N. 684 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 luglio 1998

                                N. 684
  Ordinanza  emessa  il  17  luglio  1998 dalla commissione tributaria
 regionale di Firenze sul  ricorso  proposto  da  Imposte  dirette  di
 Firenze contro Fabbri Giovanni
 Imposte  e  tasse  in  genere - Imposte sui redditi - Liquidazione in
    base al controllo "formale" delle  dichiarazioni  Termine  del  31
    dicembre  dell'anno  successivo  a  quello  di presentazione della
    dichiarazione (art. 36-bis d.P.R. n. 600/1973)  -  Qualificazione,
    con  norma di interpretazione autentica, come termine ordinatorio,
    non stabilito a pena di decadenza -  Irragionevolezza  (risultando
    assoggettate    al    medesimo   termine   l'attivita'   meramente
    liquidatoria e quella di accertamento) - Violazione del diritto di
    azione del contribuente -  Lesione  del  buon  andamento  e  della
    "responsabilita'  dell'attivita' amministrativa" - Invasione della
    funzione  giurisdizionale  di  interpretazione   della   legge   -
    Sviamento di potere.
     Legge  7 dicembre 1997, n. 449 (recte: 27 dicembre 1997) art. 28,
    comma 1.
  Costituzione, artt. 3, 24, 97, 101, 102, primo comma  e  104,  primo
    comma.
(GU n.51 del 22-12-1999 )
                   LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE
   Ha  emesso  la seguente ordinanza sull'appello p.g. appelli 9603/96
 depositato il 13 marzo 1996, avverso la sentenza n. 8, del 16 gennaio
 1996, emessa dalla Commissione tributaria provinciale di  Firenze  da
 Imposte  dirette  di Firenze, I ufficio; controparti: Fabbri Giovanni
 residente a Firenze, in via A.  Nicolodi,  5;  difeso  da  Di  Tullio
 dott.ssa  Adelaide,  residente  a  Firenze, in via XXVII Aprile n. 2;
 atti impugnati:  cart. pagamento n. 4005088 not.  12  novembre  1993,
 ILOR 1987.
   1.  -  L'Ufficio  distrettuale delle imposte dirette di Firenze con
 atto del 14  marzo  1996,  ha  impugnato  avanti  questa  Commissione
 regionale  la  decisione  n.  8 del 16 gennaio 1996 della Commissione
 tributaria di primo grado di Firenze la quale, accogliendo il ricorso
 di Giovanni Fabbri  (agente  di  commercio)  relativo  ad  ILOR  1987
 avverso   una   cartella  esattoriale  emessa  per  L.  4.409.000  ed
 accessori, ha ritenuto fondato il primo  motivo  di  gravame  con  il
 quale  ricorrente  deduceva  la  nullita'  e  la illegittimita' della
 pretesa tributaria.
   Tale pretesa si era infatti manifestata  con  cartella  esattoriale
 notificata  il  12  novembre  1993,  emessa ex art. 36-bis, d.P.R. n.
 600/1973, oltre il termine del 31  dicembre  dell'anno  successivo  a
 quello  di  presentazione  della  dichiarazione, e quindi oltre il 31
 dicembre 1989.
   Secondo  l'Ufficio  il  termine  previsto  dall'art.  36-bis   cit.
 concerne  la  "liquidazione delle imposte" e non l'iscrizione a ruolo
 delle stesse che scaturiscono  da  tale  liquidazione,  da  ritenersi
 effettuabile  entro  il  termine  di cui al primo comma dell'art. 43,
 d.P.R. n. 600/1973.
   Conseguentemente  il  termine  previsto  dall'art.  36-bis, secondo
 l'Ufficio appellante, avrebbe natura ordinatoria e non perentoria,  e
 comunque tale da non impedire l'efficace esplicazione della attivita'
 impositiva   della  Amministrazione  finanziaria,  pur  dopo  la  sua
 scadenza.
   Con successiva  memoria  del  20  maggio  1998,  l'ufficio  ha  poi
 richiamato  l'art.  28,  legge  n. 449/1997 secondo il quale il primo
 comma dell'art.  36-bis, d.P.R. n. 600/1973 nel  testo  da  applicare
 sino  alla  data  stabilita nell'art. 16 del d.lgs. n. 241/1997, deve
 essere interpretato nel senso che il termine in esso indicato  avendo
 carattere ordinatorio, non e' stabilito a pena di decadenza.
   La  Commissione  regionale  ritiene peraltro che l'art. 28 cit. sia
 sospettabile di violazione dei principi posti dagli artt. 3, 24,  97,
 101, 102, primo comma e 104 primo comma della Costituzione, e ritiene
 quindi   non   manifestamente  infondata  la  relativa  questione  di
 incostituzionalita', che quindi solleva d'ufficio ai sensi  dell'art.
 23, terzo comma, legge 11 marzo 1953, n. 87.
   2.  -  La questione di costituzionalita' nei termini che di seguito
 si  espongono,  e'  rilevante  con  riferimento  alla   materia   del
 contendere,  in quanto l'attribuzione di natura perentoria al termine
 posto dall'art.  36-bis cit. e comunque di effetti decadenziali  alla
 pretesa della Amministrazione finanziaria in conseguenza dell'inutile
 decorso  di  tale  termine, e' tale da determinare l'accoglimento del
 ricorso; le cui ragioni di merito potranno  essere  quindi  esaminate
 successivamente   alla  risoluzione,  e  solo  nel  senso  favorevole
 all'Amministrazione   finanziaria,   della   questione    preliminare
 relativamente  alla  natura  del  termine posto dall'art. 36-bis alla
 luce  della  interpretazione  autentica    dall'art.  28,  legge   n.
 449/1997.
   3.  - Si deve in primo luogo affermare che non spetta al giudice (e
 nel caso quindi anche il giudice tributario) la facolta' di procedere
 ad una interpretazione correttiva-emendativa del  testo  legislativo,
 al  punto  di  affermare  che  all'art. 28, legge n. 449/1997 laddove
 attribuisce "carattere ordinatorio" al termine di cui all'art. 36-bis
 dal d.P.R.  n.  600/1973,  debba  essere  attribuito  significato  ed
 effetti innovativi ex nunc (art. 11 delle disposizioni sulla legge in
 generale)  e  non  quindi  contenuto di interpretazione autentica con
 effetti ex tunc.
   Il  titolo  dell'art.  28  reca  chiaramente  la   dizione   "norma
 interpretativa",  ed inoltre il testo stesso del comma 1 precisa, con
 espressione  assolutamente  inequivoca  che  l'interprete  non   puo'
 forzare  al  punto da rinnegarne il contenuto chiaro e manifesto, che
 il comma 1 dell'art. 36-bis "deve essere interpretato".
   Dunque se il legislatore (come  appare  incontestabile)  ha  inteso
 attribuire all'art. 28 effetti di interpretazione autentica dell'art.
 36-bis,  tali  effetti  non  possono che retroagire in tutte le, sedi
 (amministrative  e  giudiziarie,  e  queste   ultime   di   giustizia
 tributaria  ovvero  ordinaria) nelle quali debba farsene applicazione
 in sede di svolgimento di attivita' amministrativa o giurisdizionale.
   La Commissione non ignora l'esistenza di interpretazioni riduttive,
 tendenti ad escludere efficacia retroattiva dell'art. 28  (non  senza
 sottolineare  il  paradosso  di  una norma interpretativa soggetta ad
 ulteriore interpretazione rettificativa), ma  sta  di  fatto  che  il
 giudice,    salvo    il   preliminare   scrutinio   di   legittimita'
 costituzionale al quale e' abilitato dall'art. 23, legge n.  87/1953,
 non  puo'  disattendere  la  volonta' del legislatore ordinario cosi'
 come resa manifesta dal senso comunemente accettato delle espressioni
 usate.
   Ne consegue che all'art. 28, correttamente interpretato,  non  puo'
 che  attribuirsi  il  valore  di norma di interpretazione autentica e
 quindi  in  grado  di  produrre  effetti  in  tutti  i  procedimenti,
 amministrativi e giurisdizionali, non definiti.
   4.  -  Del  pari irrilevante e' l'obiezione, pure manifestata dalla
 dottrina e dalla giurisprudenza ed indubbiamente fondata, secondo  la
 quale l'uso del termine "ordinatorio", nell'art. 28, appare del tutto
 improprio  e  tale  da  generare  equivoci  e  da  richiedere  quindi
 ulteriori attivita' interpretativa.
   In  effetti  e'  incontestabile  che  la  distinzione  tra  termini
 ordinatori  e perentori appartiene piu' al diritto processuale che al
 diritto sostanziale (artt. 152 e 153 c.p.c.), e  soprattutto  che  la
 sanzione  della decadenza per gli atti compiuti oltre la scadenza del
 termine, e'  comune  tanto  ai  termini  perentori  quanto  a  quelli
 ordinatori,  differenziandosi questi ultimi dai primi, dalla facolta'
 attribuita al giudice (art. 154 c.p.c.; il che conferma che  trattasi
 di  termini  posti  alla  attivita'  processuale  del giudice e delle
 parti) di prorogarli in presenza di  giusti  motivi  e  se  richiesto
 prima della scadenza.
   Detto  cio'  appare quindi evidente che l'interpretazione autentica
 dell'art. 36-bis disposta dall'art. 28, e' diretta ad  attribuire  al
 termine  ivi  previsto  natura  non  di  termine ordinatorio in senso
 proprio,  ma  piuttosto  di  termine  acceleratorio,  avente   quindi
 funzione  nell'ambito  del  procedimento amministrativo di accelerare
 una determinata attivita' della pubblica amministrazione.
   Ma e' altresi' evidente che nel caso, la discussione sul valore del
 termine "ordinatorio" usata dall'art. 28, e' di nessun rilievo, posto
 che almeno due significati  della  norma  sono  chiarissimi:  la  sua
 efficacia   interpretativa  e  la  espressa  esclusione  di  sanzioni
 decadenziali per il caso di inutile decorrenza del  termine  previsto
 dall'art. 36-bis cit.
   5.  -  Il contenuto dell'art. 28 deve essere quindi ricostruito nel
 senso che la legge ha inteso  escludere  effetti  decadenziali  della
 pretesa  della  Amministrazione  finanziaria  a  causa  della inutile
 decorrenza del termine di cui all'art. 36-bis; ed e' nei confronti di
 tale attivita' legislativa  di  interpretazione  che  possono  essere
 esposti  ragionati  e  fondati sospetti di contrasto con gli artt. 3,
 24, 97, 101, 102, primo comma e 104, primo comma della Costituzione:
     a)  possibile  contrasto  con  gli  artt.  3,  24  e   97   della
 Costituzione.
   Ritenere  che  l'Amministrazione  finanziaria  possa  esercitare le
 facolta' di cui all'art. 36-bis  nel  termine  di  cui  all'art.  17,
 d.P.R.  n. 602/1973 che richiama il termine di cui all'art. 43 d.P.R.
 n.    600/1973,  equivale  in  primo  luogo  a  violare i principi di
 ragionevolezza dei quali e' presidio l'art. 3  della  Costituzione  e
 che  impongono al legislatore di disciplinare in modo ragionevolmente
 differenziato situazioni sostanzialmente diverse, quali:
     l'attivita'  di    controllo sostanziale di accertamento prevista
 dall'art.  43  e  che   costituisce   attivita'   amministrativa   di
 istruttoria,  di  acquisizione  di dati, di cognizione, valutazione e
 manifestazione di giudizio in ordine  ai  presupposti  della  pretesa
 tributaria  e per la quale il legislatore ha previsto un termine piu'
 ampio, e l'attivita' meramente liquidatoria delle imposte sulla  base
 degli  stessi  dati  esposti  dal  contribuente e dagli allegati alla
 dichiarazione, di regola  priva  di  apprezzamenti  discrezionali,  e
 quindi  tale  da  essere  esperibile  a garanzia del contribuente, in
 termine assai piu' breve.
   L'equiparazione,  quanto  al  termine  consentito   per   il   loro
 svolgimento, di attivita' amministrative sostanzialmente diverse, non
 appare  quindi ragionevole ed e' comunque fonte di pregiudizio per il
 contribuente, il quale si troverebbe soggetto, anche con  riferimento
 alla liquidazione effettuata ai sensi dell'art. 36-bis, ad un maggior
 onere  di interessi, che il legislatore fissando un minor termine, ha
 inteso evitare.
   Si  aggiunga  che  l'esposizione  del  contribuente  alla   pretesa
 tributaria  conseguente a mera attivita' liquidatoria, per il maggior
 termine previsto dall'art. 43 cit, si traduce, nella sostanza,  nella
 impossibilita'  di  contrastare  in  giudizio  tale  pretesa  qualora
 manifestata oltre il termine fissato dall'art. 36-bis (in  violazione
 dell'art.    24    della    Costituzione),    e   soprattutto   nella
 disincentivazione del "buon andamento" e della responsabilita'  della
 attivita' amministrativa.
   Il  rispetto di tali principi, dei quali e' garante l'art. 97 della
 Costituzione,  esige  che  l'azione  della  p.a.  sia  improntata   a
 celerita',  allo  scopo  di ridurre la condizione di incertezza nella
 quale si trova colui che  si  trovi  soggetto  al  potere  impositivo
 tributario  (analoghi  principi valgono in tema di espropriazione per
 pubblica utilita', condizionata al rispetto  dei  termini  perentori,
 ancorche'   prorogabili,  fissati  nella  dichiarazione  di  pubblica
 utilita' e nel provvedimento di occupazione).
   Per contro, appare irragionevole  e  comunque  deresponsabilizzante
 per   la   pubblica   amministrazione,   che  due  diverse  attivita'
 amministrative finalizzate alla imposizione  tributaria  (una  avente
 natura di mero controllo contabile-documentale, l'altra di indagine e
 di  accertamento  complesso, espressione di discrezionalita' tecnica)
 siano assoggettate allo stesso termine;
     b) possibile contrasto con gli artt. 101, 102, primo comma e 104,
 primo comma della Costituzione.
   Si premette che  l'attivita'  interpretativa  del  legislatore  non
 sfugge alle regole generali che disciplinano l'interpretazione (artt.
 12  e  segg.  delle  disposizioni  sulla  legge  in generale), con la
 peculiarita' che a differenza delle altre forme di interpretazione  e
 della  attivita' interpretativa svolta dai diversi soggetti abilitati
 a vario titolo a provvedervi, l'interpretazione del legislatore,  che
 non  e'  soggetta  ad  alcun onere di motivazione, puo' individuare e
 rendere cogente per i soggetti ai quali spetta di attuare la volonta'
 della legge,  anche  l'opzione  interpretativa  meno  giustificata  e
 fondata.
   Peraltro,  anche  l'interpretazione  autentica, al pari delle altre
 forme e fonti delle interpretazione, incontra taluni limiti, il primo
 dei quali impone che l'opzione interpretativa  del  legislatore  deve
 comunque  corrispondere  ad uno dei possibili significati della legge
 (anche  se  non  al  piu'  probabile);  mentre  il  secondo limite e'
 rappresentato dalla  esigenza  che  siano  presenti  nell'ordinamento
 rilevanti  dubbi  ed  incertezze nella individuazione del significato
 della legge, in pregiudizio dell'interesse generale alla certezza del
 diritto.
   L'interpretazione da parte del legislatore  si  giustifica  quindi:
 a)  quando  l'opzione  interpretativa  che si impone per legge non e'
 estranea ai  possibili  significati  della  norma;  e  b)  quando  la
 pluralita'  di  tali  possibili  significati,  nessuno  dei  quali ha
 assunto ancora prevalenza nel diritto vivente, costituisce res dubia,
 caratterizzata dalla  coesistenza  se  non  equivalenza,  di  diverse
 opzioni  interpretative, tutte egualmente giustificabili, in guisa da
 determinare  incertezza  del  diritto,  confusione  amministrativa  e
 pericolo di disparita' di trattamento tra i diversi destinatari della
 norma   (Corte   costituzionale   23  novembre  1994  n.  397;  Corte
 costituzionale 5 novembre 1996, n.  386).
   Tanto premesso in linea generale, si osserva che la questione circa
 la natura  del  termine  previsto  dall'articolo  36-bis  con  taluni
 contrasti   in   sede  giurisdizionale,  aveva  trovato  soluzione  e
 componimento proprio in sede delle massime  istanze  nelle  quali  la
 volonta'  della legge viene dichiarata ed applicata, con affermazione
 inequivoca, tra le diverse possibili  interpretazioni,  della  natura
 perentoria  del  termine  previsto  dall'art.  36-bis e degli effetti
 decadenziali  della  pretesa  tributaria  nel  caso  di  suo  inutile
 decorso.
   Quindi, pure a prescindere dal merito della questione, sta di fatto
 che  il  costante  indirizzo  della Commissione tributaria centrale a
 partire quanto meno  dal  1995  e  successivamente  le  due  conformi
 decisioni  della Corte di cassazione del 9 maggio 1997, n. 7088 e del
 24 settembre 1997 n. 12442, avevano eliminato  ormai  ogni  possibile
 dubbio  in ordine alla interpretazione dell'art. 36-bis, contribuendo
 cosi' a porre uno dei  due  limiti  sopra  precisati  alla  attivita'
 interpretativa del legislatore (la assenza attuale nell'ordinamento e
 nel  diritto vivente, di interpretazioni contrastanti e di incertezza
 del diritto per  effetto  della  prevalenza  di  una  interpretazione
 giurisprudenziale).
   Ne  consegue  che  l'emanazione dell'art. 28 ha certamente superato
 tale limite, venendo cosi' a realizzare sia un evidente straripamento
 di potere o invasione delle competenze  della  Autorita'  giudiziaria
 alla  quale  compete di manifestare ed attuare il dictum della legge,
 sia un altrettanto evidente sviamento di potere, essendo ipotizzabile
 che l'art. 28 sia stato emanato non con  la  finalita'  di  risolvere
 contrasti  interpretativi  (ormai  composti),  ma  con  lo  scopo  di
 contrastare ed  arginare  l'interpretazione  della  legge  effettuata
 dall'Ordine   giudiziario   nella  sua  autonomia  costituzionalmente
 garantita,  per  di   piu'   contrapponendovi   una   interpretazione
 favorevole  alla  Amministrazione  finanziaria, motivatamente esclusa
 dalla giurisdizione.
                               P. Q. M.
   Dichiara ai sensi dell'art. 23, terzo comma, legge 11  marzo  1953,
 n.   87   la   non   manifesta   infondatezza,   della  questione  di
 incostituzionalita' dell'art. 28, comma 1, legge 7 dicembre 1997,  n.
 449,  per contrasto con gli artt. 3, 24, 101, 102 primo comma, e 104,
 primo comma della Costituzione;
   Solleva la relativa questione;
   Dispone  che  a  cura  della segreteria gli atti siano rimessi alla
 cancelleria della Corte costituzionale e che  la  presente  ordinanza
 sia  notificata  a Giovanni Fabbri, all'Ufficio delle imposte dirette
 di Firenze ed al Presidente del Consiglio dei Ministri, e  che  venga
 comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
     Firenze, addi' 17 luglio 1998.
                         Il presidente: Florio
                                      Il giudice relatore: Scripelliti
 99C2207