N. 678 ORDINANZA (Atto di promovimento) 29 settembre 1999

                                N. 678
  Ordinanza emessa il 29 settembre 1999 dal  tribunale  di  Trani  nel
 procedimento civile vertente tra Delvecchio Francesco e I.N.P.S.
 Lavoro  (Rapporto  di) - Crediti retributivi dei dipendenti privati -
    Cumulabilita' di interessi legali e  rivalutazione  -  Esclusione,
    secondo   il   "diritto   vivente",   per   i   crediti   maturati
    successivamente al 31 dicembre  1994  -  Ingiustificato  deteriore
    trattamento  dei  lavoratori  dipendenti  rispetto  ai  lavoratori
    autonomi -  Irrazionale  disparita'  di  trattamento  dei  crediti
    retributivi  rispetto  ai crediti non retributivi (rimborsi spese,
    indennita', premi non  continuativi)  -  Incidenza  sul  principio
    della  retribuzione  proporzionata  ed adeguata - Riferimento alla
    ordinanza della Corte  costituzionale  n.  147/1998  di  manifesta
    inammissibilita'  di  analoga  questione  ritenuta  superabile dal
    giudice rimettente.
     Legge 23 dicembre 1994, n. 724, art. 22, comma 36.
  Costituzione, artt. 3 e 36.
(GU n.51 del 22-12-1999 )
                               IL TRIBUNALE
   A scioglimento della riserva del  29  settembre  1999  nella  causa
 iscritta  al n. 3899/1988 ex r.g. pret. Trani in data 28 maggio 1998,
 pendente  tra  Delvecchio  Francesco,  elettivamente  domiciliato  in
 Barletta  alla  via Coletta civico 16, presso e nello studio dei suoi
 difensori,  avv.ti  Domenico  Carpagnano  e  Biagio   Capacchione   e
 l'I.N.P.S.,  in  persona del suo legate rappresentante, elettivamente
 domiciliato in Andria alla via Guido Rossa civico 12, presso e  nello
 studio  degli avv.ti Angelo Rapisardi e Aldo Noschese, ha pronunciato
 la seguente ordinanza di promovimento del giudizio dinanzi alla Corte
 costituzionale, in ordine all'art.  22,  comma  36,  detta  legge  23
 dicembre 1994, con riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione.
                            I n   F a t t o
   Con  ricorso  al  pretore  del  lavoro  del  circondario  di Trani,
 depositato il 28 maggio 1998, il sig. Delvecchio Francesco, dopo aver
 premesso:
     a)  di  avere  lavorato  alle  dipendenze  del  sig.  Francavilla
 Francesco fino al 10 maggio 1996;
     b)  che  il suo datore di lavoro era stato dichiarato fallito dal
 tribunale di Trani con sentenza 24 dicembre 1996;
     c)  che,  a  seguito  di  formale istanza, era stato ammesso allo
 stato passivo del sig. Francavilla per la somma di  L.  9.177.448,  a
 titolo di trattamento di fine rapporto, oltre rivalutazione monetaria
 ed agli interessi  di legge;
     d)  che,  in  data  22  aprile  1998, aveva richiesto al Fondo di
 garanzia dell'I.N.P.S., ai sensi dell'art. 2 della  legge  29  maggio
 1982, n.  297, l'anticipazione del T.F.R. e dei relativi accessori di
 legge;
     e) che, in data 14 maggio 1998, l'istituto assicuratore gli aveva
 versato  il  solo  capitale,  maggiorato degli interessi legali e non
 anche della rivalutazione monetaria;
   Tutto cio' premesso, il  sig.  Delvecchio  richiedeva  la  condanna
 dell'I.N.P.S.  al  pagamento della somma di L. 329.137, maturata - in
 suo favore - a titolo di rivalutazione monetaria non corrisposta.
   Costituitosi il contraddittorio, l'ente previdenziale contestava il
 diritto del lavoratore alla percezione della rivalutazione, posto che
 - essendo il suo T.F.R. maturato dopo il 31 dicembre 1994  -  trovava
 immediata  applicazione  l'art.  22, comma 36, della legge n. 724 del
 1994 (che aveva esteso anche ai crediti  retributivi  dei  dipendenti
 "privati"  il  principio  di  divieto di cumulo degli accessori, gia'
 fissato - per i crediti previdenziali, dall'art. 16, comma  6,  della
 legge n. 412 del 1991).
   Il   lavoratore,   dal   canto  suo,  all'udienza  di  discussione,
 contestava la lettura che dell'art. 22,  comma  36,  della  legge  n.
 724/1994  aveva  fornito  l'istituto  assicuratore ed insisteva nella
 richiesta di accoglimento della sua domanda, rilevando che, ove  mai,
 la  norma  in  questione,  fosse  stata ritenuta applicabile anche ai
 dipendenti privati, questo  ne  avrebbe  compromesso  la  sua  tenuta
 "costituzionale",  per  la palese violazione degli artt. 3 e 36 della
 Costituzione.
                          I n   D i r i t t o
   La  questione  costituzionale  sollevata  dalla  difesa  del   sig.
 Delvecchio  Francesco  e'  certamente rilevante, visto che, ove fosse
 accolta l'opzione ermeneutica dell'art. 22, comma 36, della legge  n.
 724/1994,  prospettata dall'I.N.P.S., non rimarrebbe a questo giudice
 che pronunciare una sentenza di rigetto, per  essere  sicuramente  il
 credito   vantato  dal  ricorrente  maturato  successivamente  al  31
 dicembre 1994 ed avendo il medesimo certamente natura "retributiva".
   Prima di ogni altra osservazione, appare  utile  a  questo  giudice
 ricordare  che  la  questione  di cui oggi si discute ha gia' formato
 oggetto di esame da parte della Corte costituzionale, la  quale,  con
 ordinanza  n.  147 del 20-23 aprile 1998, ha dichiarato la "manifesta
 inammissibilita'  della  questione  di  legittimita'   costituzionale
 dell'art.  22, comma 36, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure
 di   razionalizzazione   della   finanza   pubblica),   sollevata  in
 riferimento agli artt. 3 e  36  della  Costituzione  dal  pretore  di
 Rovigo".
   Nell'occasione,  il  pretore  di  Rovigo  (ord.  14 maggio 1997, in
 Gazzetta Ufficiale del 23 luglio 1997, prima serie speciale, n. 30) -
 condividendo la tesi  oggi  sostenuta  dall'istituto  resistente  (e,
 quindi,  ritenendo  che,  per  effetto  dell'art. 22, comma 36, della
 legge piu' volte citata, a partire dal 1 gennaio 1995 non fosse  piu'
 possibile,  anche  per i crediti di natura retributiva dei dipendenti
 privati, cumulare la rivalutazione monetaria agli  interessi  legali,
 se  non  per la parte eccedente questi ultimi) - non ha potuto fare a
 meno  di affermare la rilevanza e la non manifesta infondatezza della
 questione di legittimita' costituzionale della norma in questione per
 violazione degli artt.  3 e 36 della Costituzione.
   La Corte costituzionale, dal canto suo, in tanto e' pervenuta  alla
 conclusione  dell'inammissibilita'  della  questione  di legittimita'
 dell'art. 22, comma 36, piu' volte citato, in quanto ha  "contestato"
 la  premessa  interpretativa  fatta  propria dal pretore di Rovigo, e
 cioe'  l'asserita  estensione,  in   forza   della   norma   invocata
 dall'I.N.P.S.,   del  divieto  di  cumulo  degli  interessi  e  della
 rivalutazione  monetaria  ai  crediti  retributivi   dei   dipendenti
 privati,  rilevando  che  il giudice a quo - in assenza di un diritto
 c.d. vivente - "avrebbe  dovuto  necessariamente  porsi  il  problema
 della possibilita' di una lettura conforme a Costituzione alternativa
 a    quella    accolta   nell'ordinanza   di   rimessione   e,   solo
 successivamente,  nella  constatata  impossibilita'  di  pervenire  a
 siffatta  diversa  lettura,  avrebbe  potuto  sollevare  questione di
 costituzionalita'".
   Nell'occasione la Corte costituzionale ebbe  altresi'  a  precisare
 che  "le  leggi  non  si  dichiarano  costituzionalmente  illegittime
 perche' e possibile darne interpretazioni incostituzionali (...),  ma
 perche' e' impossibile darne interpretazioni costituzionali".
   In  buona  sostanza, quindi, con la citata ordinanza la Consulta ha
 affermato il principio della inapplicabilita' del divieto  di  cumulo
 di  cui  all'art.  22,  comma    36,  della  citata norma, ai crediti
 retributivi dei dipendenti privati, in quanto, solo in  questo  modo,
 sarebbe comunque garantita la sua tenuta costituzionale.
   Sennonche',  dal momento della pronuncia di inammissibilita' or ora
 richiamata, ad oggi, sono certamente  intervenuti  dei  "fatti",  che
 ripristinano  l'attualita'  della  questione,  tanto da richiedere un
 nuovo intervento del giudice delle leggi.
   La Corte di cassazione, infatti, con una  pluralita'  di  sentenze,
 tutte  del  medesimo segno (fra le tante si vedano la n. 12523 del 12
 dicembre 1998; la n. 651 del 23 gennaio  1999;  la  n.  8063  del  24
 luglio  1999),  ha  affermato  che,  a seguito dell'entrata in vigore
 dell'art. 22, comma 36, della legge n. 724/1994, il  principio  della
 incumulabilita'  della  rivalutazione  monetaria  e  degli  interessi
 legali, gia' previsto per i crediti previdenziali, debba - a  partire
 dal  1  gennaio 1995 - essere esteso anche ai crediti retributivi dei
 dipendenti privati.
   Orbene, da questi pronunciamenti del giudice di legittimita' deriva
 - quale conseguenza diretta ed immediata -  che  il  principio  della
 incumulabilita'   degli  accessori  debba  ormai  ritenersi  "diritto
 vivente" e vincolare, quindi, la decisione  dell'odierno  giudice,  a
 cui  sarebbe  pertanto  esclusa  la  possibilita'  di  assegnare alla
 disposizione di legge oggetto della causa odierna una interpretazione
 di contenuto diverso.
    Sennonche', l'art. 22, comma 36, della norma piu' volte citata,  a
 giudizio   di  questo  ufficio,  ove  interpretato  nei  sensi  ormai
 conformemente prospettati dalla Suprema Corte (che, come gia'  detto,
 deve  ormai  ritenersi diritto vivente), non si sottrae a gravi dubbi
 circa la sua tenuta costituzionale.
   Non puo' sottacersi, infatti, che l'art. 429  c.p.c.  (e  cioe'  la
 disposizione   che,  per  prima,  ha  affermato  il  principio  della
 rivalutabilita' automatica dei crediti di lavoro, nonche' quello  del
 cumulo della rivalutazione monetaria e degli interessi legali), trova
 espressa   applicazione   tanto  nel  caso  in  cui  il  credito  sia
 ricollegabile ad un rapporto di  lavoro  subordinato,  quanto  ad  un
 rapporto di lavoro parasubordinato.
   Da  cio'  discende  che,  per  effetto dell'art. 22, comma 36, deve
 ormai ritenersi che l'art. 429 c.p.c.  sia  stato  solo  parzialmente
 "abrogato"  e  precisamente  nella  parte in cui consentiva il cumulo
 degli accessori sui "crediti retributivi" dei lavori subordinati.
   Allo stato, pertanto, vista la "lettera" della disposizione di  cui
 all'art.  22,  comma  36,  cit., deve ritenersi che l'art. 429 c.p.c.
 continui a trovare applicazione limitatamente ai crediti  non  aventi
 natura  retributiva  o  che  riguardino  un  rapporto  di lavoro c.d.
 parasubordinato e/o  associato  (ed  in  particolare  quelli  di  cui
 all'art.  409, nn.   2 e 3 c.p.c.), con la conseguenza che si viene a
 realizzare un'odiosa ed ingiustificata discriminazione, con  evidente
 violazione  dell'art.   3 Cost., tra i lavoratori subordinati (per la
 migliore tutela dei quali era  stata,  in  definitiva,  "pensata"  la
 norma di cui all'art.  429 c.p.c.) e quelli parasubordinati.
   La   stessa  dottrina,  peraltro,  occupatasi  della  quaestio,  ha
 immediatamente rilevato l'incogruenza di una tale  lettura  dell'art.
 22, comma 36, cit., evidenziando come sia da ritenere "improbabile la
 tenuta costituzionale, sub specie dell'art. 3 Cost., della disparita'
 di  trattamento, con la conseguente necessita' di indurre a ricorrere
 alla diversa interpretazione, che tale tenuta  invece  rispetti"  (De
 Angelis  ''Rivalutazione  ed  interessi''  pagg. 445-446), risultando
 "davvero difficile rinvenire un'accettabile ragione della difformita'
 di trattamento a danno dei crediti da lavoro dipendente".
   Per non tenere conto del fatto che la  norma  di  cui  si  discute,
 limitandosi  a  richiamare  i  soli  "crediti  retributivi", porta ad
 escludere dal divieto del cumulo degli accessori  quei  crediti  che,
 per  quanto  collegati  al rapporto di lavoro, non abbiano una natura
 retributiva  (si  pensi,  p.  es.,  ai  rimborsi  spese,  ai  crediti
 risarcitori,  alle  indennita'  e  cosi'  via, che "continuerebbero a
 godere del trattamento piu' vantaggioso" (v. De  Angelis,  op.  cit.,
 pag. 445).
   Tra  l'altro,  sotto  il  profilo  costituzionale, l'illegittimita'
 dell'art. 22, comma 36, legge cit., trova una sua ulteriore  conferma
 anche in altre disposizioni di legge.
   Si  pensi,  infatti,  per  esempio  all'art. 24 del c.d. "Pacchetto
 Treu"  (legge  24  giugno  1997,  n.196),  che,  com'e'  noto,  senza
 modificare  la  natura  del  rapporto  dei  soci delle cooperative di
 produzione e lavoro (che non e' certamente di lavoro subordinato), ha
 esteso anche a questi ultimi la norma di cui all'art. 2  della  legge
 29  maggio  1982,  n.  297  (consentendo  ai  soci  di cooperative di
 richiedere al Fondo di garanzia,  costituito  presso  l'I.N.P.S.,  il
 trattamento  di  fine  rapporto  ed  i relativi accessori, in caso di
 insolvenza della cooperativa).
   Da  cio'  discende  che,  in  considerazione   della   natura   non
 subordinata  del  rapporto  di  lavoro  intercorrente tra i soci e la
 cooperativa (e, quindi, per effetto della  natura  "non  retributiva"
 del  credito  di  cui  si discute), deve ritenersi inapplicabile, nei
 confronti dei primi, il divieto di cumulo  degli  interessi  e  della
 rivalutazione  monetaria  di  cui  all'art. 22, comma 36, della legge
 piu' volte citata.
   Il  che  comprova  la  natura  discriminatoria,  ex  art.  3 Cost.,
 dell'art.   22, comma 36, della legge n.  724  del  1994,  in  quanto
 comporta  un  ingiustificato trattamento di miglior favore per i soci
 delle cooperative (rispetto ai prestatori di lavoro subordinato,  per
 la  tutela  dei  quali  l'art.  429  c.p.c.,  nella  sua formulazione
 originaria, era stato codificato).
   Si pensi anche all'art. 2 del d.lgs. n. 80  del  27  gennaio  1982,
 che,  con  riferimento  alle ultime mensilita' di retribuzione che il
 Fondo di garanzia dell'I.N.P.S. e' tenuto ad anticipare, in  caso  di
 insolvenza  del  datore  di  lavoro,  prevede,  nonostante  la natura
 chiaramente previdenziale di tale prestazione, che "gli  interessi  e
 la  svalutazione  monetaria  sono  dovuti dalla data di presentazione
 della domanda".
   Questa norma, com'e' di tutta evidenza, mal si concilia, ex art.  3
 Cost., con la disposizione che si assume aver cancellato  il  diritto
 al cumulo degli accessori di legge.
   Certo,  a giudizio dello scrivente, sarebbe stato possibile offrire
 della disposizione de qua una lettura conforme a costituzione,  visto
 che  anche la dottrina piu' attenta alla formulazione letterale della
 disposizione ha rilevato come la stessa debba indurre a ritenere  che
 "la  norma  riguardi  esclusivamente  (...)  l'area dei dipendenti di
 pubbliche amministrazioni (...) ad esse legati da rapporto di  natura
 pubblicistica   o   privatistica"   (De  Angelis,  op.  cit.),  (cfr.
 Manganiello, in Riv. Giur. Lav. 1995, II, 737;  Fassina,  ''Legittimo
 il  divieto di cumulo tra interessi e rivalutazione monetaria in caso
 di ritardato pagamento di  crediti  previdenziali'',  in  Riv.  Giur.
 Lav. 1997, II, 127 e ss.).
   Tale scelta interpretativa, per un verso, sarebbe "rispettosa della
 collocazione  della  norma  e  del  titolo  del  capo  in cui essa e'
 situata"; per altro verso avrebbe giustificato "il coinvolgimento, in
 sede di determinazione dei criteri e delle modalita' di applicazione,
 del Ministero del tesoro"; per  altro  verso  avrebbe  tenuto  "conto
 della  testualita'  del  richiamo ai crediti pensionistici e non agli
 altri  crediti  previdenziali"  e,  per  altro  verso   ancora,   con
 l'estensione  della  sfera  di  applicazione  ai  rapporti  di natura
 privata con lo Stato e le pubbliche amministrazioni, avrebbe spiegato
 "il riferimento ai dipendenti  pubblici  e  privati  contenuto  nella
 norma" (esattamente in termini, v. De Angelis, op. cit. pag. 447).
   Se  si  considera  che  il  capo  in cui e' contenuto il divieto di
 cumulo riguarda  il  pubblico  impiego,  che  tutte  le  altre  norme
 dell'art.    22  e  del successivo art. 23 si riferiscono a pubbliche
 amministrazioni  e  che  il  legislatore  ha  utilizzato  il  termine
 "emolumenti"  e  "quiescenza"  (locuzioni,  queste,  tradizionalmente
 proprie  del  pubblico  impiego),  non  puo'  che  convenirsi   sulla
 erroneita'  dell'opzione  ermeneutica  fatta  propria  dalla Corte di
 cassazione.
   Cionondimeno, proprio perche' - come gia' detto - l'interpretazione
 che della disposizione de qua ha sostenuto  l'istituto  assicuratore,
 per  effetto  del  reiterato  intervento  nomofilattico della Suprema
 Corte, deve ormai ritenersi "diritto vivente", appare evidente la non
 manifesta infondatezza dell'eccezione di costituzionalita'  dell'art.
 22,  comma  36,  della  legge n. 724/1994, per violazione dell'art. 3
 Cost., sollevata dalla difesa del ricorrente.
   L'art.  22,  comma  36,  legge  cit., potrebbe, altresi', risultare
 illegittimo per violazione dell'art. 36 della  Costituzione  (di  cui
 l'originaria   formulazione  dell'art.  429  c.p.c.  era  diretta  ed
 immediata applicazione), considerato che impedisce al  lavoratore  la
 conservazione  del  potere  di  acquisto  della  moneta,  in  caso di
 ritardato pagamento della retribuzione.
                               P. Q. M.
   Dichiara rilevante e  non manifestamente infondata la questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art. 22,  comma 36, della legge 23
 dicembre 1994, n. 724, con  riferimento  agli  artt.  3  e  36  della
 Costituzione;
   Dispone  la  trasmissione  degli  atti  alla Corte costituzionale e
 sospende il giudizio in corso;
   Ordina che la presente ordinanza  sia  notificata  alle  parti,  al
 Presidente del Consiglio dei Ministri ed ai presidenti della Camera e
 del Senato della Repubblica.
     Trani, addi' 29 settembre 1999.
                     Il giudice del lavoro: Chirone
 99C2201