N. 16 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 27 aprile 1999

                                N. 16
 Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il
 27 aprile 1999 (del tribunale di Palermo)
 Parlamento  -  Immunita'  parlamentari - Procedimento penale pendente
 presso  la  procura  della  Repubblica   di   Palermo   -   Direzione
 distrettuale antimafia - a carico dell'on. Gaspare Giudice, indagato,
 con  altri,  per concorso in reati concernenti associazione mafiosa -
 Richiesta alla Camera dei deputati, da parte  di  detta  procura,  ai
 sensi   dell'art.      68,   secondo   comma,   della   Costituzione,
 dell'autorizzazione  alla  acquisizione  e  alla  utilizzazione   dei
 tabulati  documentanti  il  traffico  delle utenze telefoniche in uso
 all'on. Giudice - Deliberazione della Camera, in data 16 luglio 1998,
 con la quale tale autorizzazione e'  stata  negata  -  Lesione  della
 sfera   di  attribuzioni  costituzionalmente  garantite  al  p.m.  in
 conseguenza dell'esercizio illegittimo, da parte  della  Camera,  del
 potere  di  diniego  dell'autorizzazione  a  procedere - Conflitto di
 attribuzione tra poteri  dello  Stato,  sollevato  dalla  procura  di
 Palermo,  perche'  venga  dichiarato che spetta al pubblico ministero
 l'acquisizione e l'utilizzazione dei tabulati documentanti i dati del
 traffico delle utenze telefoniche in uso  a  membri  del  Parlamento,
 sottoposti ad indagine.
 (Delibera della Camera dei deputati di Roma del 16 luglio 1998).
 (Cost., artt. 68, ultimo comma, 101, 102 e 112).
(GU n.33 del 19-8-1999 )
                         IL PUBBLICO MINISTERO
   Letti gli atti del procedimento penale n. 1232/96 a carico, tra gli
 altri,  anche  di  Giudice  Gaspare di Giovanni e di Di Martino Maria
 Teresa, nato a Canicatti' il 4 marzo 1943, residente  a  Palermo  via
 Croce Rossa n. 28,  indagato:
     1)  del  delitto  di  cui  agli  artt.  81  c.p.v. 416, comma 2 e
 416-bis, commi 1 e 3, c.p., per aver preso parte  attivamente  ed  in
 modo rilevante alle attivita' dell'associazione mafiosa Cosa Nostra -
 ed  in  particolare  dell'articolazione  territoriale facente capo al
 mandamento di Caccamo ed ai suoi principali esponenti, tra i quali Di
 Gesu'  Lorenzo,  Gaeta  Giuseppe,  Biondolillo   Giuseppe,   Giuffre'
 Antonino e Panzeca Giuseppe, delle famiglie di S. Maria di Gesu' e di
 Corso  dei  Mille  ed ai loro principali esponenti, tra i quali Greco
 Carlo, Tinnirello Lorenzo, D'Agati Giovanni,  Vernengo  Pietro  e  di
 altri uomini d'onore, tra i quali Calo' Giuseppe - avvalendosi quindi
 della   forza  di  intimidazione  del  vincolo  associativo  e  della
 condizione di assoggettamento ed omerta' che ne deriva per commettere
 delitti; per acquisire in modo diretto o  indiretto  la  gestione  o,
 comunque,  il  controllo  di attivita' economiche, di concessioni, di
 autorizzazioni,  di  appalti  e  servizi  pubblici;  per   realizzare
 profitti  e  vantaggi  ingiusti  per  se'  e  gli  altri, mediante le
 seguenti principali condotte:
      contribuendo  in  modo determinante ad aiutare diversi esponenti
 mafiosi  del  mandamento  di  Caccamo  e   di   altre   articolazioni
 territoriali  di  Cosa  Nostra  - tra i quali Lorenzo Di Gesu', Pippo
 Calo', i fratelli Giuseppe ed Alberto Gaeta - a realizzare operazioni
 bancarie presso la filiale della Sicilcassa di Termini Imerese  Alta,
 ove  egli  ha  prestato servizio in qualita' di direttore dal 3 marzo
 1980 sino al 3  ottobre  1985,"  finalizzate  al  riciclaggio  ed  al
 reimpiego del denaro proveniente dalle loro attivita' illecite;
      svolgendo  il  ruolo di intermediario tra il "gruppo Panzeca" ed
 il gruppo  mafioso  di  Carlo  Greco,  Lorenzo  Tinnirello,  Giovanni
 D'Agati,  Vernengo  Pietro ed altri al fine di consentire al primo di
 inserirsi nel settore delle societa' nautiche nel  quale  il  secondo
 era  gia'  integrato  ed  a  questo  di disporre dei capitali e delle
 risorse economiche provenienti dal primo  gruppo  per  acquisire  una
 posizione di egemonia;
      concorrendo  alla  gestione  delle societa' nautiche Marina uno,
 Gente di mare ed il Salpancore in  modo  da  preservare  l'integrita'
 degli  interessi  del  gruppo  mafioso  di Greco Carlo, impedendo che
 questo venisse coinvolto nella crisi   economica che  aveva  travolto
 Bazan  Gaspare  e  facendo affluire in queste societa' i capitali del
 "gruppo Panzeca";
      strumentalizzando  i  propri  compiti   di   funzionario   della
 Sicilcassa al fine di avvantaggiare il "gruppo Panzeca", notevolmente
 esposto  verso  il  predetto Istituto, mediante una serie di condotte
 poste in palese violazione della corretta prassi bancaria.
   Dal 1980 sino al 13 settembre 1982, ai sensi dell'art. 416 c p.,  e
 con  le aggravanti previste dai commi  2, 4 e 5 dal 14 settembre 1982
 sino ad oggi, ai sensi dell'art. 416-bis c.p. con  le  aggravanti  di
 cui  ai  commi  4  e  6  dello  stesso  articolo per far parte di una
 associazione armata, avendo la disponibilita' di  armi  ed  esplosivi
 per  il  conseguimento delle finalita' dell'associazione, e per avere
 finanziato le attivita' economiche, assunte o controllate, in tutto o
 in parte, con il prezzo, il prodotto o il  profitto  di  delitti;  in
 Termini Imerese, Caccamo, Palermo, altri comuni della provincia ed in
 altre localita' del territorio nazionale sino alla data odierna;
     2)  del  delitto  di  cui  agli artt. 110 c.p., 216, 236, r.d. 16
 marzo 1942, n. 267 aggravato dall'art 7, legge 203-1991 perche' -  in
 concorso  con  Bazan  Gaspare,  Panzeca  Giuseppe e con Greco Carlo e
 D'Agati Giovanni, il primo  quale  amministratore  della  soc.  F.lli
 Bazan   s.n.c.  esercente  l'attivita'  di  concessionaria  d'auto  -
 operavano al fine di occultare beni di proprieta' dei fratelli  Bazan
 Gaspare  e Renato, ed in particolare le quote societarie dagli stessi
 posseduti nelle societa' Marina uno s.r.l. e Salpancore soc. coop.  a
 r.l.  e  Gente  di  mare s.r.l. pregiudicando in tal modo i creditori
 personali e quelli insinuati nella procedura di concordato preventivo
 richiesto in data 14 marzo 1992 per  fronteggiare  la  condizione  di
 insolvenza della predetta societa' F.lli Bazan, ai quali non venivano
 ceduti  in  realta' tutti i beni personali dei Bazan ed agevolando in
 tal modo gli interessi di  Cosa  Nostra  all'interno  delle  societa'
 Marina  uno,  Gente  di  mare e Salpancore ove vi erano quote facenti
 capo a Greco Carlo, Tinnirello Lorenzo e D'Agati Giovanni e  Vernengo
 Pietro.
   In  Palermo  sino  al  7  maggio  1993,  data dell'omologazione del
 concordato preventivo da parte del tribunale di Palermo.
     3) del delitto di cui agli artt. 81 c.p.v. e 648-bis  c.p.  e  7,
 legge  n.  203/1991  perche',  in concorso con Bazan Gaspare e Lo Bue
 Dario, con piu' azioni esecutive del medesimo disegno  criminoso,  si
 attivavano   al  fine  di  acquisire  l'ingresso  occulto  di  danaro
 proveniente dai traffici illeciti della  famiglia  mafiosa  di  Santa
 Maria  di  Gesu'  consentendone  l'investimento  nelle societa' Bazan
 s.n.c., Marina uno s.r.l., Gente di mare  s.r.l.  e  Salpancore  soc.
 coop  a  r.l. e facendo in modo di evitare che tale capitale illecito
 non andasse disperso nel fallimento del gruppo Bazan, sostituendo  le
 quote  di  partecipazione  dei Bazan con quelle del gruppo mafioso ed
 imprenditoriale facente capo a Panzeca  Giuseppe,  appartenente  alla
 famiglia  mafiosa di Caccamo, mediante l'impiego di capitali illeciti
 di quest'ultimo,  occultato  nelle  forme  di  debito  cambiario,  ed
 operando  costantemente allo scopo di agevolare le attivita' illecite
 di  Cosa  Nostra  finalizzate  al   controllo   del   settore   della
 imprenditoria nautica.
   In Palermo fino al mese di dicembre del 1993;
     4) del delitto, di cui agli artt. 81 c.p.v. e 110 c.p., 2621 c.c.
 agravato  dall'art.  7,  legge n. 203/1991, perche' - in concorso con
 Bazan Gaspare tra loro nella rispettiva qualita' di amministratori di
 diritto e di  fatto  della  societa'  Marina  uno,  con  piu'  azioni
 esecutive  del  medesimo  disegno  criminoso  -  al fine di cedere la
 societa' Marina uno s.r.l. per sottrarla alle azioni di rivendica dei
 creditori  personali  dei  fratelli  Bazan   Gaspare   e   Renato   -
 rappresentavano  fraudolentemente fatti non rispondenti al vero sulla
 situazione economica  della  stessa,  falsificando  i  bilanci  della
 societa',  simulando  attivita' patrimoniali inesistenti e occultando
 debiti   verso   i   fornitori,   nascondendo   altresi'   la   reale
 partecipazione  azionaria  di  quote appartenenti a Cosa Nostra ed in
 particolare a Greco Carlo, Tinnirello Lorenzo e D'Agati Giovanni.
   In Palermo, l'8 febbraio 1992;
     5) 110, 216 e 223  legge fall. aggravata dall'art.  7,  legge  n.
 203/1991,  perche' in concorso con Bazan Gaspare e Panzeca Giuseppe e
 con Lanzalaco Salvatore, La Chiusa Pietro e  Zappia  Giuseppe,  nella
 qualita'  di  amministratori  di  fatto  e  di diritto della societa'
 Marina uno, tenevano la contabilita' in modo  da  non  consentire  la
 ricostruzione  delle  attivita' patrimoniali della predetta societa',
 distraendone i beni, operando sistematicamente a danno  della  stessa
 mediante  vendite  sottocosto  a  favore  di societa' riconducibili a
 Greco Carlo, Tinnirello Lorenzo e D'Agati Giovanni,  Vernengo  Pietro
 ed attraverso pagamenti dilazionati non corrispondenti agli interessi
 di mercato.
   In  Palermo, sino al 17-18 maggio 1994, data della dichiarazione di
 fallimento della societa'.
     6) del delitto di cui agli artt. 629, commi 1  e  2,  c.p.  e  7,
 legge  n.  203/1991,  perche'  - in concorso con Greco Carlo, D'Agati
 Giovanni, Tinnirello Lorenzo, Vernengo Pietro  -  mediante  minaccia,
 consistita  nella  presentazione  da  parte  del  Giudice  del  primo
 soggetto,  all'epoca  latitante  per  delitti  di  mafia,  e  con  la
 richiesta  da  parte di questi di consegnare 500 milioni per ottenere
 la proprieta' della societa' Marina uno s.r.l., costringeva Lanzalaco
 Salvatore a subire l'estromissione di fatto dalla sua azienda gestita
 dal D'Agati Giovanni e dallo stesso Giudice, procurando a costoro  un
 ingiusto  profitto con grave danno del Lanzalaco, che era costretto a
 subire  il  fallimento  della  societa'  Marina  uno  a  causa  delle
 operazioni  di riciclaggio di cui sopra. Delitto commesso avvalendosi
 delle condizioni di cui all'art. 416-bis c.p. ed al fine di agevolare
 Cosa Nostra nella sua attivita' di controllo delle imprese locali.
   Palermo tra il febbraio ed il luglio 1992.
                            P r e m e s s o
     che  questo  ufficio,  in  data  6  aprile  1998,  richiedeva  al
 competente  giudice  per  le indagini preliminari  l'emissione di una
 ordinanza  di  custodia  cautelare  in  carcere  nei   confronti   di
 molteplici  indagati,  tra  i  quali  anche  l'on.  Gaspare  Giudice,
 sottoposto  ad  indagini  per  i  reati  analiticamente  indicati  in
 epigrafe;
     che  il  giudice  per  le indagini preliminari, con provvedimento
 dell'8 giugno 1998, emetteva una ordinanza di custodia  cautelare  in
 carcere   anche   nei   confronti   dell'on.   Giudice,  riconoscendo
 l'esistenza dei gravi indizi di colpevolezza e  la  ricorrenza  delle
 esigenze  cautelari  in  relazione alle contestazioni mosse da questo
 ufficio;
     che questo ufficio - in ossequio alla  disposizione  del  secondo
 comma  dell'art.  68  della Costituzione - richiedeva alla Camera dei
 deputati, in data  9  giugno  1998,  l'autorizzazione  all'esecuzione
 della  misura  cautelare  della custodia in carcere e contestualmente
 altresi'  l'autorizzazione  alla   utilizzazione   di   conversazioni
 telefoniche  intercettate  ed alla acquisizione ed alla utilizzazione
 di dati del traffico telefonico relativi ad  utenze  in  uso  all'on.
 Giudice  ed  a Infantino Valerio, attualmente detenuto e sottoposto a
 procedimento penale per i reati di cui agli artt. 416-bis,  319  c.p.
 ed altro;
     che  questo ufficio, con la nota integrativa del 29 giugno 1998 -
 con la quale venivano trasmessi alla Giunta per le  autorizzazioni  a
 procedere  in  giudizio  della Camera deputati alcuni atti istruttori
 svolti successivamente alla  trasmissione  dell'originario  compendio
 probatorio   -   evidenziava   che  la  richiesta  di  autorizzazione
 all'utilizzazione dei tabulati telefonici delle utenze in uso all'on.
 Giudice, ancorche' non obbligatoria in considerazione della  mancanza
 di  alcuna previsione normativa espressa in merito dalla Costituzione
 o  rinvenibile  nella  legislazione  ordinaria,  era  stata  comunque
 formulata  tenuto  conto  della  possibilita'  che  l'orientamento in
 proposito della Camera potesse essere diverso;
     che questo ufficio invero, sempre con la  nota  citata,  rilevava
 che   l'autorizzazione   prevista   dall'art.   68,   comma  3  della
 Costituzione  non  poteva  ritenersi  pacificamente  ed  univocamente
 estensibile  anche all'acquisizione ed all'utilizzazione dei tabulati
 telefonici relativi alle utenze in  uso  ai  membri  del  Parlamento,
 poiche'  - tenuto conto dei principi giurisprudenziali espressi dalla
 sentenza n. 81 del 1993 emessa dalla Corte  costituzionale  (sentenza
 relativa  alla questione di legittimita' costituzionale dell'art. 266
 c.p.p., promossa con ordinanza emessa l'8 aprile 1992 dal pretore  di
 Macerata,  nel  procedimento  penale  a  carico  di  Viele  Soccorsa,
 iscritta al n. 419 del registro ordinanza del 1992, pubblicata  nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  36, prima serie speciale,
 dell'anno 1992)  e  ribaditi  da  talune  decisioni  della  Corte  di
 cassazione  (cfr.  le  nn.  1541/94,  1362/92,  7994/95)  - il regime
 normativo   relativo   alle   intercettazioni   telefoniche  o  delle
 comunicazioni tra  presenti  comprese  quindi  anche  le  particolari
 garanzie  previste  per  i  Parlamentari, e' completamente diverso da
 quello relativo all'acquisizione dei tabulati telefonici,  in  quanto
 il  primo  ha  come  obiettivo  la  salvaguardia  del contenuto della
 conversazione e  la  determinazione  delle  tassative  condizioni  in
 presenza  delle  quali  e'  possibile  sacrificarne  la segretezza in
 funzione  della   realizzazione   dell'interesse   costituzionalmente
 protetto  alla prevenzione ed alla repressione dei reati (artt. 266 e
 segg. c.p.p.), mentre il secondo  attiene  ai  dati  esteriori  della
 conversazione,  quali il tempo, il luogo e le persone in contatto, la
 cui acquisizione non comporta alcuna intercettazione in senso tecnico
 ed e' presidiata dalle comuni garanzie previste in materia di  tutela
 della liberta' dei mezzi di comunicazione (art. 15 della Costituzione
 e 256 c.p.p.);
     che la Giunta per le autorizzazioni a procedere in giudizio della
 Camera dei deputati, con relazione presentata alla Presidenza in data
 13  luglio  1998, deliberava di proporre all'Assemblea l'accoglimento
 di tutte le richieste formulate da questo ufficio in  data  9  giugno
 1998;
     che  il  procuratore generale della Repubblica presso la Corte di
 appello di Palermo, con nota del 25 luglio 1998, restituiva gli  atti
 inviati  alla  Camera  e  trasmetteva  la nota del 17 luglio 1998 del
 Presidente della Camera dei deputati, informando che nella seduta del
 16 luglio 1998, l'Assemblea della Camera  dei  deputati  aveva  cosi'
 deliberato:
      1)   di  negare  l'autorizzazione  all'esecuzione  della  misura
 cautelare della custodia in carcere;
      2)  di  concedere   l'autorizzazione   all'utilizzazione   delle
 intercettazioni  di  conversazioni  telefoniche  effettuate su utenze
 diverse da quella in uso all'onorevole Giudice e nelle quali tuttavia
 uno degli interlocutori e' stato individuato nel  medesimo  onorevole
 Giudice;
      3)   di   concedere   l'autorizzazione   all'utilizzazione  (nei
 confronti  dell'on.  Giudice)  dei  dati  provenienti  dai   tabulati
 documentanti  il traffico di una utenza telefonica cellulare in uso a
 Valerio Infantino;
      4)  di  negare   l'autorizzazione   all'acquisizione   ed   alla
 utilizzazione   dei  tabulati  documentanti  il  traffico  telefonico
 relativo alle utenze in uso all'on. Giudice;
     che questo ufficio - in relazione  al  punto  4)  della  predetta
 decisione  della  Camera  dei  deputati  - ritiene che sussistano gli
 estremi per la sollevazione del conflitto di attribuzioni  in  quanto
 la  medesima  deliberazione  si  profila  assunta in violazione degli
 articoli 68, 101, 102, 104 e 112 della Costituzione;
                            R i l e v a t o
     che, sotto il profilo soggettivo,  l'Ufficio  ricorrente  dispone
 della  necessaria  legittimazione  attiva  per  la  sollevazione  del
 conflitto di attribuzioni in conseguenza della  menzionata  pronunzia
 con  la  quale  la  Camera  dei  deputati,  negando  l'autorizzazione
 all'acquisizione dei tabulati documentanti il traffico  delle  utenze
 telefoniche  in uso all'on. Giudice, ha illegittimamente condizionato
 l'esercizio dell'azione penale, obbligatoria ai sensi  dell'art.  112
 della   Costituzione,   che   nel   vigente  ordinamento  costituisce
 attribuzione esclusiva del pubblico ministero, soggetta soltanto alla
 legge, salvo il controllo del giudice;
     che  all'ufficio ricorrente va riconosciuta la qualita' di organo
 funzionalmente   e   territorialmente   competente    a    dichiarare
 definitivamente  la  volonta'  del  potere giudiziario, in quanto, ai
 sensi della disciplina vigente in  tema  di  ordinamento  giudiziario
 (artt.  69  e  segg.,  r.d.    30 gennaio 1941, n. 12) e di procedura
 penale (artt. 50 e segg. c.p.p.   ), e' il  solo  organo  che  -  nel
 quadro  della  "posizione  di  istituzionale indipendenza rispetto ad
 ogni altro potere" riconosciuta al pubblico ministero (vedi  sentenze
 nn.  190  del  1970,  96  del 1975, 88 del 1991 e 464 del 1993, tutte
 della Corte costituzionale) puo' ritenersi "abilitato a decidere  con
 pienezza  di  poteri  e senza interferenze di sorta da parte di altre
 istanze della  pubblica  accusa  in  ordine  allo  svolgimento  delle
 indagini  finalizzate  all'esercizio  dell'azione penale" per i fatti
 per i quali  la  Camera  dei  deputati  non  ha  ritenuto  di  dovere
 autorizzare  l'acquisizione e l'utilizzazione dei tabulati telefonici
 delle utenze in uso all'on. Gaspare Giudice (vedi sentenze 462 e  464
 del 1993 della Corte costituzionale);
                            R i t e n u t o
     che, sotto il profilo oggettivo, ricorrono altresi' i presupposti
 previsti  dall'art.  37  della  legge 11 marzo 1953, n. 87 in base al
 quale sono risolti dalla  Corte  costituzionale  i  conflitti  tra  i
 poteri  dello  Stato  insorti  "per  la  delimitazione della sfera di
 attribuzioni determinata per i vari poteri da  norme  costituzionali"
 poiche'  -  come piu' volte la Corte costituzionale ha riconosciuto -
 la deliberazione assunta da una delle Assemblee parlamentari ai sensi
 dell'art. 68, secondo comma, della Costituzione non puo' considerarsi
 espressione di un potere  "arbitrario  o  soggetto  soltanto  ad  una
 regola interna di self-restraint" (sentenza n. 1150 del 1988, nonche'
 sentenze  nn.    443,  462 e 463 del 1993) ed in quanto tale non puo'
 pertanto essere ritenuto "assolutamente insindicabile o  di  per  se'
 inidoneo a produrre interferenze lesive nei confronti di altri poteri
 dello stato" (sentenza n. 462 del 1993);
     che,  nel  caso di specie, la delibera della Camera dei deputati,
 limitatamente al punto 4) in  precedenza  indicato,  costituisce  una
 manifestazione illegittima, distorta ed arbitraria dell'esercizio del
 potere  parlamentare  previsto  dall'art.  68,  secondo  comma  della
 Costituzione in quanto questa decisione  negativa  dell'Assemblea  e'
 stata  assunta  nonostante  l'assoluta carenza di potere della Camera
 dei deputati in merito, conseguente alla inequivoca  inapplicabilita'
 del  regime  giuridico  delle  intercettazioni  telefoniche,  con  le
 connesse garanzie  previste  per  i  parlamentari,  alla  fattispecie
 relativa  all'acquisizione  dei  tabulati  telefonici  concernenti le
 utenze in uso all'on. Giudice;
     che la divergenza concettuale e, conseguentemente, di  disciplina
 tra  l'intercettazione  di  comunicazioni  e  conversazioni  in senso
 tecnico e l'acquisizione dei tabulati relativi al traffico telefonico
 e' stata recentemente ribadita  dalla  Corte  costituzionale  con  la
 sentenza n. 281 del 7-17 luglio 1998, con la quale e' stato precisato
 che  la  normativa  prevista dal codice di procedura penale agli art.
 266   e   seguenti   "e'   modellata   con   esclusivo    riferimento
 all'intercettazione del contenuto delle conversazioni e comunicazioni
 e   non   e'   pertanto   estendibile   ad  istituti  diversi,  quale
 l'acquisizione ai fini probatori di notizie riguardanti il mero fatto
 storico  della avvenuta comunicazione telefonica" sicche' deve quindi
 ritenersi che le particolari garanzie previste dall'art.  68/3  della
 Costituzione    per    i    parlamentari    operano    soltanto   per
 l'intercettazione  finalizzata  ad  acquisire  il   contenuto   della
 conversazione  e non sono pertanto applicabili ad un diverso istituto
 che ha lo scopo di consentire l'acquisizione  dei  dati  esterni  del
 traffico  che  transita su una determinata utenza (Gazzetta Ufficiale
 prima serie speciale, 26 agosto 1998, n. 34, 34 ss.);
     che, operando cosi' come emerge  dalla  decisione  impugnata,  la
 Camera  dei  deputati si e' attribuita un potere che non le spetta ai
 sensi dell'art. 68, ne' di altra  norma,  della  Costituzione  ed  ha
 illegittimamente  interferito  sull'esercizio  delle  attribuzioni di
 spettanza di questo ufficio, impedendo l'acquisizione  di  importanti
 elementi  di  prova desumibili dai dati del traffico telefonico delle
 utenze in uso all'on. Giudice, sulla cui non manifesta irrilevanza si
 e' gia' positivamente espressa la  Giunta  per  le  autorizzazioni  a
 procedere  in  giudizio della Camera che ha riconosciuto l'utilita' e
 la doverosita' del "controllo  nominativo  delle  persone  che  hanno
 avuto  conversazioni con il parlamentare sulle sue utenze" al fine di
 disporre   di   ulteriori   ed   oggettivi   elementi    dimostrativi
 dell'esistenza  dei  rapporti  tra  l'on.  Giudice  e  gli  esponenti
 dell'organizzazione mafiosa Cosa Nostra (in merito all'origine,  alla
 natura,  alla incidenza di questi rapporti ai fini del consolidamento
 e del rafforzamento della posizione dell'organizzazione  Cosa  Nostra
 si   vedano  la  richiesta  di  ordinanza  di  custodia  cautelare  e
 l'ordinanza del giudice per  le  indagini  preliminari,  allegate  al
 presente ricorso);
     che  la  illegittimita'  della delibera della Camera sul punto in
 questione e' resa altresi' evidente dal fatto che, nell'ambito  della
 medesima  decisione, l'Assemblea ha autorizzato l'utilizzazione delle
 conversazioni telefoniche tra  l'on.  Giudice  ed  altri  coindagati,
 intercorse  su  utenze  telefoniche  in  uso  a questi ultimi, con il
 risultato di avere  reso  disponibili  per  i  fini  investigativi  e
 processuali  che  questo  ufficio  e' istituzionalmente legittimato a
 perseguire un mezzo di prova ben piu'  invasivo  e  penetrante  delle
 garanzie  eccezionalmente  riservate  dall'art. 68 della Costituzione
 alla persona  del  parlamentare  a  salvaguardia  della  fondamentale
 funzione  dallo  stesso esercitata rispetto all'acquisizione dei meri
 dati provenienti dai tabulati telefonici;
     che l'illegittimita' della delibera  e'  accentuata  anche  dalla
 mancanza  di  qualsiasi  motivazione, esplicita od implicita, addotta
 durante  il  dibattito  assembleare  a  sostegno  del  diniego   alla
 richiesta  di  acquisire  ed  utilizzare  i  tabulati  telefonici  in
 questione,  nonostante  che   sul   punto   questo   ufficio   avesse
 sottolineato la indiscutibile rilevanza investigativa di questo mezzo
 istruttorio  e  la  diversa disciplina normativa stesso rispetto alle
 intercettazioni in senso tecnico ed alle  correlate  garanzie  per  i
 parlamentari;
                         C o n s i d e r a t o
     che le censure mosse da questo ufficio alla delibera della Camera
 dei  deputati  relativamente all'indicato punto 4) non comportano una
 rivalutazione delle valutazioni  espresse  dall'Assemblea  ma  mirano
 soltanto  a  far  accertare  l'uso  distorto ed arbitrario del potere
 parlamentare  previsto  dall'art.  68  della  Costituzione che, nella
 specie, si e' tradotto in una obiettiva  interferenza  sull'esercizio
 delle  funzioni  istituzionali  di questo ufficio, al quale quindi e'
 stata sottratta la  possibilita'  di  utilizzare  ulteriori  elementi
 investigativi eo probatori in relazione ai rapporti tra l'on. Giudice
 e gli esponenti dell'organizzazione criminale Cosa Nostra (cfr. sent.
 del 26 novembre 1997, n. 365);
                               P. Q. M.
   Visti  gli  artt.  68,  101,  102, 104, 112 della Costituzione, 37,
 legge 11 marzo 1953, n. 87 e 26 D.C.C. 16 marzo 1956;
   Chiede  che  la  Corte  costituzionale,  accogliendo  il   presente
 ricorso, voglia:
     dichiarare  che  spetta  al  pubblico  ministero l'acquisizione e
 l'utilizzazione dei tabulati documentanti i dati del  traffico  delle
 utenze  telefoniche  in  uso  a  membri  del Parlamento sottoposti ad
 indagine, previa osservanza delle garanzie previste dagli articoli 15
 della Costituzione e 256 c.p.p.;
     annullare il diniego di autorizzazione all'acquisizione  ed  alla
 utilizzazione   dei  tabulati  documentanti  il  traffico  telefonico
 relativo alle utenze in uso all'on. Giudice;
   Nomina il prof. avv. Giovanni Fiandaca, del Foro di Palermo,  quale
 proprio  rappresentante  processuale,  conferendogli  tutti  i poteri
 connessi al presente ricorso;
   Dichiara di eleggere domicilio presso  lo  studio  del  prof.  avv.
 Adelmo Manna, via Flaminia n. 322, 00196 Roma.
     Palermo,  addi' 26 ottobre 1998.  I sostituti procuratori: Sturzo
 - Paci Il procuratore della Repubblica: Caselli
 99C0457