Costituzione, che nel vigente ordinamento costituisce attribuzione esclusiva del pubblico ministero, soggetta soltanto alla legge, salvo il controllo del giudice; che all'ufficio ricorrente va riconosciuta la qualita' di organo funzionalmente e territorialmente competente a dichiarare definitivamente la volonta' del potere giudiziario, in quanto, ai sensi della disciplina vigente in tema di ordinamento giudiziario (artt. 69 e segg., r.d. 30 gennaio 1941, n. 12) e di procedura penale (artt. 50 e segg. c.p.p. ), e' il solo organo che - nel quadro della "posizione di istituzionale indipendenza rispetto ad ogni altro potere" riconosciuta al pubblico ministero (vedi sentenze nn. 190 del 1970, 96 del 1975, 88 del 1991 e 464 del 1993, tutte della Corte costituzionale) puo' ritenersi "abilitato a decidere con pienezza di poteri e senza interferenze di sorta da parte di altre istanze della pubblica accusa in ordine allo svolgimento delle indagini finalizzate all'esercizio dell'azione penale" per i fatti per i quali la Camera dei deputati non ha ritenuto di dovere autorizzare l'acquisizione e l'utilizzazione dei tabulati telefonici delle utenze in uso all'on. Gaspare Giudice (vedi sentenze 462 e 464 del 1993 della Corte costituzionale); R i t e n u t o che, sotto il profilo oggettivo, ricorrono altresi' i presupposti previsti dall'art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87 in base al quale sono risolti dalla Corte costituzionale i conflitti tra i poteri dello Stato insorti "per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali" poiche' - come piu' volte la Corte costituzionale ha riconosciuto - la deliberazione assunta da una delle Assemblee parlamentari ai sensi dell'art. 68, secondo comma, della Costituzione non puo' considerarsi espressione di un potere "arbitrario o soggetto soltanto ad una regola interna di self-restraint" (sentenza n. 1150 del 1988, nonche' sentenze nn. 443, 462 e 463 del 1993) ed in quanto tale non puo' pertanto essere ritenuto "assolutamente insindicabile o di per se' inidoneo a produrre interferenze lesive nei confronti di altri poteri dello stato" (sentenza n. 462 del 1993); che, nel caso di specie, la delibera della Camera dei deputati, limitatamente al punto 4) in precedenza indicato, costituisce una manifestazione illegittima, distorta ed arbitraria dell'esercizio del potere parlamentare previsto dall'art. 68, secondo comma della Costituzione in quanto questa decisione negativa dell'Assemblea e' stata assunta nonostante l'assoluta carenza di potere della Camera dei deputati in merito, conseguente alla inequivoca inapplicabilita' del regime giuridico delle intercettazioni telefoniche, con le connesse garanzie previste per i parlamentari, alla fattispecie relativa all'acquisizione dei tabulati telefonici concernenti le utenze in uso all'on. Giudice; che la divergenza concettuale e, conseguentemente, di disciplina tra l'intercettazione di comunicazioni e conversazioni in senso tecnico e l'acquisizione dei tabulati relativi al traffico telefonico e' stata recentemente ribadita dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 281 del 7-17 luglio 1998, con la quale e' stato precisato che la normativa prevista dal codice di procedura penale agli art. 266 e seguenti "e' modellata con esclusivo riferimento all'intercettazione del contenuto delle conversazioni e comunicazioni e non e' pertanto estendibile ad istituti diversi, quale l'acquisizione ai fini probatori di notizie riguardanti il mero fatto storico della avvenuta comunicazione telefonica" sicche' deve quindi ritenersi che le particolari garanzie previste dall'art. 68/3 della Costituzione per i parlamentari operano soltanto per l'intercettazione finalizzata ad acquisire il contenuto della conversazione e non sono pertanto applicabili ad un diverso istituto che ha lo scopo di consentire l'acquisizione dei dati esterni del traffico che transita su una determinata utenza (Gazzetta Ufficiale prima serie speciale, 26 agosto 1998, n. 34, 34 ss.); che, operando cosi' come emerge dalla decisione impugnata, la Camera dei deputati si e' attribuita un potere che non le spetta ai sensi dell'art. 68, ne' di altra norma, della Costituzione ed ha illegittimamente interferito sull'esercizio delle attribuzioni di spettanza di questo ufficio, impedendo l'acquisizione di importanti elementi di prova desumibili dai dati del traffico telefonico delle utenze in uso all'on. Giudice, sulla cui non manifesta irrilevanza si e' gia' positivamente espressa la Giunta per le autorizzazioni a procedere in giudizio della Camera che ha riconosciuto l'utilita' e la doverosita' del "controllo nominativo delle persone che hanno avuto conversazioni con il parlamentare sulle sue utenze" al fine di disporre di ulteriori ed oggettivi elementi dimostrativi dell'esistenza dei rapporti tra l'on. Giudice e gli esponenti dell'organizzazione mafiosa Cosa Nostra (in merito all'origine, alla natura, alla incidenza di questi rapporti ai fini del consolidamento e del rafforzamento della posizione dell'organizzazione Cosa Nostra si vedano la richiesta di ordinanza di custodia cautelare e l'ordinanza del giudice per le indagini preliminari, allegate al presente ricorso); che la illegittimita' della delibera della Camera sul punto in questione e' resa altresi' evidente dal fatto che, nell'ambito della medesima decisione, l'Assemblea ha autorizzato l'utilizzazione delle conversazioni telefoniche tra l'on. Giudice ed altri coindagati, intercorse su utenze telefoniche in uso a questi ultimi, con il risultato di avere reso disponibili per i fini investigativi e processuali che questo ufficio e' istituzionalmente legittimato a perseguire un mezzo di prova ben piu' invasivo e penetrante delle garanzie eccezionalmente riservate dall'art. 68 della Costituzione alla persona del parlamentare a salvaguardia della fondamentale funzione dallo stesso esercitata rispetto all'acquisizione dei meri dati provenienti dai tabulati telefonici; che l'illegittimita' della delibera e' accentuata anche dalla mancanza di qualsiasi motivazione, esplicita od implicita, addotta durante il dibattito assembleare a sostegno del diniego alla richiesta di acquisire ed utilizzare i tabulati telefonici in questione, nonostante che sul punto questo ufficio avesse sottolineato la indiscutibile rilevanza investigativa di questo mezzo istruttorio e la diversa disciplina normativa stesso rispetto alle intercettazioni in senso tecnico ed alle correlate garanzie per i parlamentari; C o n s i d e r a t o che le censure mosse da questo ufficio alla delibera della Camera dei deputati relativamente all'indicato punto 4) non comportano una rivalutazione delle valutazioni espresse dall'Assemblea ma mirano soltanto a far accertare l'uso distorto ed arbitrario del potere parlamentare previsto dall'art. 68 della Costituzione che, nella specie, si e' tradotto in una obiettiva interferenza sull'esercizio delle funzioni istituzionali di questo ufficio, al quale quindi e' stata sottratta la possibilita' di utilizzare ulteriori elementi investigativi eo probatori in relazione ai rapporti tra l'on. Giudice e gli esponenti dell'organizzazione criminale Cosa Nostra (cfr. sent. del 26 novembre 1997, n. 365);
P. Q. M. Visti gli artt. 68, 101, 102, 104, 112 della Costituzione, 37, legge 11 marzo 1953, n. 87 e 26 D.C.C. 16 marzo 1956; Chiede che la Corte costituzionale, accogliendo il presente ricorso, voglia: dichiarare che spetta al pubblico ministero l'acquisizione e l'utilizzazione dei tabulati documentanti i dati del traffico delle utenze telefoniche in uso a membri del Parlamento sottoposti ad indagine, previa osservanza delle garanzie previste dagli articoli 15 della Costituzione e 256 c.p.p.; annullare il diniego di autorizzazione all'acquisizione ed alla utilizzazione dei tabulati documentanti il traffico telefonico relativo alle utenze in uso all'on. Giudice; Nomina il prof. avv. Giovanni Fiandaca, del Foro di Palermo, quale proprio rappresentante processuale, conferendogli tutti i poteri connessi al presente ricorso; Dichiara di eleggere domicilio presso lo studio del prof. avv. Adelmo Manna, via Flaminia n. 322, 00196 Roma. Palermo, addi' 26 ottobre 1998. I sostituti procuratori: Sturzo - Paci Il procuratore della Repubblica: Caselli 99C0457