N. 416 SENTENZA 27 ottobre - 4 novembre 1999

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Questione di legittimita' costituzionale -  Disciplina  sopravvenuta
 alla normativa denunciata - Influenza sulla rilevanza della questione
 sollevata - Esclusione - Plausibile motivazione sul punto del giudice
 rimettente.
 
 Previdenza  e  assistenza  -  Pensioni  dei  lavoratori dipendenti -
 Divieto di cumulo, limitatamente alla quota di pensione liquidata con
 il  sistema  retributivo,  della  pensione  di   anzianita'   e   dei
 trattamenti   anticipati  di  anzianita'  con  redditi  da  attivita'
 autonoma libero-professionale - Dedotta violazione dei  principii  di
 ragionevolezza,  di  adeguatezza della pensione alle esigenze di vita
 del pensionato e di proporzionalita'  della  pensione  medesima  alla
 quantita' e qualita' del lavoro prestato - Esclusione.
 
 (Costituzione, artt. 3, 36 e 38).
 
 Previdenza  e  assistenza  -  Pensioni  dei  lavoratori dipendenti -
 Divieto di cumulo, limitatamente alla quota di pensione liquidata con
 il  sistema  retributivo,  della  pensione  di   anzianita'   e   dei
 trattamenti   anticipati  di  anzianita'  con  redditi  da  attivita'
 autonoma libero-professionale  -  Asserita  lesione  del  diritto  al
 lavoro  e del principio di tutela del lavoro in tutte le sue forme ed
 applicazioni - Esclusione.
 
 (Costituzione, artt. 4, primo comma, e 35, primo comma).
 
 Previdenza e assistenza  -  Pensioni  dei  lavoratori  dipendenti  -
 Divieto  di  cumulo,  con  effetto retroattivo dal 30 settembre 1996,
 limitatamente  alla  quota  di  pensione  liquidata  con  il  sistema
 retributivo,   della   pensione   di  anzianita'  e  dei  trattamenti
 anticipati di anzianita' con redditi da lavoro di qualsiasi natura  -
 Irragionevole  diversificazione, rispetto alla decorrenza del divieto
 di cumulo, tra titolari di pensioni da lavoro dipendente  e  titolari
 di pensioni da lavoro autonomo - Esclusione.
 
 (Costituzione, art. 3).
 
 Previdenza  e  assistenza  -  Pensioni  dei  lavoratori dipendenti -
 Divieto di cumulo, con effetto retroattivo (dal 30  settembre  1996),
 limitatamente  alla  quota  di  pensione  liquidata  con  il  sistema
 retributivo,  della  pensione  di  anzianita'   e   dei   trattamenti
 anticipati  di anzianita' con redditi da lavoro di qualsiasi natura -
 Recupero, tramite disposizione di legge ordinaria, dei  contenuti  di
 un   decreto-legge  decaduto  -  Asserita  violazione  dei  principii
 relativi alla decretazione d'urgenza e al procedimento di  formazione
 delle  leggi  (alla  stregua  della  sentenza  n.  360  del  1996)  -
 Esclusione.
 
 (Costituzione, artt. 77 e 70).
 
 Previdenza e assistenza - Pensioni dei lavoratori dipendenti - Quota
 di pensione liquidata con il sistema retributivo - Divieto di  cumulo
 dei  ratei  della pensione di anzianita' e dei trattamenti anticipati
 di anzianita'  con  redditi  da  lavoro  autonomo,  con  effetto  sui
 trattamenti  liquidati  dal  30  novembre  1996 al 31 dicembre 1996 -
 Retroattivita'  della  disposizione  -  Sua   irragionevolezza,   per
 violazione   del   principio  dell'affidamento  del  cittadino  nella
 sicurezza giuridica - Illegittimita' costituzionale in parte qua.
 
 (Legge 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, comma 189).
 
 (Costituzione, art. 3).
 
 Retroattivita' della  legge  -  Divieto  -  Significato  e  valore  -
 Ammissibilita'  di  norme  retroattive  fuori  della materia penale -
 Condizione.
 
 (Costituzione, art. 25).
 
(GU n.45 del 10-11-1999 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici: prof. Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.
 Cesare  MIRABELLI,  avv.  Massimo  VARI,  dott. Cesare RUPERTO, dott.
 Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo  ZAGREBELSKY,  prof.  Valerio  ONIDA,
 prof.  Carlo  MEZZANOTTE,  avv.  Fernanda  CONTRI,  prof. Guido NEPPI
 MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 1,  comma  189,
 della  legge  23  dicembre  1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione
 della finanza pubblica), promosso con ordinanza emessa il 5  dicembre
 1997  dalla  Corte  dei conti, Sezione giurisdizionale per la regione
 Lazio, sul ricorso proposto da Biagini Celestino contro la  Direzione
 provinciale  del  Tesoro  di  Roma,  iscritta  al n. 604 del registro
 ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 37 - prima serie speciale - dell'anno 1998;
   Visto l'atto di costituzione di Biagini Celestino nonche' l'atto di
 intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
   Udito  nell'udienza  pubblica  del  23  febbraio  1999  il  giudice
 relatore Massimo Vari;
   Uditi l'avvocato Federico Rafti per Biagini Celestino e  l'Avvocato
 dello  Stato  Michele  Di  Pace  per  il Presidente del Consiglio dei
 Ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1. - Con ordinanza 5 dicembre 1997, la  Corte  dei  conti,  Sezione
 giurisdizionale  per  la  regione  Lazio,  ha  sollevato questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 189,  della  legge  23
 dicembre  1996,  n.  662  (Misure  di razionalizzazione della finanza
 pubblica).
   1.1. - In punto di rilevanza il giudice rimettente osserva  che  il
 ricorrente  nel  giudizio  principale  -  gia'  Consigliere  di Stato
 cessato dal servizio, per dimissioni, a  decorrere  dal  30  novembre
 1996,  con  un servizio utile di anni 29 ha invocato un "accertamento
 del  regime  pensionistico  applicabile  nella  fattispecie  sin  dal
 momento  del  collocamento  a  riposo".  Si  tratta,  percio', di una
 domanda che muove da un "interesse diretto ed attuale"  del  medesimo
 ricorrente "alla pronuncia giurisdizionale", considerata l'incidenza,
 "sia sull'an che sul quantum del trattamento da corrispondere", della
 norma impugnata, la quale, "entrata in vigore dal 1 gennaio 1997", ha
 stabilito  che,  "con effetto sui trattamenti liquidati dalla data di
 cui al comma 185", e cioe' dal 30 settembre  1996,  "le  pensioni  di
 anzianita'  a  carico  della  assicurazione generale obbligatoria dei
 lavoratori dipendenti e delle forme di essa  sostitutive,  nonche'  i
 trattamenti  anticipati  di  anzianita'  delle  forme esclusive della
 medesima, non sono cumulabili, limitatamente alla quota liquidata con
 il sistema retributivo, con redditi da lavoro di qualsiasi  natura  e
 il loro conseguimento e' subordinato alla risoluzione del rapporto di
 lavoro".
   1.2.  -  Quanto  alla  non manifesta infondatezza, il giudice a quo
 ritiene che l'"operativita'  retroattiva"  dell'art.  1,  comma  189,
 della  legge n. 662 del 1996, confligga - soprattutto "dopo il severo
 e rigoroso  richiamo  alla  normalita'  costituzionale  di  cui  alla
 sentenza  n.  360  del  1996" di questa Corte con il precetto "che fa
 decadere fin dall'inizio i decreti legge non  convertiti":  la  norma
 censurata,  nel recuperare "i contenuti di un decreto-legge decaduto"
 (d.-l.   30 settembre 1996, n. 508),  non  avrebbe,  infatti,  tenuto
 conto  di  tutte  le conseguenze di tale precetto, che non potrebbero
 "essere violate o indirettamente aggirate".  E cio' anche perche', ad
 opinare il contrario, si otterrebbe, sul  piano  della  certezza  del
 diritto, un risultato deteriore per il cittadino:  difatti, mentre in
 presenza   di   un   decreto  reiterato  vi  sarebbe  pur  sempre  la
 possibilita' di conoscere la normativa di riferimento al  momento  di
 operare   le   proprie  scelte,  l'utilizzo  di  norme  ad  efficacia
 retroattiva, tali da elidere  diritti  a  prestazioni  pensionistiche
 sostanzialmente  acquisite,  lascerebbe  il  cittadino  "privo  della
 possibilita' di orientare le proprie scelte in  relazione  al  quadro
 normativo  esistente".    Donde  la  violazione  dell'art.  77  della
 Costituzione e "delle altre norme costituzionali (artt. 70 segg.) che
 disciplinano il procedimento di formazione delle  leggi",  come  pure
 dell'art.  3 della Costituzione, sia "per il contrasto con l'esigenza
 primaria  di   tutelare   l'affidamento   del   cittadino,   elemento
 fondamentale  nello  Stato di diritto", sia "per la diversificazione,
 quanto alla prevista operativita' retroattiva" della norma censurata,
 "tra lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi",  atteso  che,  per
 questi  ultimi,  il divieto di cumulo ha effetto soltanto "dalla data
 di entrata in vigore della presente legge"  (comma  190  dell'art.  1
 della legge impugnata).
   1.3.   -   Non   manifestamente  infondata  e',  secondo  la  Corte
 rimettente, anche l'ulteriore, e distinta, denuncia  del  comma  189,
 dell'art.  1, della legge n. 662 del 1996, censurato "per la parte in
 cui   stabilisce   il   totale  divieto  di  cumulo  del  trattamento
 pensionistico di attivita'  (recte:  anzianita')  con  ogni  tipo  di
 reddito da attivita' autonoma libero-professionale".
   L'ordinanza osserva, preliminarmente, che l'art. 1, comma 13, della
 legge 8 agosto 1995, n. 335, applicabile nella fattispecie oggetto di
 controversia nel giudizio principale, assicura, a chi puo' vantare 18
 anni   di   contribuzione   alla  data  del  31  dicembre  1995,  "la
 liquidazione  della   pensione   interamente   secondo   il   sistema
 retributivo".    Senonche'  l'aspettativa derivante da detta norma e'
 del  tutto  vanificata  -  "anche  se  limitatamente  ai  trattamenti
 anticipati di anzianita'" - dalla censurata disposizione, avendo essa
 introdotto  il  criterio  della  non  cumulabilita'  della  quota  di
 pensione liquidata col sistema retributivo,  si'  da  confondere  "il
 criterio di liquidazione del trattamento con la qualificazione" dello
 stesso, tanto da svuotare di contenuto "posizioni giuridiche ritenute
 acquisite  ad  una  certa  data",  attraverso  "limitazioni  idonee a
 divenire discriminatorie".
   Il rimettente precisa, peraltro, che la sollevata  censura  attiene
 "non  alla  ratio  della  disposizione  ed  al principio del criterio
 limitativo in se'", bensi' "alla omessa previsione di ogni meccanismo
 correttivo (con riguardo ad  una  quota  sicuramente  contributiva  e
 sicuramente  corrisposta dal dipendente e in parte anche a carico del
 datore di lavoro) con effetto di totale esclusione della  prestazione
 pensionistica  e  senza  alcun  limite  minimo  di mantenimento della
 prestazione stessa".
   Ad avviso del giudice a quo v'e' da dubitare della razionalita'  di
 un  sistema  che,  comportando  "il  sostanziale  annullamento  di un
 diritto", ignora "ogni criterio di proporzionalita'  tra  contributi,
 retribuzioni  e  pensioni",  si'  da  non  potersi  piu' giustificare
 "neppure in base a principi solidaristici", ed incide sui principi di
 adeguatezza della pensione alle esigenze di vita del pensionato e  di
 proporzionalita'  della pensione stessa alla quantita' e qualita' del
 lavoro prestato:   donde, il vulnus agli  artt.  3,  36  e  38  della
 Costituzione.
   1.4.  - Secondo il rimettente, sussisterebbe, altresi', lesione del
 principio della tutela del diritto al lavoro in tutte le sue forme ed
 applicazioni, desumibile dagli artt. 4,  primo  comma,  e  35,  primo
 comma,  della Costituzione. Posto che pure il pensionato "conserva il
 diritto inviolabile e irrinunciabile al libero esplicarsi  della  sua
 personalita'  anche sul piano economico", viene, nella fattispecie, a
 porsi un  problema  di  "effettivita'"  della  tutela  previdenziale,
 "addirittura  annullata  quando si impongono limitazioni di carattere
 generale e assoluto come quella in esame", le quali  scoraggiano  "il
 lavoratore  (dipendente  o  autonomo) ... nell'adozione di scelte che
 coinvolgono la sua liberta' lavorativa".
   1.5.  Osserva  ancora  l'ordinanza  di  rimessione  che  la   norma
 denunciata  ha  introdotto  - nell'ambito delle soluzioni fornite dal
 legislatore in materia di cumulo  (art.  10,  comma  6,  del  decreto
 legislativo  n.    503 del 1992; art. 11, comma 9, della legge n. 537
 del 1993) - un criterio che "puo' valere come norma a regime  per  le
 nuove posizioni previdenziali, non gia' applicarsi senza alcun limite
 a  situazioni  pregresse  diversamente disciplinate e che scontano un
 assetto sempre piu' rigido via via che aumenta l'anzianita' di lavoro
 e contributiva".
   Secondo il giudice a  quo  non  sembra,  d'altro  canto,  possibile
 operare   raffronti,  in  tema  di  cumulo,  tra  lavoro  autonomo  e
 subordinato, "ne' porre sullo stesso piano le  limitazioni  attinenti
 alla  materia  in  esame",  come  conferma  la  stessa giurisprudenza
 costituzionale (sentenza n. 433 nel 1994), la quale ha evidenziato la
 diversita' dei rispettivi rapporti lavorativi e sistemi contributivi.
 Cio' non senza rilevare che la finalita'  di  porre  un  disincentivo
 all'attivita'  di  lavoro  subordinato  prestata  successivamente  al
 collocamento al  riposo  "potrebbe  costituire  l'espressione  di  un
 indirizzo  di  politica  legislativa,  inteso  a  rimuovere  ostacoli
 all'accesso dei giovani ad occasioni lavorative: ostacoli  che  quasi
 sempre  non  sono costituiti dall'espletamento di un'attivita' libero
 professionale".
   1.6.  -  Ad  avviso  del   rimettente,   i   sollevati   dubbi   di
 costituzionalita'   "sembrano   trovare   indiretta   conferma  nelle
 ulteriori modificazioni in materia introdotte"  dall'art.  59,  comma
 14, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, il quale prevede il divieto
 di   cumulo   tra   pensione  e  redditi  da  lavoro  autonomo  "solo
 limitatamente alla quota del 50% eccedente l'ammontare corrispondente
 al trattamento minimo  del  fondo  pensioni  lavoratori  dipendenti",
 attraverso  un  correttivo  che  "esclude  qualsiasi  possibilita' di
 perdita completa della pensione di anzianita'".
   Ritiene, peraltro, il giudice  a  quo  che  tale  disposizione  non
 incida  (o  incida solo parzialmente) sulla rilevanza delle questioni
 prospettate, considerato che, a parte ogni altro problema, il divieto
 totale di cumulo "permane (a  danno  del  ricorrente)  per  tutto  il
 periodo  dal collocamento a riposo fino al 1 gennaio 1998 (entrata in
 vigore della piu' favorevole previsione)".
   2. - Si e' costituito il ricorrente nel  giudizio  principale,  per
 sentir  dichiarare  l'incostituzionalita'  della normativa denunciata
 dal giudice a quo.
   La parte  privata,  soffermandosi,  in  primo  luogo,  sul  profilo
 attinente  alla  dedotta  violazione dell'art. 77 della Costituzione,
 ritiene   che   la   disposizione   censurata   abbia    determinato,
 sostanzialmente,    un    aggiramento    della    "dichiarazione   di
 incostituzionalita'  della  riproposizione  dei   decreti-legge,   in
 mancanza   di   conversione,  portata"  dalla  sentenza  della  Corte
 costituzionale n. 360 del 1996.  Al tempo stesso,  la  diversita'  di
 decorrenza  (30  settembre 1996) della disciplina anticumulo prevista
 dalla norma denunciata, per i titolari di  trattamenti  pensionistici
 da  lavoro  dipendente,  rispetto  a  quella stabilita dal successivo
 comma 190 per i  titolari  di  trattamento  pensionistico  da  lavoro
 autonomo  (dalla  data  di  entrata  in vigore della legge n. 662 del
 1996)    non   solo   sarebbe   "priva   di   qualsiasi   ragionevole
 giustificazione", ma anche in contrasto "con i  precedenti  normativi
 esistenti in materia", si' da vulnerare il principio di eguaglianza e
 ragionevolezza,  di  cui  all'art. 3 della Costituzione.  Sotto altro
 profilo, la retroattivita'  della  norma  impugnata,  colpendo  anche
 coloro  che,  come  la  parte privata, sono andati in pensione quando
 nessuna norma prevedeva - "ricorrendo nella fattispecie la condizione
 del raggiungimento, alla data del 31  dicembre  1994,  dei  requisiti
 contributivi  minimi, ex art. 10, comma 8, del decreto legislativo n.
 503 del 1992" - l'incumulabilita' tra il trattamento di quiescenza ed
 il nuovo reddito da lavoro autonomo, confligge con  il  principio  di
 ragionevolezza  (art.  3  della  Costituzione),  violando "l'esigenza
 primaria di tutelare l'affidamento del cittadino".   Ad avviso  della
 parte  privata, vi sarebbe anche violazione degli artt. 36 e 38 della
 Costituzione, "per mancato riconoscimento della pensione maturata con
 conseguente difetto dei mezzi di sostentamento proporzionati a quelli
 ottenuti nel corso  dell'attivita'  di  servizio".    Si  rileva,  in
 particolare,  che,  nei casi in cui la pensione risulta calcolata per
 intero in base al sistema retributivo, il menzionato  art.  1,  comma
 189,  "determina  in  sostanza  la  privazione completa (per tutto il
 periodo di svolgimento di una  attivita'  che  produce  reddito)  del
 diritto  ormai  acquisito  e perfetto alla pensione di anzianita'". E
 cio' nonostante che  la  prestazione  pensionistica  costituisca  una
 retribuzione  differita  e  un  diritto costituzionalmente garantito,
 caratterizzato  "da  una  connotazione  assicurativa,   che   impone,
 comunque,  la corresponsione di un importo a titolo di rendimento dei
 contributi versati,  quale  che  sia  la  condizione  reddituale  del
 destinatario  della prestazione e, quindi, in ipotesi anche in totale
 assenza di uno stato di bisogno".
   Ulteriore profilo  di  illegittimita'  costituzionale  della  norma
 impugnata viene ravvisato, inoltre, nel "contrasto con gli artt.  3 e
 38  della Costituzione per disparita' di trattamento e per violazione
 del principio della adeguatezza della  pensione  al  regime  di  vita
 sostenuto  nel  corso  dell'attivita'  lavorativa,  in relazione alla
 mancata prefissione di un limite minimo di reddito al  di  sotto  del
 quale la pensione deve essere comunque riconosciuta".
   La   norma  censurata  contrasterebbe  anche  con  l'art.  4  della
 Costituzione "per violazione del diritto al libero  esplicarsi  della
 attivita'   lavorativa".   L'incertezza   del  libero  professionista
 sull'ammontare  del  reddito  futuro  lo  porrebbe,  infatti,   nella
 "frustrante condizione di rinunciare al reddito professionale ... per
 accontentarsi,  invece,  della sola pensione", con "innegabile, grave
 affievolimento del diritto alla libera scelta del lavoro".
   Secondo la parte costituita  ulteriori  elementi  di  conferma  del
 contrasto  dell'art.  1, comma 189, della legge n. 662 del 1996 con i
 principi costituzionali sarebbero desumibili dalle nuove disposizioni
 anticumulo di cui all'art. 59, comma 14, della legge n. 449 del 1997.
   3. - E' intervenuto  il  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,
 rappresentato  e  difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha
 concluso per l'inammissibilita'  o,  comunque,  l'infondatezza  della
 questione.
   4.  -  Nell'imminenza  dell'udienza,  sia  la parte costituita, che
 quella intervenuta, hanno depositato memorie illustrative.
   4.1.  -  La  difesa  erariale, nel rilevare che la legge n. 662 del
 1996 contempla, al comma 216 dell'art. 1, la validita' degli  atti  e
 la  salvezza  degli effetti prodottisi e dei rapporti giuridici sorti
 sulla base del d.-l. 30  settembre  1996,  n.  508,  non  convertito,
 osserva  come  tale  disposizione  sia  "pienamente  in  linea con il
 dettato" dell'art.  77 della Costituzione e traduca la  volonta'  del
 Parlamento   di   "legiferare   in   continuita'   con   il  decaduto
 decreto-legge",  recependone  -  nella  connessione  fra   la   norma
 censurata e il predetto comma 216 - i contenuti e precisandone taluni
 aspetti,   si'   da   completare  "razionalmente  e  formalmente"  la
 disciplina posta,  "in  funzione  anticipatoria",  dal  provvedimento
 governativo,  tramite  una  soluzione  di  tecnica  legislativa  gia'
 praticata, del resto, in occasione della nota vicenda  dei  "blocchi"
 delle pensioni di anzianita' (decreti-legge n. 384 del 1992 e n.  553
 del  1994),  "allo  scopo  di  contenere  gli altissimi costi, per il
 sistema previdenziale pubblico", delle pensioni  medesime.    Secondo
 l'Avvocatura   dello   Stato,   "a   tutto  cio'  non  sembra  ostare
 l'insegnamento fornito" dalla sentenza n. 360 del 1996,  trattandosi,
 nella specie, non di reiterazione di un decreto-legge, bensi' di "una
 legge approvata dal Parlamento, ... a nulla valendo che" quest'ultimo
 "abbia liberamente ritenuto di ispirarsi ... ad una disposizione gia'
 contenuta  in  un decreto-legge decaduto".  Riguardo, poi, al secondo
 profilo  di  incostituzionalita'  sollevato   dal   giudice   a   quo
 (investente  il totale divieto di cumulo della pensione di anzianita'
 con ogni tipo di reddito da lavoro autonomo), si osserva  che,  nella
 specie, non vi e' la perdita del trattamento pensionistico, ma la sua
 sospensione per il periodo in cui "il pensionato decida, liberamente,
 di  dedicarsi  ad  un  lavoro  retribuito".  Pertanto, in costanza di
 misure  che  incidano  "sull'importo  della  pensione  in  corso   di
 pagamento"  non  e'  dato  apprezzare  alcun vulnus all'art. 38 della
 Costituzione.      Nel   rilevare,   poi,   che   la   giurisprudenza
 costituzionale  ha  ripetutamente  riconosciuto  la  legittimita' "di
 norme  legislative  dotate  di  efficacia  retroattiva",  la  memoria
 osserva  come  il  vero  limite  di  tali norme sia da ricercarsi nel
 rispetto "del principio di ragionevolezza",  che,  peraltro,  non  e'
 contraddetto   dalla  disposizione  denunciata  che  ha  operato  "in
 direzione  di  un  contenimento  della  spesa  previdenziale",  senza
 pregiudizio  per  "il  livello  di  vita complessivo del pensionato".
 Quanto alla prospettata violazione degli artt. 4, primo comma, e  35,
 primo comma, della Costituzione, si rileva che il richiamo al diritto
 del pensionato alla liberta' lavorativa deve essere valutato anche in
 relazione alle distorsioni che provocherebbe, nel mercato del lavoro,
 la  presenza  "di  soggetti,  i  pensionati, comunque garantiti da un
 reddito   (proveniente,   oltretutto,   dal   sistema   previdenziale
 pubblico)".
   Non   sussisterebbe,   inoltre,   disparita'   di  trattamento  tra
 lavoratori dipendenti ed autonomi per il diverso momento  di  entrata
 in  vigore della rispettiva normativa anticumulo, tenuto conto, da un
 lato,  della  sostanziale  differenza  tra  le  relative   discipline
 previdenziali   e,   dall'altro,   della   circostanza   per  cui  le
 disposizioni dettate, in materia di cumulo, per i lavoratori autonomi
 sono state introdotte direttamente dalla legge n. 662 del 1996.   Per
 altro  verso, quanto ai pensionati soggetti al "sistema retributivo",
 la memoria osserva che, per il regime del  cumulo,  non  rilevano  le
 "variabili"  dell'anzianita'  contributiva  o  del sistema di calcolo
 della   pensione,   bensi'   quelle  concernenti  "tipo  di  pensione
 (vecchiaia, anzianita', ecc.) e tipo di attivita' lavorativa  (lavoro
 dipendente o autonomo)".
   Circa, poi, l'omessa previsione di "ogni meccanismo correttivo" con
 effetto    di    esclusione    della    prestazione    pensionistica,
 l'interveniente evidenzia che il rigore della disposizione  censurata
 e'  stato  mitigato  dalla  disciplina  introdotta, a decorrere dal 1
 gennaio 1998, dall'art.  59, comma 14, della legge 27 dicembre  1997,
 n.  449,  frutto  di  una  "evoluzione normativa", che, seppure "puo'
 sembrare invero convulsa e talvolta altalenante", si spiega, in  ogni
 caso,  con  l'"evidente  tentativo  di mettere a punto gli interventi
 piu' efficaci per  contemperare,  da  un  lato,  le  esigenze  di  un
 bilancio   previdenziale   pubblico   pesantemente   deficitario   e,
 dall'altro, la necessita' di garantire, nella misura  del  possibile,
 la liberta' lavorativa del soggetto".
   4.2. Con la memoria illustrativa, la parte privata, nel ribadire la
 violazione  dell'art. 77 della Costituzione, come pure degli artt.  3
 e 38 della Costituzione, osserva che gli  effetti  retroattivi  della
 disposizione  denunciata  risultano  vieppiu' irrazionali se si tiene
 conto del fatto che, al 30 novembre 1996  (data  di  collocamento  in
 quiescenza a domanda del ricorrente stesso), non solo non sussisteva,
 per la parte medesima, alcun divieto di cumulo tra pensione e reddito
 da  lavoro autonomo, ma era anche esclusa la possibilita' di revocare
 la domanda di pensionamento di  anzianita'  (come  invece  consentito
 dall'art.  1,  comma  188, della stessa legge n. 662 del 1996, per le
 domande presentate antecedentemente al 30  settembre  1996).  In  tal
 senso,  "nessuna  liberta'  di scelta e di ponderazione della propria
 convenienza e' stata data" al pensionato.  Rileva, ancora,  la  parte
 privata,  in  riferimento  alle  avverse argomentazioni sul "rispetto
 dell'art. 3 della Costituzione", che la norma censurata, "nel momento
 in cui comporta la ... perdita  totale  della  pensione"  interamente
 liquidata  con  il  sistema retributivo, "determina una irragionevole
 disparita' di trattamento tra le posizioni di  pensionati  andati  in
 pensione  nel  medesimo  periodo con una anzianita', rispettivamente,
 maggiore e minore di 18 anni alla data del 31  dicembre  1995".    Ne
 consegue,   peraltro,   "uno   stravolgimento   della  entita'  della
 prestazione  previdenziale  dei  pensionati  medesimi  rispetto  alle
 stesse  previsioni  della citata legge n. 335 del 1995"; difatti, con
 la normativa  anticumulo  posta  dalla  disposizione  denunciata,  il
 pensionato con anzianita' maggiore - favorito, "in termini assoluti",
 dal  calcolo  della  pensione con il sistema retributivo - verrebbe a
 godere di "un  trattamento  economico  peggiore  del  pensionato  con
 anzianita' minore" (la cui pensione risulti calcolata in parte con il
 sistema  retributivo  ed  in  parte  con  quello  contributivo).   Il
 principio di eguaglianza e ragionevolezza sarebbe vulnerato anche  in
 considerazione del fatto che la norma denunciata contraddice alla sua
 intrinseca  finalita'  e  cioe'  di  "escludere  la  possibilita'  di
 cumulare il nuovo  reddito  solo  con  una  parte  della  prestazione
 previdenziale".    Secondo la parte privata non possono condividersi,
 infine, gli assunti dell'Avvocatura dello  Stato  sugli  effetti  del
 sopravvenuto  art.  59,  comma  14,  della  legge n. 449 del 1997, in
 quanto   tale   norma   "lascia   invariata"   l'applicazione   della
 disposizione censurata per il periodo da ottobre 1996 a dicembre 1997
 (mantenendo,    cosi',    vivo   "l'interesse   alla   pronuncia   di
 incostituzionalita'");  periodo in cui "il diritto del ricorrente (in
 pensione  dal  30  novembre  1996)  ad  ottenere  il  trattamento  di
 quiescenza  maturato viene misconosciuto in violazione dei ricordati,
 numerosi precetti costituzionali".
                         Considerato in diritto
   1. -   Con l'ordinanza in epigrafe, la  Corte  dei  conti,  Sezione
 giurisdizionale  per  la  Regione  Lazio,  ha  sollevato questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 189,  della  legge  23
 dicembre  1996,  n.  662  (Misure  di razionalizzazione della finanza
 pubblica).
   La  disposizione  impugnata  stabilisce  che,  "con   effetto   sui
 trattamenti liquidati dalla data di cui al comma 185", e cioe' dal 30
 settembre   1996,   "le   pensioni   di  anzianita'  a  carico  della
 assicurazione generale obbligatoria dei lavoratori dipendenti e delle
 forme di  essa  sostitutive,  nonche'  i  trattamenti  anticipati  di
 anzianita' delle forme esclusive della medesima, non sono cumulabili,
 limitatamente  alla  quota  liquidata con il sistema retributivo, con
 redditi da lavoro di qualsiasi natura  e  il  loro  conseguimento  e'
 subordinato alla risoluzione del rapporto di lavoro".
   1.1.  -  Il  giudice  rimettente  pone  in  dubbio,  anzitutto,  la
 legittimita'  dell'"operativita'  retroattiva"   della   disposizione
 censurata  (entrata  in vigore il 1 gennaio 1997), ritenendo che essa
 violi:
     l'art. 77 e le "altre norme costituzionali (artt. 70  segg.)  che
 disciplinano  il  procedimento  di  formazione  delle leggi", essendo
 stati recuperati i contenuti di un d.-l. non convertito (il d.-l.  30
 settembre  1996,  n.   508),   cosi'   contraddicendo   il   precetto
 costituzionale  che  fa  decadere  fin  dall'inizio tali decreti, con
 conseguenze che - "dopo la sentenza della  Corte  costituzionale"  n.
 360   del  1996  -  non  possono  "essere  violate  o  indirettamente
 aggirate";
     l'art.  3  della  Costituzione,  a  causa,  da  un  lato,   della
 disparita'  posta  in  essere  tra  titolari  di  pensione  da lavoro
 dipendente  e  titolari  di  pensioni  da  lavoro  autonomo,  con  la
 differente  decorrenza  del  divieto  di  cumulo,  fissata per questi
 ultimi - alla stregua del successivo  comma  190  -  dall'entrata  in
 vigore  della legge n. 662 del 1996 e, dall'altro, del "contrasto con
 l'esigenza primaria di tutelare l'affidamento del cittadino, elemento
 fondamentale nello Stato di diritto".
   1.2. - Nel denunciare, poi, la disposizione "per la  parte  in  cui
 stabilisce  il totale divieto di cumulo del trattamento pensionistico
 di  attivita'  (recte:  anzianita')  con  ogni  tipo  di  reddito  da
 attivita'  autonoma  libero-professionale",  il giudice a quo lamenta
 l'irrazionalita' di una disciplina che, in violazione degli artt.  3,
 36  e 38 della Costituzione, comporta "il sostanziale annullamento di
 un diritto", quale  quello  alla  pensione  di  anzianita'  liquidata
 interamente  con  il  sistema  retributivo;  e  cioe' per coloro che,
 giusta l'art. 1, comma 13, della legge n. 335 del 1995, possono, alla
 data del 31 dicembre 1995, far valere un'anzianita'  contributiva  di
 almeno diciotto anni. Quanto sopra a causa, tra l'altro, della omessa
 previsione  di  qualsiasi meccanismo correttivo da parte della norma,
 la  quale,  trascurando  "ogni  criterio  di   proporzionalita'   tra
 contributi,  retribuzioni  e  pensioni",  vulnera,  conseguentemente,
 anche il principio "di adeguatezza della pensione  alle  esigenze  di
 vita  del  pensionato  e  di proporzionalita' della pensione medesima
 alla quantita' e qualita' del lavoro  prestato  durante  il  servizio
 attivo".
   1.3.  -  L'ordinanza prospetta, altresi', un possibile vulnus degli
 artt. 4, primo comma, e  35,  primo  comma,  della  Costituzione.  Il
 rimettente, muovendo dal presupposto che pure il pensionato "conserva
 il  diritto  inviolabile  e irrinunciabile al libero esplicarsi della
 sua  personalita'  anche  sul  piano  economico",  ritiene  che   una
 disposizione   quale   quella   denunciata,  ponendo  in  discussione
 l'"effettivita'" della tutela previdenziale, da reputare "addirittura
 annullata", abbia un effetto dissuasivo sul lavoratore (dipendente  o
 autonomo)  quanto  all'"adozione  di  scelte  che  coinvolgono la sua
 liberta' lavorativa".
   1.4. - Nel rilevare,  infine,  che  la  norma  censurata  viene  ad
 applicarsi senza alcun limite a situazioni pregresse "che scontano un
 assetto sempre piu' rigido via via che aumenta l'anzianita' di lavoro
 e  contributiva", il giudice a quo esclude che, in tema di cumulo, si
 possano "porre sullo  stesso  piano  le  limitazioni  attinenti  alla
 materia  in  esame",  confrontando  tra  loro  posizioni concernenti,
 rispettivamente, il lavoro autonomo e quello subordinato.
   2. - Le censure sono da reputare solo  in  parte  fondate,  secondo
 quanto appresso si dira'.
   2.1.  -  Prima  di  affrontarne il merito, conviene richiamare, sia
 pure per sommi capi e per quanto ha  rilievo  ai  fini  del  presente
 giudizio,   l'evoluzione   legislativa  verificatasi  in  materia  di
 ordinamento previdenziale; evoluzione che ha secondato  una  tendenza
 intesa  ad  ampliare  progressivamente l'ambito del divieto di cumulo
 tra pensione e redditi da attivita' lavorativa.
   Per quel che concerne, in particolare, la  pensione  di  anzianita'
 dei lavoratori dipendenti, va rammentato che l'art. 22 della legge 30
 aprile  1969,  n.  153, ne prevedeva - con disposizione estesa, in un
 secondo momento,  anche  al  pensionamento  anticipato  dei  pubblici
 dipendenti  (art.  10  del  d.-l.  n.  17  del  1983, convertito, con
 modificazioni, nella legge n. 79 del 1983) - il divieto di cumulo con
 i soli redditi da lavoro subordinato.
   Esigenze di maggiore organicita' e rigore in  materia  vennero,  in
 seguito,  ad ispirare la legge 23 ottobre 1992, n. 421, la quale, nel
 conferire al Governo la delega, tra  l'altro,  per  il  riordino  del
 sistema  previdenziale,  indico',  fra  i  vari  principi  e  criteri
 direttivi, quelli dell'"armonizzazione ed estensione della disciplina
 in materia di limitazioni al cumulo delle pensioni con i  redditi  da
 lavoro  subordinato  ed  autonomo  per  tutti i lavoratori pubblici e
 privati" (art. 3, comma 1, lettera m), stabilendo  espressamente  che
 la   concessione   della   pensione  di  anzianita'  avvenisse  "dopo
 l'effettiva  cessazione  dell'attivita'  lavorativa,   dipendente   o
 autonoma,  con  identici  criteri di non cumulabilita' tra pensione e
 retribuzione o reddito da lavoro autonomo" (art. 3, comma 1,  lettera
 n), punto 4).
   Segui'  l'art. 10 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503,
 che, nel testo modificato dall'art. 11 della legge n. 537  del  1993,
 dispose,  per tutte le forme previdenziali dei lavoratori dipendenti,
 il divieto totale di cumulo fra pensione di anzianita' (o trattamenti
 anticipati  di  anzianita')  e   redditi   da   lavoro   subordinato,
 stabilendo,  nel contempo, una parziale incumulabilita' con i redditi
 da  lavoro  autonomo,  limitata  alle  quote  di  pensione  eccedenti
 l'ammontare del trattamento  minimo  del  Fondo  pensioni  lavoratori
 dipendenti;  quote rese non cumulabili nella misura del 50 per cento,
 sino a concorrenza dei redditi stessi.
   Il predetto articolo, nel fare  salve  (comma  8)  le  disposizioni
 della precedente normativa, ove piu' favorevoli, per coloro che al 31
 dicembre  1994 fossero titolari di pensione ovvero avessero raggiunto
 i requisiti contributivi minimi per la pensione  di  vecchiaia  o  di
 anzianita',  subordino',  inoltre,  per  i  lavoratori dipendenti, il
 conseguimento del trattamento alla risoluzione del rapporto di lavoro
 (comma 6).
   A parte la legge 8 agosto 1995, n. 335, con la quale,  in  sede  di
 riforma  generale  pensionistica,  furono dettati i principi generali
 anticumulo applicabili a regime  alla  nuova  prestazione  denominata
 "pensione   di   vecchiaia"  (sostitutiva,  sulla  base  del  sistema
 contributivo, delle precedenti pensioni di vecchiaia ed  anzianita'),
 un successivo intervento normativo si rinviene nel d.-l. 30 settembre
 1996,  n.    508,  con  il quale furono introdotte misure di maggiore
 rigore per le quote di  pensione  liquidate  ancora  con  il  sistema
 retributivo.  Detto decreto, infatti, stabili' (art. 1, comma 4), con
 effetto sui trattamenti liquidati dalla data di entrata in vigore del
 decreto   stesso,   che   le   pensioni   di   anzianita'   a  carico
 dell'assicurazione  obbligatoria  dei  lavoratori  dipendenti  e  dei
 lavoratori  autonomi  e,  in  genere,  i  trattamenti  anticipati  di
 anzianita' - con esclusione di quelli liquidati con almeno 40 anni di
 contribuzione, nonche' di quelli rientranti nelle eccezioni  previste
 dall'art.  10  del  d.-l.    28 febbraio 1986, n. 49 (convertito, con
 modificazioni, nella legge 18 aprile 1986,  n.  120)  -  non  fossero
 cumulabili,   quanto   alla   quota  calcolata  in  base  al  sistema
 retributivo, con redditi da lavoro di qualsiasi natura.
   Dopo la mancata conversione  in  legge  del  predetto  decreto,  la
 disposizione denunciata, e cioe' il comma 189 dell'art. 1 della legge
 23  dicembre  1996,  n.  662,  ha  riproposto  la  stessa  disciplina
 anticumulo  per  i  trattamenti  pensionistici  di   anzianita'   dei
 lavoratori  dipendenti  liquidati dal 30 settembre 1996 e cioe' dalla
 data di entrata in vigore del sopra ricordato decreto-legge.  Invece,
 per i titolari di "pensioni di anzianita' a carico dell'assicurazione
 generale  dei  lavoratori  autonomi",  il  successivo  comma  190 del
 medesimo art. 1 ha previsto che i trattamenti liquidati dalla data di
 entrata in vigore della legge non siano cumulabili "nella misura  del
 50 per cento con i redditi di lavoro autonomo, fino a concorrenza del
 reddito stesso".
   Ulteriore sviluppo del descritto quadro normativo e' rappresentato,
 infine, dall'art. 59, comma 14, della legge 27 dicembre 1997, n.  449
 (menzionato  anche  dal  rimettente),  il quale (tornando alla regola
 dell'art. 10 del decreto legislativo n. 503 del 1992) ha stabilito, a
 partire  dal  1  gennaio  1998,  l'incumulabilita'  delle  quote  dei
 trattamenti  pensionistici  di  anzianita' dei lavoratori dipendenti,
 eccedenti il "trattamento minimo", con i redditi da  lavoro  autonomo
 nella  misura  del  50%  e  sino  a  concorrenza  dei redditi stessi,
 riconfermando,   nel   contempo,   per   i   trattamenti    liquidati
 antecedentemente, la previgente disciplina "se piu' favorevole".
   3.  -  Tanto  premesso,  va pregiudizialmente ritenuto, in punto di
 ammissibilita' della proposta questione, che del tutto plausibilmente
 il giudice a quo esclude che la  rilevanza  della  stessa  sia  elisa
 dalla disciplina legislativa da ultimo ricordata, tenuto conto che il
 comma  14  dell'art.  59  della  legge  n. 449 del 1997 spiega i suoi
 effetti soltanto a decorrere dal 1 gennaio 1998.
   4. - Quanto al merito delle sollevate censure, la Corte ritiene  di
 muovere,  per  ragioni di priorita' logica, da quelle di portata piu'
 generale, volte a porre in dubbio la legittimita' in se' del  divieto
 di cumulo, per contrasto, da un canto, con gli artt. 3, 36 e 38 della
 Costituzione e, dall'altro, con gli artt. 4, primo comma, e 35, primo
 comma, della Costituzione.
   4.1. - Dette censure non sono fondate.
   Quanto  alla  prima,  va rammentato che la giurisprudenza di questa
 Corte ha, in passato, ritenuto che la  garanzia  dell'art.  38  della
 Costituzione,  proprio perche' legata allo stato di bisogno, fosse da
 reputare di per se' riservata alle pensioni  che  trovavano  la  loro
 causa  nella cessazione dell'attivita' lavorativa per ragioni di eta'
 e non anche a quelle il cui presupposto consisteva nel mero  avvenuto
 svolgimento   dell'attivita'   stessa  per  un  tempo  predeterminato
 (sentenza n. 194 del 1991),  cosi'  come  nel  caso  dei  trattamenti
 pensionistici di anzianita'.
   Nella vigenza dell'ordinamento pensionistico anteriore alla riforma
 del  1995, e' stato, pertanto, espresso l'avviso che il godimento dei
 menzionati  trattamenti  di  pensione,  rappresentando  un  beneficio
 discrezionalmente  concesso  dal  legislatore a prescindere dall'eta'
 pensionabile, potesse "essere limitato al  solo  caso  di  cessazione
 effettiva  del  lavoro"  (sentenza n. 155 del 1969). Al tempo stesso,
 sono stati considerati privi di fondamento (sentenze nn. 576 del 1989
 e 155 del 1969; v. anche sentenza n. 433 del 1994 e ordinanza  n.  47
 del  1994)  i  dubbi  di  legittimita' costituzionale che erano stati
 sollevati (evocandosi i parametri  degli  artt.  3,  36  e  38  della
 Costituzione), avverso normative che prevedevano il totale divieto di
 cumulo  dei  suddetti  trattamenti pensionistici di anzianita' con il
 reddito da lavoro dipendente.
   Alla  stregua  dei  ricordati  orientamenti,  non  puo',  pertanto,
 reputarsi  impedito  al  legislatore  di  stabilire  che  le quote di
 pensione di  anzianita'  liquidate  secondo  il  sistema  retributivo
 (quale  criterio di calcolo per giunta piu' favorevole, nella specie,
 di quello contributivo, come evidenziato dallo stesso giudice a  quo)
 non sono cumulabili con "redditi da lavoro di qualsiasi natura".
   Una  misura siffatta, espressione di un non irragionevole esercizio
 della  discrezionalita'  spettante  al  legislatore,  trova  la   sua
 spiegazione  oltre che nella tendenza legislativa a disincentivare il
 conseguimento  di  una  prestazione  anticipata   rispetto   all'eta'
 pensionabile   (prestazione  destinata  oltretutto  ad  una  graduale
 eliminazione, secondo la linea riformatrice seguita  dal  legislatore
 del 1995), anche nella considerazione delle esigenze di bilancio (tra
 le  altre,  v.  sentenza  n. 417 del 1996), nell'ambito della globale
 riforma del sistema previdenziale in  corso  di  attuazione.  E  cio'
 anche  se  la  riforma  appare ancora suscettibile di adattamenti, in
 attesa della sua operativita' a "regime", si' da comportare  a  volte
 il  susseguirsi  di  misure  anticumulo  differenti  tra  loro,  come
 dimostra per l'appunto la vicenda legislativa  qui  esaminata,  nella
 quale,  alla  disciplina  originariamente  posta  dall'art.    10 del
 decreto  legislativo  n.  503 del 1992 (modificato dalla legge n. 537
 del 1993), ha fatto seguito, per i casi quali quello in questione, la
 piu' rigorosa regola dell'art. 1, comma 189, della legge n.  662  del
 1996, salvo il successivo ritorno al precedente criterio, per effetto
 dell'art. 59, comma 14, della legge n. 449 del 1997, e salvo altresi'
 -  per  venire  alle  piu'  recenti  innovazioni  normative  - quanto
 disposto dall'art. 77 della legge 23 dicembre 1998, n.  448,  che  ha
 ricondotto  le  pensioni  liquidate  con  anzianita'  contributiva di
 almeno  quarant'anni  nella  disciplina  anticumulo   propria   delle
 pensioni  di  vecchiaia.  Ma  tali  interventi,  per  quanto  possano
 apparire non del tutto omogenei, lungi dal  corroborare,  cosi'  come
 ritiene  il  giudice  a  quo,  la tesi dell'incostituzionalita' della
 denunciata  disposizione,  si  spiegano  proprio  per   la   mutabile
 incidenza che su di essi hanno le contingenti emergenze finanziarie.
   4.2.  -  La  scelta  cosi'  operata  non  puo' reputarsi arbitraria
 nemmeno sotto l'ulteriore profilo prospettato dal rimettente in punto
 di non equiparabilita', in tema di  attivita'  incompatibili  con  il
 trattamento  di pensione, fra quelle di lavoro dipendente e quelle di
 lavoro autonomo, non sembrando a questa Corte che, dal punto di vista
 delle esigenze alle quali si e' voluto ovviare  con  la  disposizione
 denunciata,  sia  possibile  ravvisare, tra le due figure, differenze
 tali da richiedere un diverso trattamento in materia di  cumulo,  si'
 da   rendere  irragionevole  una  disciplina  volta,  oltretutto,  ad
 assicurare, in condizioni di parita' fra  i  suddetti  pensionati  di
 anzianita'  e  i  non  pensionati,  l'accesso  al  mercato del lavoro
 globalmente   considerato   e,   dunque,   comprensivo    non    solo
 dell'occupazione tradizionale e stabile del lavoro dipendente.
   4.3.  -  Altrettanto  infondato  e'  il  dubbio  che  il rimettente
 prospetta  sotto  il   profilo   del   contrasto   della   denunciata
 disposizione  con  gli artt. 4, primo comma, e 35, primo comma, della
 Costituzione.
   Invero, il riconoscimento del diritto al lavoro  e  la  tutela  del
 lavoro  in  tutte  le sue forme ed applicazioni non sono pregiudicati
 dal fatto che il titolare di pensione di anzianita' non possa  godere
 di  due  diversi trattamenti, quello di lavoro e quello pensionistico
 (per altre applicazioni dello stesso principio v. la sentenza n.  155
 del 1969; analogamente le sentenze nn. 30 del 1976 e 105 del 1963).
   5.  -  Fondata  e'  da  ritenere,  invece,  la   censura   relativa
 all'"operativita' retroattiva" dell'art. 1, comma 189, della legge n.
 662 del 1996, benche' non sotto il profilo della asserita "violazione
 dell'art.    77 della Costituzione e delle altre norme costituzionali
 (artt. 70 segg.) che disciplinano il procedimento di formazione delle
 leggi",  ma  sotto  quello  del  contrasto   con   l'art.   3   della
 Costituzione.
   Infatti,   il  dubbio  sollevato  dall'ordinanza,  in  ordine  alla
 sussistenza di un  vizio  "formale",  censurabile  alla  stregua  dei
 principi  desumibili  dalla  sentenza di questa Corte n. 360 del 1996
 sulla non consentita iterazione  o  reiterazione  dei  decreti-legge,
 appare del tutto privo di ragione.
   Va considerato che il d.-l. 30 settembre 1996, n. 508, non e' stato
 oggetto,  dopo  la  sua decadenza, di alcuna iterazione, ma e' stato,
 invece,  seguito  da  una  legge  che,   adottata   con   l'ordinario
 procedimento,  ha  mutuato,  parzialmente,  con  la  norma oggetto di
 censura (comma 189 dell'art. 1), il contenuto gia' proprio  dell'art.
 1, comma 4, dello stesso decreto; e, al tempo stesso, ha disposto (al
 comma 216) che restano validi gli atti e sono fatti salvi gli effetti
 prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base del medesimo.
   Giova,  peraltro,  osservare  che,  innanzi  al  giudice  a quo, si
 controverte di un pensionamento  decorrente  dal  30  novembre  1996,
 allorche' era gia' scaduto il termine per la conversione del d.-l. n.
 508  del 1996 (del quale era cosi' venuto meno ogni effetto), sicche'
 e' evidente che la disposizione denunciata rileva, sotto  il  profilo
 qui   considerato,  solo  in  quanto  norma  destinata  ad  incidere,
 retroattivamente, su una situazione  che  e'  rimasta  estranea  alla
 disciplina a suo tempo prevista dal decreto-legge stesso.
   6.1. - Cio' premesso, mentre non appare pertinente l'evocazione del
 parametro  dell'art.  77,  nessun  dubbio  sussiste  circa  il potere
 spettante  al  legislatore  di  regolare  autonomamente,  sulla  base
 dell'art.      70,   le   situazioni   teste'   accennate,  assumendo
 eventualmente come proprio il contenuto di  un  decreto-legge  a  suo
 tempo decaduto.
   Quanto  ai  limiti  di  tale  potere,  questa  Corte  ha piu' volte
 affermato  che  il  divieto  di  retroattivita'  della  legge  -  pur
 costituendo  fondamentale  valore  di  civilta' giuridica e principio
 generale dell'ordinamento,  cui  il  legislatore  deve  in  linea  di
 principio  attenersi  -  non  e'  stato  tuttavia  elevato a dignita'
 costituzionale, se si  eccettua  la  previsione  dell'art.  25  della
 Costituzione,  relativa  alla legge penale. Al legislatore ordinario,
 pertanto, fuori della materia penale, non e'  inibito  emanare  norme
 con  efficacia  retroattiva, a condizione pero' che la retroattivita'
 trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza  e  non
 si ponga in contrasto con altri valori e interessi costituzionalmente
 protetti (da ultimo, v. sentenza n.  229 del 1999).
   Tra questi la giurisprudenza costituzionale annovera, come e' noto,
 l'affidamento  del  cittadino  nella  sicurezza  giuridica che, quale
 essenziale elemento dello Stato di diritto, non puo' essere  leso  da
 disposizioni  retroattive,  le  quali  trasmodino  in  un regolamento
 irrazionale di situazioni sostanziali fondate su leggi precedenti (v.
 sentenze nn. 211 del 1997 e 390 del 1995).
   Nel caso di specie, va  considerato  che,  allorche',  per  inutile
 decorso  dei  termini di conversione, e' decaduto il decreto-legge n.
 508 del 1996, i  pensionati  di  anzianita'  potevano,  in  generale,
 confidare  in  un  trattamento  di  quiescenza  soltanto parzialmente
 inciso - per effetto di quanto previsto dall'art. 10,  comma  6,  del
 decreto  legislativo  n.  503 del 1992, come modificato dall'art. 11,
 comma 9, della legge n. 537 del 1993 (e cioe', nella  misura  del  50
 per cento della quota eccedente il trattamento minimo della pensione)
 -  dalla concorrenza con un'eventuale percezione di redditi da lavoro
 autonomo; se non, addirittura, godere, al riguardo, di un  regime  di
 piena  cumulabilita',  ove,  alla  data del 31 dicembre 1994, fossero
 gia' titolari di pensione oppure in  possesso  dei  requisiti  minimi
 contributivi  per  la  relativa  liquidazione  (art. 10, comma 8, del
 decreto legislativo n. 503 del 1992, come modificato dal comma 10 del
 menzionato art. 11).
   Va, pertanto, in parte condivisa la censura avanzata dal rimettente
 in riferimento all'art. 3 della Costituzione, anche se non  sotto  il
 profilo   dell'asserita   disparita'   di  trattamento  (quanto  alla
 decorrenza del divieto di cumulo fra titolari di pensioni  da  lavoro
 dipendente  e  titolari di pensioni da lavoro autonomo), bensi' sotto
 quello del contrasto con la esigenza di  tutelare  l'affidamento  del
 cittadino.
   Sotto  il  primo  profilo  va,  infatti, osservato che si tratta di
 situazioni  non  comparabili,  in  quanto  riconducibili   a   regimi
 previdenziali  tuttora  differenziati  per taluni essenziali aspetti,
 sebbene si  assista,  attualmente,  ad  un  processo  di  progressiva
 omologazione.
   Sotto il secondo aspetto non puo', invece, non reputarsi affetta da
 irragionevolezza   una   disciplina,  quale  quella  della  censurata
 disposizione, la quale e' venuta a determinare, in modo  retroattivo,
 per  i  trattamenti  liquidati dal 30 novembre in poi, l'elisione dei
 ratei di pensione maturati a decorrere da detta data, nei casi in cui
 i  relativi  titolari   abbiano,   oramai   decaduto   il   ricordato
 decreto-legge   n.  508  del  1996,  intrapreso  un'attivita'  libero
 professionale o, comunque, avente natura di prestazione autonoma.
   6.2. - La detta  esigenza  di  garanzia  non  puo',  peraltro,  non
 arrestarsi  nel  momento  a  partire  dal quale le disposizioni della
 legge 23 dicembre  1996,  n.  662  (in  Gazzetta  Ufficiale  n.  303,
 supplemento  ordinario  n. 233, del 28 dicembre 1996) sono entrate in
 vigore (1 gennaio 1997, secondo quanto previsto  dall'art.  3,  comma
 217) e cioe', in definitiva, nel momento in cui la regola contemplata
 dall'art.  1,  comma  189, della citata legge, risulta incidere ormai
 sull'attualita'  di  rapporti  di  durata,  rispetto  ai   quali   il
 legislatore  e'  abilitato,  sia pure nei limiti della ragionevolezza
 (che,  per  le  ragioni  precedentemente  illustrate,  non  risultano
 superati  nel  caso in esame), a dettare disposizioni che modifichino
 sfavorevolmente la disciplina in atto (v. sentenze nn. 211 del 1997 e
 409 del 1995). La data sopra  indicata  vale,  pertanto,  a  definire
 anche  il  termine  entro  il  quale  va  limitata  la  pronunzia  di
 incostituzionalita' della denunciata disposizione.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art.  1,  comma  189,
 della  legge  23  dicembre  1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione
 della  finanza  pubblica),  nella  parte  in  cui,  con  effetto  sui
 trattamenti  liquidati  dal  30  novembre  1996  al 31 dicembre 1996,
 prevede, quanto alla quota liquidata con il sistema  retributivo,  il
 totale divieto di cumulo dei ratei della pensione di anzianita' e dei
 trattamenti  anticipati di anzianita', maturati in detto periodo, con
 redditi da lavoro autonomo.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 27 ottobre 1999.
                        Il Presidente: Granata
                          Il redattore: Vari
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 4 novembre 1999.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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