N. 23 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 7 luglio 1999

                                 N. 23
  Ricorso per questione di legittimita' costituzionale, depositato  in
 cancelleria il 7 luglio 1999 (della provincia autonoma di Trento)
 Ambiente  (Tutela  dell')  -  Tutela  delle acque dall'inquinamento -
    Disciplina degli scarichi - Scarichi provenienti  da  impianti  di
    trattamento  delle  acque  reflue urbane - Obbligo di rispettare i
    limiti  tabellari   di   emissione   delle   sostanze   inquinanti
    tipicamente  "industriali"  - Applicabilita' di sanzioni penali al
    gestore di impianti generali di depurazione in caso di superamento
    di tali limiti per dolo o colpa grave - Irragionevolezza  di  tale
    disciplina - Contrasto con la normativa comunitaria e con la legge
    delega  che  ne  prevedeva  il  recepimento  -  Stravolgimento del
    sistema di depurazione in atto nella provincia autonoma di Trento,
    in violazione del principio di buon andamento dell'amministrazione
    -  Lesione  di  competenze  legislative  ed  amministrative  della
    medesima provincia in materia di acque e ambiente.
 Ambiente (Tutela dell') -  Tutela  delle  acque  dall'inquinamento  -
    Irrogazione  di  sanzioni  amministrative  pecuniarie - Competenza
    delle regioni  e  delle  province  autonome,  eccezion  fatta  per
    specifiche   violazioni   demandate  alla  competenza  comunale  -
    Previsione  suscettibile  di  essere  interpretata  come   diretta
    attribuzione   ai  comuni,  da  parte  dello  Stato,  di  funzioni
    amministrative in materie di spettanza della provincia autonoma di
    Trento  -  Ipotizzata  violazione  dell'autonomia  legislativa  di
    quest'ultima e delle regole statutarie di riparto della competenza
    tra provincia e comuni.
 (D.Lgs.  11  maggio 1999, n. 152, artt. 56, commi 1 e 3, 28, comma 2,
    59, comma 6, allegato 5, par. 1.1 in relazione al d.lgs. 11 maggio
    1999, n. 152, allegato 5, tab. 3, 3A e 5).
 (Statuto regione Trentino-Alto Adige, artt. 8, nn. 5, 6, 14, 16,  17,
    18, 19, 21 e 24; 9, nn. 9 e 10; 14 e 16).
 (Cost., art. 97; d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381, artt. 5 e 8; 28 luglio
    1987,  n.  526, art. 15, comma 2; direttiva CEE 21 maggio 1991, n.
    271; legge 24 aprile 1998, n. 128, art. 17).
(GU n.40 del 6-10-1999 )
   Ricorso per  la  provincia  autonoma  di  Trento,  in  persona  del
 Presidente della Giunta provinciale pro-tempore dott. Lorenzo Dellai,
 autorizzato con deliberazione della Giunta provinciale n. 5312 del 18
 giugno  1999  (all.  1),  rappresentata  e  difesa  - come da procura
 speciale del 21 giugno 1999 (rep. n. 23372) rogata dal dott.  Tommaso
 Sussarellu  in  qualita'  di ufficiale rogante della provincia stessa
 (all. 2) - dagli avvocati Giandomenico Falcon di Padova e Luigi Manzi
 di Roma, con domicilio eletto in  Roma  presso  lo  studio  dell'avv.
 Manzi, via Confalonieri n. 5;
   Contro   il   Presidente   del   Consiglio   dei  Ministri  per  la
 dichiarazione  di  illegittimita'   costituzionale   delle   seguenti
 dispsosizioni del d.lgs 11 maggio 1999, n. 152, recante "Disposizioni
 sulla  tutela  delle  acque  dall'inquinamento  e  recepimento  della
 direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento  delle  acque  reflue
 urbane  e  della  direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle
 acque dall'inquinamento provocato dai nitrati  provenienti  da  fonti
 agricole",  pubblicato nella Gazzetta Ufficiale serie generale n. 124
 del 29 maggio 1999, supplemento ordinario: art. 56, commi 1 e 3; art.
 28, comma 2; paragrafo  1.1  dell'allegato  5;  tabella  3,  3A  e  5
 dell'allegato 5, in connessione con l'art. 59, comma 6;
   Per violazione:
     dell'art.  8,  nn.  5),  6),  14), 16), 17), 18), 19), 21), e 24,
 dell'art. 9, nn.  9)  e  10)  dello  statuto;  dell'art.  14  nonche'
 dell'art.  16 dello statuto;
     delle relative norme di attuazione, ed in particolare degli artt.
 5  e  8 del d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381, nonche' dell'art. 15, comma
 2, del d.P.R. 28 luglio 1987, n. 526, come sost.;
     della direttiva  comunitaria  di  riferimento  91/271/CEE  e  dei
 principi stabiliti dall'art. 17 della legge delega 24 aprile 1998, n.
 128;
     dell'art.  97 della Costituzione e dei principi di buon andamento
 e di ragionevolezza;
     per i profili e nei modi di seguito illustrati.
                            Fatto e diritto
   Con  la  presente  impugnazione sono portate al giudizio di codesta
 ecc.ma Corte costituzionale alcune dispo-sizioni del d.lgs. 11 maggio
 1999,  n.  152,  recante  "Disposizioni  sulla  tutela  delle   acque
 dall'inquinamento    e   recepimento   della   direttiva   91/271/CEE
 concernente  il  trattamento  delle  acque  reflue  urbane  e   della
 direttiva   91/676/CEE   relativa   alla   protezione   delle   acque
 dall'inquinamento  provocato  dai  nitrati   provenienti   da   fonti
 agricole", in relazione a distinti profili di lesione della autonomia
 della ricorrente provincia.
   Precisamente,  sono  in  primo  luogo  contestate  due disposizioni
 dell'art.  56, in quanto, almeno ad  una  interpretazione  letterale,
 con   tali   disposizioni   si   conferiscono  in  via  diretta  alle
 amministrazioni comunali, anche per la provincia autonoma di  Trento,
 funzioni che invece a norma dello statuto di autonomia competono alla
 provincia,  e  che  compete  semmai  alla  provincia  di assegnare ai
 comuni, nell'ambito della propria discrezio-nalita' legislativa.
   Si tratta, come si dira', di una  contestazione  formulata  in  via
 ipotetica,  perche'  in effetti non e' totalmente esclusa una diversa
 interpretazione  delle  disposizioni  in  questione,  che   porti   a
 considerarle compatibili con le prerogative della provincia autonoma.
   Fondamentalmente,  dunque,  il  ricorso  qui  proposto  investe  un
 secondo  profilo,  non  connesso  al  mero  rispetto   delle   regole
 statutarie  di  riparto  della  competenza tra provincia e comuni, ma
 collegato invece alla sostanza dell'intervento normativo  statale  in
 materia  di  tutela  delle  acque:  esso  infatti  investe  i  valori
 tabellari che i pubblici  depuratori  sono  tenuti  a  rispettare  in
 relazione  agli  inquinanti  industriali.  In  particolare, si tratta
 della contestazione della legittimita' costituzionale del sistema  di
 depurazione  che risulterebbe imposto alla ricorrente provincia dalle
 regole statuite  dal  paragrafo  1.1  e  dalle  tabelle  3,  3A  e  5
 dell'allegato  5, e dalle connesse disposizioni dell'art. 28, comma 2
 e dell'art. 59, comma 6.
   Nell'atto stesso di formulare  tali  contestazioni,  la  ricorrente
 provincia   desidera   porre   in   premessa   un  doppio  ordine  di
 considerazioni.
   In primo luogo, la provincia desidera  premettere  che  la  propria
 contestazione  non  riguarda in alcun modo il sistema delle direttive
 comunitarie che  il  decreto  legislativo  statale  e'  destinato  ad
 attuare.    Al contrario, essa ritiene che la propria legislazione, a
 difesa della quale la provincia  propone  la  presente  impugnazione,
 attui   le   direttive  in  questione  piu'  fedelmente  della  nuova
 legislazione statale, che ad  avviso  della  provincia  ne  tradisce,
 nella  parte in contestazione, la lettera e lo spirito. Ne' si tratta
 qui, come meglio si dira', di una "piu' severa" normativa statale che
 per principio generale e' sempre  consentito  agli  Stati  membri  di
 introdurre, bensi' di un diverso sistema di depurazione e di relativi
 requisiti,  che  contraddice quello proprio della direttiva, al quale
 corrisponde quello gia' in vigore nella provincia di Trento.
   In secondo luogo, la ricorrente provincia desidera sottolineare che
 la propria contestazione non nasce affatto, come potrebbe temersi,  e
 come  forse potrebbe riscontrarsi in diverse realta' territoriali, da
 un difetto di attenzione al problema della qualita' delle  acque,  ma
 nasce  invece  da  oltre  venti  anni  di  esperienza  legislativa ed
 applicativa, che ha condotto ad un sistema di depurazione efficace ed
 effettivo, secondo parametri di elevata qualita'.
   E'  proprio  tale  esperienza  che  porta  a considerare il sistema
 disposto dalle parti contestate della nuova legislazione statale come
 solo apparentemente frutto di "severita'", ma in realta' come sistema
 contraddittorio e totalmente irrealizzabile nelle condizioni date, in
 quanto sostanzialmente incompatibile con  i  parametri  raggiungibili
 dai  presidi  depurativi  pubblici  nell'ambito delle caratteristiche
 tecniche  di  questi  secondo   quanto   statuito   dalle   direttive
 comunitarie.
   Fatte  tali  premesse,  sia consentito in primo luogo illustrare in
 estrema sintesi talune problematiche tecniche proprie di  un  sistema
 di  depurazione,  senza  la  cui  conoscenza  la  materia oggetto del
 presente ricorso risulterebbe poco intelligibile; ed in relazione  ad
 esse sia consentito poi di esaminare la legislazione statale in se' e
 in  relazione  alla  concreta situazione specifica della provincia di
 Trento.
   La premessa fondamentale sta nella constatazione che  gli  impianti
 di  depurazione  pubblici sono concepiti  e progettati per trattare e
 ridurre determinati tipi di inquinanti, che, pur presenti anche negli
 scarichi   industriali,   sono   propri   degli   scarichi    civili,
 essenzialmente  derivanti  dal  metabolismo  umano  e dalle attivita'
 domestiche.  Si tratta, da un punto di  vista  chimico,  di  sostanze
 quali  i  composti  carboniosi, o i composti azotati come ammoniaca e
 azoto organico, o l'azoto e il fosforo.
   Gli stessi impianti di depurazione  non  sono  ne'  possono  essere
 invece  adeguati  per  assicurare la riduzione di diversi inquinanti,
 tipici degli scarichi industriali, quali i metalli o  altre  sostanze
 pericolose. La riduzione di tali agenti inquinanti richiede strumenti
 e  metodologie  specifiche,  che  non  possono essere richieste ad un
 depuratore "generale". Si noti che se anche si volesse attrezzare  il
 depuratore  generale  per  il  trattamento degli inquinanti specifici
 degli insediamenti industriali e produttivi, il piu' delle volte cio'
 non sarebbe neppure possibile, a causa del grado  di  diluizione  con
 cui  quegli  stessi  inquinanti  si  presentano una volta immessi nel
 sistema fognario e nel depuratore generale.
   Cio' significa che la riduzione degli inquinanti industriali  nella
 misura desiderata va ricercata ed ottenuta immediatamente a valle del
 sistema industriale in questione, in un momento in cui la depurazione
 e'  relativamente agevole, e comunque possibile, sia per il fatto che
 ogni  produzione  comporta  come  residui  inquinanti  specifici    e
 soltanto  quelli  -  il  che consente di costruire sulla base di essi
 sistemi di depurazione specializzati - sia per  il fatto che il tasso
 di concentrazione di tali inquinanti e' tale che puo'  essere  svolto
 in  relazione  ad  essi  un  trattamento  efficace  ed economicamente
 giustificato.  In altre parole, la sola cosa  possibile  per  evitare
 che da un depuratore generale escano inquinanti industriali in misura
 superiore  al  consentito  e'  di riuscire ad evitare a monte la loro
 immissione nel sistema fognario.
   Cio' e' assicurato dal sistema della  normativa  comunitaria,  come
 risulta  in  particolare  dall'art.  11,  della direttiva 91/271/CEE,
 secondo il quale gli  scarichi  industriali  in  sistemi  fognari  e'
 "preventivamente  subordinato  a  regolamentazioni e/o autorizzazioni
 specifiche", le quali "devono soddisfare ai requisiti dell'allegato I
 C": i quali
  a  loro  volta  sono concepiti come requisiti prestazionali, rivolti
 tra l'altro al fine - oltre che di proteggere la salute  umana  -  di
 assicurare  che gli stessi impianti di trattamento delle acque reflue
 e le attrezzature connesse non vengano danneggiate. In altri termini,
 secondo  la  normativa  comunitaria  gli  scarichi  industriali   che
 confluiscono  nelle  reti fognarie e in impianti di trattamento delle
 acque  reflue  urbane  devono  essere  sottoposti  al  pretrattamento
 richiesto,  al  fine  di garantire che gli scarichi provenienti dagli
 impianti   di   trattamento   non   abbiano   conseguenze    negative
 sull'ambiente e non incidano sulla conformita' delle acque recipienti
 alle altre direttive comunitarie.
   Per gli impianti generali di trattamento delle acque reflue, l'art.
 2  della predetta direttiva ed in connessione con esso l'allegato I B
 e la tabella 1  prescrivono  il  rispetto  di  limiti  relativi  alle
 sostanze  che, come detto in premessa, tali impianti sono in grado di
 trattare, e solo di essi.
   Ed anche le altre direttive comunitarie - precedentemente trasposte
 dalla legislazione statale ed ora conglobate nel d.lgs. n. 152/1999 -
 si riflettono nei limiti di emissione delle  tabelle  3  -  3/A  -  5
 dell'allegato 5 in esame: limiti che devono essere osservati all'atto
 dello  scarico  del  refluo industriale, vuoi in fognatura vuoi negli
 altri corpi recipienti.
   A tale sistema  puntualmente  si  conforma  quello  previsto  dalla
 normativa  provinciale  imponendo  e  presup-ponendo  che  lo scarico
 produttivo debba essere obbligatoriamente pretrattato prima della sua
 confluenza nella rete  fognaria  pubblica  con  riferimento  a  tutti
 quegli   inquinanti   (metalli  e  non  metalli  tossici  e  sostanze
 pericolose) che non potrebbero giovarsi di alcun trattamento a  valle
 nel  depuratore  pubblico  per  le  ragioni  anzidette  (si  veda  in
 particolare l'art. 16, comma 1, n. 2, del  testo  unico  delle  leggi
 provinciali  in  materia  di tutela dell'ambiente dagli inquinamenti,
 approvato con dpGp 26 gennaio 1987, n. 1, da  ultimo  modificato  dal
 Capo  XV  della l.p. 11 settembre 1998, n. 10, ed il riferimento alla
 tabella G, incluso lo specifico richiamo alla tabella  D,  recante  i
 limiti   propri   dei  metalli  e  delle  altre  sostanze  pericolose
 industriali).
   Insomma, il principio cardine della normativa comunitaria,  ripreso
 dalla  normativa  provinciale,  e'  che    i  sistemi  di depurazione
 generale sono direttamente tenuti al rispetto  di  limiti  prefissati
 soltanto  in relazione alle sostanze che essi sono vocati a trattare,
 mentre  i  limiti  relativi  alle  sostanze  specifiche  di   origine
 industriale valgono per i relativi scarichi, e soltanto per essi.
   Una  attenta  analisi rivela che la nuova legislazione statale, qui
 contestata, e' ispirata al principio, per certi aspetti opposto,  che
 fa  carico  anche  al  sistema di depurazione generale di produrre un
 risultato  che  esso  non  puo'  tecnicamente  dare,   e   lo   rende
 responsabile  sul  piano giuridico di vicende sulle quali esso non e'
 in grado di influire.
   Certamente, anche nel sistema statale di cui al d.lgs. n.  152  del
 1999  vi  sono  limiti  che  valgono  anche,  e  se  si vuole in modo
 particolare, per chi effettua scarichi industriali: come nella  parte
 in  cui,  posto  il  principio  della  generale  sottoposizione degli
 scarichi  ad  autorizzazione  (art.  45,  comma  1)  e  stabilita  la
 particolare  procedura per l'autorizzazione agli scarichi industriali
 (art. 46), esso sanziona penalmente il comportamento - oltre  che  di
 colui   che   "effettua  uno  scarico  di  acque  reflue  industriali
 contenenti le sostanze pericolose comprese  nelle  famiglie    e  nei
 gruppi  di  sostanze  inidicate  nelle tabelle 5 e 3A dell'allegato 5
 senza osservare le prescrizioni dell'autorizzazione" (art. 58,  comma
 4) - il comportamento di colui che "nell'effettuazione di uno scarico
 di  acque  reflue  industriali, ovvero da una immissione occasionale,
 supera i valori limiti fissati nella tabella  3  dell'allegato  5  in
 relazione  alle  sostanze indicate nella tabella 5", con aggravamento
 di pena "se sono superati  anche  i  valori  limite  fissati  per  le
 sostanze  contenute nella tabella 3A dell'allegato 5" (art. 59, comma
 5).
   Senonche', se in questi termini vi  e'  la  responsabilita'  penale
 specifica  del  responsabile  dello  scarico  industriale,  il quadro
 complessivo appare ispirato all'opposto principio  cui  si  e'  sopra
 accennato,  del vincolo degli stessi depuratori generali alle tabelle
 relative alle sostanze industriali.
   In effetti, l'art. 28 stabilisce  il  principio  secondo  il  quale
 "tutti gli scarichi" (compresi dunque quelli delle fognature, a valle
 degli  impianti  di depurazione generale) "devono rispettare i valori
 limite di emissione previsti nell'allegato 5" (comma 1),  valori  che
 "per  le  sostanze indicate nelle tabelle 1, 2, 5, e 3A dell'allegato
 5" non possono  essere  alterati  in  senso  meno  restrittivo  dalle
 regioni.
   Se  dall'art.  28  passiamo  a  considerare  l'allegato 5 nelle sue
 specifiche disposizioni, riscontriamo che al punto 1.2  dell'allegato
 5 (Limiti di estensione degli scarichi), specificamente dedicato alle
 acque  reflue  industriali, ci si riferisce soltanto agli scarichi in
 acque superficiali. Ritroviamo invece gli  scarichi  di  insediamenti
 industriali  al  punto  1.1, dedicato alle acque reflue urbane: ove -
 prescritto nel periodo iniziale del punto il rispetto dei  limiti  di
 emissione  di  cui  alle  tabelle 1 e 2, cioe' delle tabelle relative
 alle sostanze che i depuratori generali sono effettivamente in  grado
 di  trattare - si specifica nel secondo capoverso che "devono inoltre
 essere  rispettati,  nel  caso  di  fognature  miste  che  raccolgono
 scarichi di insediamenti industriali, i limiti di tabella 3".
   Insomma,  nella normativa derivante dall'insieme delle prescrizioni
 del d.lgs. n. 152  del  1999  e'  il  depuratore  generale  a  dovere
 rispettare  non  solo  i  limiti  relativi  alle sostanze che esso e'
 idoneo a trattare, ma anche i limiti stabiliti per le sostanze che un
 depuratore generale non e' per la sua  stessa  natura  e  definizione
 idoneo a trattare.
   Che tale sia il sistema, e' ulteriormente confermato dalla sanzione
 penale  posta  dall'art.  59,  comma 6, a termini del quale le stesse
 sanzioni previste per i  responsabili  di  scarichi  industriali  dal
 comma  5,  sopra  illustrate, si applicano "al gestore di impianti di
 depurazione che, per dolo o per grave negligenza,  nell'effettuazione
 dello  scarico  supera  i valori limiti previsti dallo stesso comma",
 cioe' i valori limiti relativi  ai  metalli  e  alle  altre  sostanze
 pericolose costituenti tipici inquinanti industriali.
   Si  noti  che  non  rileva qui l'attenuazione della responsabilita'
 prevista alle sole ipotesi di dolo  o  colpa  grave,  dato  che  tale
 attenuazione  non  altera  il  disegno di fondo del sistema. Cio' che
 rileva,  infatti,  e'  la  stessa   previsione,   all'interno   della
 fattispecie penale, dell'ipotesi del gestore di impianti che mediante
 gli  scarichi  prodotti  dal  depuratore  gnerale  superi i limiti di
 emissione previsti per gli scarichi industriali.
   Tale ipotesi  e'  una  ipotesi  che  nel  sistema  della  direttiva
 comunitaria,   come  anche  nel  sistema  normativo  della  provincia
 autonoma di Trento, risulta del tutto impossibile.
   Non  puo'  essere  infatti  che  nell'organizzazione  del  servizio
 pubblico  di  tutela  delle  acque  il  depuratore gnerale (e ai fini
 penali il responsabile di esso) sia chiamato ad assicurare  cio'  che
 esso, per la sua stessa struttura, non puo' assicurare, non essendo e
 non  potendo  essere  concepito  per la riduzione dei metalli e delle
 altre sostanze pericolose tipicamente industriali.
   La contraria previsione contenuta espressamente nell'allegato 5  ed
 implicita nella fattispecie penale di cui al comma 6 dell'art.  59 e'
 da un lato irragionevole ed assurda, dall'altro in contraddizione con
 la  normativa comunitaria e con i principi della legge di delega, che
 imponevano il recepimento di tale normativa.
   Precisamente, risulta violato l'art. 17 della legge  di  delega  n.
 128  del 1998, nella parte in cui essa dispone la proroga del termine
 stabilito da precedente  legge  "limitatamente  all'attuazione  delle
 direttive"  comunitarie in  questione, e piu' in generale nella parte
 in cui i principi della delega posti dalle lettere da  a)  a  d)  del
 comma   2   della   stessa   disposizione   non   prevedono   affatto
 l'addossamento ai depuratori generali  del  rispetto  dei  limiti  di
 inquinamento  specificamente  posti  dalla  normativa europea per gli
 scarichi industriali.
   Si noti che il distorto sistema stabilito dal  decreto  legislativo
 n.  152  del  1999  non  puo'  essere  giustificto dal disposto della
 lettera c) del comma 2 dell'art. 17 ora citato, a termini della quale
 il "rispetto dei  limiti  di  accettabilita'  degli  scarichi  e  dei
 parametri  di  qualita'  dei  corpi  idrici  ricettori definiti dalla
 normativa europea" va inteso "nel senso che  non  puo'  derogarsi  ai
 limiti previsti con valori meno restrittivi".
   In  altre parole, non viene qui affatto in discussione il principio
 pacifico gia' in diritto  comunitario  (e  codificato  dall'art.  176
 Trattato  CE) secondo il quale l'attuazione nazionale delle direttive
 in materia di tutela puo' rendere piu' restrittivi i limiti posti  in
 sede comunitaria, ai fini di una maggiore protezione.
   La   ricorrente  provincia  infatti  non  contesta  minimamente  la
 possibilita', prevista dall'art. 28, comma  2,  che  in  sede  locale
 vengano  stabiliti  limiti  piu' restrittivi di quelli previsti dalle
 tabelle allegate al decreto  n.  152:  in  quanto,  ovviamente,  tali
 limiti  piu' restrittivi vengano imposti ciascuno al suo destinatario
 logico  e  naturale,  in  relazione  alle  caratteristiche  ed   alle
 possibilita'  di  ciascun  sistema  di  depurazione.  Cosi'  per  gli
 impianti di depurazione generale potranno essere resi piu'  severi  i
 limiti  delle  tabelle  1  e  2  dell'allegato  5,  mentre per i soli
 scarichi industriali  potranno  essere  resi  piu'  severi  i  limiti
 risultanti dalle tabelle 3, 3A e 5 (in connessione con la tabella 3).
   Ma la possibilita', prevista dalla legge di delega e resa effettiva
 dal  decreto legislativo nei termini indicati, di rendere piu' severi
 i limiti posti per le sostanze inquinanti non  autorizza  affatto  il
 legislatore delegato a stravolgere il sistema di depurazione, ponendo
 a  carico  del sistema di depurazione generale limiti che hanno senso
 soltanto a carico  dei  sistemi  di  disinquinamento  degli  impianti
 industriali.
   La  realta'  e'  che,  quando  nel  sistema  fognario (e dunque nel
 depuratore  generale  che  lo  serve)  si   immettono   scarichi   da
 insediamenti  produttivi, il solo modo di ottenere che dagli scarichi
 del depuratore generale non fuoriescano inquinanti tipici dei sistemi
 produttivi in misura superiore al voluto consiste  nell'impedire  che
 essi entrino nel sistema fognario.
   Cio'  implica  che  il  rispetto  dei  limiti  non possa che essere
 imposto a carico del sistema industriale, esigendo che gli inquinanti
 indesiderati  non  superino  all'atto  della  immissione   i   valori
 tabellari prescritti.  Infatti, una volta che, per qualunque ragione,
 anche  semplicemente  occasionale,  gli  inquinanti industriali siano
 entrati nel sistema fognario non vi e'  modo  di  impedire  che  essi
 fuoriescano nella stessa misura in cui vi sono entrati.
   Cio'  implica  ancora  che  cio'    che  e' richiedibile al sistema
 pubblico  (non  in   particolare   e   necessariamente   al   gestore
 dell'impianto  di  depurazione) al fine di evitare che dai depuratori
 generali escano metalli ed altri  inquinanti  industriali  in  misura
 superiore  al  consentito e' lo svolgimento di una adeguata attivita'
 di vigilanza, rivolta ad impedire che detti  inquinanti  entrino  nel
 sistema  fognario,  mentre  del  tutto  incongruo  e'  porre per tali
 depuratori degli standard in uscita, per il  cui  rispetto  essi  non
 hanno alcuna possibilita' di intervento.
 Insomma,  i  limiti  debbono  restare limiti posti per gli scarichi a
 monte, e per i relativi impianti specializzati di depurazione, ed  il
 rispetto  di  tali  limiti  deve  essere assicurato dal sistema della
 vigilanza  relativa  a  tali  impianti   e   dal   connesso   sistema
 sanzionatorio.
   Pretendere   invece  di  "regolare"  l'inquinamento  derivante  dai
 metalli e dalle altre  sostanze  pericolose  di  origine  industriale
 mediante  limiti  fissati  per  i  depuratori  generali  e' del tutto
 icongruo e tecnicamente impossibile.
   Se  fosse  possibile,  un  simile  requisito  posto  ai  depuratori
 generali  ne  richiederebbe  la  conversione  in un sistema del tutto
 diverso, che la ricorrente provincia autonoma di Trento  ritiene  non
 sia  tecnicamente  prospettabile,  e  che  comunque ritiene non possa
 essere imposto ad essa in attuazione di una normativa comunitaria che
 si ispira al contrario agli stessi  principi  ai  quali  essa  si  e'
 ispirata nella propria legislazione. Di qui la lesione dell'autonomia
 legislativa  e  amministrativa  provinciale lamentata con il presente
 ricorso.
   Si  noti,  ulteriormente,  che  nella  provincia   di   Trento   la
 complessiva  organizzazione  dei  servizi  idrici  (di acquedotto, di
 fognatura e di depurazione) non e' concepita secondo il principio  di
 una  gestione  unitaria  per  ambiti omogenei, che faccia capo ad una
 unica autorita'.  Anzi, in attuazione del "complesso quadro normativo
 che si e' venuto definendo prima in sede statutaria,  poi  attraverso
 le  norme  di attuazione" (secondo quanto affermato da codesta ecc.ma
 Corte costituzionale nella sentenza n. 412 del 1994, nel giudizio che
 ha sancito la non applicazione  nella  provincia  dell'art.  8  della
 legge  n.  36  del  1994), nella legislazione provinciale si verifica
 esattamente  l'opposto:   vi e' da un lato una forte centralizzazione
 del sistema depurativo, dall'altro un forte decentramento  gestionale
 del   sistema   acquedottistico   e   fognario.   Nell'organizzazione
 provinciale di questi servizi non si registra (ne' appare  ventilata)
 una  coincidenza  tra  i  gestori  del  sistema  di depurazione con i
 gestori delle reti acquedottistiche e fognarie ne' con  le  autorita'
 di vigilanza.
   Si  riscontra  invece  un  modello  organizzativo  per  cosi'  dire
 "misto", in cui attori - autonomi e coordinati - sono la provincia  e
 i  comuni  o  loro forme associative o societa' o aziende e l'agenzia
 provinciale  per  la  protezione  dell'ambiente.   Il   funzionamento
 ottimale   del   sistema  e'  garantito  da  forme  di  coordinamento
 interistituzionale   fondate   su   pareri,   concerti   e    assensi
 nell'esercizio  di  atti  di  pianificazione,  di autorizzazione e di
 controllo.
   In questo  quadro,  specificamente,  il  gestore  dell'impianto  di
 depurazione  non  e'  titolare  ne' delle funzioni autorizzatorie ne'
 delle funzioni di controllo degli scarichi di reflui  industriali  in
 fognatura.    L'autorizzazione    viene    rilasciata    dal   comune
 territorialmente  interessato,  acquisito  il   parere   dell'agenzia
 provinciale   per   la   protezione   dell'ambiente,   che   cura  il
 coordinamento  con  la  provincia  in  funzione  della  verifica   di
 compatibilita'  dello  scarico  industriale con il sistema depurativo
 provinciale.
   I compiti generali di vigilanza competono  invece  al  servizio  di
 protezione  ambiente  (art.  37,  testo unico, art. 2 dPGp, 12 luglio
 1993, n. 12) le  cui  funzioni  sono  attualmente  per  questa  parte
 assunte  dalla Agenzia provinciale per la protezione dell'ambiente, a
 termini dell'art. 2 della legge provinciale 11 settembre 1995, n. 11,
 e sono disciplinati dagli artt. 10 e 11 della stessa legge.
   In sintesi, il compito del  gestore  dell'impianto,  come  definito
 nell'ambito  della  ricorrente  provincia  dall'art. 57, comma 1, del
 testo unico sopra ricordato, e' (come e' d'altronde logico  che  sia)
 quello  di  "assicurare  la  piena funzionalita' ed efficacia", a tal
 fine osservando "le regole di  conduzione  tecnica  dell'impianto"  e
 provvedendo  "alla  manutenzione ordinaria" ed alla programmazione di
 quella straordinaria: senza  alcun  compito  di  vigilanza  circa  il
 rispetto  generale  della  disciplina ambientale, in tutto quanto non
 attenga alla gestione  del  depuratore,  secondo  le  caratteristiche
 proprie di esso.
   Sia  consentito  qui  per  completezza ricordare che - esclusa ogni
 possibilita' per il  gestore  del  depuratore  di  incidere  mediante
 l'attivita'  del  depuratore  sugli  inquinanti  che  questo  non  e'
 deputato a trattare  -  l'art.  58  del  testo  unico  vigente  nella
 provincia  si  preoccupa  di prevedere che in tutti i casi (che sulla
 base dell'esperienza si sono mostrati in qualche misura  inevitabili)
 in  cui  eventi  eccezionali impediscano il normale funzionamento del
 depuratore (ad esempio, in caso di "abusivo scarico in  fognatura  di
 sostanze  tossiche  o nocive o comunque in concentrazioni eccedenti i
 limiti di accettabilita'") il gestore dell'impianto provveda "a darne
 immediato avviso ai sindaci dei comuni interessati" affinche'  questi
 assumano  "anche  in  via  breve,  i  provvedimenti che si rendessero
 necessari per la tutela dell'igiene ambientale  e  della  salute  dei
 cittadini":   ed  ugualmente  e'  previsto  quanto  gli  impianti  di
 depurazione  "debbano essere completamente o parzialmente disattivati
 in funzione del ripristino della loro funzionalita' o  per  qualsiasi
 altro giustificato motivo".
   Se   anche  dunque  fosse  possibile  fare  carico  ai  sistemi  di
 depurazione dei livelli degli inquinamenti "industriali" in uscita da
 tali sistemi - il che come detto non e' - resterebbe comunque che  il
 complesso  della normativa statale sostanziale del d.lgs. n. 152/1999
 e sul piano sanzionatorio penale l'art. 59, n. 6, nell'individuare la
 responsabilita' del "gestore dell'impianto", comunque implicherebbero
 ed imporrebbero  un'organizzazione  della  gestione  complessiva  dei
 reflui non compatibile con il modello in atto in provincia di Trento,
 inibendo  comunque  una  qualsiasi  altra  opzione organizzativa: con
 evidente  lesione  di  competenze  legislative  provinciali  primarie
 (quali quelle in materia di acquedotti e lavori pubblici di interesse
 provinciale,  e  in  materia di organizzazione dei sevizi pubblici di
 cui all'art. 8, nn. 17  e  19,  dello  statuto),  concorrenti  (quali
 quelle  in materia di utilizzazione delle acque pubbliche e di igiene
 e sanita' e di tutela dell'ambiente dagli inquinamenti di cui all'at.
 9, nn. 9 e 10, dello stauto), nonche' delle  funzioni  amministrative
 in  genere  e  delle  speciali  funzioni in materia di programmazione
 dell'utilizzo delle acque e di difesa dall'inquinamento  previste  di
 cui all'art. 14 dello statuto e dall'art.  5 del d.P.R. n. 381/1974.
   Come  sopra  anticipato,  oggetto  della presente impugnazione sono
 altresi' due disposizioni dell'art. 56,  in  quanto,  almeno  ad  una
 interpretazione  letterale,  con tali disposizioni si conferiscono in
 via diretta alle amministrazioni comunali,  anche  per  la  provincia
 autonoma  di  Trento,  funzioni  che  invece a norma dello statuto di
 autonomia  competono  alla  provincia,  e  che  compete  semmai  alla
 provincia   di   assegnare   ai  comuni,  nell'ambito  della  propria
 discrezionalita' legislativa.
   Precisamente, si tratta dell'art. 56, comma 1, nella parte  in  cui
 tale  disposizione,  premesso  che  "all'irrogazione  delle  sanzioni
 amministrative pecuniarie provvede la regione o la provincia autonoma
 nel cui  territorio  e'  stata  commessa  la  violazione",  fa  pero'
 eccezione per le "sanzioni previste dall'art. 54, commi 8 e 9, per le
 quali  e'  competente il comune, salve le attribuzioni affidate dalla
 legge ad altre pubbliche autorita'".
   Ora, se si dovesse ritenere che in via  direttamente  operativa,  o
 anche solo come principio da recepire nella legislazione provinciale,
 vi  fosse  qui  un  vincolo  ad  affidare  al comune l'irrogazione di
 specifiche funzioni amministrative (tra l'altro formulate esse stesse
 direttamente dalla legge statale), non si potrebbe  ad  avviso  della
 provincia   che   vedere   in   cio'  una  violazione  dell'autonomia
 legislativa ad essa assicurata dallo  statuto,  non  potendosi  certo
 ritenere   che   ne'   la   competenza   comunale  ne'  la  specifica
 conformazione delle sanzioni in questione costituiscano  principi  di
 riforma   in   grado   di   legittimamente   vincolare  la  provincia
 all'adeguamento.
   La stessa illegittimita' verrebbe poi a colpire il  comma  3  dello
 stesso  articolo, dove si prevede da parte dell'autorita' giudiziaria
 in deteminate ipotesi "la trasmissione degli atti agli enti  indicati
 al comma 1 ai fini dell'applicazione delle sanzioni amministrative".
   Si  e' gia' accennato che la contestazione della legittimita' delle
 disposizioni ora indicate e' formulata qui in via ipotetica,  perche'
 in  effetti  non  e'  totalmente  esclusa una diversa interpretazione
 delle disposizioni in questione, che porti a considerarle compatibili
 con le prerogative della provincia autonoma.
   Infatti il vincolo apparentemente derivante per la  provincia  puo'
 essere  semplicemente  l'esito  del  poco felice accostamento tra una
 disposizione "naturalmente" destinata  ad  applicarsi  anche  per  la
 provincia    (quella   che   individua   secondo   un   criterio   di
 territorialita' la regione o la provincia  autonoma  competente  alla
 sanzione)   ed   una  diversa  disposizione,  volta  a  ripartire  la
 competenza tra regioni e comuni, destinata invece ad applicarsi  alle
 sole  regioni  a  statuto ordinario, o comunque rivolta a dettare una
 regola generale, operativa per l'insieme delle regioni in mancanza di
 diversa  disposizione,  ma  non  rivolta  ad   interferire   con   il
 caratteristico  sistema  di  relazioni  tra  legge  statale  e  legge
 regionale previsto per la ricorrente provincia dallo statuto e  dalle
 norme  di attuazione (e tra quelle dell'art.  2 del d.P.R. n. 266 del
 1992): sistema che dunque rimarrebbe non toccato.
   Una ulteriore indicazione nel senso che non sia toccato il  sistema
 istituzionale  trentino  puo'  poi  leggersi  nella  stessa frase che
 chiude il comma 1, ove si fanno "salve le attribuzioni affidate dalla
 legge ad altre pubbliche autorita'". Benche'  tale  disposizione  sia
 concepita in termini generali, e non abbia in particolare lo scopo di
 fare  salve le prerogative della ricorrente provincia, tuttavia essa,
 intesa  nel  quadro  delle  regole  statutarie  e  delle   norme   di
 attuazione,  puo' anch'essa essere intesa come segno di "cedevolezza"
 della disposizione dell'art.  56,  comma  1,  rispetto  alle  diverse
 disposizioni provinciali.
   Diversamente,  ne risulterebbe violato altresi' l'art. 15, comma 2,
 del d.P.R. 28 luglio 1987, n. 526 (come sost. dall'art. 2 del  d.lgs.
 28  luglio  1997,  n.  275),  nella  parte  in  cui  esso affida alle
 province, nella materia di competenza, l'attribuzione e la disciplina
 delle funzioni ai comuni.
                               P. Q. M.
   Chiede di dichiarare l'illegittimita' costituzionale, in quanto  si
 applichino alla ricorrente provincia:
     dell'art.  28,  comma 2; dell'art. 59, comma 6; del paragrafo 1.1
 dell'allegato 5 in collegamento con le tabelle 3, 3A e 5 dello stesso
 allegato 5;
     dell'art. 56, commi 1 e 3;
     dell'impugnato d.lgs. 11 maggio  1999,  n.  152,  per  violazione
 della  Costituzione e dello statuto di autonomia, cosi' come indicato
 in premessa e secondo i profili e le ragioni illustratte nel ricorso.
     Padova-Roma, addi' 25 giugno 1999.
           Avv. prof. Giandomenico Falcon - avv. Luigi Manzi
 99C0752