N. 7 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 giugno 1999
N. 7 Ordinanza emessa il 28 giugno 1999 dalla commissione tributaria provinciale di Firenze sui ricorsi riuniti proposti da Maestrini Iolanda ed altri contro ufficio del registro di Firenze Contenzioso tributario - Conciliazione giudiziale - Verifica dei presupposti e delle condizioni di ammissibilita' da parte della commissione tributaria provinciale - Potere di valutare la congruita' degli imponibili e delle imposte concordate tra l'amministrazione finanziaria e il contribuente - Esclusione - Violazione del principio di imparzialita' nella gestione dei pubblici uffici - Contrasto con il principio di capacita' contributiva - Lesione dell'indipendenza della magistratura - Richiamo alla sentenza n. 313/1990 della Corte costituzionale. D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 48. Costituzione, artt. 53, 97 e 104.(GU n.5 del 2-2-2000 )
LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE Ha emesso la seguente ordinanza: sul ricorso n. 7158/95 depositato il 1 dicembre 1995; avverso avv. di liquid. n. 91/03002/000085/002, successione contro registro di Firenze giudiziari successioni, proposto da Maestrini Iolanda, residente a Montespertoli (Firenze) in via Taddeini n. 69; sul ricorso n. 7159/95 depositato il 1 dicembre 1995; avverso avv. di liquid. n. 91/03002/000085/002, successione contro registro di Firenze, giudiziari successioni, proposto da Maltomini Stefano, residente a Montespertoli (Firenze) in via Taddeini n. 69; sul ricorso n. 7160/95 depositato il 1 dicemebre 1995; avverso avv. di liquid. n. 91/03002/000085/002, successione contro registro di Firenze, giudiziari successioni, proposto da Maltomini Graziano, residente a Montespertoli (Firenze) in via Taddeini n. 34. La commissione tributaria provinciale di Firenze sez. X solleva d'ufficio eccezione di incostituzionalita' dell'art. 48 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (conciliazione giudiziale) ritenendo rilevante e non infondata la questione con riferimento al procedimento oggetto di giudizio; La Rilevanza della questione Maestrini Iolanda, Maltomini Stefano e Maltomini Graziano ricorrevano avverso avvisi di rettifica e liquidazione dell'ufficio del registro di successioni di Firenze con riferimento alla dichiarazione di successione in morte di Maltomini Augusto. I ricorsi venivano riuniti per connessione. Si deve precisare che la successione ha per oggetto tre immobili valutati dai ricorrenti complessivamente lire 15 milioni. L'ufficio ha accertato, invece, un valore di L. 1.250.000.000. Indipendentemente dai motivi di impugnazione preme rilevare che l'Ufficio si costituiva nel presente giudizio, contestava le affermazioni, dei ricorrenti e sottolineava che i tre immobili, unitariamente dichiarati dagli eredi ora ricorrenti, non sono classificati e destinati esclusivamente ad attivita' agricola ma sono utilizzati in parte anche come pizzeria-ristorante, area di servizio del ristorante, abitazione e solo parzialmente adibiti ad uso agricolo. Dovendosi valutare il valore venale di mercato dei tre immobili - in assenza di valutazione automatica - lo stesso ufficio in una sua memoria 6 aprile 1999 osserva che: il complesso immobiliare si compone di terreni e fabbricati in Montespertoli (Firenze) per complessivi mq. 63.540. Un fabbricato "denominato Arzillo" si sviluppa per 700 metri quadri, benche' qualificato come "rurale" in realta' e' sede della pizzeria e ristorante "Il Nuovo Safari"; altro fabbricato denominato "Lastrino", ha una volumetria di metri cubi 2.000 di cui 757 ad uso abitativo con licenza comunale; i terreni si estendono per mq. 63.540, sono in parte utilizzati come area a servizio del ristorante ed in parte sono coltivati ad uliveto; lo stesso redattore della memoria osserva che la valutazione globale di L. 1.250.000.000 non pare davvero eccessiva, se si tiene conto della appetibilita' della zona (Toscana vicino a Firenze) e della estensione delle parti coperte e ad uso commerciale e abitativo, a parte l'ottima resa del terreno ad ulivo. Chiesto ed ottenuto un rinvio per conciliazione alla prima udienza, in data 23 giugno 1999 perveniva una "proposta di conciliazione" prontamente accolta dalle controparti, in cui l'ufficio - a parte una riduzione per un asserito errore - dichiarava di voler operare una riduzione del 35% sul valore accertato, portandolo in concreto a complessivi lire 700 milioni. Pare alla commissione che la limitazione dei poteri della commissione stessa alla "verifica delle condizioni di ammissibilita' e della sussistenza dei presupposti", ai sensi dell'art. 48 del nuovo contenzioso tributario, costituisca violazione di principi costituzionali e che risulti dimostrato, da quanto detto sopra, la rilevanza della questione poiche', in concreto, lo Stato viene a perdere (rispetto al valore accertato) circa 50 milioni di imposta, ove l'ufficio - se non fosse stata presentata la proposta di conciliazione - avesse, per avventura, ottenuto la vittoria nel giudizio. La non infondatezza della questione Oltre che rilevante nel caso di specie la questione e', ad avviso di questa commissione, chiaramente non infondata sotto diversi profili. In primo luogo il punto fondamentale e' che gli uffici possono, a loro insindacabile giudizio e senza neppure motivazione alcuna (in contrasto con i principi della legislazione ordinaria amministrativa che impongono la trasparenza e motivazione degli atti della p.a.) operare "sconti", senza limiti rispetto ai valori accertati e sostenuti con la costituzione in giudizio appena poche settimane prima e cio' contrasta, ad avviso della commissione, con il principio costituzionale di cui all'art. 97 per cui la gestione dei pubblici uffici deve esser improntata ad imparzialita', mentre, nella specie, mancando qualunque parametro di riferimento, i singoli funzionari sono (fin troppo) liberi di trattare in modo del tutto diverso situazioni tributarie analoghe od uguali. In secondo luogo proprio l'assoluta discrezionalita', esente da motivazione dell'operato del funzionario viola il disposto dell'art. 53 che afferma l'obbligo dei cittadini di concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacita' contributiva mentre, operando conciliazioni prive di controlli, si realizzano discriminazioni inevitabili, anche senza ipotizzare comportamenti illeciti. In terzo luogo si viola il principio dell'art. 104 che afferma la "indipendenza" della Magistratura da ogni altro potere. Nella specie un organo giurisdizionale, come e' pacifico siano le commissioni tributarie, e' del tutto soggetto alle decisioni dell'amministrazione se e' vero, come e' vero, che il controllo sulla conciliazione proposta e' meramente formale e non sulla congruita' degli imponibili e, dunque, delle imposte concordate. Non potere valutare se la conciliazione sia o meno congrua, nella sostanza, delegittima completamente il ruolo del giudice , ridotto a quello di un "notaro" di un avvenuto accordo su cui non puo' interferire. Ne' si dica che, similmente a quanto avviene nel giudizio civile, la conciliazione o transazione anche stragiudiziale avvenuta tra le parti, non consente un vaglio del giudicante perche' le situazioni sono del tutto diverse e non equiparabili. Nel giudizio tributario una parte e' privata, l'altra pubblica e quest'ultima porta in giudizio e rappresenta uno degli interessi vitali dello Stato, perche' l'imposizione fiscale e' il mezzo principale di sostentamento dello Stato medesimo. La stessa Corte costituzionale, in numerose, costanti decisioni, con cui ha respinto varie questioni di incostituzionalita' sollevate con riferimento a diverse norme fiscali, ha sempre affermato - anche laddove un paritetico rapporto privatistico avrebbe condotto ad opposte conclusioni - che le norme denunciate di incostituzionalita' non lo sono perche' si deve sempre considerare l'interesse primario dello Stato all'afflusso di denaro nelle sue casse. Applicando lo stesso, ricorrente principio, deducibile da tante decisioni pare a questa commissione che non si possa equiparare la conciliazione di cui ora si tratta con quelle che si verificano nell'ambito del giudizio civile. La delegittimazione della funzione giudicante appare ovvia e certa e se occorresse un recente paragone, in materia egualmente di interesse primario per lo Stato, quella penale, si pensi alla dichiarata incostituzionalita' dell'art. 444, comma 2, del codice processuale penale, nella parte che non prevedeva, nella originaria stesura della norma, la possibilita' per il giudice di valutare la congruita' della pena proposta in sede di "patteggiamento" dall'imputato e accettata dal pubblico Ministero. Il prevalente interesse pubblico, la necessita' di non svilire la funzione del giudice, impedendogli di esprimere l'essenza della giurisdizione stessa condussero la Corte (sent. 2 luglio 1990, n. 313) ad un pronto rimedio all'errore del legislatore.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 della Costituzione, 23 e seguenti, legge n. 87/1953; Solleva d'ufficio questione di legittimita' costituzionale dell'art. 48 del d.lgs. n. 546/1992, dichiarandola rilevante e non manifestamente infondata, nella parte in cui non consente alla commissione tributaria provinciale alcun giudizio sulla congruita' delle imposte da versare su cui l'ufficio e il contribuente si sono accordati, in violazione degli artt. 97, 53 e 104 Carta costituzionale; Dispone la sospensione del giudizio di cui ai ricorsi riuniti in oggetto indicati; Ordina trasmettersi gli atti alla Corte costituzionale; Dispone che della presente ordinanza siano notiziate le parti; Dispone che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata al Presidente del Senato e della Camera dei deputati. Firenze, addi' 28 giugno 1999. Il presidente estensore: Bellagamba 00C0057