N. 8 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 novembre 1999

                                 N. 8
  Ordinanza  emessa  l'8  novembre  1999 dal tribunale di Brindisi nel
 procedimento civile vertente tra Marcone Giuseppe ed altra e Banco di
 Napoli S.p.a.
 Credito  (Istituti  di)  -  Interessi  bancari  -  Clausole  relative
    all'anatocismo  contenute  nei  contratti  stipulati anteriormente
    alla delibera CICR di cui all'art. 25 del  d.lgs.  n.  342/1999  -
    Prevista  validita'  ed  efficacia  fino  alla  data di entrata in
    vigore di tale delibera - Denunciata mancanza di una legge  delega
    riferibile  alla  disciplina dei   singoli contratti bancari e, in
    particoalre,  alle  "modalita'  di  calcolo  degli  interessi"   -
    Esorbitanza  dai limiti  temporali delle deleghe ex artt. 25 della
    legge n. 142/1992 e 1 della legge n.  128/1998  -  Violazione,  in
    subordine,  dei  limiti all'emanazione di norme di interpretazione
    autentica - Lesione dei principi di ragionevolezza
     e di uguaglianza - Carenza di delega ad emanare norme retroattive
    e violazione dei limiti ad esse  inerenti  -    Contrasto  con  la
    tutela  costituzionale  del  risparmio.   D.Lgs. 4 agosto 1999, n.
    342, art. 25, comma 3.
  Costituzione, artt. 3, 24, 47, 76, 101, 102 e 104.
(GU n.5 del 2-2-2000 )
                               IL TRIBUNALE
   Ha emesso la  seguente  ordinanza  di  rimessione  degli  atti  per
 giudizio  incidentale  di  legittimita'  costituzionale e contestuale
 ricorso per conflitto di attribuzioni fra poteri  dello  Stato  nella
 causa  civile  iscritta  al  n.  499/99 r.g.a.c., avente per oggetto:
 opposizione a decreto ingiuntivo  tra  Marcone  Giuseppe  e  Salinaro
 Grazia,  rappresentati  e  difesi  dagli  avv.  R.  D'Ippolito  ed A.
 Putignano, opponenti e Banco di Napoli S.p.a., rappresentata e difesa
 dall'avv. A. Caroli opposta;
                        Svolgimento del processo
 Con atto notificato il 27 febbraio 1999 Marcone Giuseppe  e  Salinaro
 Grazia  proponevano  opposizione  avverso  il  decreto  ingiuntivo n.
 2/1999 emesso dal Presidente del tribunale di Brindisi il 14  gennaio
 1999  e  notificato  il  20  gennaio  1999, contenente ingiunzione di
 pagamento in favore del Banco di Napoli S.p.a. per L.  89.757.982,  a
 titolo  di  saldo  di  conto  corrente, oltre interessi al 16,50% con
 decorrenza  dal  19  dicembre  1998  e  L.  1.663.000  per  spese  di
 procedura;  eccepivano  che  la  banca  non aveva mantenuto fede agli
 accordi raggiunti con il debitore principale (Marcone  Giuseppe)  per
 un  piano  di  rientro  dell'esposizione  debitoria e che pertanto il
 decreto ingiuntivo e'  illegittimo  e  va  revocato;  contestavano  i
 saldoconti   prodotti  dalla  banca;  eccepivano  la  nullita'  della
 clausola contrattuale che determina  gli  interessi  con  riferimento
 agli  usi  praticati sulla piazza dalle altre aziende di credito, per
 indeterminatezza  ed  indeterminabilita'  del  tasso   convenzionale;
 infine   eccepivano   la  nullita'  della  clausola  che  prevede  la
 capitalizzazione  trimestrale   degli   interessi,   per   violazione
 dell'art.  1283  c.c.  ed    in  particolare  per  difetto degli "usi
 contrari" richiamati nello stesso art. 1283;  citavano  il  Banco  di
 Napoli  a   comparire dinanzi a questo tribunale, chiedendo la revoca
 del  decreto  ingiuntivo  e  la  determinazione, con l'ausilio di una
 consulenza tecnica d'ufficio, dell'effettivo ammontare  del  credito,
 in  base  al calcolo degli interessi nella misura legale, anziche' in
 quella convenzionale, e con  esclusione  dell'anatocismo  trimestrale
 per  tutta  la  durata del rapporto.  Con comparsa di risposta del 26
 aprile 1999 si costituiva il Banco di Napoli; contestava che con  gli
 opponenti  fossero stato mai raggiunti accordi su un piano di rientro
 dell'esposizione debitoria relativa  al  dedotto  rapporto  di  conto
 corrente;  affermava  la  piena legittimita' sia della clausola sulla
 determinazione  degli  interessi   convenzionali,   sia   di   quella
 sull'anatocismo  trimestrale;  chiedeva il rigetto dell'opposizione e
 la condanna delle controparti al pagamento delle  spese  processuali.
 All'udienza  di  trattazione  di  cui  all'art.  184  c.p.c. le parti
 insistevano nelle rispettive domande ed eccezioni, senza modificarle;
 l'istituto di credito opposto chiedeva la provvisoria esecuzione  del
 decreto  ingiuntivo  e  questo giudice riservava di decidere.  Sia ai
 fini  della  valutazione  del  fumus  boni  iuris   per   l'eventuale
 concessione  della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo, sia
 ai fini della decisione  definitiva  sulla  eccepita  nullita'  della
 clausola contrattuale relativa alla capitalizzazione degli interessi,
 e'   necessario   proporre   in   via  incidentale  la  questione  di
 legittimita' costituzionale  dell'art.  25,  comma  terzo,  d.lgs.  4
 agosto  1999,  n.    342  (pubblicato  nella Gazzetta Ufficiale del 4
 ottobre 1999, n. 233 ed entrato in vigore il 19 ottobre 1999).
                               Rilevanza
 L'art. 25 del d.lgs. 4  agosto  1999,  n.  342  modifica  la  rubrica
 dell'art.  120  t.  u.  delle leggi in materia bancaria e creditizia,
 sostituendola con la seguente: "Decorrenza delle valute  e  modalita'
 di  calcolo  degli  interessi"  inoltre  aggiunge  al primo comma del
 suddetto  art.  120  t.  u.  il  seguente  secondo  comma:  "Il  CICR
 stabilisce  modalita'  e criteri per la produzione di interessi sugli
 interessi maturati nelle operazioni poste  in  essere  nell'esercizio
 dell'attivita' bancaria, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni
 in  conto  corrente  sia  assicurata nei confronti della clientela la
 stessa periodicita' nel conteggio degli interessi  sia  debitori  che
 creditori",  infi'ne il terzo comma dell'art. 25 recita: "Le clausole
 relative alla  produzione  di  interessi  sugli  interessi  maturati,
 contenute  nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata
 in vigore della delibera di cui al comma 2, sono valide  ed  efficaci
 fino a tale data e, dopo di essa, debbono essere adeguate al disposto
 della  menzionata delibera, che stabilira' altresi' le modalita' ed i
 tempi  dell'adeguamento.  In  difetto  di  adeguamento,  le  clausole
 divengono  inefficaci  e  l'inefficacia puo' essere fatta valere solo
 dal cliente".  Tale ultima disposizione, che afferma la  validita'  e
 l'efficacia  delle clausole sull'anatocismo trimestrale contenute nei
 contratti di conto corrente stipulati in  passato,  si  applica  alla
 fattispecie  dedotta  nel  presente giudizio di opposizione a decreto
 ingiuntivo, ai fini della decisione sull'eccezione di nullita'  della
 clausola  contrattuale  che  prevede  la capitalizzazione trimestrale
 degli interessi.
                      Non manifesta infondatezza
   1. - Contrasto con l'art. 76 della costituzione - Carenza  assoluta
 di  legge  delega.    La  legge  23  agosto  1988,  n.  400 al capo 3
 disciplina la potesta' normativa del Governo;  l'art.  14  si  occupa
 dell'emanazione  dei  decreti  legislativi ed in particolare il primo
 comma  dispone:  "I decreti legislativi adottati dal Governo ai sensi
 dell'art. 76 della Costituzione sono  emanati  dal  Presidente  della
 Repubblica  con  la  denominazione  di  ''decreto legislativo'' e con
 l'indicazione, nel  preambolo,  della  legge  di  delegazione,  della
 deliberazione  del  Consiglio  dei Ministri e degli altri adempimenti
 del procedimento prescritti dalla legge di delegazione". Il preambolo
 del decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 342 contiene  l'indicazione
 delle seguenti fonti normative:  a) l'art. 25 della legge 18 febbraio
 1992,  n.  142 concernente l'attuazione della direttiva n. 89/464/CEE
 del Consiglio del 15 dicembre 1989; b) l'art. 1, comma 5, della legge
 24 aprile 1998, n. 128  recante  disposizioni  per  l'adempimento  di
 obblighi   derivanti  dall'appartenenza  dell'Italia  alle  Comunita'
 europee; c) il decreto legislativo 1 settembre 1993, n.  385  recante
 il  testo  unico delle leggi in materia bancaria  e creditizia; d) il
 decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 recante il testo unico in
 materia di intermediazione  finanziaria.  Di tali fonti di produzione
 soltanto le prime due (l'art. 25 della legge 18 febbraio 1992, n. 142
 e l'art. 1, comma 5, della legge 24  aprile  1998,  n.  128)  possono
 contenere  la  legge  delega posta a base del d.lgs. n. 342/1999.  Le
 altre due (il d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385, recante il testo unico
 delle  leggi  in  materia  bancaria  e  creditizia,  ed  il   decreto
 legislativo  24  febbraio  1998,  n.  58,  recante  il testo unico in
 materia   di   intermediazione   fi'nanziaria),    essendo    decreti
 legislativi,  non  contengono a loro volta leggi di delegazione; esse
 sono state richiamate nella premessa in quanto  integrano  il  quadro
 normativo  vigente  nella  materia  degli  enti  creditizi,  al quale
 vengono apportate modifiche ed integrazioni  per  mezzo  del  decreto
 legislativo  in  esame.    L'art. 25 della legge 18 febbraio 1992, n.
 142, concernente  l'attuazione  della  direttiva  n.  89/464/CEE  del
 Consiglio  del 15 dicembre 1989, e' intitolato "Accesso all'attivita'
 degli enti creditizi ed esercizio della medesima: criteri  direttivi"
 e  recita  testualmente:  "L'attuazione della direttiva del Consiglio
 89/646/CEE deve avvenire in conformita' dei seguenti  principi:    a)
 l'attivita'  di  raccolta  fra  il pubblico di depositi o altri fondi
 rimborsabili per l'esercizio del credito    e'  riservata  agli  enti
 creditizi;  restano  ferme  la  disciplina  del  codice  civile sulla
 raccolta delle societa' di capitali nonche'  le  discipline  speciali
 sulla  raccolta  degli  enti  pubblici  e di particolari categorie di
 imprese; b) gli enti creditizi  restano  soggetti  per  le  attivita'
 esercitate  in  Italia  sulla  vigilanza dell'Autorita'   dello Stato
 membro   della   comunita'   economica   europea    che    ha    dato
 l'autorizzazione,  purche'  ivi  si  trovi  la  sede    statutaria  e
 l'amministrazione centrale dell'ente; c) gli enti possono prestare in
 Italia i servizi di cui all'allegato  alla  direttiva  del  Consiglio
 89/646/CEE  direttamente  o per il tramite di succursali o filiazioni
 alle condizioni  di  cui  alla  direttiva  stessa,  sempre  che  tali
 attivita'  siano state autorizzate sulla base di requisiti oggettivi;
 d) gli enti  possono  procedere  alla  pubblicita'  relativamente  ai
 servizi  offerti, alle condizioni previste  per le medesime attivita'
 dalla disciplina italiana e restano ferme le disposizioni  tributarie
 vigenti per l'accertamento delle imposte dovute dai residenti ed ogni
 altra  disposizione  sanzionatoria  e  penale concernente l'attivita'
 creditizia e  finanziaria;  e)  dovra'  essere  adottata  ogni  altra
 disposizione  necessaria  per  adeguare  alla direttiva del Consiglio
 89/646/CEE la disciplina vigente per gli enti  creditizi  autorizzati
 in Italia.  Il Governo, su proposta del Ministro del tesoro e sentito
 il  parere  delle  competenti Commissioni permanenti della Camera dei
 deputati  e  del  Senato  della  Repubblica,  da   esprimersi   entro
 quarantacinque  giorni,  e'  delegato ad emanare, entro diciotto mesi
 dalla data di entrata in vigore della presente legge, un testo  unico
 delle  disposizioni  adottate ai sensi del comma 1, coordinato con le
 altre disposizioni vigenti  nella  stessa  materia,  apportandovi  le
 modifiche   necessarie   a   tal  fine.  Restano  comunque  ferme  le
 disposizioni contenute nella legge 10 ottobre 1990, n.  287  (23),  e
 nella  legge  2  gennaio  1991, n. 1 (24).  In quanto compatibili, si
 applicano le altre disposizioni contenute nel titolo V della legge 10
 ottobre  1990,  n.  287  (23),  ivi  comprese  quelle  relative  alla
 sussistenza del controllo, agli obblighi relativi alle autorizzazioni
 e   comunicazioni,   alla   sospensione   del  voto,  all'obbligo  di
 alienazione, alle sanzioni penali e ai conflitti di  interesse.    E'
 evidente  che  nessuna delle disposizioni del citato art. 25 contiene
 deleghe o criteri direttivi che possano riferirsi, sia pure in  forma
 indiretta,  alla  materia  dei  singoli  contratti o servizi bancari,
 ovvero alle "modalita' di calcolo degli interessi". Infatti i criteri
 di delega dettati alle  lettere  a),  b),  c),  d)  del  primo  comma
 riguardano  tutt'altre materie: la lettera a) afferma che l'attivita'
 di raccolta di depositi o fondi resta riservata agli enti  creditizi;
 la  lettera  b)  concerne  l'attivita'  di  vigilanza  sull'attivita'
 esercitata in Italia da banche estere; la  lettera  c)  ammette    la
 prestazione  di  servizi  in  Italia da parte di succursali di banche
 estere; la lettera d) attiene alla disciplina della  pubblicita'  dei
 propri  servizi  da  parte degli enti creditizi autorizzati.  Occorre
 infine rilevare che la lettera e) del citato primo comma contiene una
 delega che potremmo definire "di  chiusura",  in  quanto  rimette  al
 Governo   l'adozione  di  "ogni  altra  disposizione  necessaria  per
 adeguare  alla  direttiva  del  Consiglio  89/646/CEE  la  disciplina
 vigente  per gli enti creditizi autorizzati in Italia".  Alla luce di
 tale  ultima  disposizione,   e'   necessario   procedere   all'esame
 dettagliato  della  direttiva  comunitaria  n.  646/1989,  al fine di
 verificare se la stessa contenga disposizioni o  principi  aventi  ad
 oggetto  la  disciplina  dei  singoli  contratti  bancari  e, piu' in
 particolare, la "modalita' di calcolo degli interessi".  Solo in tale
 ipotesi infatti l'art. 25 legge n. 142/1992 (in forza  della  lettera
 e) del primo comma) conferirebbe al Governo la delega a legiferare in
 detta  materia.  La Direttiva comunitaria in questione (la 89/646/CEE
 del Consiglio, del 15 dicembre 1989, relativa al coordinamento  delle
 disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative riguardanti
 l'accesso  all'attivita'  degli  enti creditizi ed il suo esercizio e
 recante  modifiche  alla  direttiva  77/780/CEE)  contiene   un'ampia
 premessa  enunciativa  delle  finalita'  di  carattere generale ed in
 particolare afferma la necessita' di realizzare il  mercato  interno,
 come  deciso  con  l'atto  unico europeo e come programmato nel libro
 bianco della commissione, sotto il duplice profilo della liberta'  di
 stabilimento e della libera prestazione dei servizi nel settore degli
 enti  creditizi; cio' attraverso una progressiva armonizzazione fra i
 singoli ordinamenti (essenziale per il reciproco riconoscimento delle
 autorizzazioni) ed attraverso la creazione di un sistema di vigilanza
 prudenziale  che  consenta  il  rilascio  di  un'unica autorizzazione
 valida per tutta la comunita' e l'attuazione della vigilanza da parte
 del solo Stato membro d'origine.   Come si  vede,  gia'  la  premessa
 della  direttiva  non  contiene  alcun principio che possa in qualche
 modo, sia pure indirettamente, ricondursi alla disciplina dei singoli
 contratti bancari e, piu' in particolare, alla "modalita' di  calcolo
 degli interessi".
   Tale  rilievo  trova  riscontro  nel contenuto dei singoli articoli
 della direttiva:  art. 1 (definizione di "ente creditizio");  art.  2
 (applicabilita'  della  direttiva a tutti gli enti creditizi); art. 3
 (divieto per soggetti diversi dalle imprese  creditizie  di  svolgere
 attivita'  di  raccolta  di  depositi    o  di  altri  fondi); art. 4
 (capitale minimo di  5  milioni  di  ECU  per  essere  autorizzati  a
 svolgere  attivita'  di  impresa   creditizia); art. 5 (trasparenza e
 obbligo  di  comunicazioni  sull'identita'  di  persone   fisiche   o
 giuridiche   che   detengano   partecipazioni  qualificate  nell'ente
 creditizio); art. 6 (eliminazione dell'autorizzazione di cui all'art.
 4 della direttiva 77/780 CEE per le succursali di enti creditizi gia'
 autorizzati in altri Stati); art. 7 (consultazioni preventive ai fini
 del rilascio di autorizzazioni fra le autorita' degli Stati membri in
 caso di filiazioni di enti creditizi o di controlli fra enti); art. 8
 (casi in cui le autorita' competenti degli Stati devono informare  la
 commissione);  art.  9  (informazioni  alla  commissione  in  caso di
 difficolta' di carattere generale incontrate da propri enti creditizi
 nello  stabilimento  o  nell'esercizio  dell'attivita'  in  un  paese
 terzo);  art. 10 (conservazione dell'integrita' del capitale iniziale
 dell'ente creditizio); art. 11 (obbligo di informazione all'autorita'
 circa la detenzione da parte di persone fisiche o giuridiche di quote
 qualificate di partecipazione  nel  capitale  dell'ente  creditizio);
 art. 12 (divieto per gli enti creditizi di detenere partecipazioni in
 altre imprese non creditizie nella misura superiore al 15% dei propri
 fondi);   art.   13   (vigilanza   prudenziale  esercitata  sull'ente
 creditizio   dall'autorita'   dello   Stato   d'origine);   art.   14
 (integrazione   dell'art.   7   della   direttiva   77/780  ed  altre
 disposizioni  in  tema  di  vigilanza  su  liquidita',  solvibilita',
 depositi  e contabilita' degli enti creditizi); art. 15 (vigilanza di
 cui all'art. 14  anche  sulle  succursali);  art.  16  (rispetto  del
 segreto  d'ufficio);  art.  17  (previsione  di sanzioni per gli enti
 creditizi che non ottemperano agli obblighi in materia di controllo o
 di regolamentazione dell'attivita').  Ed infine gli artt. 18, 19,  20
 (disposizioni  relative  alla  liberta'  di  stabilimento  degli enti
 creditizi e delle succursali). In conclusione l'art. 25  della  legge
 19  febbraio 1992, n. 142 non contiene alcuna delega per l'emanazione
 di decreti legislativi sulla disciplina dei singoli contratti bancari
 e, piu' in particolare, sulla "modalita' di calcolo degli interessi".
 Occorre adesso passare all'esame della seconda legge delega  indicata
 nella  premessa  del  decreto  legislativo  in esame, cioe' l'art. 1,
 comma 5, della legge 24 aprile 1998, n. 128 recante disposizioni  per
 l'adempimento  di  obblighi  derivanti  dall'appartenenza dell'Italia
 alle Comunita' europee.
  Il predetto art. 1 e' intitolato "Delega al Governo per l'attuazione
 di direttive comunitarie" e recita  testualmente:
  1)  il  Governo  e' delegato ad emanare, entro il termine di un anno
 dalla data di entrata in  vigore  della  presente  legge,  i  decreti
 legislativi  recanti  le  norme  occorrenti  per dare attuazione alle
 direttive comprese nell'elenco di cui all'allegato A; la scadenza  e'
 prorogata  di  sei  mesi  se, per effetto di direttive notificate nel
 corso dell'anno di delega,  la  disciplina  risultante  da  direttive
 comprese  nell'elenco  e' modificata senza che siano introdotte nuove
 norme di principio;
  2) i decreti legislativi sono adottati, nel rispetto dell'art.    14
 della  legge  23  agosto 1988, n. 400 (2), su proposta del Presidente
 del  Consiglio  dei  Ministri  o  del  Ministro  competente  per   il
 coordinamento   delle   politiche  comunitarie  e  dei  Ministri  con
 competenza istituzionale nella materia, di concerto  con  i  Ministri
 degli  affari esteri, di grazia e giustizia, del tesoro, del bilancio
 e  della  programmazione  economica  e   con   gli   altri   Ministri
 interessati   in   relazione  all'oggetto  della  direttiva,  se  non
 proponenti;
  3) gli schemi  dei  decreti  legislativi  recanti  attuazione  delle
 direttive  comprese  nell'elenco  di cui all'allegato B, a seguito di
 deliberazione preliminare del Consiglio dei ministri, sono trasmessi,
 entro il termine di cui al comma 1, alla Camera  dei  deputati  e  al
 Senato  della  Repubblica  perche'  su  di  essi  sia espresso, entro
 quaranta  giorni  dalla  data  di  trasmissione,  il   parere   delle
 commissioni  competenti  per materia; decorso tale termine, i decreti
 sono emanati anche in mancanza di detto parere.  Qualora  il  termine
 previsto  per il parere delle commissioni scada nei trenta giorni che
 precedono  la  scadenza  dei  termini   previsti   al   comma   1   o
 successivamente, questi ultimi sono prorogati di novanta giorni;
  4)  entro  due  anni  dalla data di entrata in vigore della presente
 legge, nel rispetto dei principi e criteri direttivi da essa fissati,
 il Governo puo' emanare, con la procedura indicata nei commi 2  e  3,
 disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi emanati
 ai sensi del comma 1 del presente articolo e ai sensi dell'art.  17;
  5)  il  Governo  e'  delegato ad emanare, entro il termine di cui al
 comma 1, e con le modalita' di cui  ai  commi  2  e  3,  disposizioni
 integrative  e  correttive del d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385 (3), e
 successive  modificazioni,  nel  rispetto  dei  principi  e   criteri
 direttivi  e  con  l'osservanza della procedura indicati nell'art. 25
 della legge 19 febbraio 1992, n. 142 (4);
  6) il Governo e' delegato ad emanare, entro il  termine  di  cui  al
 comma   1,   disposizioni   integrative   e  correttive  del  decreto
 legislativo  14  agosto  1996,  n.  494  (5),  di  recepimento  della
 direttiva  92/57/CEE  del  Consiglio,  nel  rispetto  dei  principi e
 criteri direttivi e con l'osservanza delle procedure  indicate  dalla
 legge 22 febbraio 1994, n. 146 (6), e dalla legge 6 febbraio 1996, n.
 52 (7). Nell'esercizio della delega il Governo dispone l'applicazione
 delle  norme di cui all'art. 10 del citato d.lgs. n. 494 del 1996 (5)
 a laureati con adeguata competenza tecnica o documentabile esperienza
 curriculare e professionale nel settore della sicurezza;
  7) il Governo e' delegato ad emanare, entro il  termine  di  cui  al
 comma  1  e  con  le modalita' di cui ai commi 2 e 3, le disposizioni
 integrative e correttive necessarie ad adeguare la disciplina  recata
 dal  d.lgs.  26  novembre  1992, n. 470, alle direttive del Consiglio
 90/364/CEE, 90/365/CEE e  93/96/CEE,  nel  rispetto  dei  principi  e
 criteri  direttivi  di  cui all'art. 6, comma 1, lettere a), b), c) e
 d), della legge 19 febbraio 1992, n. 142 (4).
  8) il Governo e' delegato ad emanare, secondo i criteri e i principi
 direttivi  di  cui  all'art. 2, entro  il termine di cui al comma 1 e
 con le modalita' di cui ai commi 2 e  3  del  presente  articolo,  le
 disposizioni  integrative  e  correttive  necessarie  ad  adeguare la
 disciplina  recata  dal  d.lgs.  10  settembre  1991,  n.  303,  alla
 direttiva  86/653/CEE  del  Consiglio,  relativa al coordinamento dei
 diritti degli  Stati  membri  concernenti  gli  agenti    commerciali
 indipendenti;
  9)  entro  sei  mesi  dalla data di entrata in vigore della presente
 legge, con le modalita' di cui ai commi  2    e  3,  informandosi  ai
 criteri e ai principi generali di cui all'art. 2, e' data attuazione:
 a)  alla direttiva 93/118/CE del Consiglio, che modifica la direttiva
 85/73/CEE del consiglio, relativa al finanziamento delle ispezioni  e
 dei  controlli sanitari delle carni fresche e delle carni di volatili
 da cortile, informandosi anche ai criteri specifici previsti all'art.
 35 della legge 6 febbraio 1996, n. 52 (7/a), e  tenendo  conto  delle
 direttive  del  Consiglio 94/64/CE, 95/24/CE, 96/17/CE e 96/43/CE, di
 modifica  della  citata  direttiva  85/73/CEE;  b)   alla   direttiva
 93/119/CE  del  Consiglio,  relativa  alla  protezione  degli animali
 durante la  macellazione  o  l'abbattimento,  informandosi  anche  ai
 criteri  specifici  previsti all'art. 37 della legge 6 febbraio 1996,
 n.  52  (7/a);  c)  alla  direttiva  95/29/CE  del  Consiglio   sulla
 protezione  degli  animali  durante  il  trasporto  e  alla direttiva
 97/2/CE del consiglio  sulle  norme  minime  per  la  protezione  dei
 vitelli, tenendo conto della decisione della commissione 97/182/CE.".
 Il  primo  comma  dell'art.  1,  che  delega  il Governo ad emanare i
 decreti legislativi recanti le norme  di  attuazione  alle  direttive
 comprese  nell'apposito  elenco di cui all'allegato A e' strettamente
 correlato con il quinto comma (quello richiamato nella  premessa  del
 d.lgs.  n.  342/1999),  in  quanto  quest'ultimo  (con piu' specifico
 riferimento alla materia degli enti creditizi) delega il  Governo  ad
 emanare,  con  decreto  legislativo, le norme che (proprio al fine di
 dare attuazione alle direttive  comunitarie  di  cui  all'allegato  A
 richiamato nel primo comma) dovranno integrare e modificare il d.lgs.
 1  settembre  1993, n. 385.  Infine, il quinto comma dispone che tali
 disposizioni il Governo dovra' emanare nel rispetto  dei  principi  e
 criteri direttivi indicati nell'art. 25 della legge 19 febbraio 1992,
 n.  142.  Dunque i punti di riferimento che consentono di individuare
 l'oggetto ed i limiti della delega legislativa in esame sono:  a)  il
 contenuto   delle   direttive   comunitarie  di  cui  all'allegato  A
 richiamato nel primo comma dell'art.  1,  legge  n.  128/1998;  b)  i
 principi e criteri direttivi dettati dall'art. 25 legge n. 142/1992.
  In  base  a  tali  fonti,  si deve accertare se il Governo sia stato
 delegato  ad  emanare  disposizioni  sulla  disciplina  dei   singoli
 contratti  bancari  e  sulle  "modalita' di calcolo degli interessi".
 Come gia' innanzi dimostrato, i principi e criteri direttivi  dettati
 dall'art.  25  legge n. 142/1992 riguardano materie del tutto diverse
 da quella relativa ai singoli contratti o  servizi  bancari  ed  alle
 "modalita'  di  calcolo  degli  interessi".    Inoltre,  di  tutte le
 direttive  comunitarie  elencate  nel  predetto  allegato  A  l'unica
 relativa  agli  enti  creditizi    e'  la  direttiva  95/26  CE,  del
 Parlamento europeo e  del  Consiglio,  datata  29  giugno  1995,  che
 modifica  le    direttive 77/789 CEE ed 89/646 CEE (quest'ultima gia'
 innanzi  esaminata  articolo  per  articolo).    Anche in questo caso
 pertanto e' necessario  procedere  all'esame  dettagliato  delle  due
 direttive  comunitarie  nn.  95/26  CE  e  77/789  CEE,  al  fine  di
 verificare se le stessa contengano disposizioni o principi aventi  ad
 oggetto  la  disciplina  dei  singoli  contratti  bancari  e, piu' in
 particolare, la "modalita' di calcolo degli interessi".  Solo in tale
 ipotesi infatti l'art. 1, legge 24 aprile 1998, n.  128  conferirebbe
 al  Governo  la  delega  a legiferare in detta materia.  E' opportuno
 iniziare dall'esame della direttiva n. 77/780 CEE, costituendo questa
 il testo base in cui si inserisce l'altra direttiva la n.   95/26/CE,
 introducendo  parziali  modifiche.    La  direttiva  77/780  CEE  del
 Consiglio, del 12 dicembre  1977,  relativa  al  coordinamento  delle
 disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative riguardanti
 l'accesso  all'attivita'  degli  enti  creditizi ed il suo esercizio,
 analogamente alla  gia'  esaminata  direttiva  89/646  CEE,  contiene
 un'ampia  premessa enunciativa delle finalita' di carattere generale;
 in  particolare  e'  affermata  la   necessita'   di   eliminare   le
 discriminazioni  fra  gli Stati membri,  in materia di stabilimento e
 di prestazione di servizi, fondate sulle nazionalita' o sul fatto che
 l'impresa non e'  stabilita nello Stato membro in cui la  prestazione
 e' eseguita; si auspica di raggiungere tale obbiettivo attraverso una
 progressiva  armonizzazione  fra i singoli ordinamenti, che contempli
 sia sistemi di controllo sugli enti creditizi integrati fra i singoli
 Stati membri, sia condizioni uniformi di autorizzazioni per categorie
 simili di enti creditizi, sia  semplificazione  nelle  autorizzazioni
 stesse  ed  esenzione dalle procedure nazionali di autorizzazione per
 la  creazione di succursali negli altri Stati membri.  Come si  vede,
 anche  in questo caso, la premessa della direttiva non contiene alcun
 principio  che  possa  in  qualche  modo,  sia  pure  indirettamente,
 ricondursi  alla  disciplina dei singoli contratti bancari e, piu' in
 particolare, alla "modalita' di calcolo degli interessi".
  Ed anche in tale caso cio' trova pieno riscontro nel  contenuto  dei
 singoli  articoli  della  direttiva:    art.  1 (definizione di "ente
 creditizio"); art. 2 (applicabilita' della direttiva a tutti gli enti
 creditizi); art. 3 (necessita' di  un'autorizzazione  preventiva  per
 l'esercizio  dell'attivita'  creditizia);  art.  4  (possibilita'  di
 subordinare a particolari autorizzazioni l'apertura  di  succursali);
 art.  5  (identita'  della  denominazione  dell'ente  creditizio  nel
 territorio dello Stato membro in cui ha sede e fuori di questo); art.
 6 (controlli sulla liquidita' e  solvibilita'  degli  enti);  art.  7
 (collaborazione fra gli Stati membri per i controlli sulle succursali
 degli  enti); art. 8 (casi in cui le autorita' competenti degli Stati
 revocano  le  autorizzazioni  agli  enti);   art.   9   (divieto   di
 discriminazioni  in  favore  di  succursali  di  enti  estranei  alla
 comunita'); art. 10  (enti  gia'  autorizzati  prima  dell'attuazione
 della  direttiva);  art.  11  (istituzione  di un Comitato consultivo
 delle autorita' competenti degli  Stati  membri);  art.  12  (segreto
 d'ufficio);  art. 13 (ricorsi giurisdizionali); art. 14 (disposizione
 transitoria).
  Infine la direttiva 95/26/CE del Parlamento europeo e del Consiglio,
 contenente modifiche alle  direttive  77/780  CEE  e  89/646  CEE  in
 materia  di  enti creditizi, nella premessa, rileva l'opportunita' di
 modificare in alcuni punti  le  precedenti  direttive  77/780  CEE  e
 89/646  CEE  in materia di enti creditizi; inoltre enuncia i seguenti
 obbiettivi:    rafforzare  la  vigilanza prudenziale, con particolare
 considerazione dell'opportunita' di non accordare  autorizzazioni  ad
 imprese  finanziarie  caratterizzate  da  stretti  legami con persone
 fisiche o giuridiche tali da ostacolare l'effettivo  esercizio  della
 vigilanza;  meglio  controllare fenomeni di elusione dei controlli da
 parte di imprese che a tale fine scelgono il sistema giuridico di uno
 stato membro diverso da quello in  cui  di  fatto  svolgono  le  loro
 attivita';  facilitare gli scambi di informazioni fra le autorita' di
 controllo  degli  Stati;  intensificare   la   tutela   del   segreto
 professionale.   Come le enunciazioni riportate nella premessa, cosi'
 anche le  singole  disposizioni  della  direttiva  in  questione  non
 contengono alcuna norma o principio riconducibile alla disciplina dei
 singoli  contratti  bancari  o  alla    "modalita'  di  calcolo degli
 interessi":  art. 1 (sostituzione del  termine  "impresa  creditizia"
 con  quello  "ente  creditizio" a modifica della   direttiva 77/780);
 art. 2 (definizione degli "stretti legami"  fra  ente  creditizio  ed
 altra persona fisica o giuridica); art. 3 (parziale modifica di altra
 direttiva comunitaria relativa alle imprese di assicurazione); art. 4
 (scambi di informazioni fra autorita' di controllo); art. 5 (obblighi
 di segnalazioni alle autorita' di controllo); art. 6 (obbligo per gli
 Stati  membri  di conformare gli ordinamenti interni alla direttiva).
 Non puo' infine omettersi di  rilevare  che,  quand'anche  (per  mera
 ipotesi)  l'art.  25 della legge 19 febbraio 1992, n. 142 o l'art.  1
 della legge 24 aprile 1998,  n.  128  avessero  contenuto  la  delega
 legittimante  l'emanazione  della  disposizione  sulla  modalita'  di
 calcolo degli interessi di cui all'art. 25 del d.lgs. n. 342/1999, in
 ogni caso il Governo avrebbe  esercitato  tale  delega  ben  oltre  i
 limiti  di  tempo  imposti  dal  secondo  comma dell'art. 25 legge n.
 142/1992 ("entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore  della
 presente  legge")  e  dal  primo  comma (richiamato dal quinto comma)
 dell'art.   1 legge  n.  128/1998  ("entro  il  termine  di  un  anno
 dall'entrata  in  vigore  della    presente  legge ... la scadenza e'
 prorogata di sei mesi se, per effetto  di  direttive  notificate  nel
 corso  dell'anno  di  delega,  la  disciplina risultante da direttive
 comprese nell'elenco e' modificata senza che siano  introdotte  nuove
 norme  di principio").  A tale ultimo riguardo e' opportuno precisare
 che la legge n. 128/1998 e' stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 del 7 maggio 1998, n.  104 S.O. ed e' entrata in vigore il 22  maggio
 1998;  da  cio'  consegue  che  il  termine  ultimo  di  un  anno per
 l'emanazione di decreti legislativi e' scaduto  il  22  maggio  1999;
 sicche'  il  d.lgs.  n.  342  del  4 agosto 1999, essendo tardivo, e'
 invalido ed inefficace; ne' d'altra  parte  risulta  che,  nel  corso
 dell'anno   di   delega,  sia  pervenuta  la  notifica  di  direttive
 comunitarie modificative di quelle  incluse  nell'apposito  elenco  e
 pertanto non si e'  verificata la proroga di sei mesi della scadenza.
 La  carenza  assoluta  di  legge  di  delegazione rende geneticamente
 incostituzionale la norma in esame. Tuttavia,  subordinatamente,  non
 sembra   superfluo   evidenziare   altri  profili  di  illegittimita'
 costituzionale che attengono al contenuto della norma stessa.
   2.  -  L'art.  25,  comma  3,  d.lgs.  n.  342/1999,   come   norma
 interpretativa  - Contrasto con gli artt. 3, 24, 101, 102 e 104 Cost.
 A) Violazione dei limiti costituzionali al potere del legislatore  di
 emanare  disposizioni interpretative.   La disposizione contenuta nel
 comma terzo del citato art. 25 ("Le clausole relative alla produzione
 di  interessi  sugli  interessi,  contenute  nei  contratti stipulati
 anteriormente alla data di entrata in vigore della delibera di cui al
 comma due sono valide ed efficaci fino a  tale  data,  dopo  di  essa
 devono  essere  adeguate al disposto della menzionata delibera...") o
 integra   una   norma   interpretativa   dell'art.       1283    c.c.
 sull'anatocismo,  ovvero  introduce,  con  efficacia retroattiva, una
 modifica  dello  stesso  art.  1283  c.c.  in  tema   di   anatocismo
 limitatamente  ai  contratti  bancari.    Una prima considerazione di
 ordine  logico  e  sistematico  dovrebbe  indurre  immediatamente  ad
 escludere  che  la  disposizione  in esame abbia il carattere proprio
 della  norma  interpretativa  in  senso  stretto.    Infatti,  se  il
 legislatore  delegato avesse inteso dare un'interpretazione autentica
 dell'art. 1283 c.c., avrebbe dovuto occuparsi complessivamente  della
 disciplina  dell'anatocismo, quale fonte di obbligazione riferibile a
 qualsiasi  tipo  di  negozio  giuridico.    Cio'  in   quanto   nella
 sistematica del codice l'istituto dell'anatocismo e' collocato fra le
 obbligazioni   in   generale  (piu'  specificamente  le  obbligazioni
 pecuniarie) e di conseguenza riguarda tutti  i  contratti  dai  quali
 derivino  obbligazioni  pecuniarie.  La  norma  in  esame  invece  fa
 esclusivo riferimento al ristretto ambito dei contratti bancari, come
 e' facilmente desumibile dal secondo comma dello stesso art.  25, che
 tratta solo degli  "interessi  maturati  nelle  operazioni  poste  in
 essere  nell'esercizio  dell'attivita' bancaria".   L'interpretazione
 autentica  non  puo'  restringere   l'ambito   di   efficacia   della
 disposizione   oggetto   di   interpretazione;  ne'  puo'  introdurre
 discipline differenziate per  fattispecie  particolari  (l'anatocismo
 nei  soli  contratti  bancari  ai  sensi  dell'art.  25 in esame) che
 rientrano nell'ambito della disciplina previgente  insieme  ad  altre
 fattispecie in un contesto sistematico piu' generale (l'anatocismo in
 tutte  le  obbligazioni  pecuniarie  e dunque in tutti i contratti ai
 sensi dell'art.  1283 c.c.). In base a tali considerazioni sembra che
 l'art. 25 d.lgs.  n. 342/1999 vada ben oltre i limiti entro  i  quali
 deve  mantenersi  la  norma  interpretativa.    Tale convincimento e'
 rafforzato anche per altre ragioni, alla luce di taluni principi piu'
 volte  enunciati  dalla  Corte  costituzionale  in  tema   di   norme
 interpretative.  Come  affermato  dalla  Corte  costituzionale con la
 sentenza n. 311/1995 e con le numerose altre in questa richiamate "la
 legge di interpretazione autentica deve rispondere alla funzione  che
 le  e'  propria:  quella  di chiarire in senso di norme preesistenti,
 ovvero di imporre una delle possibili varianti di  senso  compatibili
 col  tenore  letterale, sia al fine di eliminare eventuali incertezze
 interpretative (sentenze nn. 163 del 1991 e 413 del  1988),  sia  per
 rimediare  ad  interpretazioni  giurisprudenziali  divergenti  con la
 linea di politica del diritto perseguita  dal  legislatore  (sentenze
 nn.  397  e  6  del  1994;  424 e 402 del 1993; 455 e 454 del 1992 ed
 altre)".  Dunque una norma e' interpretativa quando:  a) chiarisce il
 senso di norme preesistenti; b) ovvero  impone  una  delle  possibili
 varianti di senso compatibili col tenore letterale; c) ovvero elimina
 eventuali  incertezze  interpretative  o  rimedia  ad interpretazioni
 giurisprudenziali     divergenti.     Tali  tre   possibili   ipotesi
 confluiscono   in   un   ulteriore   limite   affermato  dalla  Corte
 costituzionale nelle sentenze nn. 397/1994, 6/1994, 283/1993, 39/1993
 155/1990, 123/1988: "Il carattere interpretativo deve  desumersi  ...
 dalla struttura della fattispecie normativa, in relazione cioe' ad un
 rapporto fra norme tale che il sopravvenire della norma interpretante
 non  fa  venire  meno  la  norma  interpretata, ma l'una e l'altra si
 saldano fra loro, dando luogo ad  un  precetto  normativo  unitario".
 Avendo  riguardo a tali principi, se si pongono in relazione il terzo
 comma dell'art. 25 d.lgs. n. 342/1999 e  l'art.  1283  c.c.,  non  e'
 possibile  evincere  alcun  collegamento  fra  le  due  norme tale da
 consentire di stabilire:  a) quale sia il contenuto oscuro  dell'art.
 1283  c.c.  il cui senso trovi definitivo chiarimento nel terzo comma
 del predetto art 25; b) quali siano le possibili  varianti  di  senso
 compatibili  col tenore letterale dell'art. 1283 c.c. e quale di tali
 varianti sia stata scelta ed imposta dalla norma  interpretativa;  c)
 infine  quali siano le incertezze interpretative risolte.  Ed infatti
 la disposizione in esame si limita ad un'apodittica  affermazione  di
 validita'  ed  efficacia delle clausole sull'anatocismo contenute nei
 contratti bancari stipulati prima dell'entrata in vigore della futura
 delibera, con cui il CICR fissera' le modalita' ed i criteri  per  la
 produzione  degli interessi sugli interessi. Essa dunque non contiene
 alcuna norma che possa saldarsi sul piano interpretativo  con  l'art.
 1283 c.c. per dare luogo ad un precetto normativo unitario, nel senso
 gia'  chiarito dalla Corte costituzionale; invece esprime un giudizio
 che  sembra  diretto  a  dirimere  (sia   pure   senza   motivazione)
 contenziosi  gia'  pendenti  o  eventuali  piuttosto  che  a  fornire
 strumenti   ermeneutici   utili    all'interpretazione    di    leggi
 preesistenti.    B)  Violazione  dei  principi di ragionevolezza e di
 uguaglianza  (art.    3  Cost.).    La  natura  solo   apparentemente
 interpretativa  di  una  legge spesso nasconde la violazione di norme
 costi-tuzionali; a tale riguardo la Corte costituzionale con sentenza
 n. 311/1995 ha affermato che "La  sovrana  volonta'  del  legislatore
 nell'emanare  dette leggi (di interpretazione autentica) incontra una
 serie di limiti, che questa Corte ha  da  tempo  individuato,  e  che
 attengono  alla  salvaguardia,  oltre che di norme costituzionali, di
 fondamentali  valori  di  civilta'  giuridica  posti  a  tutela   dei
 destinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno
 ricompresi  il  rispetto del principio generale di ragionevolezza che
 ridonda  nel  divieto  di  introdurre  ingiustificate  disparita'  di
 trattamento  (sentenze  nn. 397 e 6 del 1994; 424 e 283 del 1993; 440
 del 1992 e 429 del 1993); la tutela  dell'affidamento  legittimamente
 sorto  nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto
 (sentenze nn. 397 e 6 del 1994; 429 del 1993; 822  del  1988),  e  il
 rispetto   delle  funzioni  costituzionalmente  riservate  al  potere
 giudiziario".  Il principio di ragionevolezza, contenuto nell'art.  3
 della  Costituzione, quale principio di uguaglianza che si traduce in
 un   "generale   canone   di   coerenza   dell'ordinamento")   (Corte
 costituzionale   n.   204/1982)   e'  violato,  secondo  il  costante
 insegnamento della Corte  costituzionale,  tutte  le  volte  che  una
 "norma  generale" ritenuta valida sia ingiustificatamente derogata da
 una "disciplina particolare" (Corte costituzionale n.  46/1983).  Nel
 caso in esame la "norma generale" e' dettata dal  combinato  disposto
 degli  artt.  1283  c.c.  e  25  commi primo e secondo del d.lgs.  n.
 342/1999.  Dall'interpretazione sistematica di dette norme si  evince
 che in nessun caso e' legittima la capitalizzazione trimestrale degli
 interessi a favore delle banche fino ad oggi praticata. Ed infatti in
 base  all'art.  1283 c.c. l'anatocismo, fatti salvi gli usi contrari,
 e' ammesso solo a determinate condizioni,  cioe'  a  decorrere  dalla
 domanda  giudiziale  o  per  effetto  di  convenzione posteriore alla
 scadenza e comunque per interessi dovuti da almeno sei mesi; sicche',
 in mancanza di usi contrari, l'anatocismo si riduce a ben poca  cosa,
 in  quanto  inizia  a  decorrere solo dal momento in cui il creditore
 intraprende l'azione  giudiziaria  contro  il  debitore,  oppure  per
 volonta'  del  debitore  manifestata  in  seguito alla scadenza degli
 interessi base.   E' evidente che  la  ratio  risiede  nell'interesse
 collettivo  alla  tutela  del  debitore  da  facili  esposizioni alla
 levitazione  dei  tassi  (spesso  fino  ai  limiti   dell'usura)   in
 conseguenza  della  sua  posizione  di contraente debole.   Per altro
 verso, in base all'art. 25 comma 2  d.lgs.  n.342/1999,  l'anatocismo
 nei  contratti bancari che saranno stipulati in futuro, potra' aversi
 solo  in  base  al  ripristino  di  una  situazione  contrattuale  di
 equilibrio  fra  clienti e banche, ossia a condizione che le medesime
 modalita' di calcolo degli interessi composti siano fissate  sia  per
 gli  interessi  creditori  che  per quelli debitori delle banche.  Da
 tale quadro normativo di riferimento si evince che il legislatore per
 il passato (in forza del precetto contenuto nell'art. 1283 c.c.)    e
 per  il  futuro  (in  forza  della novella di cui all'art. 25 secondo
 comma) ha inteso  sempre  tutelare  il  contraente  piu'  debole  (il
 debitore  in generale con l'art. 1283; ed il cliente delle banche con
 l'art.  25 secondo comma), ponendolo al riparo dalle facili pressioni
 alle quali puo' essere assoggettato in  forza  della  necessita'  che
 talora  lo  costringe a fare ricorso al credito in misura crescente e
 progressiva.  Dunque la medesima ratio ispiratrice congiunge  le  due
 disposizioni,  facendone  una  "norma  generale"  posta  a tutela del
 contraente  piu'  debole  e  comunque  del  risparmiatore  (ai  sensi
 dell'art.  47  Cost.).   In stridente ed illogico contrasto con detta
 "norma generale" si pone il terzo comma  del  predetto  art.  25,  in
 quanto  integra  una  "norma speciale" che ingiustificatamente deroga
 alla ratio ed alla disciplina della "norma generale"  disponendo  che
 per  il  passato,  ossia  per  i contratti stipulati sotto la vigenza
 dell'art. 1382 c.c.,  le  clausole  relative  all'anatocismo  restano
 "valide  ed  efficaci".    Cio' non ha alcun logico fondamento, e' in
 contrasto con il generale canone di coerenza interna  all'ordinamento
 e  crea una manifesta ed ingiusta discriminazione nei danni di coloro
 i quali sotto la vigenza dell'art. 1382 c.c. avevano pattuito con  le
 banche  interessi  anatocistici  ed  oggi  si  vedono improvvisamente
 privati della tutela di una norma che era vigente per tutta la durata
 del rapporto fin dal momento della pattuizione dell'anatocismo e  che
 li  poneva  al riparo dall'illegittimita' di tale clausola per i casi
 in cui la stessa fosse stata applicata al di fuori dei limiti e delle
 condizioni previste  nello  stesso  art.    1382  c.c.    Inoltre  la
 manifesta  ingiustizia e disparita' di trattamento si configura anche
 in danno degli altri operatori economici i quali, a differenza  delle
 banche, alle quali soltanto si riferisce la novella dell'art. 25, non
 beneficiano dell'affermazione di validita' ed efficacia dei contratti
 (ad  esempio di conto corrente ordinario) eventualmente stipulati con
 previsione di interessi anatocistici.  C) Violazione  delle  funzioni
 costituzionalmente  riservate  al potere giudiziario (artt., 24, 101,
 102  e  104  Cost.).     L'apparente  natura   interpretativa   della
 disposizione  in  esame  maschera un'altra violazione costituzionale,
 questa assai piu' grave, in quanto mina il fondamento dello stato  di
 diritto.  Si  tratta  della violazione di funzioni costituzionalmente
 riservate   al   potere   giudiziario.   A  tale  riguardo  la  Corte
 costituzionale,  con  riferimento  alle  leggi   interpretative,   ha
 affermato  che  "il  legislatore vulnera le funzioni giurisdizionali:
 a) quando intervenga per annullare  gli  effetti  del  giudicato;  b)
 quando  la legge sia intenzionalmente diretta ad incidere su concrete
 fattispecie sub iudice" (Corte costituzionale nn.  397/1994,  6/1994,
 429/1993, 424/1993, 283/1993, 39/1993, 440/1992, 429/1991 ed altre).
  Si  tratta allora di stabilire se la statuizione contenuta nel terzo
 comma dell'art. 25 (Le clausole relative alla produzione di interessi
 sugli interessi, contenute nei contratti  stipulati  anteriormente  a
 ... sono valide ed efficaci) integri un precetto normativo, come tale
 caratterizzato  da  generalita' ed astrattezza, ovvero sia diretto ad
 incidere su concrete fattispecie sub iudice.   E' principio  generale
 che  la  norma,  per  potere  essere  astratta,  ossia  riferibile  a
 situazioni  tipo  individuate  ipoteticamente  (c.d.      fattispecie
 astratta),   deve   contenere   un  precetto,  cioe'  una  regola  di
 comportamento,  riferibile  ad  una  molteplicita'  indeterminata  di
 situazioni concrete, nelle quali la violazione del precetto da' luogo
 agli  eventuali  effetti sanzionatori.  E' allora da chiedersi se sia
 astratta  la  norma  che  si  limita  solo  ad  escludere  una   data
 conseguenza sanzionatoria (invalidita' o inefficacia) con riferimento
 a  situazioni  particolari  (i contratti bancari). La disposizione in
 esame ha per oggetto  i  contratti  bancari;  e'  principio  generale
 dell'ordinamento  che  l'invalidita'  o  l'inefficacia    del negozio
 giuridico scaturisce dalla violazione di specifici precetti, in forza
 dei quali l'ordinamento, pur riconoscendo  l'autonomia  privata  come
 principio  generale, impone dei limiti entro cui le manifestazioni di
 volonta'  negoziale hanno valore ed effetti giuridicamente rilevanti.
 L'invalidita' o l'inefficacia del contratto pertanto e'   conseguenza
 sanzionatoria  della  violazione  di  tali  limiti  dettati  da norme
 generali  ed  astratte   (norme   sulla   nullita',   annullabilita',
 rescindibilita',  risolvibilita' dei contratti).  Al di fuori di tali
 ipotesi astratte, tutti i contratti sono validi ed efficaci in  forza
 dell'art.  1322  c.c.  ("Le  parti possono liberamente determinare il
 contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge").    Da  cio'
 consegue che la disposizione che apoditticamente afferma "sono validi
 ed  efficaci  le clausole relative alla produzione di interessi sugli
 interessi, contenute nei contratti stipulati anteriormente a ..." non
 introduce nell'ordinamento alcuna modifica dei  limiti  all'autonomia
 privata  che  possa  astrattamente  riferirsi  ad  una  molteplicita'
 indeterminata   di   situazioni   concrete,   ma   afferma   soltanto
 l'esclusione  dell'invalidita'  e  dell'inefficacia quali conseguenze
 sanzionatorie previste,  queste  si  in  via  generale  ed  astratta,
 dall'art.  1382  c.c.    In  conclusione, l'art. 25 comma 3 d.lgs. n.
 342/1999, non contenendo alcun  precetto  dotato  di  generalita'  ed
 astrattezza  ed  affermando la validita' e l'efficacia delle clausole
 sulla capitalizzazione trimestrale contenute  in  tutti  i  contratti
 stipulati  in  passato  dalle banche, svolge una funzione prettamente
 giurisdizionale, in quanto si sostituisce  all'autorita'  giudiziaria
 nel  dirimere  il  contenzioso in atto fra banche e clienti che verte
 proprio  sulla  validita'  delle   clausole   contrattuali   relative
 all'anatocismo.    In  tal  modo  e' stato privato il cittadino della
 possibilita' di tutelare i  propri  diritti  ed  interessi  legittimi
 dinanzi  all'autorita'  giurisdizionale  (art.  24  Cost.);  e' stata
 violata  la  riserva  della  funzione  giurisdizionale  in favore dei
 magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sul  regolamento
 giudiziario  (art.  102  Cost.);  e'  stata  violata l'indipendenza e
 l'autonomia della magistratura (art. 104 Cost.)  sia  in  conseguenza
 del  contrasto  con la riserva di cui innanzi, sia per avere un altro
 potere dello Stato imposto ai giudici la soluzione  di  singoli  casi
 gudiziari.
   3.  -  L'art.  25,  comma  3,  d.lgs. n. 342/1999 come disposizione
 innovativa avente efficacia retroattiva -   Contrasto con  gli  artt.
 76,  3,  24,  101,  102 e 104 Cost.  A) carenza di delega a conferire
 efficacia retroattiva alla norma delegata (art. 76  Cost.).    Se  si
 esclude   che   la   disposizione   in   esame   possa  avere  natura
 interpretativa  e  si  ritiene  che  la  stessa  integri  una   norma
 innovativa   avente   efficacia  retroattiva,  si  deve  rilevare  il
 contrasto con l'art. 76 della Costituzione per  difetto  di  espressa
 delega  a conferire efficacia retroattiva alla disposizione delegata.
 A tale riguardo la Corte costituzionale, con sentenza n.  29/1964  ha
 affermato  che  "Anche  nel  fissare  la  data  di  decorrenza  della
 disciplina delegata il Governo deve osservare i principi ed i criteri
 direttivi della legge delegante in conformita' all'art. 76  Cost.  Di
 conseguenza,  in  relazione  alle  singole leggi di delegazione, deve
 accertarsi se il legislatore delegato abbia il  potere  di  conferire
 alle norme un'efficacia retroattiva". Si e' gia' dimostrato che nella
 fattispecie  non  esisteva  alcuna  legge  delega che legittimasse il
 Governo ad emettere le disposizioni di  cui  all'art.  25  in  esame.
 Pertanto,  a  maggior  ragione,  deve  ritenersi  che  non ricorre la
 particolare delega del  potere  di  conferire  alle  norme  efficacia
 retroattiva.    B)  violazione del principio di ragionevolezza, quale
 limite per l'emanazione di leggi aventi efficacia retroattiva (art. 3
 Cost.).   La Corte costituzionale con  la  sentenza  n.  402/1993  ha
 affermato  che  "La  legge  retroattiva  e'  soggetta al controllo di
 conformita' al principio di ragionevolezza secondo criteri  analoghi,
 sia   che   si  tratti  di  una  norma  innovativa  con  clausola  di
 retroattivita', sia che si tratti di una  norma  interpretativa,  per
 sua natura retroattiva".  Alla luce di tale principio, deve ritenersi
 che valgono in questa sede (ossia con riferimento all'interpretazione
 dell'art.  25,  comma  3 d.lgs. n. 342/1999 come norma innovativa con
 clausola di retroattivita') le medesime ragioni di  contrasto  con  i
 principi  di  ragionevolezza  ed  uguaglianza di cui all'art. 3 della
 Costituzione gia' in precedenza illustrati, al punto B) del paragrafo
 2) di questa ordinanza con riferimento alla qualificazione  dell'art.
 25 terzo comma come norma interpretativa; le gia' espresse ragioni di
 incostituzionalita'  per  contrasto  con  l'art. 3 della Costituzione
 devono intendersi integralmente richiamate in questa sede e  pertanto
 si fa espresso rinvio a quanto gia' esposto al punto B) del paragrafo
 2).    C)  violazione  delle funzioni costituzionalmente riservate al
 potere giudiziario (artt. 24, 101, 102 e 104 Cost.).    Analogamente,
 con   riferimento   alla   riserva   costituzionale   delle  funzioni
 giurisdizionali al potere giudiziario, valgono  anche  per  le  norme
 innovative  aventi  efficacia  retroattiva  i medesimi limiti innanzi
 enunciati con riferimento alle norme interpretative. In tal senso  si
 e'  pronunciata  la  Corte  costituzionale  sempre con la sentenza n.
 402/1993,  affermando  che  la  legge  innovativa  avente   efficacia
 retroattiva, non deve comunque "influire su  concrete fattispecie sub
 iudice".    Alla  luce  di  tale principio, deve ritenersi ancora una
 volta  che  valgono   in   questa   sede   (ossia   con   riferimento
 all'interpretazione  dell'art.  25,  comma 3, d.lgs. n. 342/1999 come
 norma innovativa con clausola di retroattivita') le medesime  ragioni
 di contrasto con la riserva costituzionale del potere giurisdizionale
 contenuta  negli  artt.  24, 101, 102, 104 della Costituzione gia' in
 precedenza illustrati,  al  punto  C)  del  paragrafo  2)  di  questa
 ordinanza  con  riferimento  alla qualificazione dell'art. 25 comma 3
 come norma interpretativa;  le  ragioni  di  incostituzionalita'  per
 contrasto  con  gli artt. 24, 101, 102, 104 della Costituzione devono
 intendersi integralmente richiamate in questa sede e pertanto  si  fa
 espresso rinvio a quanto gia' esposto al punto C) del paragrafo 2).
   4.   -  Contrasto  con  gli  artt.  3  e  47  Cost.    L'anatocismo
 trimestrale,  generalmente  applicato  per  anni  dagli  istituti  di
 credito  ai  loro  clienti, contrasta con il principio costituzionale
 della tutela del risparmio in tutte le sue forme. Le banche hanno  la
 funzione      istituzionale,   propria   dell'economia   di  mercato,
 d'intermediazione nell'uso  del  risparmio  e  quindi  le  norme  che
 disciplinano   l'esercizio   del  credito  dovrebbero  realizzare  il
 principio contenuto nell'art.  47, secondo comma, della Costituzione,
 nel senso di  favorire  l'accesso  al  risparmio  verso  investimenti
 produttivi.  L'applicazione generalizzata dell'anatocismo trimestrale
 invece,  sino  ad  ora,  ha  gravato enormemente   sull'esercizio del
 credito, innescando meccanismi di progressivo aumento  dei  montanti,
 cosi'  da  determinare,    in concreto, l'aumento dei tassi effettivi
 globali riferiti ad anno ed, ancora di piu',  ad  interi  periodi  di
 credito.
  Il  meccamsmo anatocistico trimestrale, di per se', determina enorme
 aumento effettivo del  costo  del  danaro,  al    di  fuori  da  ogni
 controllo  istituzionale  da  parte  degli  organi  a  cio'  preposti
 dall'Ordinamento dello Stato.  L'aumento del costo del danaro  riduce
 la competitivita' degli operatori economici (soprattutto agricoltori,
 artigiani,   nonche'   piccole   e   medie   imprese  commerciali  ed
 industriali),  che,  non  essendo  in   grado   di   autofinanziarsi,
 normalmente fanno ricorso al credito, perche' determina l'aumento dei
 loro  costi  di produzione e li costringe, prima o poi, ad uscire dal
 mercato per insolvenza o al fine di evitare irreparabili conseguenze.
 L'elevato costo del denaro, quindi, si traduce in un generale aumento
 dei costi delle imprese,  incide  progressivamente  sul  livello  dei
 prezzi di mercato e sulla competitivita' dei prodotti soprattutto dei
 piccoli  e  medi  operatori  rispetto  a  quelli delle grandi imprese
 nazionali e dei produttori esteri.  Determina cioe' gravissimo  danno
 per   l'economia   nazionale.  Il  nuovo  indirizzo  della  Corte  di
 cassazione era da tempo auspicato.  Per effetto della diffusione  dei
 meccanismi   dannosi   conseguenti  all'anatocismo  trimestrale,  gli
 istituti bancari sono venuti meno al loro  compito  istituzionale  di
 intermediari  nell'uso  del  risparmio,  che,  naturalmente,  ha  una
 funzione produttiva.  La norma in esame, violando i suddetti principi
 costituzionali, e' rivolta a convalidare gli effetti dannosi  di  una
 pratica  oligopolistica  e  di  cartello  imposta  generalmente  agli
 operatori economici, ma non da loro accettata,  in  violazione  della
 norma  generale  contenuta nell'art.   1283 c.c., ispirata, certo, ai
 principi di ordine pubblico e di tutela del contraente  piu'  debole,
 del   risparmio  e  dell'economia  nazionale.    Il  nuovo  indirizzo
 giurisprudenziale,   se   consolidato,  determinera'  la  progressiva
 riduzione del costo del danaro, dei costi delle imprese e dei prezzi,
 con evidenti benefici per i  consumatori,  per  la  stabilita'  degli
 equilibri  del  mercato, per la competitivita' delle imprese e per il
 miglioramento dell'economia  nazionale.    Una  norma  finalizzata  a
 convalidare una pratica dannosa per l'economia, imposta in violazione
 di  una  norma civilistica generale, e' certamente in contrasto con i
 principi  di  ragionevolezza  e  coerenza  interna   dell'ordinamento
 contenuti  nell'art.  3  Cost.,  nonche' con i principi di tutela del
 risparmio di cui all'art.  47  Cost.    Si  ritiene  (Merusi;  "Comm.
 Banca")  che  l'art.  47  della  Costituzione  si pone l'obiettivo di
 tutelare e difendere il valore della  moneta  nel  rapporto  dinamico
 risparmio-credito. Risparmio e credito costituiscono i due termini in
 cui  si  esprime  la  liquidita'  monetaria  (Cpraglione; "Intervento
 pubblico ed ordinamento del credito"), che a sua  volta  e'  uno  dei
 fattori        dell'equilibrio        economico        "espressamente
 costituzionalizzato".
  L'articolo suddetto  tutela  sia  il  risparmio  "che  correlato  al
 credito  entra  a  far parte della liquidita' monetaria" (Merusi, op.
 cit.)  sia "il risparmio in tutte le sue fonti", cioe' ogni forma  di
 surplus   monetario  di  carattere    volontario  in  qualunque  modo
 indirizzato (Cerri e Baldassarre; Giur. Cost.).   Se e' vero  che  il
 risparmio  e'  una  risorsa  pubblica, non puo' essere legittimamente
 favorita una pratica contra legem che ne  ha  deformato  la  naturale
 funzione  con  grave  danno  per  chi  ha  fatto  ricorso  al credito
 bancario, per  la  stabilita'  dei  prezzi  e  per  l'intero  sistema
 economico.
                               P. Q. M.
   Visti  gli  artt. 134 della Costituzione, e 23 della legge 11 marzo
 1953, n. 87;
   Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la  questione  di
 legittimita  costituzionale,  nei  termini    di  cui in motivazione,
 dell'art. 25, comma 3, d.lgs. 4 agosto 1999, n. 342 (pubblicato nella
 Gazzetta Ufficiale  del 4 ottobre 1999, n. 233 ed entrato  in  vigore
 il  19 ottobre 1999) in relazione agli artt. 76, 3, 24, 101, 102, 104
 e 47 della Costituzione;
   Sospende il presente procedimento;
   Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla    Corte
 costituzionale per la dichiarazione d'incostituzionalita' della norma
 innanzi indicata;
   Ordina  che,  a  cura  della cancelleria, la presente ordinanza sia
 notificata alle parti ed al Presidente del Consiglio dei  Ministri  e
 comunicata  ai  Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera
 dei deputati.
     Brindisi, addi' 8 novembre 1999.
                        Il giudice unico: Marzo
 00C0058