N. 49 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 dicembre 1999

                                 N. 49
  Ordinanza  emessa  il  19  ottobre-15  dicembre 1999 dalla Corte dei
 conti, sez. giurisdizionale  per  la  regione  Piemonte  sul  ricorso
 proposto da Cattinelli Pierino contro D.P.T. di Asti
 Pensioni  -  Dipendenti  civili  dello  Stato - Collocamento a riposo
    anticipato, per  effetto  di  decadenza  dal  servizio,  ai  sensi
    dell'art.    63  d.P.R.  n.  3/1957,  per  avere  esercitato altra
    attivita' lavorativa incompatibile  con  l'impiego  -  Divieto  di
    cumulo  del  trattamento  di  quiescenza  con  la retribuzione per
    lavoro  dipendente  -  Mancata  previsione  -   Irrazionalita'   -
    Ingiustificato  diverso trattamento, ai fini del divieto di cumulo
    della  pensione  anticipata  con  la   retribuzione   per   lavoro
    subordinato,  dei  dipendenti  cessati dal servizio per effetto di
    decadenza per  esercizio  di  attivita'  lavorativa  incompatibile
    rispetto   ai   dipendenti   cessati  dal  servizio  a  domanda  -
    Riferimento alle sentenze della Corte costituzionale nn.  531/1988
    e  433/1994.    D.L.  del 29 gennaio 1983, n. 17, art. 10, settimo
    comma, convertito in legge 25 marzo 1983, n. 79.
  Costituzione, art. 3.
(GU n.9 del 23-2-2000 )
                            LA CORTE DEI CONTI
   Ha pronunciato la seguente ordinanza nel giudizio, iscritto  al  n.
 6336/C  del  registro  di segreteria, promosso da Pierino Cattinelli,
 rappresentato e difeso dall'avv. Fabrizio Borasio.
   Visto il ricorso, presentato avverso la Direzione  provinciale  del
 tesoro di Asti, e tutti gli altri atti e documenti della causa.
   Uditi  nella  pubblica  udienza  del  19  ottobre  1999  il giudice
 relatore, dott. Bruno Tridico, l'avv. Borasio per il ricorrente e  la
 dott.ssa Adele Pomponio in rappresentanza dell'INPDAP.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Con  il  ricorso  in epigrafe si impugna il provvedimento n.
 11344 del 14 agosto 1995, con il quale la Direzione  provinciale  del
 tesoro  di  Asti  ha  invitato  l'odierno  ricorrente  a rifondere un
 presunto credito erariale di lire 87.343.383 corrisposte dal 1 luglio
 1987 al 30 luglio 1995 a titolo di trattamento pensionistico ritenuto
 non dovuto perche' l'interessato ha prestato opera  retribuita  quale
 lavoratore dipendente nel periodo considerato.
   L'Amministrazione ha contestualmente dato notizia della sospensione
 della pensione dal 30 agosto 1995.
   A   seguito  di  istanza  dell'interessato  e'  stato  concesso  il
 pagamento rateale del debito in quote mensili  di  L.  1.455.723  dal
 novembre 1995 al dicembre 2000.
   2.  - Espone il ricorrente, dipendente di U.S.L. dal 21 marzo 1969,
 che dal 29 maggio1987 non ha piu' prestato servizio presso il  citato
 ente  in  quanto  dichiarato decaduto con deliberazione in pari data.
 Ha quindi lavorato come operaio dipendente presso privati.
   In diritto, ritiene che il divieto di cumulo operi solo in caso  di
 espressa  domanda di pensionamento e non nel diverso caso, come nella
 specie, in cui il dipendente sia dichiarato decaduto dal servizio  ad
 iniziativa dell'ente pubblico presso il quale si presta servizio ed a
 sostegno  richiama  giurisprudenza della Corte costituzionale e della
 Corte dei conti.
   Col proposto gravame parte attrice chiede quindi l'annullamento del
 decreto impugnato ed  il  ripristino  del  trattamento  pensionistico
 sospeso,  con  condanna  dell'Amministrazione  al pagamento dei ratei
 arretrati ed alla restituzione delle somme versate in ottemperanza al
 provvedimento  di  recupero,  maggiorate  dei  relativi  interessi  e
 rivalutazione monetaria. In subordine, si chiede che venga dichiarata
 l'illegittimita'  del  decreto  per  mancata  notizia all'interessato
 dell'avvio del relativo procedimento amministrativo, con  conseguente
 obbligo  per  l'Amministrazione  di  restituire  le somme versate dal
 ricorrente, oltre interessi e rivalutazione monetaria.
   3.  -  Dagli  atti  versati  in  causa   e,   precisamente,   dalla
 deliberazione  del  29  maggio  1987  della  U.S.L. di Torino 1-23 si
 deduce che l'odierno ricorrente  e'  stato  dichiarato  decaduto  dal
 servizio,  ai  sensi dell'art.   63 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3,
 per aver esercitato  altra  attivita'  lavorativa  incompatibile  con
 l'impiego presso la U.S.L.
   Con  nota depositata il 17 giugno 1997 la Direzione provinciale del
 tesoro di  Asti  asserisce  che  l'interessato  aveva,  in  un  primo
 momento,   dichiarato   di   non   prestare   opera  retribuita,  ma,
 successivamente, e precisamente in data  14  giugno  1995  lo  stesso
 affermava  di  prestare  opera  retribuita  in qualita' di lavoratore
 dipendente dal 1 luglio 1987: da qui il provvedimento di  recupero  e
 la sospensione dell'erogazione della pensione.
    4.  -  Con  memoria  depositata  l'8  ottobre  1999  parte attrice
 richiama altra giurisprudenza  favorevole  ed  in  subordine  ritiene
 comunque  le  somme  percepite  irripetibili  in  assenza di dolo del
 percipiente, non allegato ne' tantomeno provato dall'Amministrazione.
   5. - All'udienza odierna l'avv. Borasio  ha  richiamato  quanto  in
 atti scritti, mentre la rappresentante dell'INPDAP ha concluso per il
 rigetto del ricorso.
                        Considerato in diritto
   1.  -  La  questione  dedotta  nell'odierno  giudizio  concerne  la
 spettanza o meno del diritto a  pensione  anticipata  del  dipendente
 dichiarato decaduto dal servizio, ai sensi dell'art. 63 del d.P.R. 10
 gennaio  1957,  n.  3, per aver esercitato altra attivita' lavorativa
 incompatibile  con  l'impiego  presso  la  U.S.L.,  come  esposto  in
 narrativa.
   2.  -  In punto di diritto, la disciplina normativa alla quale fare
 riferimento ai fini del decidere e' quella recata  dall'art.  10  del
 d.-l.  29  gennaio  1983, n. 17, come convertito nella legge 25 marzo
 1983, n. 79.  Il  comma  settimo  di  detto  articolo,  in  un'ottica
 disincentivante  del  ricorso  all'anticipazione  del  trattamento di
 quiescenza, sancisce  che  nei  confronti  dei  soggetti  fruenti  di
 pensionamento anticipato in applicazione delle disposizioni di cui al
 medesimo  articolo  si  applica  il divieto di cumulo del trattamento
 pensionistico con la retribuzione percepita in costanza  di  rapporto
 di lavoro alle dipendenze di terzi.
   La  norma  richiamata  amplia  quindi  l'area  di  operativita' del
 divieto recato dall'art. 22 della legge 30 aprile 1969,  n.  153  nei
 confronti   dei   lavoratori   privati   iscritti   all'assicurazione
 obbligatoria per l'invalidita', la vecchiaia ed i  superstiti  presso
 l'INPS, estendendolo a tutti i dipendenti pubblici.
   L'istituto  in  esame,  com'e'  noto,  pur inerendo direttamente al
 diritto previdenziale, presenta  anche  non  irrilevanti  profili  di
 politica  sociale  ed  economico-finanziaria,  com'e'  dimostrato dai
 ripetuti interventi, negli  ultimi  anni,  del  legislatore,  che  ha
 introdotto modifiche alla disciplina vigente attraverso l'art. 10 del
 d.lgs.    30  dicembre  1992, n. 503, attuativo della legge delega 23
 ottobre 1992, n. 421, l'art. 11 della legge 24 dicembre 1993, n. 537,
 l'art.  1, comma 25, lett. c) della legge 8 agosto  1995,  n.  335  e
 l'art.    1,  commi  185 e seguenti, della legge 23 dicembre 1996, n.
 662.
   3. - La  questione  oggetto  del  decidere  si  risolve,  in  buona
 sostanza,  nel  circoscrivere l'ambito soggettivo dei destinatari del
 divieto, e per operare in tal senso non si  puo'  non  muovere  dalla
 lettera  della  legge (art. 10, comma primo, d.-l. 17/1983), la quale
 fa riferimento al personale avente diritto all'indennita' integrativa
 speciale di cui alla legge 27 maggio 1959, n. 324 che  ha  presentato
 domanda  di  pensionamento  a partire dalla data di entrata in vizore
 del decreto-legge.
   Il testo originario dcl citato  art.  10  primo  comma  che  faceva
 riferimento  al  personale  il  quale  fosse  cessato dal servizio, a
 prescindere dalla causa di cessazione, fu emendato dalla  Commissione
 lavoro  e  limitato,  tra  l'altro,  ai  soli  casi di cessazione dal
 servizio a domanda.
   La norma, nel suo testo definitivo, e' stata ritenuta  dalla  Corte
 costituzionale  non  applicabile  nei casi di cessazione dal servizio
 per ragioni  indipendenti  dalla  volonta'  del  pubblico  dipendente
 (sentenza 12 maggio 1988, n. 531).
   Con  specifico  riferimento,  poi, al divieto di cumulo, il giudice
 delle leggi, gia' investita della questio legitimatis  dell'art.  10,
 ultimo comma, del d.-l. n. 17/1983, con la sentenza 20 dicembre 1994,
 n. 433 ha accolto una nozione ben precisa di pensionamento anticipato
 al  quale  esso  si  applica,  traente origine dalla presentazione di
 formale domanda quale manifestazione tipica ed univoca della volonta'
 di rinunciare all'impiego, escludendo cosi' che l'effetto negativo di
 cui si discute possa derivare da comportamenti dai quali solo in  via
 presuntiva   e  con  valutazione  rimessa  all'Amministrazione  possa
 desumersi l'intendimento dell'impiegato di sottrarsi  ai  doveri  del
 suo  ufficio  (nella  specie,  tra  l'altro,  e' stata dichiarata non
 fondata la questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  10,
 ultimo comma, del d.-l. n. 17/1983 sollevata, in riferimento all'art.
 3  della  Costituzione, per la presunta disparita' di trattamento nei
 confronti dei dipendenti che non abbiano presentato la  dichiarazione
 di  dimissioni,  ma  che  siano  decaduti  dall'impiego  per  essersi
 arbitrariamente  assentati  dal  servizio  oltre  il  tempo   massimo
 consentito).
   La  giurisprudenza  della  Corte  dei  conti, inizialmente alquanto
 variegata, dopo la pronuncia della Corte  costituzionale  puo'  dirsi
 univoca  nel  ritenere  che  il  divieto  di  cumulo  tra  pensione e
 retribuzione operi unicamente in presenza di una formale  domanda  di
 dimissioni   cui   sia  seguito  un  provvedimento  di  pensionamento
 anticipato con esclusione  della  riconducibilita'  all'art.  10  del
 d.-l.  n.  17/1983 anche dell'ipotesi di comunicazione di opzione per
 un nuovo e diverso impiego proposta dal pubblico dipendente, nel qual
 caso non opererebbe il divieto di cumulo (Corte  dei  conti,  sezione
 III giurisdizionale centrale 26 luglio 1996, n. 326/A).
   4.  -  La  fattispecie  sottoposta all'esame di questo giudice, pur
 consistendo  anch'essa,  come  nell'ipotesi  esaminata  dalla   Corte
 costituzionale  nella  sentenza  n.  433/1994, in una declaratoria di
 decadenza dall'impiego, presenta profili in  parte  diversi.  Invero,
 nel  caso  all'esame  il  ricorrente  ha  posto  in  essere una grave
 violazione del principio  di  esclusivita'  del  rapporto  di  lavoro
 pubblico  (la cui attuale vigenza, peraltro, trova esplicita conferma
 nell'art. 58 del d.lgs. 3 febbraio 1993, n.  29)  e,  nonostante  sia
 stato  diffidato a cessare la diversa attivita' lavorativa intrapresa
 (presso un banco di ferramenta nei giorni di mercato), ha perseverato
 nella situazione di incompatibilita'.
   Mette conto precisare che l'istituto della  decadenza  dall'impiego
 per incompatibilita' ex art. 63 del d.P.R. n. 3/1957 presenta profili
 in parte diversi da quello della decadenza per assenza ingiustificata
 dal servizio, regolata dal successivo art. 127.
   Inveri,  premesso  che  in entrambi i casi la Corte dei conti ed il
 Consiglio di Stato sono costanti nel ritenere  che  il  provvedimento
 dell'Amministrazione  abbia  carattere  meramente dichiarativo (Corte
 dei conti, sezione controllo 21 marzo 1985,  n.  1535;  Consiglio  di
 Stato,  sezione  V, 16 ottobre 1989, n. 645, e sezione VI, 30 ottobre
 1985, n. 542 e 2 ottobre 1991, n.  600)  e  vincolato,  solo  per  la
 decadenza  ex  art. 63 e' espressamente prevista la diffida a cessare
 dalla  situazione  di  incompatibilita',   mentre   nell'ipotesi   di
 decadenza  per  assenza ingiustificata non e' richiesta alcuna previa
 intimazione all'interessato, come affermato dalla giurisprudenza, sia
 pure dopo alcune iniziali  oscillazioni  (Corte  dei  conti,  sezione
 giurisdizionale  regione  Veneto, 6 luglio 1995, n. 252; Consiglio di
 Stato, sezione VI, 20 giugno 1994, n.  1029;  sezione  V,  27  aprile
 1991,  n.  676;  sezione  V,  16  ottobre 1988, n. 794; sezione VI, 2
 maggio 1983, n. 291).
   Orbene, pare a questo collegio  fuor  di  dubbio  che  la  condotta
 tenuta  dall'odierno  ricorrente  debba  comunque ritenersi cosciente
 volontaria e soprattutto consapevole delle negative  conseguenze  che
 automaticamente si producono sul rapporto d'impiego, tenuto conto del
 particolare   iter   procedimentale   che  conduce  all'adozione  del
 provvedimento estintivo del rapporto attraverso un apposito  atto  di
 diffida,  e  della natura meramente dichiarativa del provvedimento di
 decadenza.
   In altri  termini,  come  nell'ipotesi  della  formale  domanda  di
 dimissioni,  anche  nel caso all'esame emerge un'adesione di volonta'
 al  verificarsi  dell'effetto  estintivo,  conseguenza  certa   della
 propria  condotta,  sotto  questo  profilo  (della volontarieta') del
 tutto equiparabile alla domanda di pensionamento.
   Non  v'e'  alcuna  attenuazione  del  collegamento  tra volonta' di
 recedere e cessazione  del  rapporto  cui  fa  riferimento  la  Corte
 costituzionale  nella citata sentenza n. 433/1994, posto che volonta'
 di recedere e', in definitiva, anche volonta' cosciente di  porre  in
 essere  un comportamento producente comunque, ope legis, l'effetto di
 estinzione  del  rapporto  d'impiego,  palesando  cosi  una  conforme
 determinazione  volitiva. In tal senso, nell'astenersi dal richiamare
 le costruzioni penalistiche in tema di dolo eventuale, non pare  fuor
 di  luogo  fare  un  riferimento  ai  principi  generali della teoria
 precettiva  del  negozio  giuridico  secondo  i  quali  una  volonta'
 negoziale puo' rilevarsi anche a mezzo di un comportamento che non la
 rifletta direttamente ma che, per volonta normativa, produca sia pure
 indirettmente l'effetto voluto.
   5.   -   Per   quanto   detto   questa   Sezione,  non  ritenendola
 manifestamente infondata solleva d'ufficio questione di  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  10,  comma  settimo,  del d.-l. 29 gennaio
 1983, n. 17, come convertito nella legge 25 marzo 1983,  n.  79,  per
 contrasto  con  l'art.    3 della Costituzione nella parte in cui non
 dispone l'applicazione delle norme sui  divieti  di  cumulo  previsti
 dall'art.  22  della legge 30 aprile 1969, n. 153 anche nei confronti
 dei soggetti fruenti di pensionamento anticipato in quanto  dichirati
 decaduti  dal  servizio,  ai sensi dell'art. 63 del d.P.R. 10 gennaio
 1957,  n.  3,  per  aver  esercitato   altra   attivita'   lavorativa
 incompatibile con l'impiego.
   Premesso   infatti   che   la   ratio   del  divieto,  resa  palese
 dall'intestazione stessa  del  decreto-legge,  e'  di  realizzare  il
 contenimento  del  costo  del  lavoro  ed  apprestare  misure  atte a
 favorire   l'occupazione,   e,   in   quest'ottica,    disincentivare
 l'attivita'  lavorativa  prestata,  successivamente al collocamento a
 riposo, in posizione subordinata, sembra  riscontrarsi  un'aporia  in
 relazione   all'area   dei  soggetti  destinatari  della  preclusione
 normativa.
   Ed invero,  la  normativa  sospettata  di  incostituzionalita'  per
 contrasto con l'art. 3 della Costituzione, nel disporre il divieto di
 cumulo  (solo)  nei confronti di chi ha presentato formale domanda di
 pensionamento e non (anche) per il dipendente dichiarato decaduto dal
 servizio per aver esercitato altra attivita' lavorativa incompatibile
 ex art.   63 del d.P.R.  n.  3/1957,  risulta  premiante,  senza  una
 ragionevole  giustificazione  ed in apparente violazione delle regole
 della logica, di un comportamento indubbiamente  meno  meritevole  di
 tutela giuridica rispetto al primo che, a questo punto deve ritenersi
 del   tutto   irrazionalmente,   si   vede   negare   il  trattamento
 pensionistico anticipato  qualora,  percepisca  una  retribuzione  in
 costanza di rapporto di lavoro alle dipendenze di terzi. Se, infatti,
 la   politica   legislativa  era  quella  di  realizzare  un  sistema
 disincentivante della prestazione di attivita' lavorativa subordinata
 da parte del pensionato, non  pare  possa  revocarsi  in  dubbio  che
 ammettere il cumulo, della pensione con la retribuzione percepita dal
 soggetto  il  quale,  proprio in quanto prestatore di altra attivita'
 lavorativa in posizione subordinata, e' stato dichiarato decaduto dal
 servizio si ponga in aperto contrasto con la  ratio  legis,  rendendo
 vantaggioso   iniziare,   in  costanza  d'impiego  pubblico,  l'altra
 attivita' lavorativa con essa incompatibile, piuttosto che presentare
 formale  domanda  di  dimissioni  e,  solo  dopo  essere  cessati dal
 servizio,  intraprendere  il  nuovo  e  diverso  rapporto  di  lavoro
 dipendente.
   Le  situazioni  comparate, pur presentando indubbiamente profili di
 diversita', appaiono accomunate da elementi  che  dovrebbero  imporre
 un'uguale  ed unitaria disciplina conforme alla funzione che la norma
 si prefigge.
   In ogni  caso,  la  discriminazione  nella  preclusione  appare  in
 contrasto  con  il  principio  di  ragionevolezza  ex  art.  3  della
 Costituzione non solo alla stregua della finalita'  della  norma,  ma
 anche  alla  luce  delle  conseguenze da essa determinate, che questo
 giudice ritiene aberranti: chi e'  dichiarato  decaduto  per  assenza
 ingiustificata,   invero,   viene   sottoposto   ad   un  trattamento
 irrazionalmente di favore e piu' vantaggioso rispetto a colui per  il
 quale,  ai  sensi della norma della cui conformita' alla Costituzione
 si dubita, e' esclusa la possibilita' di cumulo, pur versando questi,
 almeno in linea teorica, in situazione  che  parrebbe  degna  di  non
 minor tutela.
   6.  -  Oltre  che  non  manifestamente  infondata,  la questione di
 legittimita' costituzionale che  si  solleva  presenta  il  carattere
 della  rilevanza ai fini del decidere in quanto la mancata previsione
 del divieto  di  cumulo  anche  al  caso  del  dipendente  dichiarato
 decaduto  dal  servizio  ai  sensi dell'art. 63 del d.P.R. 10 gennaio
 1957,  n.  3,  per  aver  esercitato   altra   attivita'   lavorativa
 incompatibile   con   l'impiego,   determina   l'illegittimita'   del
 provvedimento impugnato ed  impone  l'accoglimento  del  ricorso  con
 conseguente   ripristino   del   trattamento   attualmente   revocato
 dall'Amministrazione.
                               P. Q. M.
   Visti  gli  artt.   134   della   Costituzione,   1   della   legge
 costituzionale  9  febbraio 1948, n. 1, e 23, secondo, terzo e quarto
 comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87;
   Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la  questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  10, settimo comma, del d.-l.
 29 gennaio 1983, n. 17, come convertito nella legge 25 marzo 1983, n.
 79, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione nella parte in  cui
 non dispone l'applicazione delle norme sui divieti di cumulo previsti
 dall'art.  22  della legge 30 aprile 1969, n. 153 anche nei confronti
 dei soggetti fruenti di pensionamento anticipato in quanto dichiarati
 decaduti dal servizio, ai sensi dell'art. 63 del d.P.R.   10  gennaio
 1957,   n.   3,   per  aver  esercitato  altra  attivita'  lavorativa
 incompatibile con l'impiego;
   Ordina che, a cura della  segreteria,  la  presente  ordinanza  sia
 notificata  al  Presidente  del  Consiglio  dei Ministri nonche' alle
 parti in causa e comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e
 del Senato della Repubblica;
   Dispone l'immediata trasmissione, a cura  della  segreteria,  della
 presente  ordinanza alla Corte costituzionale, insieme con gli atti e
 con la prova delle notificazioni e delle comunicazioni sopendendo  il
 processo    sino    all'esito    del    giudizio    incidentale    di
 costituzionalita'.
   Cosi'  deciso  in  Torino, nella camera di consiglio del 19 ottobre
 1999 e 15 dicembre 1999.
                       Il presidente: De Filippis
                                                  L'estensore: Tridico
 00C0108