N. 387 SENTENZA 11 - 15 ottobre 1999

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo civile - Astensione e ricusazione del giudice - Giudice che
 abbia   conosciuto   della  causa  in  altro  grado  del  processo  -
 Procedimento di repressione di condotta antisindacale  -  Opposizione
 al  decreto  emesso (ex art. 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300) -
 Incompatibilita'  tra  le  funzioni  del  giudice  pronunciatosi  con
 decreto  e quelle del giudice in sede di opposizione a tale decreto -
 Mancata previsione - Conseguente prospettata irragionevole diversita'
 di    disciplina    (rispetto    all'ipotesi    prevista    dall'art.
 669-terdecies,  secondo  comma,  cod.  proc.  civ.),  con lesione del
 diritto alla tutela giurisdizionale, attraverso la  esclusione  della
 imparzialita'    del    giudice    -    Possibilita'    di    esegesi
 costituzionalmente corretta della norma denunciata -  Inclusione  del
 caso  qui  considerato  tra  le  ipotesi,  previste,  di obbligatoria
 astensione del  giudice  -  Non  fondatezza,  nei  sensi  di  cui  in
 motivazione, della questione.
 
 (C.P.C., art. 51, primo comma, n. 4, e secondo comma).
 
 (Cost., artt. 3 e 24).
 
(GU n.42 del 20-10-1999 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: prof. Giuliano VASSALLI;
  Giudici:  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.  Cesare  MIRABELLI, prof.
 Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO,  dott.
 Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo  ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,
 prof. Carlo MEZZANOTTE,  avv.  Fernanda  CONTRI,  prof.  Guido  NEPPI
 MODONA,  prof.  Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 51, primo comma,
 n.  4  e  secondo comma, del codice di procedura civile, promossi con
 ordinanze emesse il 3 aprile 1997, il 28 luglio e il 9 dicembre  1997
 dal  pretore di Torino, rispettivamente iscritte ai nn. 402 e 670 del
 registro ordinanze 1997 ed al n. 182 del registro  ordinanze  1998  e
 pubblicate  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27 e n.  42,
 prima serie speciale, dell'anno 1997 e n. 13, prima  serie  speciale,
 dell'anno 1998.
   Visti gli atti di costituzione delle Ferrovie dello Stato s.p.a.  e
 della  Federazione  Autonoma  Lavoratori  del Credito e del Risparmio
 Italiani, nonche' gli atti di intervento del Presidente del Consiglio
 dei Ministri;
   Udito nell'udienza pubblica del 30 giugno 1998 il giudice  relatore
 Riccardo Chieppa.
   Uditi  gli  Avvocati Paolo Tosi per le Ferrovie dello Stato s.p.a.,
 Sergio Vacirca per la Federazione Autonoma Lavoratori del  Credito  e
 del Risparmio Italiani e l'Avvocato dello Stato Luigi Mazzella per il
 Presidente del Consiglio dei Ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1. - Il pretore di Torino, chiamato a pronunciarsi sull'opposizione
 al  decreto  con  il quale aveva respinto un ricorso ex art. 28 della
 legge  20  maggio  1970,  n.  300   per   repressione   di   condotta
 antisindacale,  con  ordinanza emessa il 9 dicembre 1997 (r.o. n. 182
 del  1998),  ha  sollevato,  su  eccezione  della  parte  ricorrente,
 questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 51, primo comma,
 n. 4, e secondo comma, cod.  proc.  civ.,  nella  parte  in  cui  non
 prevede  incompatibilita'  tra  le funzioni del giudice pronunciatosi
 con decreto ex art. 28, primo comma, della predetta legge n.  300,  e
 quelle  del  giudice  dell'opposizione a tale decreto di cui all'art.
 28, terzo comma, della stessa legge.  Ad avviso del rimettente,  tale
 mancata  previsione  violerebbe  gli artt. 3, primo comma, e 24 della
 Costituzione.
   Sotto  il  primo  profilo,  la  ordinanza rileva che la ratio della
 disposizione di cui all'art. 669-terdecies, secondo comma, cod. proc.
 civ. - che ha introdotto un'ipotesi di incompatibilita'  del  giudice
 nell'ambito  dello  stesso  grado del processo, quella del reclamo al
 collegio  contro  i  provvedimenti  cautelari  adottati  dal  singolo
 giudice,   consistente   nell'evitare  il  possibile  condizionamento
 psicologico che  deriva  dalla  naturale  tendenza  a  confermare  il
 giudizio  gia' espresso in altro momento decisionale del procedimento
 - appare estensibile al giudizio di  opposizione  ex  art.  28  della
 legge  n. 300 del 1970, sicche' la differente disciplina adottata per
 situazioni simili potrebbe costituire  violazione  del  principio  di
 uguaglianza.
   Il  giudice  a  quo sospetta poi la lesione del diritto alla tutela
 giurisdizionale di cui all'art. 24 della  Costituzione,  che  sarebbe
 originata   dalla   incompatibilita'   endoprocessuale   dovuta  alla
 duplicazione di  giudizi  della  medesima  natura  presso  lo  stesso
 giudice.  Infatti,  osserva  il pretore di Torino, il procedimento ex
 art. 28 della legge n. 300  del  1970  seppure  caratterizzato  dalla
 sommarieta',  non  ha  natura  cautelare  (donde la inapplicabilita',
 nella specie, delle argomentazioni svolte dalla Corte  costituzionale
 con  la  sentenza  n.  326  del  1997  sulla  non assimilabilita' del
 giudizio di merito a quello  cautelare),  presupponendo,  invece,  un
 accertamento  pieno  della  condotta  antisindacale realizzata e che,
 cio' posto, nel giudizio di opposizione al decreto emesso ex art.  28
 le valutazioni cadono sulla medesima res iudicanda.
   In punto di rilevanza della questione, il giudice a quo ha motivato
 con   riferimento   alla   tassativita'   dei  motivi  di  astensione
 obbligatoria ex art. 51, primo comma, n. 4, cod. proc.  civ.,  tra  i
 quali non e' compreso il caso di specie, non versandosi in un diverso
 grado di giudizio, ma in una diversa fase dello stesso grado; nonche'
 con  riferimento alla insussistenza dei presupposti per la astensione
 facoltativa, atteso che i criteri  di  assegnazione  delle  cause  ai
 magistrati   della   sezione   lavoro,   indicati  nelle  tabelle  di
 composizione dell'ufficio del rimettente, espressamente prevedono che
 le cause di opposizione a decreto ex art. 28 della legge n.  300  del
 1970 sono assegnate al giudice della prima fase del procedimento.
   2.  -  Nel  giudizio  si  e'  costituita  la  Federazione  autonoma
 lavoratori del credito e del risparmio italiani  (FALCRI), ricorrente
 nel  procedimento  a  quo,  concludendo  per   la   declaratoria   di
 illegittimita'   costituzionale   della   normativa  denunciata,  con
 argomentazioni adesive a quelle svolte nell'ordinanza di rimessione.
   3. -  E'  altresi'  intervenuto  nel  giudizio  il  Presidente  del
 Consiglio  dei  Ministri,  con il patrocinio dell'Avvocatura generale
 dello  Stato,  che  ha  concluso  per  la   inammissibilita'   o   la
 infondatezza  della  questione,  osservando  che la sussistenza della
 incompatibilita'  di  un  giudice  e'  subordinata  alla   precedente
 valutazione  di  merito  sulla medesima fattispecie resa dallo stesso
 giudice in una diversa fase processuale, mentre, nel caso di  specie,
 mancherebbe  una  pregressa  valutazione di merito sulla medesima res
 iudicanda, in quanto il procedimento cautelare non tende  a  decidere
 il  merito  della  controversia,  ma  a  tutelare  temporaneamente il
 diritto che ne e' oggetto dal pregiudizio grave e irreparabile che lo
 minaccia.
   4. - La medesima questione e' stata sollevata dal pretore di Torino
 con  ordinanza emessa il 28 luglio 1997 (r.o. n. 670 del 1997), sulla
 base di argomentazioni analoghe a quelle gia' riferite sub  1.  Anche
 in  tale  giudizio  e'  intervenuto  il  Presidente del Consiglio dei
 Ministri, che ha concluso per la inammissibilita' o  la  infondatezza
 della questione.
   5.  -  Con  ordinanza emessa in data 3 aprile 1997 (r.o. n. 402 del
 1997), nel corso di un giudizio di opposizione a decreto ex art.   28
 della  legge  n. 300 del 1970, nel quale la societa' ricorrente aveva
 eccepito la illegittimita' costituzionale dell'art. 51, primo  comma,
 n.  4, e secondo comma, cod. proc. civ., in riferimento all'art.  24,
 secondo comma, della Costituzione, per la  mancata  previsione  della
 incompatibilita'  del giudice che abbia provveduto alla emissione del
 decreto in materia di repressione della condotta  antisindacale  alla
 trattazione  del  merito  della  causa  promossa  in  opposizione  al
 medesimo decreto, il pretore di Torino ha ritenuto la  non  manifesta
 infondatezza  della  questione,  tenuto  conto  sia  della  causa  di
 incompatibilita'  enucleata  dal  giudice  delle  leggi  in   materia
 processuale penale, rappresentata dalla c.d. forza della prevenzione,
 sia dei riflessi di essa quanto al processo civile.
   Peraltro,  il  giudice a quo rimette alla Corte la valutazione se i
 principi elaborati con riferimento al processo penale  che,  a  detta
 dello stesso rimettente, avrebbero di fatto contribuito a paralizzare
 il  meccanismo  processuale, siano da estendere anche al procedimento
 civile.
   Il pretore ha rilevato che il  processo,  oltre  che  giusto,  deve
 essere  possibile,  mentre  l'accoglimento  della  impostazione della
 difesa della societa' ricorrente, si osserva ancora nella  ordinanza,
 rischia  di  introdurre nella gestione degli uffici, gia' appesantita
 da lentezze di varia natura, nuove difficolta'.
   6. - Nel giudizio si  e'  costituita  la  societa'  Ferrovie  dello
 Stato,  ricorrente  nel  procedimento  a  quo, che ha concluso per la
 declaratoria  di  illegittimita'   costituzionale   della   normativa
 impugnata,   osservando   che   la   questione  deve  essere  risolta
 prescindendo dalle conseguenze che potrebbero derivare dalla sentenza
 di  accoglimento  relativamente  alla  funzionalita'   degli   uffici
 giudiziari.
   E'  intervenuto  il  Presidente  del Consiglio dei Ministri, con il
 patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso  per
 la inammissibilita' o la infondatezza della questione.
   7.  -  Nell'imminenza  dell'udienza e' stata depositata una memoria
 nell'interesse delle Ferrovie dello Stato  s.p.a.,  parte  costituita
 nel  giudizio  introdotto  con ordinanza r.o. n. 402 del 1997, con la
 quale si insiste per l'accoglimento della questione, sottolineando la
 diversita' di essa rispetto sia a  quella  dichiarata  manifestamente
 infondata dalla Corte con l'ordinanza n. 356 del 1997, sia rispetto a
 quella dichiarata non fondata con la sentenza n. 326 del 1997.
   La  fattispecie  portata  all'esame  odierno  della  Corte sarebbe,
 sempre ad avviso delle Ferrovie, invece, analoga a quelle  che  hanno
 condotto   alla   dichiarazione   di   illegittimita'  costituzionale
 dell'art.  34,  secondo  comma,  cod.  proc.  pen.,  con  particolare
 riferimento  alla preesistenza di valutazioni, in relazione al merito
 del giudizio, che cadrebbero sulla medesima res iudicanda.
   Quanto  alle paventate difficolta' di ordine pratico che potrebbero
 nascere dalla  estensione  al  processo  civile  dei  principi  sulla
 incompatibilita'   gia'  affermati  dalla  Corte  costituzionale  con
 riguardo al processo  penale,  nella  memoria  si  afferma  che  esse
 potrebbero  essere  superate  con  la  legge  n.  254  del 1997 sulla
 istituzione del giudice unico di primo  grado,  che  ha  attuato  una
 riforma   strettamente  connessa,  per  riconoscimento  dello  stesso
 Consiglio superiore della magistratura, proprio  con  il  tema  della
 incompatibilita' del giudice.
                         Considerato in diritto
   1. - Le questioni sottoposte all'esame della Corte da tre ordinanze
 del  pretore  di  Torino  riguardano  l'art. 51, primo comma, n. 4, e
 secondo comma, cod. proc. civ., nella parte in  cui  non  prevede  la
 incompatibilita'  tra  le  funzioni  del  giudice  pronunciatosi  con
 decreto ex art. 28, primo comma, della legge 20 maggio 1970, n.  300,
 e  quelle del giudice dell'opposizione a tale decreto di cui all'art.
 28, terzo comma, della stessa legge.
   Viene denunciata la violazione  dell'art.  3,  primo  comma,  della
 Costituzione,  per la irragionevole diversita' di disciplina rispetto
 all'ipotesi, del  tutto  simile,  prevista  dall'art.  669-terdecies,
 secondo  comma,  cod.  proc.  civ.,  che  ha  introdotto  un  caso di
 incompatibilita' del  giudice  nell'ambito  dello  stesso  grado  del
 processo  (questione  sollevata  con ordinanze r.o. nn. 182 e 670 del
 1997).
   Inoltre  viene  denunciata  la  violazione   dell'art.   24   della
 Costituzione, per la lesione del diritto alla tutela giurisdizionale,
 sotto  il  profilo  di  esclusione  della  imparzialita'  del giudice
 (questione sollevata con le ordinanze r.o nn.  182,  670  e  402  del
 1997,  nella  quale  ultima si invoca specificamente il secondo comma
 dell'art.  24 della  Costituzione).
   2. - Preliminarmente deve  essere  disposta  la  riunione  dei  tre
 giudizi  stante  l'identita'  della  norma  oggetto  del  giudizio di
 legittimita' costituzionale e la connessione dei profili denunciati.
   3. - Il profilo che logicamente per primo deve essere affrontato e'
 quello - prospettato dalla ordinanza n. 402  del  1997  e  sviluppato
 dalla   memoria   delle   Ferrovie   dello   Stato   s.p.a.  -  della
 applicabilita' alla fattispecie, riguardante l'opposizione a  decreto
 di cui all'art.  28, terzo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300,
 per repressione di condotta antisindacale, dei principi elaborati con
 riferimento all'art. 34 del codice di procedura penale in ordine alla
 incompatibilita' del giudice per effetto della prevenzione, per avere
 lo stesso giudice emesso un precedente provvedimento nel merito nella
 stessa causa.
   La  Corte  ha  ripetutamente  affermato che non sono applicabili al
 giudizio  civile  ed  a  quello  amministrativo,   proprio   per   la
 particolarita'  e  le  diversita'  dei sistemi processuali, le regole
 delle   incompatibilita'   soggettive   per   precedente    attivita'
 (tipizzata)  svolta  nello  stesso  procedimento  penale,  bensi'  le
 disposizioni sull'astensione e la ricusazione del codice di procedura
 civile, cui anche le norme proprie del processo amministrativo  fanno
 rinvio  (v., per le peculiarita' dei sistemi processuali, sentenza n.
 326 del 1997).
   Le  insopprimibili  esigenze  di  imparzialita'  del  giudice  sono
 risolvibili  nel  processo  civile  -  per  le  sue caratteristiche -
 attraverso  gli  istituti  della  astensione  e  della   ricusazione,
 previsti dal codice di procedura civile (ordinanze nn. 359 del 1998 e
 356 del 1997 e sentenza n. 326 del 1997).
   4.  -  La  Corte  ha  avuto occasione di notare che il principio di
 imparzialita'-terzieta'   della   giurisdizione   ha   pieno   valore
 costituzionale  con  riferimento  a  qualunque  tipo  di processo, in
 relazione  specifica  al  quale,  peraltro,  puo'  e   deve   trovare
 attuazione  (sentenze  n. 51 del 1998; n. 326 del 1997), pur tuttavia
 con  le  peculiarita'  proprie  di  ciascun  tipo  di   procedimento,
 dovendosi ancora una volta ribadire la netta distinzione fra processo
 civile  e  processo  penale:  per la diversa posizione e i differenti
 poteri di impulso delle parti.
   Di modo che - ferma l'esigenza generale di assicurare che sempre il
 giudice rimanga, ed anche appaia, del tutto estraneo  agli  interessi
 oggetto  del processo - le soluzioni per garantire un giusto processo
 non devono seguire linee direttive necessariamente  identiche  per  i
 due tipi di processo.
   Infatti,  e'  stato  rilevato  (sentenza  n.  341  del 1998) che le
 situazioni pregiudicanti descritte dall'art. 34 cod. proc. pen.  sono
 "tipicamente individuate dal legislatore in base alla presunzione che
 siano  di per si' incompatibili con l'esercizio di ulteriori funzioni
 giurisdizionali  nel  medesimo  procedimento,  a  prescindere   dalle
 modalita'  con  cui  la funzione e' stata svolta, ovvero dal concreto
 contenuto dell'atto preso in considerazione"  (sentenza  n.  351  del
 1997; v. anche le sentenze nn. 306, 307 e 308 del 1997).
   La  medesima soluzione non e' stata adottata dal legislatore per il
 processo civile, per il quale vige un peculiare  sistema  procedurale
 caratterizzato  da  una diversa posizione delle parti, che si possono
 avvalere di particolari poteri di difesa,  di  modo  che  appare  non
 arbitraria  la diversa scelta di garantire la imparzialita'-terzieta'
 del  giudice  nel  processo  civile  solo  attraverso  gli   istituti
 dell'astensione e ricusazione.
   5.   -   La  Corte,  chiamata  a  pronunciarsi  sulla  legittimita'
 costituzionale dell'art. 28, ultimo  comma,  della  legge  20  maggio
 1970,  n.  300  (Norme  sulla  tutela  della  liberta' e dignita' dei
 lavoratori, della liberta' sindacale e dell'attivita'  sindacale  nei
 luoghi  di lavoro e norme sul collocamento), come novellato dall'art.
 6 della legge 12  giugno  1990,  n.  146  (Norme  sull'esercizio  del
 diritto   di   sciopero  nei  servizi  pubblici  essenziali  e  sulla
 salvaguardia dei diritti della persona  costituzionalmente  tutelati.
 Istituzione  della  Commissione  di  garanzia  dell'attuazione  della
 legge),  nell'ipotesi  in  cui  il  comportamento  antisindacale  sia
 addebitabile  ad una amministrazione statale o ad altro ente pubblico
 non economico e con competenza attribuita al  giudice  amministrativo
 (decreto  del  Tribunale  amministrativo regionale ed opposizione nei
 confronti del decreto davanti allo stesso tribunale), ha ritenuto che
 tale disposizione ha il solo scopo  di  determinare  uno  spostamento
 della  competenza  giurisdizionale  da quella ordinariamente prevista
 per  la  repressione  della  condotta  antisindacale,  attribuita  al
 Pretore.  La  Corte  ha  peraltro  escluso che vi fosse alcun vincolo
 nella composizione del collegio giudicante  in  sede  di  opposizione
 avverso  il  decreto,  e  una  qualsiasi preclusione di una eventuale
 astensione o ricusazione (ordinanza n. 356 del 1997).
   Nella  anzidetta  ordinanza  venivano  presupposte  sia  la valenza
 costituzionale  dell'obbligo  di  astensione,  sia  l'esistenza   dei
 poteri-doveri  presidenziali di assegnazione dei ricorsi alle singole
 udienze  e  ai  relatori,  con  consequenziale   determinazione   del
 collegio,  nonche'  l'applicazione delle normali regole relative alla
 imparzialita' del giudice attraverso gli istituti della astensione  e
 della ricusazione.
   Ed  appunto  la  indicazione  della via della doverosa astensione e
 conseguente  possibilita'  di  ricusazione    deve  trovare,  per  la
 fattispecie  in  discussione,  il supporto normativo nella previsione
 dell'art.  51, n. 4, cod. proc. civ.
   Infatti, sul piano generale, esigenza imprescindibile, rispetto  ad
 ogni  tipo  di  processo,  e'  solo  quella  di evitare che lo stesso
 giudice, nel decidere, abbia  a  ripercorrere  l'identico  itinerario
 logico  precedentemente  seguito;  sicche', condizione necessaria per
 dover   ritenere   una   incompatibilita'   endoprocessuale   e'   la
 preesistenza  di  valutazioni  che  cadano sulla stessa res iudicanda
 (cfr. sentenza n. 131 del 1996).
   Nel processo civile la previsione contenuta  nell'art.  51,  n.  4,
 cod.  proc.  civ.,  secondo  il  quale  il  giudice  ha  l'obbligo di
 astenersi "se ha conosciuto (della causa) come  magistrato  in  altro
 grado  del  processo"  trova  fondamento  nella  "esigenza  stessa di
 garanzia  che  sta  alla  base  del  concetto  di   revisio   prioris
 instantiae",  che  postula l'alterita' del giudice dell'impugnazione,
 il quale si trova - per via del carattere del mezzo di  gravame  -  a
 dover ripercorrere l'itinerario logico che e' stato gia' seguito onde
 pervenire  al  provvedimento  impugnato  (ordinanza  n. 359 del 1998;
 sentenza n. 326 del 1997).
   Nel  sistema  originario  del  procedimento  di  repressione  della
 condotta  antisindacale,  nel  quale era prevista una fase davanti al
 Pretore, il quale decideva in ordine alla richiesta di emissione  del
 decreto  ex  art.  28  della  legge n. 300 del 1970, ed una eventuale
 opposizione  avanti  al  Tribunale,  non  si  poteva  dubitare  della
 sussistenza  di  una duplicita' di fasi processuali, la seconda delle
 quali avanti al Tribunale assumeva tutte  le  caratteristiche  di  un
 ulteriore grado di giudizio.
   Pertanto,  la  fattispecie rientrava all'evidenza nell'ambito della
 previsione dell'art. 51, numero 4, cod. proc.  civ.,  avuto  riguardo
 anche  alla considerazione che il provvedimento ex art. 28 cit. aveva
 una funzione decisoria idonea di per se' a realizzare un assetto  dei
 rapporti  tra  le  parti,  non  meramente incidentale o strumentale e
 provvisorio ovvero interinale (fino alla decisione  del  merito),  ma
 anzi  suscettibile  -  in  caso  di mancata opposizione - di assumere
 valore di pronuncia definitiva,  con  effetti  di  giudicato  tra  le
 parti.
   Nello  stesso tempo la valutazione delle condizioni che legittimano
 il provvedimento ex art. 28 non divergeva -  quanto  a  parametri  di
 giudizio  -  da  quella  che  deve compiere il giudice dell'eventuale
 opposizione, se non per il  carattere  del  contraddittorio  e  della
 cognizione  sommaria; allo stesso modo, risultando identici l'oggetto
 e  il  presupposto  dell'azione  di   tutela   contro   la   condotta
 antisindacale  nelle  due  fasi,  la  seconda di esse assumeva valore
 impugnatorio con contenuto sostanziale di revisio prioris instantiae.
   6.  -  Il  rapporto  tra  le  due  fasi,  sotto  il  profilo  della
 imparzialita'-terzieta' del giudice, non puo', ora, ritenersi  mutato
 per il semplice sopravvenuto intervento di modifica (legge 8 novembre
 1977,  n. 847, art. 3, sostitutivo del terzo comma dell'art. 28 della
 legge n. 300 del 1970) della  sola  norma  sulla  competenza  con  la
 riunificazione  di  questa  in  capo  al giudice monocratico, essendo
 rimaste identiche le norme  relative  ai  poteri  del  giudice  nelle
 diverse  fasi,  ai presupposti delle pronunce, nonche' agli effetti e
 alle altre regole dello speciale procedimento.
   7. - Ancora, non puo'  costituire  ostacolo  ad  una  applicazione,
 nelle fasi del procedimento di repressione di condotta antisindacale,
 della regola della alterita' del giudice dell'impugnazione la dizione
 del  codice  di  procedura del 1942, cioe' "magistrato in altro grado
 del processo". Tale espressione deve, infatti, intendersi  alla  luce
 dei  principi  che  si ricavano dalla Costituzione relativi al giusto
 processo, come espressione  necessaria  del  diritto  ad  una  tutela
 giurisdizionale  mediante  azione (art. 24 della Costituzione) avanti
 ad un giudice con le garanzie proprie della giurisdizione, cioe'  con
 la  connaturale imparzialita', senza la quale non avrebbe significato
 ne' la soggezione  dei  giudici  solo  alla  legge  (art.  101  della
 Costituzione),   ne'   la  stessa  autonomia  ed  indipendenza  della
 magistratura (art. 104, primo comma, della Costituzione).
   In altri termini, la espressione "altro grado" non  puo'  avere  un
 ambito ristretto al solo diverso grado del processo, secondo l'ordine
 degli  uffici giudiziari, come previsto dall'ordinamento giudiziario,
 ma  deve  ricomprendere  -  con  una   interpretazione   conforme   a
 Costituzione  -  anche la fase che, in un processo civile, si succede
 con  carattere   di   autonomia,   avente   contenuto   impugnatorio,
 caratterizzata  (per  la  peculiarita' del giudizio di opposizione di
 cui si discute) da pronuncia che attiene al medesimo oggetto  e  alle
 stesse  valutazioni  decisorie  sul merito dell'azione proposta nella
 prima fase, ancorche' avanti allo stesso organo giudiziario.
   8.  -  Infine,  non  puo'  impedire  la  anzidetta  interpretazione
 dell'art.    51,  n. 4, cod. proc. civ., la circostanza che l'ufficio
 giudiziario rimettente abbia dei criteri di assegnazione delle  cause
 ai  magistrati  della  sezione  del  lavoro,  espressi  nelle tabelle
 periodiche, nel senso della identita' del  giudice  delle  due  fasi,
 posto  che una determinazione organizzatoria-amministrativa, non puo'
 derogare   a   principi   contenuti   nelle   norme   processuali   e
 costituzionali, dovendo il giudice disapplicarla - in quanto priva di
 forza di legge - se in contrasto con detti principi.
   Del  resto,  altri uffici giudiziari, sulla base di diverse tabelle
 debitamente approvate, hanno da tempo  applicato  criteri  del  tutto
 conformi   ai   principi   costituzionali  sopraindicati,  disponendo
 l'assegnazione delle cause di opposizione a decreto ex art. 28  della
 legge  n.  300  del  1970  sulla  base  degli  ordinari  criteri, con
 esclusione specifica del giudice del primo procedimento.
   Tantomeno puo' valere ad escludere l'anzidetta  interpretazione  la
 considerazione  di  possibili  rischi di lentezze e difficolta' nella
 gestione   degli   uffici   giudiziari,   poiche'   deve    ritenersi
 assolutamente    preminente   il   principio   costituzionale   della
 imparzialita' del giudice, da attuarsi nel processo civile per  mezzo
 dell'istituto   dell'astensione  e  ricusazione.  D'altro  canto,  le
 prospettate difficolta', mentre  risultano  gia'  all'epoca  smentite
 dalla pacifica attuazione dei principi anzidetti in uffici giudiziari
 con  dimensioni  di  procedimenti tutt'altro che insignificanti, sono
 ormai del tutto trascurabili a seguito della istituzione del  giudice
 unico di primo grado, che consentira' una possibilita' di scelta piu'
 ampia tra magistrati cui assegnare la seconda fase del procedimento a
 seguito di opposizione.
   9.  -  In definitiva, la questione deve essere dichiarata infondata
 sotto tutti i profili denunciati dalle tre ordinanze del  pretore  di
 Torino, essendo l'interprete tenuto ad una esegesi costituzionalmente
 corretta  della  norma  denunciata,  tale  da  ricomprendere,  tra le
 ipotesi, dalla stessa  contemplate,  di  obbligo  di  astensione  del
 giudice  per  avere  conosciuto della causa in un altro grado, quella
 dell'opposizione a decreto dallo stesso  emesso  ex  art.  28,  primo
 comma, della legge n. 300 del 1970.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti  i  giudizi,  dichiara  non  fondata,  nei  sensi di cui in
 motivazione, la questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.
 51,  primo  comma, numero 4, e secondo comma, del codice di procedura
 civile  sollevata,  in  riferimento  agli  artt.   3   e   24   della
 Costituzione,  dal  pretore  di  Torino  con le ordinanze indicate in
 epigrafe.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, l'11 ottobre 1999.
                        Il Presidente: Vassalli
                         Il redattore: Chieppa
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 15 ottobre 1999.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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