N. 53 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 ottobre 1999

                                 N. 53
  Ordinanza  emessa  il  27  ottobre 1999 dalla Commissione tributaria
 provinciale di Milano sul ricorso proposto  da  Studio  Verna  contro
 l'ufficio II. DD. di Milano
 Imposta  generale sulle attivita' produttive (IRAP) - Base imponibile
    per i lavoratori autonomi - Deducibilita'  delle  spese  sostenute
    per dipendenti e collaboratori e di quelle per interessi passivi -
    Esclusione - Constrasto con il principio di capacita' contributiva
    - Violazione del principio di coerenza interna della legge.
 Imposta generale sulle attivita' produttive (IRAP) - Soggetti passivi
    -   Lavoratori   autonomi  -  Assimilazione  agli  imprenditori  -
    Discriminazione   rispetto   ai   lavoratori    dipendenti    (non
    assoggettati al tributo) - Discriminazione fra lavoratori autonomi
    a  seconda  che esercitino o meno le attivita' di cui all'art. 49,
    comma 1, d.P.R. n. 917/1986.
 Imposta generale sulle attivita' produttive (IRAP) - Deducibilita' ai
    fini delle imposte sui redditi  -  Esclusione  Conseguente  doppia
    tassazione  - Irragionevolezza.   D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446,
    artt. 1, 2, 3, 4, 8, 11.
  Costituzione, artt. 3 e 53.
(GU n.9 del 23-2-2000 )
                  LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE
   Ha  emesso  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso   n.   19981/1998
 depositato  il  3 novembre 1998, avverso S/rif su I. rimb. n. istanza
 del 27 luglio 1998, '98 contro Imposte Dirette di Milano, I  ufficio,
 proposto  da:    Studio  Verna,  dott.  F.  Formenti-G. Verna e Laura
 Restelli, socio dott. Giuseppe Verna, residente a  Milano,  in  corso
 Italia  n.  6,  difeso dall'avv. prof. Francesco Tesauro, residente a
 Milano, in Milano;
   Ritiene    la    commissione    di    sollevare    questione     di
 incostituzionalita' della normativa I.R.A.P. consacrata nel d.lgs. 15
 dicembre  1997, n. 446, come modificato dal d.lgs. 10 aprile 1998, n.
 137 e d.lgs.  19 novembre 1998, n. 422, con specifico  riguardo  alla
 tassazione  dei  lavoratori autonomi, e precisamente agli artt. 1, 2,
 3, 4, 8 e 11, in relazione agli artt. 3 e 53 Cost.
   La rilevanza della questione dipende dalla necessita'  di  decidere
 se  il contribuente ha diritto o meno al rimborso dell'I.R.A.P., come
 richiesto  col  ricorso  avverso  il  silenzio   rifiuto,   trascorsi
 inutilmente 90 giorni dalla istanza di rimborso.
   Nel  merito  la commissione ritiene la questione non manifestamente
 infondata.
   Giova premettere l'inquadramento dell'I.R.A.P. nel  panorama  delle
 imposte:  conviene  cioe'  preliminarmente  stabilire  la  sua natura
 giuridica.
   L'art. 1 della legge istitutiva dichiara che l'imposta ha carattere
 reale.
   Al riguardo si ritiene che l'espressione  si  debba  intendere  nel
 senso,  gia'  invalso  per  le  imposte sul reddito, di imposta reale
 (I.L.O.R.) contrapposta ad imposta personale (I.R.PE.F. e I.R.PE.G.).
   Pertanto  l'I.R.A.P.  deve  ritenersi  una  imposta  sul   reddito,
 giacche' solo a queste imposte e' riferita comunemente la distinzione
 tra imposte personali e reali.
   Ad  avviso  della  commissione  l'I.R.A.P.  non  e'  altro  che una
 edizione riveduta e ... scorretta della abolita I.L.O.R.
   Cio' posto secondo un  primo  profilo  l'I.R.A.P.  dovrebbe  essere
 incostituzionale,  in  quanto  colpisce, non gia' il risultato finale
 dell'attivita'  professionale  o  di  impresa,   bensi'   un   valore
 intermedio del tutto svincolato dal risultato finale.
   Dal fatto di essere una imposta reale discende che non sono ammesse
 in  deduzione  le  spese  personali,  quelle strumentali pero' si', e
 tutte.
   L'I.R.A.P. pero' non tiene conto di tutte le spese strumentali.
   In particolare per i lavoratori  autonomi  la  base  imponibile  e'
 determinata,  assumendo  come  dato di partenza il valore complessivo
 dei compensi percepiti nel periodo di  imposta:  da  tale  valore  si
 sottraggono  le  spese,  ma non le spese sostenute per i dipendenti e
 per i collaboratori, e quelle per gli interessi passivi.
   Il risultato non cambia se, considerando il reddito, si sommano  al
 reddito   del   professionista   il  reddito  dei  dipendenti  e  dei
 collaboratori, e gli interessi passivi.
   Percio' e' stato anche detto icasticamente che l'I.R.A.P.  colpisce
 i debiti.
   Orbene  al  cospetto  di  questa  situazione si ritiene sicuramente
 violata la capacita' contributiva.
   Si assume in contrario che la base imponibile dell'I.R.A.P. sarebbe
 espressiva di una capacita' contributiva associata al  business  come
 organizzazione  complessa  che  svolge attivita' di impresa, ossia di
 una  capacita'  contributiva  distinta  da   quella   personale   del
 businessman.
   E  si  aggiunge,  a  conferma,  che  la funzione dell'art. 53 della
 Costituzione  sarebbe  quella  di  mero  criterio  di  riparto  delle
 pubbliche  spese, sicche' i cittadini potrebbero essere colpiti anche
 da tributi che non hanno come presupposti fatti espressivi  di  forza
 economica.
   Questa concezione si presta a rilievi critici:
     sotto  un  primo  profilo  la teoria della capacita' contributiva
 reale non ha riconoscimento nel nostro ordinamento costituzionale, se
 e' vero che la stessa Corte  costituzionale  ha  sempre  definito  la
 capacita'  contributiva  come  la  idoneita' soggettiva a contribuire
 alle spese pubbliche;
     sotto un secondo profilo la capacita'  contributiva  e'  definita
 comunemente  come  capacita'  economica,    e  il fatto espressivo di
 capacita' contributiva come un fatto di natura  economica,  un  fatto
 che esprime forza  economica.
   Nella  specie  non  e'  salvaguardato  questo  principio perche' il
 contribuente viene tassato,  non  in  base  alla  sua  disponibilita'
 economica,  ma  ad  una  redditivita'  che  potrebbe  anche rivelarsi
 fittizia, se  i  costi  integralmente  intesi  dovessero  superare  i
 ricavi.
   E'  stato anche obbiettato dai sostenitori della legittimita' della
 norma che il tributo sarebbe come una nuova  I.V.A.,  (salvo  fare  i
 conti  con  la  normativa  comunitaria),  come  dire  una imposta che
 colpisce il valore della produzione netta o valore aggiunto, e non il
 reddito.
   In questa diversa ottica sarebbe ammissibile una limitazione  della
 deduzione ad alcuni costi.
   Afferma  un  chiaro  autore:  "E'  quindi  scorretto  affermare che
 l'imposta colpisce salari e interessi come tali; e' invece  vero  che
 interessi   e   salari  non  sono  deducibili  perche'  rappresentano
 componenti del valore della produzione netta o valore aggiunto".
   Il citato autore si riferisce al  concetto  di  ricchezza  prodotta
 presso  l'impresa,  concludendo che quest'ultima e' chiamata a pagare
 il   tributo,   perche'   presso   di   lei   si   forma   ricchezza,
 indipendentemente  dal  fatto  che  tale  ricchezza  sia  destinata a
 remunerare l'imprenditore, i lavoratori o i terzi finanziatori.
   Ma e' stato osservato in contrario che non risulta  chiaro  perche'
 il  soggetto  passivo  debba  pagare  una  imposta  anche  su  quella
 ricchezza, che serve a remunerare i dipendenti e i finanziatori.
   D'altra parte il raffronto con l'I.V.A. appare anche  inesatto,  in
 quanto  notoriamente  l'imposta  sul  valore aggiunto costituisce una
 mera partita di giro, e funge soprattutto  da  base  per  il  calcolo
 delle imposte sul reddito.
   L'I.R.A.P. invece e' essa stessa una imposta sul reddito.
   In  ogni  caso  per  i  professionisti  non e' prospettabile alcuna
 capacita' contributiva reale espressa dallo studio  professionale  in
 se',   e   disgiunta   dalla  capacita'  contributiva  personale  del
 professionista, stante l'attivita'  prevalentemente  personale  dallo
 stesso svolta.
   Un  ulteriore  profilo  di  incostituzionalita'  si  rinviene nella
 violazione del principio della coerenza interna alla legge, nel senso
 che le molteplici  ipotesi  di  tassazione  contemplate  dalla  legge
 tributaria  siano  coerenti  col  presupposto,  non  siano  cioe' una
 semplice aggregazione di casi empirici.
   In questa ottica c'e' un precedente rilevante  della  stessa  Corte
 costituzionale,  la  quale  nella  nota sentenza 25 marzo 1980, n. 42
 ebbe censurare la legge sull'I.L.O.R. professionisti, in quanto da un
 lato li tassava insieme agli imprenditori e dall'altro li  tassava  a
 differenza dai lavoratori dipendenti.
   Inoltre  la  legge  discrimina  anche  nell'ambito  dei  lavoratori
 autonomi in quanto assoggetta a tassazione solo i lavoratori  di  cui
 all'art.   49 primo comma T.U.I.R., escludendo le altre ipotesi dello
 stesso art. 49 cit.
   Sotto questo profilo va ricordata Corte costituzionale  29  gennaio
 1998,  n.  1 con cui e' stata disattesa la distinzione tra lavoratori
 intellettuali  e  non,  ritenuta  palesemente  irragionevole,  stante
 l'omogeneita'  delle  categorie  di  soggetti  e  di  crediti messe a
 confronto e riconducibili allo  stesso  tipo  contrattuale  delineato
 dall'art.  2222  c.c.,  cosi'  dichiarandosi  incostituzionale l'art.
 2751-bis n. 2 c.c.  nella  parte  in  cui  negava  il  privilegio  ai
 lavoratori  non  intellettuali,  mentre  lo riconosceva ai lavoratori
 intellettuali.
   Infine si ritiene incostituzionale la norma dell'art. 1 della legge
 istitutiva nella parte in cui dichiara l'imposta  non  deducibile  ai
 fini delle imposte sui redditi.
   In  tal modo infatti si avrebbe una imposta (I.R.PE.F. e I.R.PE.G.)
 che si applica sopra un'altra imposta (I.R.A.P.).
   Si e' osservato in contrario che un siffatto  sistema,  pur  iniquo
 sul  piano  pratico, non e' contrario ai principi costituzionali, non
 essendo l'I.R.A.P. una imposta personale, bensi' una imposta reale.
   E' stato pero' acutamente osservato da autorevole dottrina  che  le
 imposte reali danno luogo spesso ad una doppia tassazione, poiche' si
 tassa  il  frutto  vero  o  presunto della cosa, e al tempo stesso il
 debito che il  proprietario  sia  stato  costretto  a  contrarre  per
 possederla.
   Si  tratta  di  vedere se la doppia tassazione sia incostituzionale
 sotto il profilo della irragionevolezza.
                               P. Q. M.
   Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87;
   Ritenuta la rilevanza della questione;
   Dichiara non manifestamente infondata, in relazione agli artt.  3 e
 53 della  Costituzione, la questione di  legittimita'  costituzionale
 degli  artt.  1,  2,  3,  4, 8 e 11 d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 e
 successive modificazioni, nella parte in cui:
     non  consentono  di  dedurre  dalla  base  imponibile  le   spese
 sostenute  per  i  dipendenti  e  per  i  collaboratori  e quelle per
 interessi passivi;
     non discriminano i  lavoratori  autonomi  dagli  imprenditori,  e
 viceversa   discriminano   i   lavoratori   autonomi  dai  lavoratori
 dipendenti;
     discriminano  i  lavoratori  autonomi  di  cui  al  primo   comma
 dell'art.    49  T.U.I.R. dagli altri lavoratori autonomi di cui alle
 altre ipotesi dello stesso art. 49 cit.;
     non consentono di dedurre l'I.R.A.P. ai fini  delle  imposte  sui
 redditi;
   Dispone    l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale;
   Sospende il giudizio in corso;
   Ordina che a cura  della  segreteria  l'ordinanza  di  trasmissione
 degli  atti  alla  Corte  costituzionale sia notificata alle parti in
 causa, nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri, e comunicata
 ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
   Cosi' deciso in Milano, addi' 27 ottobre 1999.
                 Il presidente e relatore: Bonavitacola
 00C0112