N. 55 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 dicembre 1999

                                 N. 55
  Ordinanza  emessa  il  9 dicembre 1999 dal tribunale di Brindisi nel
 procedimento civile vertente tra Scagliarini Cesare ed altra e  Banca
 Mediterranea S.p.a.
 Credito  (Istituti  di)  -  Interessi  bancari  -  Clausole  relative
    all'anatocismo contenute  nei  contratti  stipulati  anteriormente
    alla  delibera  CICR  di  cui  all'art.  25,  d.lgs. n. 342/1999 -
    Prevista validita' ed efficacia  fino  alla  data  di  entrata  in
    vigore  di tale delibera - Denunciata mancanza di una legge delega
    riferibile alla disciplina dei singoli  contratti  bancari  e,  in
    particolare,   alle  "modalita'  di  calcolo  degli  interessi"  -
    Esorbitanza dai limiti temporali delle deleghe ex artt.  25, legge
    n. 142/1992 e 1, legge n. 128/1998 - Violazione, in subordine, dei
    limiti all'emanazione di  norme  di  interpretazione  autentica  -
    Lesione   dei  principi  di  ragionevolezza  e  di  uguaglianza  -
    Violazione  delle  funzioni  riservate  al  potere  giudiziario  -
    Carenza  di  delega  ad emanare norme retroattive e violazione dei
    limiti ad esse inerenti - Contrasto con la  tutela  costituzionale
    del risparmio.  D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 342, art. 25, comma 3.
  Costituzione, artt. 3, 24, 47, 76, 101, 102 e 104.
(GU n.9 del 23-2-2000 )
                               IL TRIBUNALE
   Ha  emesso  la  seguente  ordinanza  di  rimessione  degli atti per
 giudizio incidentale  di  legittimita'  costituzionale  relativamente
 all'art.  25, comma 3, d.lgs. 4 agosto 1999, n. 342 (pubblicato nella
 Gazzetta Ufficiale del 4 ottobre 1999, n. 233 ed entrato in vigore il
 19 ottobre 1999).
   Nella  causa  civile  iscritta  al  n. 1138/99 r.g.a.c., avente per
 oggetto - opposizione a decreto ingiuntivo  tra  Scagliarini  Cesare,
 Lopez Rosaria, rappresentati e difesi dall'avv. A. Nozzi, opponenti e
 Banca  Mediterranea  S.p.a.,  rappresentata  e  difesa  dall'avv.  G.
 Semeraro, opposta;
   Preliminarmente  appare  opportuno   segnalare   all'ecc.ma   Corte
 costituzionale   che  la  presente  ordinanza  si  differenzia  dalla
 precedente gia' emessa  l'8  novembre  1999  da  questo  g.u.,  sulla
 medesima  questione,  in  quanto  tratta anche il particolare profilo
 relativo alla portata ed agli effetti degli artt. 2, lettera b), e 33
 della legge 128/1998 (dalla quattordicesima alla ventesima pagina);
                        Svolgimento del processo
   Con atto notificato il 7 giugno 1999  Scagliarini  Cesare  e  Lopez
 Rosaria,  nella  qualita'  di  fideiussori,  proponevano  opposizione
 avverso il decreto ingiuntivo n.  66/99  emesso  dal  Presidente  del
 tribunale  di  Brindisi  il  19 marzo 1999, contenente ingiunzione di
 pagamento  in  favore  della  Banca  Mediterranea   S.p.a.   per   L.
 34.620.256,  a  titolo di saldo del conto corrente bancario intestato
 alla debitrice principale, s.r.l. Brasil, oltre interessi legali fino
 al soddisfo e spese di procedura; eccepivano  che  l'ammontare  della
 somma  pretesa  dalla  banca  e'  frutto  di  errati conteggi e di un
 incongrua applicazione dei tassi  di  interesse;  rilevavano  di  non
 avere   mai  avuto  comunicazione  degli  estratti  conto  periodici;
 eccepivano la nullita' della clausola  contrattuale  che  prevede  la
 capitalizzazione  trimestrale  degli interessi debitori per contrasto
 con i limiti dettati dall'art. 1283 c.c.; tanto premesso, citavano la
 Banca Mediterranea S.p.a a  comparire  dinanzi  a  questo  tribunale,
 chiedendo   la  revoca  del  decreto  ingiuntivo,  la  determinazione
 dell'effettivo ammontare del credito con l'ausilio di una  CTU  e  la
 condanna  della  controparte  alla  cancellazione  dell'ipoteca ed al
 pagamento delle spese processuali. Con comparsa  di  risposta  dell'8
 settembre  1999  si  costituiva la Banca Mediterranea S.p.a; rilevava
 l'assoluta infondatezza delle avverse eccezioni; soggiungeva  che  il
 credito  era stato oggetto di riconoscimento da parte degli opponenti
 in una lettera con cui gli stessi avevano formulato una  proposta  di
 pagamento  di  L.  10.000.000  "a  chiusura e stralcio della garanzia
 fideiussoria"; rilevava che gli estratti conto  periodici  non  erano
 stati mai contestati ne' dagli opponenti ne' dal debitore principale;
 chiedeva  il rigetto dell'opposizione e la condanna delle controparti
 al pagamento delle spese processuali.
   All'udienza di trattazione (art. 183 c.p.c.)  i  procuratori  delle
 parti  non modificavano le rispettive domande ed eccezioni. Alla luce
 di tanto, appare preliminare ai fini della decisione proporre, in via
 incidentale, la questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.
 25, comma terzo, d.lgs. 4 agosto 1999, n. 342 (pubblicato nella nella
 Gazzetta  Ufficiale del 4 ottobre 1999 n. 233 ed entrato in vigore il
 19 ottobre 1999 per le ragioni che di seguito vengono  formulate.
                               Rilevanza
 L'art. 25 del d.lgs. 4  agosto  1999,  n.  342  modifica  la  rubrica
 dell'art.  120  t.u.  delle  leggi  in materia bancaria e creditizia,
 sostituendola con la seguente: "decorrenza delle valute  e  modalita'
 di  calcolo  degli  interessi";  inoltre  aggiunge al primo comma del
 suddetto art. 120 t.u. il seguente secondo comma: "Il CICR stabilisce
 modalita' e criteri per la produzione di  interessi  sugli  interessi
 maturati    nelle   operazioni   poste   in   essere   nell'esercizio
 dell'attivita' bancaria, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni
 in conto corrente sia assicurata nei  confronti  della  clientela  la
 stessa  periodicita'  nel  conteggio degli interessi sia debitori che
 creditori"; infine il terzo comma dell'art. 25 recita:  "Le  clausole
 relative  alla  produzione  di  interessi  sugli  interessi maturati,
 contenute nei contratti stipulati anteriormente alla data di  entrata
 in  vigore  della delibera di cui al comma 2, sono valide ed efficaci
 fino a tale data e, dopo di essa, debbono essere adeguate al disposto
 della menzionata delibera, che stabilira' altresi' le modalita' ed  i
 tempi  dell'adeguamento.  In  difetto  di  adeguamento,  le  clausole
 divengono inefficaci e l'inefficacia puo' essere  fatta  valere  solo
 dal  cliente".  Tale  ultima disposizione, che afferma la validita' e
 l'efficacia delle clausole sull'anatocismo trimestrale contenute  nei
 contratti  di  conto  corrente  stipulati in passato, si applica alla
 fattispecie dedotta nel presente giudizio di  opposizione  a  decreto
 ingiuntivo,  ai fini della decisione sull'eccezione di nullita' della
 clausola contrattuale che  prevede  la  capitalizzazione  trimestrale
 degli interessi.
                      Non manifesta infondatezza
   1.  -  Contrasto  con  l'art.  76 cost. - Carenza assoluta di legge
 delega.  La legge 23 agosto 1988, n. 400  al  capo  3  disciplina  la
 Potesta'  normativa  del Governo; l'art. 14 si occupa dell'emanazione
 dei decreti legislativi ed in particolare il primo comma dispone:  "I
 decreti  legislativi adottati dal Governo ai sensi dell'art. 76 della
 Costituzione sono emanati dal  Presidente  della  Repubblica  con  la
 denominazione  di  ''decreto  legislativo''  e con l'indicazione, nel
 preambolo,  della  legge  di  delegazione  della  deliberazione   del
 Consiglio  dei  Ministri  e  degli altri adempimenti del procedimento
 prescritti dalla legge di delegazione".   Il preambolo del  d.lgs.  4
 agosto  1999,n.  342  contiene  l'indicazione  delle  seguenti  fonti
 normative:   a) l'art. 25  della  legge  18  febbraio  1992,  n.  142
 concernente  l'attuazione della direttiva n. 89/464/CEE del Consiglio
 del 15 dicembre 1989; b) l'art. 1, comma 5,  della  legge  24  aprile
 1998,  n.  128  recante  disposizioni  per  l'adempimento di obblighi
 derivanti dall'appartenenza dell'Italia alla Comunita' europea; c) il
 decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385 recante il  testo  unico
 delle   leggi  in  materia  bancaria  e  creditizia;  d)  il  decreto
 legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 recante il testo unico in materia
 di  intermediazione    finanziaria.    Di  tali  fonti  di produzione
 soltanto le prime due (l'art. 25 della legge 18 febbraio 1992, n. 142
 e l'art. 1, comma 5, della legge 24  aprile  1998,  n.  128)  possono
 contenere  la  legge  delega posta a base del d.lgs. n. 342/1999.  Le
 altre due (il decreto legislativo 1 settembre 1993, n.  385,  recante
 il  testo  unico  delle leggi in materia bancaria e creditizia, ed il
 decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, recante il  testo  unico
 in   materia   di   intermediazione   finanziaria),  essendo  decreti
 legislativi, non contengono a loro volta leggi di  delegazione;  esse
 sono  state  richiamate  nella premessa in quanto integrano il quadro
 normativo vigente  nella  materia  degli  enti  creditizi,  al  quale
 vengono  apportate modifiche ed integrazioni per mezzo del  d.lgs. in
 esame.   L'art. 25 della legge 18  febbraio  1992,  142,  concernente
 l'attuazione  della  direttiva  n.  89/464/CEE  del  Consiglio del 15
 dicembre  1989,  e'  intitolato  "Accesso  all'attivita'  degli  enti
 creditizi  ed  esercizio  della medesima: criteri direttivi" e recita
 testualmente: "L'attuazione della direttiva del Consiglio  89/646/CEE
 deve  avvenire  in conformita' dei seguenti principi:  a) l'attivita'
 di raccolta fra il pubblico di depositi o  altri  fondi  rimborsabili
 per l'esercizio del credito e' riservata agli enti creditizi; restano
 ferme  la  disciplina del codice civile sulla raccolta delle societa'
 di capitali nonche' le discipline speciali sulla raccolta degli  enti
 pubblici e di particolari categorie di imprese; b) gli enti creditizi
 restano   soggetti  per  le  attivita'  esercitate  in  Italia  sulla
 vigilanza dell'Autorita' dello Stato membro della Comunita' economica
 europea che ha dato l'autorizzazione, purche' ivi si  trovi  la  sede
 statutaria  e  l'amministrazione  centrale  dell'ente;  c)  gli  enti
 possono prestare  in  Italia  i  servizi  di  cui  all'allegato  alla
 direttiva  del  Consiglio 89/646/CEE direttamente o per il tramite di
 succursali o filiazioni alle condizioni di cui alla direttiva stessa,
 sempre che tali attivita'  siano  state  autorizzate  sulla  base  di
 requisiti  oggettivi;  d) gli enti possono procedere alla pubblicita'
 relativamente ai servizi offerti, alle  condizioni  previste  per  le
 medesime  attivita'  dalla  disciplina  italiana  e  restano ferme le
 disposizioni tributarie  vigenti  per  l'accertamento  delle  imposte
 dovute  dai  residenti  ed  ogni  altra  disposizione sanzionatoria e
 penale concernente l'attivita' creditizia e  finanziaria;  e)  dovra'
 essere  adottata ogni altra disposizione necessaria per adeguare alla
 direttiva del Consiglio 89/646/CEE la disciplina vigente per gli enti
 creditizi autorizzati in Italia.
   2. - Il Governo, su proposta del Ministro del tesoro e  sentito  il
 parere  delle  competenti  commissioni  permanenti  della  Camera dei
 deputati  e  del  Senato  della  Repubblica,  da   esprimersi   entro
 quarantacinque  giorni,  e'  delegato ad emanare, entro diciotto mesi
 dalla data di entrata in vigore della presente legge, un testo  unico
 delle  disposizioni  adottate ai sensi del comma 1, coordinato con le
 altre disposizioni vigenti  nella  stessa  materia,  apportandovi  le
 modifiche   necessarie   a   tal  fine.  Restano  comunque  ferme  le
 disposizioni contenute nella legge 10 ottobre 1990, n.  287  (23),  e
 nella legge 2 gennaio 1991, n. 1 (24).
   3.  -  In  quanto  compatibili,  si applicano le altre disposizioni
 contenute nel titolo V della legge  10  ottobre  1990,  n.  287,  ivi
 comprese   quelle  relative  alla  sussistenza  del  controllo,  agli
 obblighi  relativi  alle   autorizzazioni   e   comunicazioni,   alla
 sospensione  del  voto,  all'obbligo  di  alienazione,  alle sanzioni
 penali e ai conflitti di interesse.   E' evidente che  nessuna  delle
 disposizioni  del  citato  articolo  25  contiene  deleghe  o criteri
 direttivi che possano riferirsi, sia pure in  forma  indiretta,  alla
 materia   dei  singoli  contratti  o  servizi  bancari,  ovvero  alle
 "modalita' di calcolo degli interessi".  Infatti i criteri di  delega
 dettati  alle  lettere  a),  b),  c),  d), del primo comma riguardano
 tutt'altre materie:    la  lettera  a)  afferma  che  l'attivita'  di
 raccolta  di  depositi  o  fondi  riservata  agli  enti creditizi; la
 lettera  b)  concerne   l'attivita'   di   vigilanza   sull'attivita'
 esercitata  in  Italia  da  banche  estere;  la lettera c) ammette la
 prestazione di servizi in Italia da parte  di  succursali  di  banche
 estere;  la  lettera d) attiene alla disciplina della pubblicita' dei
 propri servizi da parte degli enti creditizi   autorizzati.   Occorre
 infine rilevare che la lettera e) del citato primo comma contiene una
 delega  che  potremmo  definire  "di  chiusura", in quanto rimette al
 Governo  l'adozione  di  "ogni  altra  disposizione  necessaria   per
 adeguare  alla  direttiva  del  Consiglio  89/646/CEE  la  disciplina
 vigente per gli enti creditizi autorizzati in Italia". Alla  luce  di
 tale   ultima   disposizione   e'   necessario   procedere  all'esame
 dettagliato  della  Direttiva  comunitaria  n.  646/89,  al  fine  di
 verificare  se  la  stessa contenga disposizioni o principi aventi ad
 oggetto la disciplina  dei  singoli  contratti  bancari  e,  piu'  in
 particolare, la "modalita' di calcolo degli interessi".  Solo in tale
 ipotesi  infatti l'art. 25, legge 142/1992 (in forza della lettera e)
 del comma 1) conferirebbe al Governo la delega a legiferare in  detta
 materia.  La  Direttiva  comunitaria  in questione (la 89/646 CEE del
 Consiglio, del 15 dicembre  1989,  relativa  al  coordinamento  delle
 disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative riguardanti
 l'accesso  all'attivita'  degli  enti creditizi ed il suo esercizio e
 recante  modifiche  alla  direttiva  77/780/CEE)  contiene   un'ampia
 premessa  enunciativa  delle  finalita'  di  carattere generale ed in
 particolare afferma la necessita' di realizzare il  mercato  interno,
 come  deciso  con  l'atto  unico europeo e come programmato nel Libro
 Bianco della Commissione, sotto il duplice profilo della liberta'  di
 stabilimento e della libera prestazione dei servizi nel settore degli
 enti  creditizi; cio' attraverso una progressiva armonizzazione fra i
 singoli ordinamenti (essenziale per il reciproco riconoscimento delle
 autorizzazioni) ed attraverso la creazione di un sistema di vigilanza
 prudenziale che  consenta  il  rilascio  di  un'unica  autorizzazione
 valida per tutta la comunita' e l'attuazione della vigilanza da parte
 del  solo  Stato  membro  d'origine.   Come si vede, gia' la premessa
 della Direttiva non contiene alcun principio  che  possa  in  qualche
 modo, sia pure indirettamente, ricondursi alla disciplina dei singoli
 contratti  bancari e, piu' in particolare, alla "modalita' di calcolo
 degli interessi". Tale rilievo  trova  riscontro  nel  contenuto  dei
 singoli  articoli  della  Direttiva:    art.  l (definizione di "ente
 creditizio"); art. 2 (applicabilita' della direttiva a tutti gli enti
 creditizi); art.  3  (divieto  per  soggetti  diversi  dalle  imprese
 creditizie  di  svolgere attivita' di raccolta di depositi o di altri
 fondi); art. 4 (capitale minimo  di  5  milioni  di  ECU  per  essere
 autorizzati  a  svolgere  attivita'  di impresa   creditizia); art. 5
 (trasparenza e obbligo di  comunicazioni  sull'identita'  di  persone
 fisiche   o   giuridiche  che  detengano  partecipazioni  qualificate
 nell'ente creditizio); art. 6  (eliminazione  dell'autorizzazione  di
 cui  all'art.  4 della direttiva 77/780 CEE per le succursali di enti
 creditizi gia' autorizzati in altri  Stati);  art.  7  (consultazioni
 preventive  ai  fini  del rilascio di autorizzazioni fra le autorita'
 degli Stati membri in caso di  filiazioni  di  enti  creditizi  o  di
 controlli  fra  enti);  art.  8  (casi in cui le autorita' competenti
 degli Stati devono informare la commissione);  art.  9  (informazioni
 alla  Commissione  in  caso  di  difficolta'  di  carattere  generale
 incontrate  da   propri   enti   creditizi   nello   stabilimento   o
 nell'esercizio   dell'attivita'   in   un   paese   terzo);  art.  10
 (conservazione  dell'integrita'  del  capitale   iniziale   dell'ente
 creditizio);  art. 11 (obbligo di informazione all'autorita' circa la
 detenzione  da  parte  di  persone  fisiche  o  giuridiche  di  quote
 qualificate  di  partecipazione  nel  capitale dell'ente creditizio);
 art. 12 (divieto per gli enti creditizi di detenere partecipazioni in
 altre imprese non creditizie nella misura superiore al 15% dei propri
 fondi);  art.  13   (vigilanza   prudenziale   esercitata   sull'ente
 creditizio   dall'autorita'   dello   Stato   d'origine);   art.   14
 (integrazione dell'art. 7 della direttiva 77/780 ed altre disposiziom
 in  tema  di  vigilanza  su  liquidita',  solvibilita',  depositi   e
 contabilita'  degli  enti  creditizi); art. 15 (vigilanza di cui all'
 art. l4 anche  sulle  succursali);  art.  16  (rispetto  del  segreto
 d'ufficio);  art.  17  (previsione di sanzioni per gli enti creditizi
 che non ottemperino agli  obblighi  in  materia  di  controllo  o  di
 regolamentazione  dell'attivita')  ed  infine  gli  artt.  18, 19, 20
 (disposizioni relative  alla  liberta'  di  stabilimento  degli  enti
 creditizi  e delle succursali).  In conclusione l'art. 25 della legge
 19 dicembre 1992, n. 142 non contiene alcuna delega per  l'emanazione
 di decreti legislativi sulla disciplina dei singoli contratti bancari
 e, piu' in particolare, sulla "modalita' di calcolo degli interessi".
 Occorre  adesso passare all'esame della seconda legge delega indicata
 nella premessa del d.lgs. in esame, cioe' l'art. l,  comma  5,  della
 legge  24  aprile 1998, n. 128 recante disposizioni per l'adempimento
 di obblighi derivanti dall'appartenenza  dell'Italia  alle  Comunita'
 europee.    Il  predetto  art. l e' intitolato "Delega al Governo per
 l'attuazione di direttive comunitarie" e recita testualmente: "1)  Il
 Governo  e'  delegato  ad  emanare, entro il termine di un anno dalla
 data di entrata in vigore della presente legge, i decreti legislativi
 recanti le  norme  occorrenti  per  dare  attuazione  alle  direttive
 comprese  nell'elenco di cui all'allegato A; la scadenza e' prorogata
 di sei mesi  se,  per  effetto  di  direttive  notificate  nel  corso
 dell'anno  di  delega, la disciplina risultante da direttive comprese
 nell'elenco e' modificata senza che siano introdotte nuove  norme  di
 principio.    2)  I  decreti  legislativi sono adottati, nel rispetto
 dell'articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta  del
 Presidente  del  Consiglio dei Ministri o del Ministro competente per
 il coordinamento delle  politiche  comunitarie  e  dei  Ministri  con
 competenza  istituzionale  nella  materia, di concerto con i Ministri
 degli affari esteri, di grazia e giustizia, del tesoro, del  bilancio
 e della programmazione economica e con gli altri Ministri interessati
 in  relazione all'oggetto della direttiva, se non proponenti.  3) Gli
 schemi dei decreti legislativi  recanti  attuazione  delle  direttive
 comprese nell'elenco di cui all'allegato B a seguito di deliberazione
 preliminare  del  Consiglio  dei  Ministri,  sono trasmessi, entro il
 termine di cui al comma 1, alla Camera dei deputati e al Senato della
 Repubblica perche' su di essi sia  espresso,  entro  quaranta  giorni
 dalla  data  di  trasmissione, il parere delle Commissioni competenti
 per materia; decorso tale termine, i decreti sono  emanati  anche  in
 mancanza  di detto parere.  Qualora il termine previsto per il parere
 delle Commissioni scada nei trenta giorni che precedono  la  scadenza
 dei termini previsti al comma 1 o successivamente, questi ultimi sono
 prorogati di novanta giorni.  4) Entro due anni dalla data di entrata
 in  vigore  della presente legge, nel rispetto dei principi e criteri
 direttivi da essa fissati, il Governo puo' emanare, con la  procedura
 indicata  nei  commi 2 e 3, disposizioni integrative e correttive dei
 decreti legislativi  emanati  ai  sensi  del  comma  1  del  presente
 articolo  e  ai sensi dell'articolo 17.  5) Il Governo e' delegato ad
 emanare, entro il termine di cui al comma 1, e con  le  modalita'  di
 cui  ai commi 2 e 3, disposizioni integrative e correttive del d.lgs.
 1 settembre  1993,  n.  385  (3),  e  successive  modificazioni,  nel
 rispetto  dei  principi  e criteri direttivi e con l'osservanza della
 procedura indicati nell'articolo 25 dellla legge 19 febbraio 1992, n.
 142 (4).  6) Il Governo e' delegato ad emanare, entro il  termine  di
 cui  al  comma 1, disposizioni integrative e correttive del d.lgs. 14
 agosto 1996, n. 494 (5), di recepimento della direttiva 92/57/CEE del
 Consiglio, nel rispetto  dei  principi  e  criteri  direttivi  e  con
 l'osservanza  delle  procedure indicate dalla legge 22 febbraio 1994,
 n. 146 (6), e dalla legge 6 febbraio 1996, n. 52 (7).  Nell'esercizio
 della  delega  il  Governo  dispone l'applicazione delle norme di cui
 all'articolo 10 del citato decreto legislativo n. 494 del 1996 (5)  a
 laureati  con  adeguata competenza tecnica o documentabile esperienza
 curriculare e professionale nel  settore  della  sicurezza.    7)  Il
 Governo  e' delegato ad emanare, entro il termine di cui al comma l e
 con le modalita' di cui ai commi 2 e 3, le disposizioni integrative e
 correttive necessarie ad adeguare la disciplina  recata  dal  decreto
 legislativo  26  novembre  1992, n. 470, alle direttive del Consiglio
 90/364/CEE, 90/365/CEE e  93/96/CEE,  nel  rispetto  dei  principi  e
 criteri direttivi di cui all'articolo 6, comma 1, lettere, a), b), c)
 e  d)  della  legge  19  febbraio 1992, n. 142 (4).  8) Il Governo e'
 delegato ad emanare, secondo i criteri e i principi direttivi di  cui
 all'articolo 2, entro il termine di cui al comma 1 e con le modalita'
 di  cui  ai  commi  2  e  3  del  presente  articolo, le disposizioni
 integrative  e correttive necessarie ad adeguare la disciplina recata
 dal d.lgs. 10 settembre 1991, n. 303, alla direttiva  86/653/CEE  del
 Consiglio,  relativa  al coordinamento dei diritti degli Stati membri
 concernenti gli agenti commerciali indipendenti.  9) Entro  sei  mesi
 dalla  data  di  entrata  in  vigore  della  presente  legge,  con le
 modalita' di cui ai commi  2  e  3,  informandosi  ai  criteri  e  ai
 principi generali di cui all'articolo 2, e' data attuazione:  a) alla
 direttiva   93/118/CE   del  Consiglio,  che  modifica  la  direttiva
 85/73/CEE del Consiglio, relativa al finanziamento delle ispezioni  e
 dei  controlli sanitari delle carni fresche e delle carni di volatili
 da  cortile,  informandosi  anche  ai  criteri   specifici   previsti
 all'articolo  35  della  legge 6 febbraio 1996, n. 52 (7/a) e tenendo
 conto delle direttive del Consiglio 94/64/CE,  95/24/CE,  96/17/CE  e
 96/43/CE,  di  modifica  della  citata  direttiva  85/73/CEE; b) alla
 direttiva 93/119/CE del Consiglio,  relativa  alla  protezione  degli
 animali  durante la macellazione o l'abbattimento, informandosi anche
 ai criteri specifici previsti all'articolo 37 della legge 6  febbraio
 1996,  n.  52  (7a);  c)  alla direttiva 95/29/CE del Consiglio sulla
 protezione degli  animali  durante  il  trasporto  e  alla  direttiva
 97/2/CE  del  Consiglio  sulle  norme  minime  per  la protezione dei
 vitelli, tenendo conto della decisione della Commissione  97/182/CE".
 Il  primo  comma  dell'art.  1,  che  delega  il Governo ad emanare i
 decreti legislativi recanti le norme  di  attuazione  alle  direttive
 comprese,  nell'apposito elenco di cui all'Allegato A e' strettamente
 correlato con il quinto comma (quello richiamato nella  premessa  del
 d.lgs.   342/99),   in   quanto   quest'ultimo  (con  piu'  specifico
 riferimento alla materia degli enti creditizi) delega il  Governo  ad
 emanare, con d.lgs., le norme che (proprio al fine di dare attuazione
 alle Direttive comunitarie di cui all'Allegato A richiamato nel primo
 comma) dovranno integrare e modificare il d.lgs. 1 settembre 1993, n.
 385. Infine, il quinto comma dispone che tali disposizioni il Governo
 dovra' emanare nel rispetto dei principi e criteri direttivi indicati
 nell'art. 25 della legge 19 febbraio 1992, n. 142.  Dunque i punti di
 riferimento che consentono di individuare l'oggetto ed i limiti della
 delega  legislativa in esame sono:  a) i principi e criteri direttivi
 dettati dall'art. 25, legge n. 142/1992; b) altri principi e  criteri
 direttivi  contenuti  negli  artt.  2  e  33  della legge n. 128/1998
 relativamente alla materia degli  enti  creditizi;  c)  il  contenuto
 delle  direttive  comunitarie  di  cui  all'Allegato A richiamato nel
 primo comma dell'art. 1, legge n. 128/1998. In base a tali  fonti  si
 deve   accertare   se  il  Governo  sia  stato  delegato  ad  emanare
 disposizioni sulla disciplina dei singoli contratti bancari  e  sulle
 "modalita'   di   calcolo  degli  interessi".     Come  gia'  innanzi
 dimostrato, i principi e  criteri  direttivi  dettati  dall'art.  25,
 legge  n.  142/1992  riguardano  materie  del tutto diverse da quella
 relativa ai singoli contratti o servizi bancari ed alle "modalita' di
 calcolo degli interessi".   Sempre in  tema  di  principi  e  criteri
 direttivi, anche gli artt.  2 e 33 della stessa legge 24 aprile 1998,
 n.  128  (non espressamente richiamati nel quinto comma dell'art. 25,
 legge  n.  142/1992,  ma  comunque  contenenti  principi  e   criteri
 direttivi  generali  della  legge  di  delega  ed  ulteriori  criteri
 specifici per la materia delle imprese finanziarie) non  fanno  alcun
 riferimento  alla  disciplina  dei  singoli  contratti  o dei servizi
 bancari, ne' tanto meno alle modalita' di  calcolo  degli  interessi.
 In  particolare,  circa  l'art.  2  ("Salvi  gli specifici principi e
 criteri direttivi stabiliti negli articoli seguenti ed in aggiunta  a
 quelli contenuti nelle direttive da attuare, i decreti legislativi di
 cui  all'articolo  1 saranno informati ai seguenti principi e criteri
 direttivi generali:  a) le amministrazioni  direttamente  interessate
 provvederanno all'attuazione dei decreti legislativi con le ordinarie
 strutture amministrative; b) per evitare disarmonie con le discipline
 vigenti per i singoli settori interessati dalla normativa da attuare,
 saranno  introdotte  le  occorrenti  modifiche  o  integrazioni  alle
 discipline  stesse;  c)  salva  l'applicazione  delle  norme   penali
 vigenti,   ove   necessario   per   assicurare   l'osservanza   delle
 disposizioni contenute  nei  decreti  legislativi,  saranno  previste
 sanzioni  amministrative e penali per le infrazioni alle disposizioni
 dei decreti stessi.  Le sanzioni penali, nei limiti, rispettivamente,
 dell'ammenda fino a lire duecento milioni e dell'arresto fino  a  tre
 anni, saranno previste, in via alternativa o congiunta, solo nei casi
 in cui le infrazioni ledano o espongano a pericolo interessi generali
 dell'ordinamento  interno  del tipo di quelli tutelati dagli articoli
 34 e 35 della legge 24 novembre 1981, n.  689  (8).    In  tali  casi
 saranno previste: la pena dell'ammenda alternativa all'arresto per le
 infrazioni   che   espongano  a  pericolo  o  danneggino  l'interesse
 protetto; la pena dell'arresto congiunta a quella dell'ammenda per le
 infrazioni che rechino un danno di particolare gravita'. La  sanzione
 amministrativa  del  pagamento  di  una  somma  non  inferiore a lire
 cinquantamila e non superiore a lire duecento milioni sara'  prevista
 per le infrazioni che ledano o espongano a pericolo interessi diversi
 da  quelli  sopra indicati.   Nell'ambito dei limiti minimi e massimi
 previsti, le sanzioni sopra indicate saranno determinate  nella  loro
 entita'    tenendo   conto   della   diversa   potenzialita'   lesiva
 dell'interesse protetto che ciascuna infrazione presenta in astratto,
 di specifiche qualita' personali del colpevole, comprese  quelle  che
 impongono  particolari  doveri di prevenzione, controllo o vigilanza,
 nonche' del vantaggio patrimoniale che l'infrazione  puo'  recare  al
 colpevole  o  alla  persona  o ente nel cui interesse egli agisce. In
 ogni caso, in deroga ai limiti sopra indicati, per le infrazioni alle
 disposizioni dei decreti legislativi saranno previste sanzioni penali
 o amministrative identiche  a  quelle  eventualmente  gia'  comminate
 dalle  leggi  vigenti  per le violazioni che siano omogenee e di pari
 offensivita' rispetto alle infrazioni medesime;  d)  eventuali  spese
 non  contemplate  da  leggi  vigenti e che non riguardino l'attivita'
 ordinaria delle amministrazioni statali o regionali  potranno  essere
 previste  nei soli limiti occorrenti per l'adempimento degli obblighi
 di attuazione delle direttive; alla relativa copertura, in quanto non
 sia possibile far fronte con i fondi gia' assegnati  alle  competenti
 amministrazioni,  si  provvedera' a norma degli articoli 5 e 21 della
 legge 16 aprile 1987, n. 183 (9),  osservando  altresi'  il  disposto
 dell'articolo  11-ter,  secondo  comma, della legge 5 agosto 1978, n.
 468 (10), introdotto dall'articolo 7 della legge 23 agosto  1988,  n.
 362,  e  successive modificazioni; e) all'attuazione di direttive che
 modificano precedenti direttive gia'  attuate  con  legge  o  decreto
 legislativo   si   provvedera',  se  la  modificazione  non  comporta
 ampliamento della  materia  regolata,  apportando  le  corrispondenti
 modifiche  alla  legge  o  al decreto legislativo di attuazione della
 direttiva modificata; f) abolizione dei diritti speciali o esclusivi,
 con regime autorizzatorio a favore di terzi, in tutti i casi  in  cui
 il   loro   mantenimento   ostacoli  la  prestazione,  in  regime  di
 concorrenza, di servizi  che  formano  oggetto  di  disciplina  delle
 direttive  per  la  cui  attuazione  e'  stata  conferita  la  delega
 legislativa, o di servizi a questi connessi; g) i decreti legislativi
 assicureranno  in  ogni  caso  che,  nelle  materie  trattate   dalle
 direttive  da attuare, la disciplina disposta sia pienamente conforme
 alle prescrizioni delle direttive medesime, tenuto anche conto  delle
 eventuali   modificazioni   comunque   intervenute  fino  al  momento
 dell'esercizio della delega; h) nelle  materie  di  competenza  delle
 regioni  a  statuto ordinario e speciale e delle province autonome di
 Trento e di Bolzano saranno osservati  l'articolo  9  della  legge  9
 marzo  1989, n. 86 (11), e l'articolo 6, primo comma, del decreto del
 Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616") si deve rilevare
 che, in base alla lettera b), il Governo e' delegato ad introdurre le
 occorrenti  modifiche o integrazioni necessarie ad evitare disarmonie
 con le discipline vigenti per i  singoli  settori  interessati  dalla
 normativa  comunitaria  da attuare.  Cio' implica che (in armonia con
 quanto dispone l'art. 1, comma 5) le modifiche ed integrazioni che  i
 decreti  legislativi  di  cui all'art. 1 possono apportare alle norme
 vigenti nel nostro ordinamento, nella materia degli  enti  creditizi,
 riguardano   esclusivamente   le  disposizioni  il  cui  oggetto  sia
 strettamente attinente alle disposizioni  comunitarie  da  attuare  e
 dunque con sicura esclusione del settore relativo alla disciplina dei
 singoli  contratti  o  servizi  bancari  (tanto  piu' della specifica
 regolamentazione delle  modalita'  di  calcolo  degli  interessi)  in
 quanto   costituente  campo  non  interessato  in  alcun  modo  dalla
 normativa comunitaria da attuare come sara' di  seguito  dimostrato).
 Diversamente   opinando,   si  darebbe  luogo  ad  un'interpretazione
 illegittimamente abrogativa del limite espressamente contenuto  nella
 menzionata  disposizione  di  cui  lettera  b)  dell'art.  2, laddove
 vengono richiamati "i singoli settori interessati dalla normativa  da
 attuare".  Ed infatti, se si ha riguardo agli oggetti specifici delle
 disposizioni contenute nelle direttive comunitarie in questione (che,
 si torna a dire, non hanno alcuna relazione con il  settore  relativo
 alla  materia dei singoli contratti o servizi bancari) non si vede in
 quale modo l'attuazione nel nostro  ordinamento  di  dette  direttive
 possa  determinare  delle disarmonie con la preesistente normativa in
 materia  di  interessi  convenzionali  ed  anatocistici  nei  singoli
 contratti  bancari.    Circa  l'art.  33:  ("Al fine di rafforzare la
 vigilanza prudenziale in tutto il settore dei servizi finanziari,  il
 Governo  e'  delegato  a  emanare  uno o piu' decreti legislativi per
 adeguare ai princi'pi e alle prescrizioni  della  direttiva  95/26/CE
 del  Parlamento  europeo e del Consiglio la normativa nazionale delle
 imprese finanziarie:  banche, societa' di intermediazione  mobiliare,
 organismi di investimento collettivo in valori mobiliari e imprese di
 assicurazione.      2)  L'attuazione  della  direttiva  95/26/CE  del
 Parlamento europeo  e  del  Consiglio  sara'  informata  ai  seguenti
 princi'pi e criteri direttivi:  a) assicurare che la soggezione delle
 imprese   finanziarie   alla   normativa   nazionale   sia  collegata
 all'effettivo svolgimento  in  Italia  dell'attivita'  propria  delle
 imprese  medesime.  A  tal  fine, le autorita' competenti al rilascio
 dell'autorizzazione dovranno verificare  che  la  sede  legale  e  la
 direzione  generale  delle  imprese  finanziarie  siano  situate  nel
 territorio della Repubblica. Le autorita' competenti,  nell'esercizio
 delle  funzioni  di  vigilanza  e  di  controllo,  assicurano che non
 sussistano stretti legami, ai sensi della direttiva 95/26/CE, tra  le
 imprese  finanziarie  e  altre  persone fisiche o giuridiche, tali da
 ostacolare l'effettivo esercizio della vigilanza; b)  ferma  restando
 la   garanzia  della  riservatezza  delle  informazioni  nei  settori
 interessati  dalla  direttiva  da  attuare,  consentire   scambi   di
 informazioni  tra  le autorita' competenti ai controllo delle imprese
 finanziarie e le altre autorita' od organismi, anche  monetari  o  di
 compensazione,  gli  organi  delle  procedure concorsuali, i soggetti
 abilitati a svolgere  un'attivita'  di  controllo  legale  dei  conti
 presso   imprese   finanziarie   o   gli  altri  soggetti  anche  non
 appartenenti alle pubbliche amministrazioni previsti dalla  direttiva
 alle  condizioni  ivi indicate. Le informazioni trasmesse o scambiate
 dovranno, comunque, essere preordinate  esclusivamente  all'esercizio
 delle  funzioni di vigilanza; c) prevedere che i soggetti abilitati a
 svolgere un'attivita'  di  controllo  legale  dei  conti  presso  una
 impresa  finanziaria  o  qualsiasi altro incarico ufficiale presso la
 stessa o presso una  impresa  legata  a  questa  da  stretti  legami,
 secondo  i  criteri  stabiliti  dalla direttiva, abbiano l'obbligo di
 comunicare alle autorita' di vigilanza competenti fatti rilevanti, di
 cui essi siano venuti a conoscenza nell'esercizio dell'incarico,  che
 possano  costituire  violazione di norme legislative o regolamentari,
 pregiudicare la continuita' dell'impresa, comportare il rifiuto della
 certificazione o l'emissione di riserve") occorre  rilevare  che,  al
 secondo  comma  lettere  a),  b)  e c), nel fissare criteri di delega
 specifici  per  la  materia  delle  imprese  finanziarie   (ulteriori
 rispetto  a quelli gia' fissati nell'art. 25 legge 19 febbraio 1992 e
 richiamati dal comma 5 dell'art. 1 legge 128/1998) non  e'  stabilito
 nulla che sia riferibile, anche solo in forma indiretta, alla materia
 dei  singoli  contratti  o servizi bancari, ovvero alle "modalita' di
 calcolo degli interessi"; in particolare, la lettera a) attiene  alla
 soggezione delle imprese estere alla normativa nazionale italiana, la
 lettera   b)  riguarda  lo  scambio  di  informazioni  fra  autorita'
 nazionali competenti ai controlli, infine la lettera c) prevede,  per
 i  soggetti abilitati a svolgere un'attivita' di controllo legale dei
 conti nelle banche, l'obbligo di comunicare determinate  informazioni
 alle  autorita'  di  controllo.  Infine,  passando  all'analisi delle
 singole Direttive comunitarie, si deve in primo luogo constatare che,
 di tutte quelle elencate nel predetto Allegato  A,  l'unica  relativa
 agli  enti creditizi e' la Direttiva 95/26 CE, del Parlamento europeo
 e del Consiglio, datata 29 giugno 1995,   che modifica  le  direttive
 77/789  CEE  ed  89/646  CEE  (quest'ultima  gia'  innanzi  esaminata
 articolo per articolo).  Anche in questo caso pertanto e'  necessario
 procedere  all'esame  dettagliato delle due Direttive comunitarie nn.
 95/26 CE e 77/789 CEE, al fine di verificare se le stessa  contengano
 disposizioni  o  principi aventi ad oggetto la disciplina dei singoli
 contratti bancari e, piu' in particolare, la  "modalita'  di  calcolo
 degli  interessi".    Solo  in tale ipotesi infatti l'art. 1 legge 24
 aprile 1998, n.  128 conferirebbe al Governo la delega  a  legiferare
 in  detta materia.   E' opportuno iniziare dall'esame della Direttiva
 n. 77/780 CEE, costituendo questa il testo base in cui  si  inserisce
 l'altra  Direttiva, la n.  95/26/CE, introducendo parziali modifiche.
 La Direttiva 77/780 CEE del Consiglio, del 12 dicembre 1977, relativa
 al coordinamento delle  disposizioni  legislative,  regolamentari  ed
 amministrative   riguardanti   l'accesso   all'attivita'  degli  enti
 creditizi ed il  suo  esercizio,  analogamente  alla  gia'  esaminata
 Direttiva  89/646  CEE,  contiene un'ampia premessa enunciativa delle
 finalita' di carattere  generale;  in  particolare  e'  affermata  la
 necessita'  di eliminare le discriminazioni fra gli Stati membri,  in
 materia di stabilimento e di prestazione di  servizi,  fondate  sulle
 nazionalita'  o sul fatto che l'impresa non e'  stabilita nello Stato
 membro in cui la prestazione e' eseguita; si auspica  di  raggiungere
 tale  obbiettivo  attraverso  una  progressiva  armonizzazione  fra i
 singoli ordinamenti, che contempli sia  sistemi  di  controllo  sugli
 enti  creditizi  integrati fra i singoli Stati membri, sia condizioni
 uniformi di autorizzazioni per categorie simili  di  enti  creditizi,
 sia  semplificazione  nelle  autorizzazioni stesse ed esenzione dalle
 procedure nazionali di autorizzazione per la creazione di  succursali
 negli  altri  Stati  membri.   Come si vede, anche in questo caso, la
 premessa delle Direttiva non contiene alcun principio  che  possa  in
 qualche modo, sia pure indirettamente, ricondursi alla disciplina dei
 singoli  contratti bancari e, piu' in particolare, alla "modalita' di
 calcolo degli interessi". Ed anche in  tale  caso  cio'  trova  pieno
 riscontro nel contenuto dei singoli articoli della Direttiva:  art. 1
 (definizione  di  "ente  creditizio";  art.  2  (applicabilita' della
 direttiva  a  tutti  gli  enti  creditizi);  art.  3  (necessita'  di
 un'autorizzazione    preventiva    per   l'esercizio   dell'attivita'
 creditizia);  art.  4  (possibilita  di  subordinare  a   particolari
 autorizzazioni  l'apertura  di  succursali);  art. 5 (identita' della
 denominazione dell'ente creditizio nel territorio dello Stato  membro
 in cui ha sede e fuori di questo); art. 6 (controlli sulla liquidita'
 e  solvibilita'  degli  enti);  art.  7 (collaborazione fra gli Stati
 membri per i controlli sulle succursali  degli enti); art. 8 (casi in
 cui le autorita' competenti degli Stati  revocano  le  autorizzazioni
 agli   enti);  art.  9  (divieto  di  discriminazioni  in  favore  di
 succursali di enti estranei  alla  comunita');  art.  10  (enti  gia'
 autorizzati   prima   dell'attuazione   della   direttiva);  art.  11
 (istituzione di un Comitato  consultivo  delle  autorita'  competenti
 degli  Stati  membri);  art. 12 (segreto d'ufficio); art. 13 (ricorsi
 giurisdizionali); art. 14  (disposizione  transitoria).    Infine  la
 Direttiva   95/26/CE   del  Parlamento    Europeo  e  del  Consiglio,
 contenente modifiche alle  Direttive  77/780  CEE  e  89/646  CEE  in
 materia  di  enti creditizi, nella premessa, rileva l'opportunita' di
 modificare in alcuni punti  le  precedenti  Direttive  77/780  CEE  e
 89/646  CEE  in materia di enti creditizi; inoltre enuncia i seguenti
 obbiettivi:   rafforzare la vigilanza  prudenziale,  con  particolare
 considerazione  dell'opportunita'  di non accordare autorizzazioni ad
 imprese finanziarie caratterizzate  da  stretti  legami  con  persone
 fisiche  o  giuridiche tali da ostacolare l'effettivo esercizio della
 vigilanza; meglio controllare fenomeni di elusione dei  controlli  da
 parte di imprese che a tale fine scelgono il sistema giuridico di uno
 stato  membro  diverso  da  quello  in  cui di fatto svolgono le loro
 attivita'; facilitare gli scambi di informazioni fra le autorita'  di
 controllo   degli   Stati;   intensificare   la  tutela  del  segreto
 professionale. Come le enunciazioni riportate  nella  premessa,  cosi
 anche  le  singole  disposizioni  della  Direttiva  in  questione non
 contengono alcuna norma o principio riconducibile alla disciplina dei
 singoli  contratti  bancari  o  alla  "modalita'  di  calcolo   degli
 interessi"; art. 1 (sostituzione del termine "impresa creditizia" con
 quello  "ente  creditizio" a modifica della Direttiva 77/780); art. 2
 (definizione degli "stretti legami"  fra  ente  creditizio  ed  altra
 persona  fisica  o  giuridica);  art.  3  (parziale modifica di altra
 Direttiva comunitaria relativa alle imprese di assicurazioni; art.  4
 (scambi di informazioni fra autorita' di controllo); art. 5 (obblighi
 di  segnalazioni alle autorita' di controllo; art. 6 (obbligo per gli
 Stati membri di conformare gli ordinamenti interni  alla  Direttiva).
 Non  puo'  infine  omettersi  di  rilevare che, quand'anche (per mera
 ipotesi) l'art. 25 della legge 19 febbraio 1992, n. 142 o l'art.    1
 della  legge  24  aprile  1998,  n.  128 avessero contenuto la delega
 legittimamente l'emanazione della  disposizione  sulla  modalita'  di
 calcolo  degli  interessi  di cui all'art. 25 del d.lgs. 342/1999, in
 ogni caso il Governo avrebbe  esercitato  tale  delega  ben  oltre  i
 limiti  di  tempo  imposti  dal  secondo  comma  dello  art. 25 legge
 142/1992 ("entro diciotto mesi dallla data di entrata in vigore della
 presente legge") e dal primo  comma  (richiamato  dal  quinto  comma)
 dell'art.  1 legge 128/1998 "entro il termine di un anno dall'entrata
 in  vigore  della  presente legge ... la scadenza e' prorogata di sei
 mesi se, per effetto di direttive notificate nel corso  dell'anno  di
 delega, la disciplina risultante da direttive comprese nell'elenco e'
 modificata  senza  che siano introdotte nuove norme di principio".  A
 tale ultimo riguardo e' opportuno precisare che la legge 128/1998  e'
 stata  pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 7 maggio 1998, n.  104
 s.o. ed e' entrata in vigore il 22 maggio 1998; da cio' consegue  che
 il  termine ultimo di un anno per l'emanazione di decreti legislativi
 e' scaduto il 22 maggio 1999; sicche' il d.lgs. n. 342 del  4  agosto
 1999,  essendo  tardivo, e' invalido ed inefficace; ne' d'altra parte
 risulta che, nel corso dell'anno di delega, sia pervenuta la notifica
 di direttive comunitarie modificative di quelle incluse nell'apposito
 elenco e pertanto non si e' verificata la proroga di sei  mesi  della
 scadenza.    La  carenza  assoluta  di  legge  di  delegazione  rende
 geneticamente  incostituzionale  la   norma   in   esame.   Tuttavia,
 subordinatamente,  non  sembra superfluo evidenziare altri profili di
 illegittimita' costituzionale che attengono al contenuto della  norma
 stessa.
   2.  - L'art. 25, comma 3, d.lgs. 342/1999 come norma interpretativa
 - contrasto con gli artt. 3, 24, 101, 102, 104 cost.   A)  Violazione
 dei  limiti  costituzionali  al  potere  del  legislatore  di emanare
 disposizioni interpretative.  La disposizione contenuta nel comma  3,
 del citato art. 25 "Le clausole relative alla produzione di interessi
 sugli interessi, contenute nei contratti stipulati anteriormente alla
 data  di  entrata  in  vigore della delibera di cui al comma due sono
 valide ed efficaci fino a tale  data,  dopo  di  essa  devono  essere
 adeguate  al  disposto  della  menzionata  delibera..." o integra una
 norma interpretativa dell'art.   1283  c.c.  sull'anatocismo,  ovvero
 introduce,  con efficacia retroattiva, una modifica dello stesso art.
 1283 c.c. in tema di anatocismo limitatamente ai  contratti  bancari.
 Una  prima  considerazione  di  ordine  logico e sistematico dovrebbe
 indurre immediatamente ad escludere  che  la  disposizione  in  esame
 abbia  il  carattere  proprio  della  norma  interpretativa  in senso
 stretto.   Infatti, se il legislatore  delegato  avesse  inteso  dare
 un'interpretazione  autentica  dell'art.  1283  c.c.,  avrebbe dovuto
 occuparsi complessivamente della  disciplina  dell'anatocismo,  quale
 fonte   di  obbligazione  riferibile  a  qualsiasi  tipo  di  negozio
 giuridico.  Cio' in quanto nella sistematica  del  codice  l'istituto
 dell'anatocismo  e'  collocato  fra le obbligazioni in generale (piu'
 specificamente le obbligazioni pecuniarie) e di conseguenza  riguarda
 tutti  i  contratti  dai  quali derivino obbligazioni pecuniarie.  La
 norma in esame invece fa esclusivo riferimento  al  ristretto  ambito
 dei  contratti  bancari,  come  e'  facilmente desumibile dal secondo
 comma dello stesso art. 25, che tratta solo degli "interessi maturati
 nelle  operazioni  poste  in  essere  nell'esercizio   delI'attivita'
 bancaria".  L'interpretazione autentica non puo' restringere l'ambito
 di  efficacia della disposizione oggetto di interpretazione; ne' puo'
 introdurre  discipline  differenziate  per  fattispecie   particolari
 (l'anatocismo  nei  soli  contratti  bancari ai sensi dell'art. 25 in
 esame) che rientrano nell'ambito della disciplina previgente  insieme
 ad  altre  fattispecie  in  un  contesto  sistematico  piu'  generale
 (l'anatocismo in tutte le obbligazioni pecuniarie e dunque in tutti i
 contratti  ai  sensi  dell'art.    1283  c.c.).    In  base  a   tali
 considerazioni  sembra  che  l'art. 25 d.lgs. 342/1999 va ben oltre i
 limiti entro i quali deve mantenersi la norma interpretativa.    Tale
 convincimento  e'  rafforzato  anche  per altre ragioni, alla luce di
 taluni principi piu' volte enunciati dalla  Corte  costituzionale  in
 tema   di   norme   interpretative.     Come  affermato  dalla  Corte
 costituzionale con la sentenza n. 311/1995 e con le numerose altre in
 questa  richiamate  "la  legge  di  interpretazione  autentica   deve
 rispondere  alla  funzione  che  le e' propria: quella di chiarire il
 senso di norme preesistenti, ovvero di imporre  una  delle  possibili
 varianti  di  senso  compatibili  col tenore letterale, sia alfine di
 eliminare eventuali incertezze interpretative (sentenze nn.  163  del
 1991   e   413  del  1988),  sia  per  rimediare  ad  interpretazioni
 giurisprudenziali divergenti con la linea  di  politica  del  diritto
 perseguita  dal legislatore (sentenze nn. 397 e 6 del 1994; 424 e 402
 del 1993; 455 e 454  del  1992  ed  altre".    Dunque  una  norma  e'
 interpretativa quando:  a) chiarisce il senso di  norme preesistenti;
 b)  ovvero  impone  una delle possibili varianti di senso compatibili
 col  tenore  letterale;  c)  ovvero  elimina   eventuali   incertezze
 interpretative   o   rimedia   ad  interpretazioni  giurisprudenziali
 divergenti.  Tali tre possibili ipotesi confluiscono in un  ulteriore
 limite  affermato  dalla  Corte  costituzionale  nelle  sentenze  nn.
 397/1994,  6/1994,  283/1993,  39/1993,   155/1990,   123/1988:   "Il
 carattere  interpretativo  deve  desumersi  ... dalla struttura della
 fattispecie normativa, in relazione cioe' ad un  rapporto  fra  norme
 tale che il sopravvenire della norma interpretante non fa venire meno
 la  norma interpretata, ma l'una e l'altra si saldano fra loro, dando
 luogo ad un precetto normativo unitario".   Avendo  riguardo  a  tali
 principi,  se  si  pongono  in  relazione il terzo comma dell'art. 25
 d.lgs. 342/1999 e l'art. 1283 c.c., non e' possibile  evincere  alcun
 collegamento  fra  le  due norme tale da consentire di stabilire:  a)
 quale sia il contenuto oscuro dell'art. 1283 c.c. il cui senso  trovi
 definitivo chiarimento nel terzo comma del predetto art. 25; b) quali
 siano la possibili varianti di senso compatibili col tenore letterale
 dell'art.  1283  c.c.  e  quale  di tali varianti sia stata scelta ed
 imposta  dalla  norma  interpreatativa;  c)  infine  quali  siano  le
 incertezze  interpretative  risolte.    Ed infatti la disposizione in
 esame  si  limita  ad  un'apodittica  affermazione  di  validita'  ed
 efficacia  delle  clausole  sull'anatocismo  contenute  nei contratti
 bancari stipulati prima dell'entrata in vigore della futura delibera,
 con cui il CICR fissera' le modalita' ed i criteri per la  produzione
 degli  interessi  sugli  interessi.   Essa dunque non contiene alcuna
 norma che possa saldarsi sul piano  interpretativo  con  l'art.  1283
 c.c. per dare luogo ad un precetto normativo unitario, nel senso gia'
 chiarito  dalla  Corte costituzionale; invece esprime un giudizio che
 sembra diretto a dirimere (sia pure  senza  motivazione)  contenziosi
 gia'   pendenti   o  eventuali  piuttosto  che  a  fornire  strumenti
 ermeneutici utili all'interpretazione  di  leggi  preesistenti.    B)
 Violazione  dei  principi di ragionevolezza e di uguaglianza (Art.  3
 Cost.).  La natura solo apparentemente interpretativa  di  una  legge
 spesso nasconde la violazione di norme costituzionali a tale riguardo
 la Corte costituzionale con sentenza n. 311/1995 ha affermato che "La
 sovrana   volonta'  del  legislatore  nell'emanare  dette  leggi  (di
 interpretazione autentica) incontra una serie di limiti,  che  questa
 Corte  ha  da  tempo  individuato, e che attengono alla salvaguardia,
 oltre che di norme costituzionali, di fondamentali valori di civilta'
 giuridica posti a tutela dei destinatari della norma e  dello  stesso
 ordinamento,  tra  i quali vanno ricompresi il rispetto del principio
 generale di ragionevolezza che  ridonda  nel  divieto  di  introdurre
 ingiustificate  disparita'  di  trattamento (sentenze nn. 397 e 6 del
 1994; 424 e 283 del 1993; 440 del 1992 e 429  del  1993);  la  tutela
 dell'affidamento  legittimamente  sorto  nei soggetti quale principio
 connaturato allo Stato di diritto (sentenze nn. 397 e 6 del 1994; 429
 del  1993;  822   del   1988),   e   il   rispetto   delle   funzioni
 costituzionalmente  riservate al potere giudiziari".  Il principio di
 ragionevolezza,  contenuto  nell'art.  3  della  Costituzione,  quale
 principio  di  uguaglianza  che  si traduce in un "generale canone di
 coerenza dell'ordinamento" (Corte cost.,  n.  204/1982)  e'  violato,
 secondo il costante insegnamento della Corte costituzionale, tutte le
 volte    che    una    "norma    generale"    ritenuta   valida   sia
 ingiustificatamente derogata da una "disciplina  particolare"  (Corte
 cost.  n. 46/1983).  Nel caso in esame la "norma generale" e' dettata
 dal combinato disposto degli artt. 1283 c.c. e 25 commi  1  e  2  del
 d.lgs.  n. 342/1999.  Dall'interpretazione sistematica di dette norme
 si evince  che  in  nessun  caso  e'  legittima  la  capitalizzazione
 trimestrale  degli  interessi  a  favore  delle  banche  fino ad oggi
 praticata. Ed infatti in base all'art. 1283 c.c. l'anatocismo,  fatti
 salvi  gli  usi  contrari,  e' ammesso solo a determinate condizioni,
 cioe'  a  decorrere  dalla  domanda  giudiziale  o  per  effetto   di
 convenzione  posteriore alla scadenza e comunque per interessi dovuti
 da  almeno  sei  mesi;  sicche',  in  mancanza   di   usi   contrari,
 l'anatocismo  si riduce a ben poca cosa, in quanto inizia a decorrere
 solo dal momento in cui il creditore intraprende l'azione giudiziaria
 contro il debitore, oppure per volonta' del debitore  manifestata  in
 seguito alla scadenza degli interessi base.  E' evidente che la ratio
 risiede  nell'interesse collettivo alla tutela del debitore da facili
 esposizioni  alla  levitazione  dei  tassi  (spesso  fino  ai  limiti
 dell'usura)  in conseguenza della sua posizione di contraente debole.
 Per altro verso, in base all'art. 25  comma  2  d.lgs.  n.  342/1999,
 l'anatocismo  nei  contratti bancari che saranno stipulati in futuro,
 potra'  aversi  solo  in  base  al  ripristino  di   una   situazione
 contrattuale  di  equilibrio fra clienti e banche, ossia a condizione
 che le medesime modalita' di calcolo degli interessi  composti  siano
 fissate sia per gli interessi creditori che per quelli debitori delle
 banche.    Da  tale  quadro normativo di riferimento si evince che il
 legislatore per il passato (in forza del precetto contenuto nell'art.
 1283 c.c.)  e per il futuro (in forza della novella di  cui  all'art.
 25 secondo comma) ha inteso sempre tutelare il contraente piu' debole
 (il  debitore in generale con l'art. 1283; ed il cliente delle banche
 con l'art  25  secondo  comma),  ponendolo  al  riparo  dalle  facili
 pressioni   alle  quali  puo'  essere  assoggettato  in  forza  della
 necessita' che talora lo costringe  a  fare  ricorso  al  credito  in
 misura crescente e progressiva.  Dunque la medesima ratio ispiratrice
 congiunge  le due disposizioni, facendone una "norma generale", posta
 a tutela del contraente piu' debole e comunque del risparmiatore  (ai
 sensi  dell'art.  47 Cost.).   In stridente ed illogico contrasto con
 detta  "norma generale", si pone il terzo comma del predetto art. 25,
 in quanto integra una "norma speciale" che ingiustificatamente deroga
 alla ratio ed alla disciplina della "norma generale"  disponendo  che
 per  il  passato,  ossia  per  i contratti stipulati sotto la vigenza
 dell'art. 1283 c.c.,  le  clausole  relative  all'anatocismo  restano
 "valide  ed  efficaci".    Cio'  non ha alcun logico fondamento e' in
 contrasto con il generale canone di coerenza interna  all'ordinamento
 e  crea una manifesta ed ingiusta discriminazione nei danni di coloro
 i quali sotto la vigenza dell'art. 1283 c.c. avevano pattuito con  le
 banche  interessi  anatocistici  ed  oggi  si  vedono improvvisamente
 privati della tutela di una norma che era vigente per tutta la durata
 del rapporto fin dal momento della pattuizione dell'anatocismo e  che
 li  poneva  al riparo dall'illegittimita' di tale clausola per i casi
 in cui la stessa fosse stata applicata al di fuori dei limiti e delle
 condizioni previste  nello  stesso  art.    1283  c.c.    Inoltre  la
 manifesta  ingiustizia e disparita' di trattamento si configura anche
 in danno degli altri operatori economici i quali, a differenza  delle
 banche, alle quali soltanto si riferisce la novella dell'art. 25, non
 beneficiano dell'affermazione di validita' ed efficacia dei contratti
 (ad  esempio di conto corrente ordinario) eventualmente stipulati con
 previsione di interessi anatocistici.  C. - Violazione delle funzioni
 costituzionalmente riservate al potere giudiziario  (artt.  24,  101,
 102, 104 Cost.)  L'apparente natura interpretativa della disposizione
 in  esame  maschera  un'altra violazione costituzionale, questa assai
 piu' grave, in quanto mina il fondamento dello stato di  diritto.  Si
 tratta  della violazione di funzioni  costituzionalmente riservate al
 potere giudiziario.   A tale riguardo la  Corte  costituzionale,  con
 riferimento   alle   leggi   interpretative,  ha  affermato  che  "il
 legislatore vulnera le funzioni giurisdizionali: a) quando intervenga
 per annullare gli effetti del  giudicato;  b)  quando  la  legge  sia
 intenzionalmente  diretta  ad  incidere  su  concrete fattispecie sub
 iudice"  (Corte  cost.  nn.  397/1994,  6/1994,  429/1993,  424/1993,
 283/1993, 39/1993, 440/1992, 429/1991 ed altre).  Si tratta allora di
 stabilire  se  la  statuizione contenuta nel terzo comma dell'art. 25
 (Le clausole relative alla produzione di interessi  sugli  interessi,
 contenute  nei contratti stipulati anteriormente a ... sono valide ed
 efficaci) integri un precetto normativo, come tale caratterizzato  da
 generalita'  ed  astrattezza,  ovvero  sia  diretto  ad  incidere  su
 concrete fattispecie sub iudice.  E' principio generale che la norma,
 per potere  essere  astratta,  ossia  riferibile  a  situazioni  tipo
 individuate   ipoteticamente  (c.d.     fattispecie  astratta),  deve
 contenere un precetto, cioe' una regola di comportamento,  riferibile
 ad  una  molteplicita'  indeterminata  di  situazioni concrete, nelle
 quali la violazione del precetto da'  luogo  agli  eventuali  effetti
 sanzionatori.  E' allora da chiedersi se sia astratta la norma che si
 limita   solo   ad   escludere  una  data  conseguenza  sanzionatoria
 (invalidita' o inefficacia) con riferimento a situazioni  particolari
 (i  contratti  bancari).  La  disposizione  in esame ha per oggetto i
 contratti  bancari;  e'  principio  generale   dell'ordinamento   che
 l'invalidita'  o l'inefficacia del negozio giuridico scaturisce dalla
 violazione di specifici precetti, in forza dei  quali  l'ordinamento,
 pur  riconoscendo l'autonomia privata come principio generale, impone
 dei limiti entro cui le manifestazioni di  volonta'  negoziale  hanno
 valore   ed   effetti  giuridicamente  rilevanti.    L'invalidita'  o
 l'inefficacia  del  contratto  pertanto  e'  conseguenza sanzionatria
 della violazione di tali limiti dettati da norme generali ed astratte
 (norme    sulla    nullita',     annullabilita',     rescindibilita',
 risolvibilita' dei contratti).  Al di fuori di tali ipotesi astratte,
 tutti  i  contratti  sono  validi ed efficaci in forza dell'art. 1322
 c.c. "Le parti  possono  liberamente  determinare  il  contenuto  del
 contratto  nei  limiti imposti dalla legge".  Da cio' consegue che la
 disposizione che apoditticamente afferma "sono validi ed efficaci  le
 clausole  relative  alla  produzione  di  interessi  sugli interessi,
 contenute nei contratti stipulati anteriormente a ..." non  introduce
 nell'ordinamento alcuna modifica dei limiti all'autonomia privata che
 possa  astrattamente  riferirsi ad una molteplicita' indeterminata di
 situazioni    concrete,    ma    afferma    soltanto     l'esclusione
 dell'invalidita'  e  dell'inefficacia quali conseguenze sanzionatorie
 previste, queste si in via generale ed astratta, dall'art. 1283  c.c.
 In  conclusione, l'art. 25 comma 3 d.lgs. n. 342/1999, non contenendo
 alcun precetto dotato di generalita' ed astrattezza ed affermando  la
 validita'   e   l'efficacia  delle  clausole  sulla  capitalizzazione
 trimestrale contenute in tutti i contratti stipulati in passato dalle
 banche, svolge una funzione prettamente giurisdizionale, in quanto si
 sostituisce all'autorita', giudiziaria nel dirimere il contenzioso in
 atto fra banche e clienti che verte  proprio  sulla  validita'  delle
 clausole  contrattuali relative all'anatocismo.  In tal modo e' stato
 privato il cittadino della possibilita' di tutelare i propri  diritti
 ed interessi legittimi dinanzi all'autorita' giurisdizionale (art. 24
 Cost.); e' stata violata la riserva della funzione giurisdizionale in
 favore  dei  magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sul
 regolamento  giudiziario  (art.  102   Cost.);   e'   stata   violata
 l'indipendenza  e l'autonomia della magistratura (art. 104 Cost.) sia
 in conseguenza del contrasto con la riserva di cui innanzi,  sia  per
 avere  un altro potere dello Stato imposto ai giudici la soluzione di
 singoli casi giudiziari.
   3. - L'art. 25,   comma terzo, d.lgs.  342/1999  come  disposizione
 innovativa  avente  efficacia  retroattiva  - contrasto con gli artt.
 76, 3, 24, 101, 102, 104 Cost.   A) Carenza  di  delega  a  conferire
 efficacia  retroattiva  alla  norma  delegata (art. 76 Cost).   Se si
 esclude  che  la   disposizione   in   esame   possa   avere   natura
 interpretativa   e  si  ritiene  che  la  stessa  integri  una  norma
 innovativa  avente  efficacia  retroattiva,  si  deve   rilevare   il
 contrasto  con  l'art.  76 della Costituzione per difetto di espressa
 delega a conferire efficacia retroattiva alla disposizione  delegata.
 A  tale  riguardo  la  Corte  costituzionale,  con  sent. n. 29/64 ha
 affermato  che  "Anche  nel  fissare  la  data  di  decorrenza  della
 disciplina delegata il Governo deve osservare i principi ed i criteri
 direttivi  della  legge delegante in conformita' all'art. 76 Cost. Di
 conseguenza, in relazione alle singole  leggi  di  delegazione,  deve
 accertarsi  se  il  legislatore delegato abbia il potere di conferire
 alle norme un'efficacia retroattiva". Si e' gia' dimostrato che nella
 fattispecie non esisteva alcuna  legge  delega  che  legittimasse  il
 Governo  ad  emettere  le  disposizioni  di cui all'art. 25 in esame.
 Pertanto, a maggior  ragione,  deve  ritenersi  che  non  ricorre  la
 particolare  delega  del  potere  di  conferire  alle norme efficacia
 retroattiva.  B) Violazione del principio  di  ragionevolezza,  quale
 limite per l'emanazione di leggi aventi efficacia retroattiva (art. 3
 Cost.).    La  Corte  costituzionale  con  la sentenza n. 402/1993 ha
 affermato che "La legge  retroattiva  e'  soggetta  al  controllo  di
 conformita'  al principio di ragionevolezza secondo criteri analoghi,
 sia  che  si  tratti  di  una  norma  innovativa  con   clausola   di
 retroattivita',  sia  che  si tratti di una norma interpretativa, per
 sua natura retroattiva".  Alla luce di tale principio, deve ritenersi
 che valgono in questa sede (ossia con riferimento all'interpretazione
 dell'art. 25, comma 3, d.lgs.  342/1999  come  norma  innovativa  con
 clausola  di  retroattivita')  le medesime ragioni di contrasto con i
 principi di ragionevolezza ed uguaglianza di  cui  all'art.  3  della
 Costituzione gia' in precedenza illustrati, al punto B) del paragrafo
 2)  di questa ordinanza con riferimento alla qualificazione dell'art.
 25 comma 3 come norma interpretativa; le  gia'  espresse  ragioni  di
 incostituzionalita'  per  contrasto  con  l'art. 3 della Costituzione
 devono intendersi integralmente richiamate in questa sede e  pertanto
 si fa espresso rinvio a quanto gia' esposto al punto B) del paragrafo
 2).    C)  Violazione  delle funzioni costituzionalmente riservate al
 potere giudiziario (artt. 24, 101, 102, 104  Cost.).    Analogamente,
 con   riferimento   alla   riserva   costituzionale   delle  funzioni
 giurisdizionali al potere giudiziario, valgono  anche  per  le  norme
 innovative  aventi  efficacia  retroattiva  i medesimi limiti innanzi
 enunciati con riferimento alle norme interpretative. In tal senso  si
 e'  pronunciata  la  Corte  costituzionale  sempre con la sentenza n.
 402/1993,  affermando  che  la  legge  innovativa  avente   efficacia
 retroattiva,  non deve comunque "influire su concrete fattispecie sub
 iudice".   Alla luce di tale principio,  deve  ritenersi  ancora  una
 volta   che   valgono   in   questa   sede   (ossia  con  riferimento
 all'interpretazione dell'art. 25, comma 3, d.lgs, 342/1999 come norma
 innovativa con clausola di retroattivita')  le  medesime  ragioni  di
 contrasto  con  la  riserva costituzionale del potere giurisdizionale
 contenuta negli artt. 24, 101, 102, 104 della  Costituzione  gia'  in
 precedenza  illustrati,  al  punto  C)  del  paragrafo  2)  di questa
 ordinanza con riferimento alla qualificazione dell'art. 25,  comma  3
 come  norma  interpretativa;  le  ragioni  di incostituzionalita' per
 contrasto con gli artt. 24, 101, 102, 104 della  Costituzione  devono
 intendersi  integralmente  richiamate in questa sede e pertanto si fa
 espresso rinvio a quanto gia' esposto al punto C) del paragrafo 2).
   4. - Contrasto con gli artt. 3, 47 Cost.  L'anatocismo trimestrale,
 generalmente applicato per anni dagli istituti  di  credito  ai  loro
 clienti,  contrasta  con il principio costituzionale della tutela del
 risparmio in  tutte  le  sue  forme.  Le  banche  hanno  la  funzione
 istituzionale,  propria  dell'economia  di mercato, d'intermediazione
 nell'uso del risparmio e quindi le norme che disciplinano l'esercizio
 del credito dovrebbero realizzare il  principio  contenuto  nell'art.
 47,   comma  secondo,  della  Costituzione,  nel  senso  di  favorire
 l'accesso al risparmio verso investimenti produttivi.  L'applicazione
 generalizzata dell'anatocismo trimestrale  invece,  sino  a  ora,  ha
 gravato enormemente sull'esercizio del credito, innescando meccanismi
 di  progressivo  aumento  dei  montanti,  cosi'  da  determinare,  in
 concreto, l'aumento dei tassi effettivi globali riferiti ad anno  ed,
 ancora  di  piu',  ad  interi  periodi  di  credito.    Il meccanismo
 anatocistico  trimestrale,  di  per  se',  determina  enorme  aumento
 effettivo  del  costo  del  danaro,  al  di  fuori  da ogni controllo
 istituzionale da parte degli organi a cio' preposti  dall'ordinamento
 dello Stato.  L'aumento del costo del danaro riduce la competitivita'
 degli  oratori economici (soprattutto agricoltori, artigiani, nonche'
 piccole e medie imprese commerciali ed industriali), che, non essendo
 in grado di autofinanziarsi, normalmente fanno  ricorso  al  credito,
 perche'  determina  l'aumento  dei  loro  costi  di  produzione  e li
 costringe, prima o poi, ad uscire dal mercato  per  insolvenza  o  al
 fine  di  evitare  irreparabili  conseguenze.    L'elevato  costo del
 denaro, quindi, si traduce in un generale  aumento  dei  costi  delle
 imprese,  incide progressivamente sul livello dei prezzi di mercato e
 sulla competitivita' dei prodotti  soprattutto  dei  piccoli  e  medi
 operatori  rispetto  a  quelli  delle  grandi imprese nazionali e dei
 produttori esteri.  Determina cioe' gravissimo danno  per  l'economia
 nazionale.  Il nuovo indirizzo della Corte di cassazione era da tempo
 auspicato.  Per  effetto  della  diffusione  dei  meccanismi  dannosi
 conseguenti  all'anatocismo  trimestrale,  gli  istituti bancari sono
 venuti meno al loro compito istituzionale  di  intermediari  nell'uso
 del  risparmio,  che,  naturalmente,  ha  una funzione produttiva. La
 norma in esame,  violando  i  suddetti  principi  costituzionali,  e'
 rivolta   a   convalidare   gli   effetti   dannosi  di  una  pratica
 oligopolistica e di  cartello  imposta  generalmente  agli  operatori
 economici,  ma  non  da  loro  accettata.  in  violazione della norma
 generale contenuta nell'art. 1283 c.c., ispirata, certo, ai  principi
 di  ordine  pubblico  e  di  tutela  del  contraente piu' debole, del
 risparmio  e   dell'economia   nazionale.      Il   nuovo   indirizzo
 giurisprudenziale,   se   consolidato,  determinera'  la  progressiva
 riduzione del costo del danaro, dei costi delle imprese e dei prezzi,
 con evidenti benefici per i  consumatori,  per  la  stabilita'  degli
 equilibri  del  mercato, per la competitivita' delle imprese e per il
 miglioramento  dell'economia  nazionale.  Una  norma  finalizzata   a
 convalidare una pratica dannosa per l'economia, imposta in violazione
 di  una  norma civilistica generale, e' certamente in contrasto con i
 principi  di  ragionevolezza  e  coerenza  interna   dell'ordinamento
 contenuti  nell'art.  3  Cost.,  nonche' con i principi di tutela del
 risparmio di cui all'art.  47  Cost.    Si  ritiene  (Merusi;  "Comm.
 Banca")  che  l'art.  47  della  Costituzione  si pone l'obiettivo di
 tutelare e difendere il valore della  moneta  nel  rapporto  dinamico
 risparmio-credito.    Risparmio e credito costituiscono i due termini
 in cui si esprime la liquidita'  monetaria  (Cpraglione;  "Intervento
 pubblico  ed  ordinamento  del  credito"), che a sua volta e' uno dei
 fattori        dell'equilibrio        economico        "espressamente
 costituzionalizzato".  L'articolo  suddetto  tutela  sia il risparmio
 "che  correlato  al  credito  entra  a  far  parte  della  liquidita'
 monetaria"  (Merusi,  op.  cit.)  sia  "il  risparmio in tutte le sue
 fonti", cioe' ogni forma di surplus monetario di carattere volontario
 in qualunque modo indirizzato (Cerri e Baldassarre; Giur. cost.).  Se
 e' vero che il risparmio e' una risorsa  pubblica,  non  puo'  essere
 legittimamente  favorita una pratica contra legem che ne ha deformato
 la naturale funzione con grave danno per  chi  ha  fatto  ricorso  al
 credito bancario, per la stabilita' dei prezzi e per l'intero sistema
 economico.
                               P. Q. M.
   Visti  gli  artt. 134 della Costituzione, e 23 della legge 11 marzo
 1953, n. 87;
   Dichiara  rilevante  e non manifestamente infondata la questione di
 legittimita'  costituzionale  nei  termini  di  cui  in  motivazione,
 dell'art. 25, comma 3, d.lgs. 4 agosto 1999, n. 342 (pubblicato nella
 Gazzetta Ufficiale del 4 ottobre 1999, n. 233 ed entrato in vigore il
 19  ottobre  1999) in relazione agli artt. 76, 3, 24, 141, 102, 104 e
 47 della  Costituzione;
   Sospende il presente procedimento;
   Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla    Corte
 costituzionale per la dichiarazione d'incostituzionalita' della norma
 innanzi indicata;
   Ordina  che,  a  cura  della cancelleria, la presente ordinanza sia
 notificata alle parti ed al Presidente del Consiglio dei  Ministri  e
 comunicata  ai  Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera
 dei deputati.
     Brindisi, addi' 9 dicmebre 1999.
                        Il giudice unico: Marzo
 00C0114