N. 419 SENTENZA 27 ottobre - 4 novembre 1999

 
 
 Giudizio   di   legittimita'   costituzionale  in  via  incidentale.
 
 Matrimonio - Rapporti patrimoniali -  Pensioni  di  reversibilita'  -
 Ripartizione  delle  quote  del  trattamento  pensionistico,  tra  il
 coniuge superstite del titolare della  pensione  e  l'ex  coniuge  al
 quale  sia  stato riconosciuto il diritto all'assegno di divorzio, in
 proporzione della  durata  del  rapporto  matrimoniale  -  Denunciata
 violazione  dei principii di razionalita' e di solidarieta' sociale -
 Possibilita'  di  un   significato   estraibile   dalla   norma   non
 contrastante  con  la Costituzione - Non fondatezza, nei sensi di cui
 in motivazione, della questione.
 
 (Legge 1 dicembre 1970, n. 898, art. 9, comma 3, nel testo sostituito
 dall'art. 13 della legge 6 marzo 1987,  n. 74).
 
 (Costituzione, artt. 3 e 38).
 
(GU n.45 del 10-11-1999 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco GUIZZI, prof.
 Cesare MIRABELLI, avv. Massimo  VARI,  dott.  Cesare  RUPERTO,  dott.
 Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo  ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,
 prof. Carlo MEZZANOTTE,  avv.  Fernanda  CONTRI,  prof.  Guido  NEPPI
 MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 9, comma 3,
 della  legge  1  dicembre  1970,  n.  898  (Disciplina  dei  casi  di
 scioglimento  del  matrimonio),  nel  testo  sostituito,  da  ultimo,
 dall'art. 13 della legge 6 marzo  1987,  n.  74  (Nuove  norme  sulla
 disciplina  dei  casi  di  scioglimento  di matrimonio), promosso con
 ordinanza emessa il 20 ottobre 1998 dalla Corte d'appello  di  Trento
 nel procedimento civile vertente tra Clara Faceni e Luigia Marchesini
 ed altro, iscritta al n. 903 del registro ordinanze 1998 e pubblicata
 nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2, prima serie speciale,
 dell'anno 1999;
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del  23 giugno 1999 il giudice
 relatore Cesare Mirabelli;
                           Ritenuto in fatto
   Con  ordinanza  emessa  il 20 ottobre 1998 nel corso di un giudizio
 promosso  per  la  determinazione  della  quota  della  pensione   di
 reversibilita'  da  attribuire  al  coniuge  divorziato,  al quale il
 titolare della pensione deceduto era  obbligato  a  somministrare  un
 assegno,  la  Corte  d'appello di Trento ha sollevato, in riferimento
 agli artt. 3 e  38  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'
 costituzionale  dell'art. 9, comma 3, della legge 1 dicembre 1970, n.
 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio),  nel  testo
 sostituito,  da  ultimo, dall'art. 13 della legge 6 marzo 1987, n. 74
 (Nuove  norme  sulla  disciplina  dei   casi   di   scioglimento   di
 matrimonio).
   La  disposizione  denunciata prevede che una quota della pensione e
 degli altri assegni spettanti al  coniuge  superstite,  che  abbia  i
 requisiti  per  la  pensione  di  reversibilita',  e'  attribuita dal
 tribunale, tenendo conto della durata del rapporto  matrimoniale,  al
 coniuge  rispetto  al  quale  e'  stata  pronunciata  la  sentenza di
 scioglimento o di cessazione degli effetti civili  del  matrimonio  e
 che sia titolare dell'assegno previsto dall'art. 5 della stessa legge
 n. 898 del 1970.
   La    Corte    d'appello   ritiene   di   doversi   attenere   alla
 interpretazione, che condivide,  data  a  questa  disposizione  dalla
 Corte  di  cassazione  a  sezioni  unite,  la  quale,  risolvendo  un
 contrasto giurisprudenziale, ha stabilito  che  la  ripartizione  del
 trattamento   pensionistico   di   reversibilita'   tra   il  coniuge
 divorziato, titolare dell'assegno,  ed  il  coniuge  superstite,  che
 abbia  i  requisiti  per  la  pensione di reversibilita', deve essere
 effettuata esclusivamente  in  proporzione  alla  durata  legale  dei
 rispettivi  matrimoni,  senza  che  possa essere adottato alcun altro
 elemento di valutazione, neppure in funzione meramente correttiva del
 risultato matematico conseguito.
   Tuttavia, ad avviso del giudice rimettente, questa  interpretazione
 non  consentirebbe  di  tenere  conto  delle  esigenze  del  soggetto
 economicamente piu' debole, il quale potrebbe vedersi privato di ogni
 concreta tutela a causa dell'attribuzione all'ex coniuge di una quota
 rilevante della pensione di reversibilita', anche quando quest'ultimo
 non abbia esigenze di mantenimento paragonabili a quelle del  coniuge
 superstite.
   L'art.  9,  comma  3, della legge n. 898 del 1970, interpretato nel
 senso di attribuire  esclusivo  rilievo  al  criterio  matematico  ed
 automatico   della   durata  dei  rispettivi  rapporti  matrimoniali,
 violerebbe i principi costituzionali di eguaglianza sostanziale e  di
 solidarieta'  sociale,  che  caratterizzano  il sistema pensionistico
 (artt. 3 e 38 Cost.), giacche'  la  ripartizione  della  pensione  in
 proporzione  alla  durata  del  matrimonio ostacolerebbe la finalita'
 solidaristica della pensione di reversibilita',  non  consentendo  di
 valutare  le  esigenze  economiche  dei  diversi  soggetti, tanto che
 adottando questo criterio potrebbe accadere che il coniuge superstite
 rimanga in una situazione di  completa  indigenza.  Questo  risultato
 sarebbe estraneo al sistema complessivo della legge sul divorzio, che
 tende invece a contemperare le esigenze di tutte le persone coinvolte
 nella  vicenda  matrimoniale,  attribuendo  al  giudice il compito di
 provvedere in ciascun caso con una valutazione che tenga conto  delle
 condizioni  economiche  di  tutti  i  soggetti  che  vantano  diritti
 patrimoniali.
   Il   giudice  rimettente  considera  la  soluzione  del  dubbio  di
 legittimita' costituzionale pregiudiziale rispetto alla decisione che
 e' chiamato ad adottare, giacche' nel caso sottoposto  al  suo  esame
 l'applicazione   del   criterio   di   ripartizione  stabilito  dalla
 disposizione denunciata determinerebbe  una  forte  sperequazione  in
 danno  del coniuge superstite, il quale, essendo privo di altre fonti
 di reddito, non riceverebbe quanto  necessita,  mentre  l'ex  coniuge
 percepirebbe  una  quota  di  pensione  molto  superiore  all'importo
 dell'assegno ottenuto in sede di divorzio.
                         Considerato in diritto
   1.  -  La  questione  di  legittimita'  costituzionale  investe  il
 criterio  di  ripartizione  della  pensione  di reversibilita' tra il
 coniuge superstite, che abbia  i  requisiti  per  ottenerla,  e  l'ex
 coniuge,  al  quale la sentenza di scioglimento o di cessazione degli
 effetti  civili  del  matrimonio  abbia   riconosciuto   il   diritto
 all'assegno,  alla  cui  somministrazione  era tenuto il titolare del
 diritto alla pensione, poi deceduto.
   La Corte d'appello di Trento ritiene che l'art. 9, comma  3,  della
 legge  1  dicembre  1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento
 del matrimonio) - nel testo sostituito, da ultimo, dall'art. 13 della
 legge 6 marzo 1987, n. 74 (Nuove norme sulla disciplina dei  casi  di
 scioglimento   di  matrimonio)  -,  prevedendo  che  la  ripartizione
 dell'ammontare della pensione tra  il  coniuge  e  l'ex  coniuge,  se
 entrambi  vi abbiano diritto, avvenga "tenendo conto della durata del
 rapporto", imponga di  effettuare  tale  ripartizione  esclusivamente
 secondo  il  criterio  matematico della proporzione fra la estensione
 temporale dei rispettivi rapporti matrimoniali, senza che il  giudice
 chiamato  a determinare le quote di ripartizione della pensione possa
 utilizzare alcun altro criterio o correttivo, neppure quelli previsti
 per la determinazione della misura dell'assegno di divorzio, e  senza
 che  possa  comparare  le  situazioni  di  bisogno  delle persone che
 concorrono nella ripartizione della pensione.
   Cosi'  interpretata,  la  disposizione  denunciata   violerebbe   i
 princi'pi  di  razionalita'  e  di solidarieta' sociale (artt. 3 e 38
 Cost.). Difatti il criterio di ripartizione della  pensione,  fondato
 esclusivamente  sulla durata del rapporto matrimoniale, porterebbe ad
 esiti irragionevoli e non suscettibili di correzione, privando  delle
 risorse  necessarie  il  coniuge  superstite  che  versi  in stato di
 bisogno, mentre l'ex coniuge potrebbe godere  di  un  trattamento  di
 molto superiore allo stesso assegno di divorzio.
   2. - La questione non e' fondata, nei sensi di seguito precisati.
   2.1. - Nel disciplinare i rapporti patrimoniali tra coniugi in caso
 di  scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, il
 legislatore  ha  assicurato  all'ex  coniuge,  al  quale  sia   stato
 attribuito   l'assegno  di  divorzio,  la  continuita'  del  sostegno
 economico correlato al permanere di  un  effetto  della  solidarieta'
 familiare, mediante la reversibilita' della pensione che trae origine
 da un rapporto previdenziale anteriore al divorzio, o di una quota di
 tale   pensione  qualora  esista  un  coniuge  superstite  che  abbia
 anch'esso diritto alla reversibilita'.
   In questo caso  la  pensione  di  reversibilita'  realizza  la  sua
 funzione solidaristica in una duplice direzione.
   Anzitutto  nei  confronti  del  coniuge  superstite,  come forma di
 ultrattivita'   della   solidarieta'   coniugale,   consentendo    la
 prosecuzione  del  sostentamento  prima  assicurato  dal  reddito del
 coniuge deceduto (sentenze n. 70 del 1999 e n. 18 del 1998).
   In secondo luogo nei confronti dell'ex coniuge,  il  quale,  avendo
 diritto   a  ricevere  dal  titolare  diretto  della  pensione  mezzi
 necessari per il proprio adeguato sostentamento,  vede  riconosciuta,
 per  un  verso, la continuita' di questo sostegno e, per altro verso,
 la conservazione di un diritto,  quello  alla  reversibilita'  di  un
 trattamento  pensionistico  geneticamente collegato al periodo in cui
 sussisteva il rapporto coniugale. Si tratta, dunque,  di  un  diritto
 alla  pensione  di  reversibilita', che non e' inerente alla semplice
 qualita' di ex coniuge, ma che ha uno  dei  suoi  necessari  elementi
 genetici  nella titolarita' attuale dell'assegno, la cui attribuzione
 ha trovato fondamento nell'esigenza  di  assicurare  allo  stesso  ex
 coniuge  mezzi  adeguati  (art.  5,  comma  6, della legge n. 898 del
 1970).
   In presenza di piu' aventi diritto alla pensione di  reversibilita'
 (il  coniuge  superstite  e  l'ex  coniuge),  la ripartizione del suo
 ammontare tra di essi non  puo'  avvenire  escludendo  che  si  possa
 tenere  conto,  quale  possibile  correttivo,  delle  finalita' e dei
 particolari requisiti che, in questo caso, sono alla base del diritto
 alla reversibilita'.  Cio' che, appunto, il  criterio  esclusivamente
 matematico  della proporzione con la durata del rapporto matrimoniale
 non consente di fare. Difatti una  volta  attribuito  rilievo,  quale
 condizione  per  aver  titolo  alla  pensione di reversibilita', alla
 titolarita' dell'assegno, sarebbe incoerente e non  risponderebbe  al
 canone  della  ragionevolezza,  ne',  per  altro  verso, alla duplice
 finalita' solidaristica propria di tale trattamento pensionistico, la
 esclusione della possibilita' di attribuire un qualsiasi rilievo alle
 ragioni di esso perche' il tribunale ne possa tenere in qualche  modo
 conto   dovendo   stabilire   la   ripartizione   della  pensione  di
 reversibilita'.
   La mancata considerazione di qualsiasi correttivo nell'applicazione
 del criterio matematico di ripartizione renderebbe possibile  l'esito
 paradossale  indicato  dal  giudice  rimettente,  il quale sottolinea
 come, con l'applicazione di  tale  criterio,  il  coniuge  superstite
 potrebbe  conseguire  una quota di pensione del tutto inadeguata alle
 piu' elementari  esigenze  di  vita,  mentre  l'ex  coniuge  potrebbe
 conseguire una quota di pensione del tutto sproporzionata all'assegno
 in  precedenza  goduto,  senza  che il tribunale possa tener conto di
 altri criteri per ricondurre ad equita' la situazione.
   2.2. - La disposizione denunciata si presta tuttavia ad una diversa
 interpretazione, che rispecchia  un  altro  orientamento,  sia  della
 giurisprudenza di legittimita' sia di larga parte della dottrina.
   La  ripartizione  della  pensione  di reversibilita' tra il coniuge
 superstite e l'ex coniuge deve essere disposta "tenendo conto"  della
 durata  dei  rispettivi rapporti matrimoniali (art. 9, comma 3, della
 legge n. 898 del 1970). A questa espressione non puo' essere tuttavia
 attribuito un significato diverso da  quello  letterale:  il  giudice
 deve  "tenere  conto" dell'elemento temporale, la cui valutazione non
 puo' in nessun  caso  mancare;  anzi  a  tale  elemento  puo'  essere
 riconosciuto  valore preponderante e il piu' delle volte decisivo, ma
 non sino a divenire esclusivo nell'apprezzamento del giudice, la  cui
 valutazione non si riduce ad un mero calcolo aritmetico. Una conferma
 del  significato  relativo della espressione "tenendo conto" si trova
 nel sistema della stessa legge,  che  altre  volte  usa  la  medesima
 espressione per riferirsi a circostanze da considerare quali elementi
 rimessi  alla ponderazione del giudice; e cio' proprio per definire i
 rapporti patrimoniali derivanti dalla  pronuncia  di  divorzio  (cfr.
 art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970).
   La   diversa   interpretazione,   che   porta   alla   ripartizione
 dell'ammontare della pensione esclusivamente  in  attuazione  di  una
 proporzione  matematica, non giustificherebbe, tra l'altro, la scelta
 del legislatore di investire il tribunale per una  statuizione  priva
 di  ogni  elemento  valutativo,  potendo la ripartizione secondo quel
 criterio automatico  essere  effettuata  direttamente  dall'ente  che
 eroga   la  pensione,  come  avviene  in  altri  casi  nei  quali  la
 ripartizione tra piu'  soggetti  che  concorrono  al  trattamento  di
 reversibilita'  e' stabilita in base ad aliquote fissate direttamente
 dal legislatore.
   Del resto, quando il legislatore ha inteso stabilire in modo rigido
 e  automatico  i  criteri  per  la  determinazione   di   prestazioni
 patrimoniali  dovute all'ex coniuge, ha usato una diversa espressione
 testuale,   direttamente   significativa   della    percentuale    di
 ripartizione  e  del  periodo  da  considerare;  cio' che avviene, ad
 esempio, per l'indennita' di fine rapporto, ripartita tra il  coniuge
 e  l'ex coniuge in una percentuale determinata ed in proporzione agli
 anni in cui il rapporto di lavoro che vi da' titolo e'  coinciso  con
 il matrimonio (art. 12-bis della legge n. 898 del 1970).
   Conclusivamente   e'  da  ritenere  che  si  possa  ricavare  dalla
 disposizione  denunciata  un  contenuto  normativo  che  non  e'   in
 contrasto  con  i  princi'pi indicati per la verifica di legittimita'
 costituzionale.  Questa  interpretazione   deve   essere   preferita,
 conservando   all'ordinamento  una  norma  nel  significato,  che  la
 disposizione puo' esprimere, compatibile con la Costituzione.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione
 di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 3,  della  legge  1
 dicembre  1970,  n.  898  (Disciplina  dei  casi  di scioglimento del
 matrimonio), nel testo sostituito,  da  ultimo,  dall'art.  13  della
 legge  6  marzo 1987, n. 74 (Nuove norme sulla disciplina dei casi di
 scioglimento di matrimonio), sollevata, in riferimento agli artt.   3
 e  38  della  Costituzione,  dalla  Corte  d'appello  di  Trento  con
 l'ordinanza indicata in epigrafe.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 27 ottobre 1999.
                        Il Presidente: Granata
                        Il redattore: Mirabelli
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 4 novembre 1999.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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