N. 6 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 febbraio 1999
N. 6 Ordinanza emessa il 23 febbraio 1999 dal Consiglio di Stato sul ricorso proposto dal Ministero di grazia e giustizia contro Cialone Tommaso ed altri Impiego pubblico - Somme erogate al personale del comparto Ministeri, per effetto dell'inquadramento definitivo nelle qualifiche funzionali, ai sensi dell'art. 4, ottavo comma, legge n. 312/1980 - Esclusione della rivalutazione monetaria e degli interessi - Ingiustificata deroga al principio di debenza degli interessi sui crediti monetari - Incidenza sui principi di retribuzione proporzionata ed adeguata e di tutela del lavoro. Legge 23 dicembre 1998, n. 448, art. 26, commi 4 e 5. Costituzione, artt. 3, 35 e 36.(GU n.5 del 2-2-2000 )
IL CONSIGLIO DI STATO Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso in appello n. 1344 del 1997 proposto dal Ministero di grazia e giustizia, in persona del Ministro pro-tempore rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso cui e' ex lege domiciliato, in Roma, via dei Portoghesi n. 12; Contro Cialone Tommaso, De Nino Maria Antonietta, Gittastia Contina, Rosettini Beatrice, Cinaglia Teresa, Di Quattro Alba, Celano Cristina, Sfarra Anna Maria, Dionisio Elena Marianna, Morelli Nadia, Gianfrancesco Anna, Ercole Sandro, Ruggieri Vincenzo, Napoleone Luigi, Iafolla Giancarlo, Nanni Dina, Ciccone Graziella e Centorame Mario, tutti rappresentati e difesi dagli avv.ti Vincenzo Camerini e Adriano Rossi, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, viale Mazzini n. 9, per l'annullamento della sentenza n. 565 del tribunale amministrativo regionale dell'Abruzzo - sede dell'Aquila - resa nella camera di consiglio del 22 marzo 1995 e pubblicata il 25 ottobre 1996; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio degli appellati; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Vista la decisione interlocutoria 30 gennaio 1998, n. 141; Visti gli atti tutti della causa; Data per letta alla pubblica udienza del 23 febbraio 1999 la relazione del Consigliere Dedi Rulli e uditi l'avvocato dello Stato Quadri per l'Amministrazione appellante e l'avv.to Camerini per gli appellati; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue. F a t t o Gli attuali appellati, tutti dipendenti del Ministero di grazia e giustizia, reinquadrati ai sensi dell'art. 4, ottavo comma, della legge 11 luglio 1980, n. 312, con la sentenza in epigrafe meglio precisata, ottenevano il riconoscimento del loro diritto alla corresponsione della rivalutazione monetaria e degli interessi legali sulle differenze stipendiali dovute e liquidate in ritardo, con decorrenza dal 13 luglio 1981. Con atto notificato in data 16 gennaio 1997, l'amministrazione di grazia e giustizia proponeva appello avverso la detta decisione, sostenendo che i pretesi emolumenti aggiuntivi erano dovuti solo dalla data di adozione dei concreti provvedimenti di inquadramento, come precisato dal Ministero del tesoro con circolare n. 47 del 21 giugno 1991. In via subordinata l'amministrazione richiamava le piu' recenti pronunzie anche di questa sezione le quali avevano ritenuto che interessi e rivalutazione decorressero solo dall'8 novembre 1988 e cioe' dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della determinazione della commissione paritetica del 29 settembre 1988, relativa alla identificazione della corrispondenza tra i nuovi profili professionali e le qualifiche del precedente ordinamento. Con memoria del 17 ottobre 1997, gli appellati facevano presente che, anche alla luce di tale piu' recente orientamento, la sentenza impugnata dall'amministrazione non poteva essere annullata in toto ma tutt'al piu' riformata in parte. Nelle more del giudizio, dopo la decisione interlocutoria 30 gennaio 1998, n. 141, l'amministrazione, in considerazione della ormai costante giurisprudenza (cfr. circolare prot. n. 1697 (g/MF/1410 del 10 luglio 1997), iniziava la procedura per la corresponsione di quanto riconosciuto dovuto agli interessati. E' entrata, nel frattempo, in vigore il 1 gennaio 1999 la legge 23 dicembre 1998, n. 448, avente ad oggetto "misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo" e contenente, nell'art. 26, "norme di interpretazione autentica...". In tale articolo e' stato stabilito al comma 4 "Le somme corrisposte al personale del comparto ministeri per effetto dell'inquadramento definitivo nelle qualifiche funzionali ai sensi dell'art. 4, ottavo comma, della legge 11 luglio 1980, n. 312, e le somme liquidate sui trattamenti pensionistici in conseguenza dell'applicazione della sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 1991 non danno luogo ad interessi ne' a rivalutazione monetaria" ed al comma 5 "Fatta salva l'esecuzione dei giudicati alla data di entrata in vigore della presente legge, le somme corrisposte in difformita' da quanto disposto dal comma 4 sono considerate a titolo di acconto sui trattamenti economici e pensionistici in essere e recuperate con i futuri miglioramenti comunque spettanti sui trattamenti stessi". In proposito gli appellati sostengono che la sentenza impugnata, nei limiti della decorrenza dell'8 novembre 1988 delle somme dovute (alla quale l'Amministrazione ha prestato parziale acquiescenza) debba ritenersi passata in giudicato con la conseguente salvezza di cui al quinto comma della citata disposizione. In via subordinata, gli stessi eccepiscono la illegittimita' costituzionale delle dette disposizioni, alle quali andrebbe riconosciuta portata innovativa con effetto retroattivo, per contrasto con gli artt. 101, 102, 103 e 104 nonche' con gli artt. 3, 35 e 36 della Costituzione perche': a) l'intervento legislativo non si e' mosso sul piano generale ed astratto, ma si e' ingerito nella specifica risoluzione della concreta fattispecie oggetto di contestazione tra dipendenti ed amministrazione, interferendo cosi' sull'esercizio del potere giurisdizionale; b) lo stesso intervento appare assunto in contrasto con il principio generale della ragionevolezza e di quello di uguaglianza, soprattutto se si considera che e' colpita una sola categoria di dipendenti pubblici (quelli inquadrati ex lege n. 312/1980), nonche' con i principi generali di tutela dei crediti di lavoro. Gli appellati concludono, quindi, chiedendo che siano dichiarati dovuti gli interessi e la rivalutazione monetaria, ai sensi di quanto disposto dall'art. 429 c.p.c. (come modificato dalla legge 1 agosto 1973, n. 533) e dall'art. 150 disp. di attuazione dello stesso codice sui crediti per differenze retributive tardivamente corrisposte agli appellati, con decorrenza dalla data dell'8 novembre 1988, relativamente alla quale la sentenza del tribunale amministrativo regionale appellata sarebbe passata in giudicato per acquiescenza dell'amministrazione. In subordine, chiedono, previa sospensione del giudizio, la rimessione alla Corte costituzionale per la risoluzione della dedotta eccezione di illegittimita' costituzionale dell'art. 26, commi 4 e 5, legge 23 dicembre 1988, n. 448. Alla pubblica udienza del 23 febbraio 1999 la causa e' stata trattenuta in decisione. D i r i t t o 1. - Ciome gia' precisato nell'esposizione in fatto, la questione sostanziale portata all'esame del Collegio, concreta un'azione di accertamento del diritto alla corresponsione degli interessi legali e della rivalutazione monetaria sulle differenze retributive dovute a seguito degli inquadramenti definitivi operati ai sensi dell'art. 4, ottavo comma, della legge 11 luglio 1980, n. 312, azione esperita dagli appellati e risolta in senso per loro favorevole dal t.a.r. dell'Abruzzo, con la sentenza impugnata. Nelle more del giudizio, in pendenza dell'appello proposto dal Ministero di grazia e giustizia avverso la predetta sentenza, e' entrata in vigore il 1 gennaio 1999 la legge 23 dicembre 1998, n. 448, che, con l'art. 26, commi 4 e 5, ha stabilito che le somme corrisposte "per effetto dell'inquadramento definitivo nelle qualifiche funzionali ai sensi dell'art 4, comma 8, della legge 11 luglio 1988, n. 312 danno luogo ad interessi ne' a rivalutazione monetaria ..." fatta salva l'esecuzione dei giudicati alla data di entrata in vigore della presente legge". 2. - Preso atto del recente intervento legislativo, gli interessati, dopo aver precisato che - comunque - la decorrenza delle somme in contestazione andava stabilita alla data dell'8 novembre 1988 (e in base a tale decorrenza l'amministrazione aveva iniziato a porre in essere gli atti necessari all'esecuzione di quella decisione), affermano che le disposizioni in esame non possono trovare applicazione nella controversia che li riguarda, attesa la salvezza dei giudicati, prevista dal quinto comma, e la formazione del giudicato sulla decorrenza appena citata. Argomentano, infatti, che l'amministrazione ha espressamente manifestato la volonta' di corrispondere le somme per rivalutazione ed interessi sulle differenze stipendiali loro liquidate, a seguito degli inquadramenti, limitatamente agli importi spettanti in attuazione della consolidata interpretazione della giurisprudenza a decorrere dall'8 novembre 1988. E questa dichiarazione (cfr. nota del 3 aprile 1998), in quanto sottoscritta e depositata dall'amministrazione nel giudizio di appello, costituisce un atto che ha prodotto acquiescenza alla sentenza impugnata, nei limiti appunto in cui la stessa amministrazione ha riconosciuto dovuti la rivalutazione e gli interessi legali in contestazione, con conseguenza che la sentenza appellata e' passata in giudicato in parte qua. Le esposte argomentazioni degli appellati non possono essere condivise. E' agevole, in proposito, opporre che anche nel corso del giudizio di secondo grado sussiste l'obbligo per l'amministrazione soccombente di dare esecuzione alla decisione del t.a.r. e che pertanto, in mancanza di elementi di significato univoco, dall'adempimento di tale obbligo non puo' affatto desumersi l'intento dell'amministrazione di abbandonare il gravame gia' proposto. Ne' in questo comportamento puo' ravvisarsi il segno di un atteggiamento contraddittorio, essendo del tutto conforme al sistema vigente che l'amministrazione, rimasta soccombente nel giudizio di primo grado, utilizzi gli strumenti a sua disposizione per ottemperare, in via provvisoria, a quella statuizione, ma al tempo stesso organizzi la propria difesa per ottenere una diversa decisione del giudice di appello. (In termini, tra le altre, cfr. Cons. Stato, V Sez., 23 ottobre 1985, n. 346; IV Sez., 31 ottobre 1992, n. 832). E d'altra parte, ove il comportamento cui si intende correlare la volonta' di accettazione, sia stato posto in essere, come nella fattispecie in esame, dopo la richiesta di tutela giurisdizionale, puo' essere ipotizzata soltanto la rinunzia espressa, che deve intervenire nelle forme previste dall'art. 46 del r.d. 17 agosto 1907, n. 642 (atto scritto notificato alla controparte o dichiarazione orale resa in udienza). Nel caso in questione manca qualsiasi espressa dichiarazione in tale senso del Ministero appellante. 3. - Da quanto fin qui esposto consegue la rilevanza della questione di illegittimita' costituzionale delle disposizioni di cui ai commi 4 e 5 dell'art. 26 della legge n. 448/1998 progettata dagli appellati. Costoro ritengono che le stesse disposizioni si pongano in contrasto con i principi costituzionali circa l'esercizio della funzione giurisdizionale (artt. 101, 102, 103 e 104 Cost.) e quelli della ragionevolezza (art. 3) e di tutela del lavoro in tutte le sue funzioni (artt. 35 e 36). Il collegio ritiene che le questioni prospettate appaiano in parte non manifestamente infondate. Giova preliminarmente puntualizzare che le norme in esame - le quali hanno previsto il divieto di corresponsione di interessi e rivalutazione sulle somme dovute per i reinquadramenti ex lege n. 312/1980 e il recupero di detti interessi e rivalutazione, ove corrisposti, ancorche' dichiaratamente interpretative, sembrano sostanzialmente innovative, con efficacia retroattiva rispetto ai principi ed alla disciplina previgenti. 4. - Cio' premesso in via generale, non puo', in primo luogo, convenirsi con gli interessati quando affermano che le disposizioni di cui si discute sarebbero finalizzate a porre rimedio ad una scelta interpretativa della giurisprudenza difforme dalla linea di politica del diritto perseguita dal legislatore. La funzione giurisdizionale, invero, non puo' dirsi violata per il solo fatto dell'intervento legislativo, perche' il legislatore non tocca la potesta' di giudicare quando, come nel caso in esame, si muove sul piano generale ed astratto delle fonti e costituisce un modello normativo cui la decisione giudiziale deve riferirsi cosicche' la dedotta interferenza sul potere giurisdizionale non appare lesiva della divisione dei poteri, ne' contrastante, sotto questo profilo, con gli artt. 101, 102, 103 e 104 della Costituzione. 5. - Appare, invece, non manifestamente infondato, ad avviso del Collegio, il denunciato carattere discriminatorio delle norme in esame, prive di un ragionevole motivo giustificativo. E' utile ricordare, sia pure brevemente, l'iter procedimentale delineato dalla normativa ex lege n. 312/1980, ai fini dell'inquadramento del personale nelle nuove qualifiche funzionali, che si e' svolto in piu' fasi: a) inquadramento provvisorio; b) identificazione dei profili professionali da parte di una commissione paritetica, prevista dall'art. 10 della legge stessa; c) determinazione della corrispondenza tra le qualifiche rivestite dai dipendenti ed i nuovi profili professionali ad opera della detta commissione; d) definitivo inquadramento del personale nelle nuove qualifiche funzionali sulla base dei profili professionali individuati come corrispondenti da parte di detto organo collegiale. In ordine a tale procedimento (la cui durata, per giungere alla concreta definitiva sistemazione del personale interessato, ha superato il decennio) la giurisprudenza ha fatto, fino ad ora, applicazione dei principi generali derivanti dall'art. 429 c.p.c. precisando che, per i crediti di lavoro, la decorrenza degli interessi legali e della rivalutazione monetaria deve coincidere con la data in cui insorge per il dipendente il diritto a percepire una certa retribuzione che, nel caso che qui interessa e' stata fatta coincidere con la pubblicazione della delibera della commissione paritetica individuativa della corrispondenza fra le vecchie qualifiche e profili professionali delle nuove. A questa delibera, infatti, l'amministrazione, in sede di inquadramento definitivo, era tenuta ad adeguarsi. In tale quadro di riferimento, le disposizioni in esame, pur utilizzando (come si e' precisato) il modulo formale proprio della norma interpretativa, hanno in realta' introdotto una disciplina nuova, datata di forza retroattiva. E proprio in relazione a simile retroattivita' il collegio ritiene che le stesse appaiano in contrasto con alcuni valori costituzionali, quali quello dell'affidamento e certezza dei rapporti giuridici per quanto concerne la incidenza su diritti gia' maturati, anche in relazione ai canoni di ragionevolezza, di eguaglianza e buon andamento. E' ben vero che il principio di irretroattivita' della legge - pur riconosciuto come principio generale dell'art. 11, primo comma, delle disposizioni preliminari del cod. civ., non ha ottenuto in sede costituzionale, ad eccezione di quanto stabilito dall'art. 25 in materia penale, una garanzia specifica, cosicche' la possibilita' di adottare norme dotate di efficacia retroattiva non puo' essere esclusa. E' necessario, pero', che quelle stesse norme superino, con esito positivo, l'indispensabile giudizio di ragionevolezza, vale a dire quell'apprezzamento di conformita' tra la regola introdotta e la "causa" normativa che la deve assistere; ove la disciplina positiva si discosti dalla funzione che e' chiamata a svolgere nel sistema ed omette, quindi, di operare il doveroso bilanciamento dei valori che in concreto risultano coinvolti, sara' la stessa ragione della norma a venir meno, introducendo una selezione di regime giuridico priva di causa giustificativa e - dunque - fondata su scelte arbitrarie, che ineluttabilmente perturbano il canone dell'eguaglianza. Ed e' proprio siffatto bilanciamento dei contrapposti interessi che appare carente nella fattispecie in esame, che ha disposto, nei confronti dei soli dipendenti dei Ministeri (che hanno beneficiato dell'inquadramento previsto dalla legge n. 312/1980) la non corresponsione degli interessi della rivalutazione monetaria. Tali entita', costituendo elementi intrinseci dei crediti di lavoro vanno liquidati secondo i principi fissati dal legislatore con criteri di generalita' per tutti i ritardi verificatesi nel pagamento dei crediti stessi. Infatti non sono sufficienti a giustificare la cennata normativa derogatoria finalita' di contenimento della spesa pubblica, che ben si sarebbero potute perseguire attraverso una piu' sollecita azione della amministrazioni interessate. A conferma di cio' puo' ricordarsi quanto statuito dal giudice delle leggi in ordine alla questione di analogo contenuto circa la denunciata illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 4, della legge 29 gennaio 1994, n. 87, per la parte in cui dispone che le operazioni di riliquidazione dell'indennita' di buonuscita con il computo dell'indennita' integrativa speciale "non danno luogo a corresponsione di interessi, ne' a rivalutazitne monetaria". La infondatezza della questione allora prospettata e' stata dichiarata sul rilievo che l'anzidetta normativa del 1994 aveva realizzato, con l'attribuzione di alcuni benefici a favore del personale interessato, quella necessaria compensazione fra vantaggi e svantaggi riferiti al lato attivo ed al lato passivo del rapporto (Corte costituzionale 16 maggio 1997, n. 138). E nella questione ora in esame e' mancato, come si e' detto, un adeguato contemperamento di interessi, idoneo a giustificare la normativa derogatoria limitata ad una sola categoria di dipendenti pubblici. Appare, inoltre, leso il principio costituzionale di integrita' ed effettivita' della retribuzione spettante al lavoratore. 6. - Per quanto fin qui precisato, il collegio considera non manifestamente infondata la denunciata illegittimita' delle disposizioni esaminate per contrasto con gli artt. 3, 35 e 36 della Costituzione e, di conseguenza, ritiene che la indicata questione, nei termini e nei limiti sopradelineati, debba essere rimessa all'esame della Corte costituzionale.
P. Q. M. Visti l'art. 134 della Costituzione, l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, provvede come segue; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' dell'art. 26, commi 4 e 5, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 in riferimento agli artt. 3, 35 e 36 della Costituzione; Sospende il giudizio in corso; Dispone la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per il conseguente giudizio di legittimita' costituzionale; Manda alla segreteria della sezione di notificare la presente ordinanza alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei Ministri, e di comunicarla ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Roma, addi' 23 febbraio 1999. Il presidente: Catallozzi Il consigliere estensore: Rulli 00C0056