N. 55 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 dicembre 1999
N. 55 Ordinanza emessa il 9 dicembre 1999 dal tribunale di Brindisi nel procedimento civile vertente tra Scagliarini Cesare ed altra e Banca Mediterranea S.p.a. Credito (Istituti di) - Interessi bancari - Clausole relative all'anatocismo contenute nei contratti stipulati anteriormente alla delibera CICR di cui all'art. 25, d.lgs. n. 342/1999 - Prevista validita' ed efficacia fino alla data di entrata in vigore di tale delibera - Denunciata mancanza di una legge delega riferibile alla disciplina dei singoli contratti bancari e, in particolare, alle "modalita' di calcolo degli interessi" - Esorbitanza dai limiti temporali delle deleghe ex artt. 25, legge n. 142/1992 e 1, legge n. 128/1998 - Violazione, in subordine, dei limiti all'emanazione di norme di interpretazione autentica - Lesione dei principi di ragionevolezza e di uguaglianza - Violazione delle funzioni riservate al potere giudiziario - Carenza di delega ad emanare norme retroattive e violazione dei limiti ad esse inerenti - Contrasto con la tutela costituzionale del risparmio. D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 342, art. 25, comma 3. Costituzione, artt. 3, 24, 47, 76, 101, 102 e 104.(GU n.9 del 23-2-2000 )
IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza di rimessione degli atti per giudizio incidentale di legittimita' costituzionale relativamente all'art. 25, comma 3, d.lgs. 4 agosto 1999, n. 342 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 4 ottobre 1999, n. 233 ed entrato in vigore il 19 ottobre 1999). Nella causa civile iscritta al n. 1138/99 r.g.a.c., avente per oggetto - opposizione a decreto ingiuntivo tra Scagliarini Cesare, Lopez Rosaria, rappresentati e difesi dall'avv. A. Nozzi, opponenti e Banca Mediterranea S.p.a., rappresentata e difesa dall'avv. G. Semeraro, opposta; Preliminarmente appare opportuno segnalare all'ecc.ma Corte costituzionale che la presente ordinanza si differenzia dalla precedente gia' emessa l'8 novembre 1999 da questo g.u., sulla medesima questione, in quanto tratta anche il particolare profilo relativo alla portata ed agli effetti degli artt. 2, lettera b), e 33 della legge 128/1998 (dalla quattordicesima alla ventesima pagina); Svolgimento del processo Con atto notificato il 7 giugno 1999 Scagliarini Cesare e Lopez Rosaria, nella qualita' di fideiussori, proponevano opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 66/99 emesso dal Presidente del tribunale di Brindisi il 19 marzo 1999, contenente ingiunzione di pagamento in favore della Banca Mediterranea S.p.a. per L. 34.620.256, a titolo di saldo del conto corrente bancario intestato alla debitrice principale, s.r.l. Brasil, oltre interessi legali fino al soddisfo e spese di procedura; eccepivano che l'ammontare della somma pretesa dalla banca e' frutto di errati conteggi e di un incongrua applicazione dei tassi di interesse; rilevavano di non avere mai avuto comunicazione degli estratti conto periodici; eccepivano la nullita' della clausola contrattuale che prevede la capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori per contrasto con i limiti dettati dall'art. 1283 c.c.; tanto premesso, citavano la Banca Mediterranea S.p.a a comparire dinanzi a questo tribunale, chiedendo la revoca del decreto ingiuntivo, la determinazione dell'effettivo ammontare del credito con l'ausilio di una CTU e la condanna della controparte alla cancellazione dell'ipoteca ed al pagamento delle spese processuali. Con comparsa di risposta dell'8 settembre 1999 si costituiva la Banca Mediterranea S.p.a; rilevava l'assoluta infondatezza delle avverse eccezioni; soggiungeva che il credito era stato oggetto di riconoscimento da parte degli opponenti in una lettera con cui gli stessi avevano formulato una proposta di pagamento di L. 10.000.000 "a chiusura e stralcio della garanzia fideiussoria"; rilevava che gli estratti conto periodici non erano stati mai contestati ne' dagli opponenti ne' dal debitore principale; chiedeva il rigetto dell'opposizione e la condanna delle controparti al pagamento delle spese processuali. All'udienza di trattazione (art. 183 c.p.c.) i procuratori delle parti non modificavano le rispettive domande ed eccezioni. Alla luce di tanto, appare preliminare ai fini della decisione proporre, in via incidentale, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 25, comma terzo, d.lgs. 4 agosto 1999, n. 342 (pubblicato nella nella Gazzetta Ufficiale del 4 ottobre 1999 n. 233 ed entrato in vigore il 19 ottobre 1999 per le ragioni che di seguito vengono formulate. Rilevanza L'art. 25 del d.lgs. 4 agosto 1999, n. 342 modifica la rubrica dell'art. 120 t.u. delle leggi in materia bancaria e creditizia, sostituendola con la seguente: "decorrenza delle valute e modalita' di calcolo degli interessi"; inoltre aggiunge al primo comma del suddetto art. 120 t.u. il seguente secondo comma: "Il CICR stabilisce modalita' e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attivita' bancaria, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicita' nel conteggio degli interessi sia debitori che creditori"; infine il terzo comma dell'art. 25 recita: "Le clausole relative alla produzione di interessi sugli interessi maturati, contenute nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della delibera di cui al comma 2, sono valide ed efficaci fino a tale data e, dopo di essa, debbono essere adeguate al disposto della menzionata delibera, che stabilira' altresi' le modalita' ed i tempi dell'adeguamento. In difetto di adeguamento, le clausole divengono inefficaci e l'inefficacia puo' essere fatta valere solo dal cliente". Tale ultima disposizione, che afferma la validita' e l'efficacia delle clausole sull'anatocismo trimestrale contenute nei contratti di conto corrente stipulati in passato, si applica alla fattispecie dedotta nel presente giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, ai fini della decisione sull'eccezione di nullita' della clausola contrattuale che prevede la capitalizzazione trimestrale degli interessi. Non manifesta infondatezza 1. - Contrasto con l'art. 76 cost. - Carenza assoluta di legge delega. La legge 23 agosto 1988, n. 400 al capo 3 disciplina la Potesta' normativa del Governo; l'art. 14 si occupa dell'emanazione dei decreti legislativi ed in particolare il primo comma dispone: "I decreti legislativi adottati dal Governo ai sensi dell'art. 76 della Costituzione sono emanati dal Presidente della Repubblica con la denominazione di ''decreto legislativo'' e con l'indicazione, nel preambolo, della legge di delegazione della deliberazione del Consiglio dei Ministri e degli altri adempimenti del procedimento prescritti dalla legge di delegazione". Il preambolo del d.lgs. 4 agosto 1999,n. 342 contiene l'indicazione delle seguenti fonti normative: a) l'art. 25 della legge 18 febbraio 1992, n. 142 concernente l'attuazione della direttiva n. 89/464/CEE del Consiglio del 15 dicembre 1989; b) l'art. 1, comma 5, della legge 24 aprile 1998, n. 128 recante disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alla Comunita' europea; c) il decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385 recante il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia; d) il decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 recante il testo unico in materia di intermediazione finanziaria. Di tali fonti di produzione soltanto le prime due (l'art. 25 della legge 18 febbraio 1992, n. 142 e l'art. 1, comma 5, della legge 24 aprile 1998, n. 128) possono contenere la legge delega posta a base del d.lgs. n. 342/1999. Le altre due (il decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385, recante il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, ed il decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, recante il testo unico in materia di intermediazione finanziaria), essendo decreti legislativi, non contengono a loro volta leggi di delegazione; esse sono state richiamate nella premessa in quanto integrano il quadro normativo vigente nella materia degli enti creditizi, al quale vengono apportate modifiche ed integrazioni per mezzo del d.lgs. in esame. L'art. 25 della legge 18 febbraio 1992, 142, concernente l'attuazione della direttiva n. 89/464/CEE del Consiglio del 15 dicembre 1989, e' intitolato "Accesso all'attivita' degli enti creditizi ed esercizio della medesima: criteri direttivi" e recita testualmente: "L'attuazione della direttiva del Consiglio 89/646/CEE deve avvenire in conformita' dei seguenti principi: a) l'attivita' di raccolta fra il pubblico di depositi o altri fondi rimborsabili per l'esercizio del credito e' riservata agli enti creditizi; restano ferme la disciplina del codice civile sulla raccolta delle societa' di capitali nonche' le discipline speciali sulla raccolta degli enti pubblici e di particolari categorie di imprese; b) gli enti creditizi restano soggetti per le attivita' esercitate in Italia sulla vigilanza dell'Autorita' dello Stato membro della Comunita' economica europea che ha dato l'autorizzazione, purche' ivi si trovi la sede statutaria e l'amministrazione centrale dell'ente; c) gli enti possono prestare in Italia i servizi di cui all'allegato alla direttiva del Consiglio 89/646/CEE direttamente o per il tramite di succursali o filiazioni alle condizioni di cui alla direttiva stessa, sempre che tali attivita' siano state autorizzate sulla base di requisiti oggettivi; d) gli enti possono procedere alla pubblicita' relativamente ai servizi offerti, alle condizioni previste per le medesime attivita' dalla disciplina italiana e restano ferme le disposizioni tributarie vigenti per l'accertamento delle imposte dovute dai residenti ed ogni altra disposizione sanzionatoria e penale concernente l'attivita' creditizia e finanziaria; e) dovra' essere adottata ogni altra disposizione necessaria per adeguare alla direttiva del Consiglio 89/646/CEE la disciplina vigente per gli enti creditizi autorizzati in Italia. 2. - Il Governo, su proposta del Ministro del tesoro e sentito il parere delle competenti commissioni permanenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, da esprimersi entro quarantacinque giorni, e' delegato ad emanare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un testo unico delle disposizioni adottate ai sensi del comma 1, coordinato con le altre disposizioni vigenti nella stessa materia, apportandovi le modifiche necessarie a tal fine. Restano comunque ferme le disposizioni contenute nella legge 10 ottobre 1990, n. 287 (23), e nella legge 2 gennaio 1991, n. 1 (24). 3. - In quanto compatibili, si applicano le altre disposizioni contenute nel titolo V della legge 10 ottobre 1990, n. 287, ivi comprese quelle relative alla sussistenza del controllo, agli obblighi relativi alle autorizzazioni e comunicazioni, alla sospensione del voto, all'obbligo di alienazione, alle sanzioni penali e ai conflitti di interesse. E' evidente che nessuna delle disposizioni del citato articolo 25 contiene deleghe o criteri direttivi che possano riferirsi, sia pure in forma indiretta, alla materia dei singoli contratti o servizi bancari, ovvero alle "modalita' di calcolo degli interessi". Infatti i criteri di delega dettati alle lettere a), b), c), d), del primo comma riguardano tutt'altre materie: la lettera a) afferma che l'attivita' di raccolta di depositi o fondi riservata agli enti creditizi; la lettera b) concerne l'attivita' di vigilanza sull'attivita' esercitata in Italia da banche estere; la lettera c) ammette la prestazione di servizi in Italia da parte di succursali di banche estere; la lettera d) attiene alla disciplina della pubblicita' dei propri servizi da parte degli enti creditizi autorizzati. Occorre infine rilevare che la lettera e) del citato primo comma contiene una delega che potremmo definire "di chiusura", in quanto rimette al Governo l'adozione di "ogni altra disposizione necessaria per adeguare alla direttiva del Consiglio 89/646/CEE la disciplina vigente per gli enti creditizi autorizzati in Italia". Alla luce di tale ultima disposizione e' necessario procedere all'esame dettagliato della Direttiva comunitaria n. 646/89, al fine di verificare se la stessa contenga disposizioni o principi aventi ad oggetto la disciplina dei singoli contratti bancari e, piu' in particolare, la "modalita' di calcolo degli interessi". Solo in tale ipotesi infatti l'art. 25, legge 142/1992 (in forza della lettera e) del comma 1) conferirebbe al Governo la delega a legiferare in detta materia. La Direttiva comunitaria in questione (la 89/646 CEE del Consiglio, del 15 dicembre 1989, relativa al coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative riguardanti l'accesso all'attivita' degli enti creditizi ed il suo esercizio e recante modifiche alla direttiva 77/780/CEE) contiene un'ampia premessa enunciativa delle finalita' di carattere generale ed in particolare afferma la necessita' di realizzare il mercato interno, come deciso con l'atto unico europeo e come programmato nel Libro Bianco della Commissione, sotto il duplice profilo della liberta' di stabilimento e della libera prestazione dei servizi nel settore degli enti creditizi; cio' attraverso una progressiva armonizzazione fra i singoli ordinamenti (essenziale per il reciproco riconoscimento delle autorizzazioni) ed attraverso la creazione di un sistema di vigilanza prudenziale che consenta il rilascio di un'unica autorizzazione valida per tutta la comunita' e l'attuazione della vigilanza da parte del solo Stato membro d'origine. Come si vede, gia' la premessa della Direttiva non contiene alcun principio che possa in qualche modo, sia pure indirettamente, ricondursi alla disciplina dei singoli contratti bancari e, piu' in particolare, alla "modalita' di calcolo degli interessi". Tale rilievo trova riscontro nel contenuto dei singoli articoli della Direttiva: art. l (definizione di "ente creditizio"); art. 2 (applicabilita' della direttiva a tutti gli enti creditizi); art. 3 (divieto per soggetti diversi dalle imprese creditizie di svolgere attivita' di raccolta di depositi o di altri fondi); art. 4 (capitale minimo di 5 milioni di ECU per essere autorizzati a svolgere attivita' di impresa creditizia); art. 5 (trasparenza e obbligo di comunicazioni sull'identita' di persone fisiche o giuridiche che detengano partecipazioni qualificate nell'ente creditizio); art. 6 (eliminazione dell'autorizzazione di cui all'art. 4 della direttiva 77/780 CEE per le succursali di enti creditizi gia' autorizzati in altri Stati); art. 7 (consultazioni preventive ai fini del rilascio di autorizzazioni fra le autorita' degli Stati membri in caso di filiazioni di enti creditizi o di controlli fra enti); art. 8 (casi in cui le autorita' competenti degli Stati devono informare la commissione); art. 9 (informazioni alla Commissione in caso di difficolta' di carattere generale incontrate da propri enti creditizi nello stabilimento o nell'esercizio dell'attivita' in un paese terzo); art. 10 (conservazione dell'integrita' del capitale iniziale dell'ente creditizio); art. 11 (obbligo di informazione all'autorita' circa la detenzione da parte di persone fisiche o giuridiche di quote qualificate di partecipazione nel capitale dell'ente creditizio); art. 12 (divieto per gli enti creditizi di detenere partecipazioni in altre imprese non creditizie nella misura superiore al 15% dei propri fondi); art. 13 (vigilanza prudenziale esercitata sull'ente creditizio dall'autorita' dello Stato d'origine); art. 14 (integrazione dell'art. 7 della direttiva 77/780 ed altre disposiziom in tema di vigilanza su liquidita', solvibilita', depositi e contabilita' degli enti creditizi); art. 15 (vigilanza di cui all' art. l4 anche sulle succursali); art. 16 (rispetto del segreto d'ufficio); art. 17 (previsione di sanzioni per gli enti creditizi che non ottemperino agli obblighi in materia di controllo o di regolamentazione dell'attivita') ed infine gli artt. 18, 19, 20 (disposizioni relative alla liberta' di stabilimento degli enti creditizi e delle succursali). In conclusione l'art. 25 della legge 19 dicembre 1992, n. 142 non contiene alcuna delega per l'emanazione di decreti legislativi sulla disciplina dei singoli contratti bancari e, piu' in particolare, sulla "modalita' di calcolo degli interessi". Occorre adesso passare all'esame della seconda legge delega indicata nella premessa del d.lgs. in esame, cioe' l'art. l, comma 5, della legge 24 aprile 1998, n. 128 recante disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunita' europee. Il predetto art. l e' intitolato "Delega al Governo per l'attuazione di direttive comunitarie" e recita testualmente: "1) Il Governo e' delegato ad emanare, entro il termine di un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, i decreti legislativi recanti le norme occorrenti per dare attuazione alle direttive comprese nell'elenco di cui all'allegato A; la scadenza e' prorogata di sei mesi se, per effetto di direttive notificate nel corso dell'anno di delega, la disciplina risultante da direttive comprese nell'elenco e' modificata senza che siano introdotte nuove norme di principio. 2) I decreti legislativi sono adottati, nel rispetto dell'articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro competente per il coordinamento delle politiche comunitarie e dei Ministri con competenza istituzionale nella materia, di concerto con i Ministri degli affari esteri, di grazia e giustizia, del tesoro, del bilancio e della programmazione economica e con gli altri Ministri interessati in relazione all'oggetto della direttiva, se non proponenti. 3) Gli schemi dei decreti legislativi recanti attuazione delle direttive comprese nell'elenco di cui all'allegato B a seguito di deliberazione preliminare del Consiglio dei Ministri, sono trasmessi, entro il termine di cui al comma 1, alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica perche' su di essi sia espresso, entro quaranta giorni dalla data di trasmissione, il parere delle Commissioni competenti per materia; decorso tale termine, i decreti sono emanati anche in mancanza di detto parere. Qualora il termine previsto per il parere delle Commissioni scada nei trenta giorni che precedono la scadenza dei termini previsti al comma 1 o successivamente, questi ultimi sono prorogati di novanta giorni. 4) Entro due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, nel rispetto dei principi e criteri direttivi da essa fissati, il Governo puo' emanare, con la procedura indicata nei commi 2 e 3, disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi emanati ai sensi del comma 1 del presente articolo e ai sensi dell'articolo 17. 5) Il Governo e' delegato ad emanare, entro il termine di cui al comma 1, e con le modalita' di cui ai commi 2 e 3, disposizioni integrative e correttive del d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385 (3), e successive modificazioni, nel rispetto dei principi e criteri direttivi e con l'osservanza della procedura indicati nell'articolo 25 dellla legge 19 febbraio 1992, n. 142 (4). 6) Il Governo e' delegato ad emanare, entro il termine di cui al comma 1, disposizioni integrative e correttive del d.lgs. 14 agosto 1996, n. 494 (5), di recepimento della direttiva 92/57/CEE del Consiglio, nel rispetto dei principi e criteri direttivi e con l'osservanza delle procedure indicate dalla legge 22 febbraio 1994, n. 146 (6), e dalla legge 6 febbraio 1996, n. 52 (7). Nell'esercizio della delega il Governo dispone l'applicazione delle norme di cui all'articolo 10 del citato decreto legislativo n. 494 del 1996 (5) a laureati con adeguata competenza tecnica o documentabile esperienza curriculare e professionale nel settore della sicurezza. 7) Il Governo e' delegato ad emanare, entro il termine di cui al comma l e con le modalita' di cui ai commi 2 e 3, le disposizioni integrative e correttive necessarie ad adeguare la disciplina recata dal decreto legislativo 26 novembre 1992, n. 470, alle direttive del Consiglio 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, nel rispetto dei principi e criteri direttivi di cui all'articolo 6, comma 1, lettere, a), b), c) e d) della legge 19 febbraio 1992, n. 142 (4). 8) Il Governo e' delegato ad emanare, secondo i criteri e i principi direttivi di cui all'articolo 2, entro il termine di cui al comma 1 e con le modalita' di cui ai commi 2 e 3 del presente articolo, le disposizioni integrative e correttive necessarie ad adeguare la disciplina recata dal d.lgs. 10 settembre 1991, n. 303, alla direttiva 86/653/CEE del Consiglio, relativa al coordinamento dei diritti degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti. 9) Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, con le modalita' di cui ai commi 2 e 3, informandosi ai criteri e ai principi generali di cui all'articolo 2, e' data attuazione: a) alla direttiva 93/118/CE del Consiglio, che modifica la direttiva 85/73/CEE del Consiglio, relativa al finanziamento delle ispezioni e dei controlli sanitari delle carni fresche e delle carni di volatili da cortile, informandosi anche ai criteri specifici previsti all'articolo 35 della legge 6 febbraio 1996, n. 52 (7/a) e tenendo conto delle direttive del Consiglio 94/64/CE, 95/24/CE, 96/17/CE e 96/43/CE, di modifica della citata direttiva 85/73/CEE; b) alla direttiva 93/119/CE del Consiglio, relativa alla protezione degli animali durante la macellazione o l'abbattimento, informandosi anche ai criteri specifici previsti all'articolo 37 della legge 6 febbraio 1996, n. 52 (7a); c) alla direttiva 95/29/CE del Consiglio sulla protezione degli animali durante il trasporto e alla direttiva 97/2/CE del Consiglio sulle norme minime per la protezione dei vitelli, tenendo conto della decisione della Commissione 97/182/CE". Il primo comma dell'art. 1, che delega il Governo ad emanare i decreti legislativi recanti le norme di attuazione alle direttive comprese, nell'apposito elenco di cui all'Allegato A e' strettamente correlato con il quinto comma (quello richiamato nella premessa del d.lgs. 342/99), in quanto quest'ultimo (con piu' specifico riferimento alla materia degli enti creditizi) delega il Governo ad emanare, con d.lgs., le norme che (proprio al fine di dare attuazione alle Direttive comunitarie di cui all'Allegato A richiamato nel primo comma) dovranno integrare e modificare il d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385. Infine, il quinto comma dispone che tali disposizioni il Governo dovra' emanare nel rispetto dei principi e criteri direttivi indicati nell'art. 25 della legge 19 febbraio 1992, n. 142. Dunque i punti di riferimento che consentono di individuare l'oggetto ed i limiti della delega legislativa in esame sono: a) i principi e criteri direttivi dettati dall'art. 25, legge n. 142/1992; b) altri principi e criteri direttivi contenuti negli artt. 2 e 33 della legge n. 128/1998 relativamente alla materia degli enti creditizi; c) il contenuto delle direttive comunitarie di cui all'Allegato A richiamato nel primo comma dell'art. 1, legge n. 128/1998. In base a tali fonti si deve accertare se il Governo sia stato delegato ad emanare disposizioni sulla disciplina dei singoli contratti bancari e sulle "modalita' di calcolo degli interessi". Come gia' innanzi dimostrato, i principi e criteri direttivi dettati dall'art. 25, legge n. 142/1992 riguardano materie del tutto diverse da quella relativa ai singoli contratti o servizi bancari ed alle "modalita' di calcolo degli interessi". Sempre in tema di principi e criteri direttivi, anche gli artt. 2 e 33 della stessa legge 24 aprile 1998, n. 128 (non espressamente richiamati nel quinto comma dell'art. 25, legge n. 142/1992, ma comunque contenenti principi e criteri direttivi generali della legge di delega ed ulteriori criteri specifici per la materia delle imprese finanziarie) non fanno alcun riferimento alla disciplina dei singoli contratti o dei servizi bancari, ne' tanto meno alle modalita' di calcolo degli interessi. In particolare, circa l'art. 2 ("Salvi gli specifici principi e criteri direttivi stabiliti negli articoli seguenti ed in aggiunta a quelli contenuti nelle direttive da attuare, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 saranno informati ai seguenti principi e criteri direttivi generali: a) le amministrazioni direttamente interessate provvederanno all'attuazione dei decreti legislativi con le ordinarie strutture amministrative; b) per evitare disarmonie con le discipline vigenti per i singoli settori interessati dalla normativa da attuare, saranno introdotte le occorrenti modifiche o integrazioni alle discipline stesse; c) salva l'applicazione delle norme penali vigenti, ove necessario per assicurare l'osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, saranno previste sanzioni amministrative e penali per le infrazioni alle disposizioni dei decreti stessi. Le sanzioni penali, nei limiti, rispettivamente, dell'ammenda fino a lire duecento milioni e dell'arresto fino a tre anni, saranno previste, in via alternativa o congiunta, solo nei casi in cui le infrazioni ledano o espongano a pericolo interessi generali dell'ordinamento interno del tipo di quelli tutelati dagli articoli 34 e 35 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (8). In tali casi saranno previste: la pena dell'ammenda alternativa all'arresto per le infrazioni che espongano a pericolo o danneggino l'interesse protetto; la pena dell'arresto congiunta a quella dell'ammenda per le infrazioni che rechino un danno di particolare gravita'. La sanzione amministrativa del pagamento di una somma non inferiore a lire cinquantamila e non superiore a lire duecento milioni sara' prevista per le infrazioni che ledano o espongano a pericolo interessi diversi da quelli sopra indicati. Nell'ambito dei limiti minimi e massimi previsti, le sanzioni sopra indicate saranno determinate nella loro entita' tenendo conto della diversa potenzialita' lesiva dell'interesse protetto che ciascuna infrazione presenta in astratto, di specifiche qualita' personali del colpevole, comprese quelle che impongono particolari doveri di prevenzione, controllo o vigilanza, nonche' del vantaggio patrimoniale che l'infrazione puo' recare al colpevole o alla persona o ente nel cui interesse egli agisce. In ogni caso, in deroga ai limiti sopra indicati, per le infrazioni alle disposizioni dei decreti legislativi saranno previste sanzioni penali o amministrative identiche a quelle eventualmente gia' comminate dalle leggi vigenti per le violazioni che siano omogenee e di pari offensivita' rispetto alle infrazioni medesime; d) eventuali spese non contemplate da leggi vigenti e che non riguardino l'attivita' ordinaria delle amministrazioni statali o regionali potranno essere previste nei soli limiti occorrenti per l'adempimento degli obblighi di attuazione delle direttive; alla relativa copertura, in quanto non sia possibile far fronte con i fondi gia' assegnati alle competenti amministrazioni, si provvedera' a norma degli articoli 5 e 21 della legge 16 aprile 1987, n. 183 (9), osservando altresi' il disposto dell'articolo 11-ter, secondo comma, della legge 5 agosto 1978, n. 468 (10), introdotto dall'articolo 7 della legge 23 agosto 1988, n. 362, e successive modificazioni; e) all'attuazione di direttive che modificano precedenti direttive gia' attuate con legge o decreto legislativo si provvedera', se la modificazione non comporta ampliamento della materia regolata, apportando le corrispondenti modifiche alla legge o al decreto legislativo di attuazione della direttiva modificata; f) abolizione dei diritti speciali o esclusivi, con regime autorizzatorio a favore di terzi, in tutti i casi in cui il loro mantenimento ostacoli la prestazione, in regime di concorrenza, di servizi che formano oggetto di disciplina delle direttive per la cui attuazione e' stata conferita la delega legislativa, o di servizi a questi connessi; g) i decreti legislativi assicureranno in ogni caso che, nelle materie trattate dalle direttive da attuare, la disciplina disposta sia pienamente conforme alle prescrizioni delle direttive medesime, tenuto anche conto delle eventuali modificazioni comunque intervenute fino al momento dell'esercizio della delega; h) nelle materie di competenza delle regioni a statuto ordinario e speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano saranno osservati l'articolo 9 della legge 9 marzo 1989, n. 86 (11), e l'articolo 6, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616") si deve rilevare che, in base alla lettera b), il Governo e' delegato ad introdurre le occorrenti modifiche o integrazioni necessarie ad evitare disarmonie con le discipline vigenti per i singoli settori interessati dalla normativa comunitaria da attuare. Cio' implica che (in armonia con quanto dispone l'art. 1, comma 5) le modifiche ed integrazioni che i decreti legislativi di cui all'art. 1 possono apportare alle norme vigenti nel nostro ordinamento, nella materia degli enti creditizi, riguardano esclusivamente le disposizioni il cui oggetto sia strettamente attinente alle disposizioni comunitarie da attuare e dunque con sicura esclusione del settore relativo alla disciplina dei singoli contratti o servizi bancari (tanto piu' della specifica regolamentazione delle modalita' di calcolo degli interessi) in quanto costituente campo non interessato in alcun modo dalla normativa comunitaria da attuare come sara' di seguito dimostrato). Diversamente opinando, si darebbe luogo ad un'interpretazione illegittimamente abrogativa del limite espressamente contenuto nella menzionata disposizione di cui lettera b) dell'art. 2, laddove vengono richiamati "i singoli settori interessati dalla normativa da attuare". Ed infatti, se si ha riguardo agli oggetti specifici delle disposizioni contenute nelle direttive comunitarie in questione (che, si torna a dire, non hanno alcuna relazione con il settore relativo alla materia dei singoli contratti o servizi bancari) non si vede in quale modo l'attuazione nel nostro ordinamento di dette direttive possa determinare delle disarmonie con la preesistente normativa in materia di interessi convenzionali ed anatocistici nei singoli contratti bancari. Circa l'art. 33: ("Al fine di rafforzare la vigilanza prudenziale in tutto il settore dei servizi finanziari, il Governo e' delegato a emanare uno o piu' decreti legislativi per adeguare ai princi'pi e alle prescrizioni della direttiva 95/26/CE del Parlamento europeo e del Consiglio la normativa nazionale delle imprese finanziarie: banche, societa' di intermediazione mobiliare, organismi di investimento collettivo in valori mobiliari e imprese di assicurazione. 2) L'attuazione della direttiva 95/26/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sara' informata ai seguenti princi'pi e criteri direttivi: a) assicurare che la soggezione delle imprese finanziarie alla normativa nazionale sia collegata all'effettivo svolgimento in Italia dell'attivita' propria delle imprese medesime. A tal fine, le autorita' competenti al rilascio dell'autorizzazione dovranno verificare che la sede legale e la direzione generale delle imprese finanziarie siano situate nel territorio della Repubblica. Le autorita' competenti, nell'esercizio delle funzioni di vigilanza e di controllo, assicurano che non sussistano stretti legami, ai sensi della direttiva 95/26/CE, tra le imprese finanziarie e altre persone fisiche o giuridiche, tali da ostacolare l'effettivo esercizio della vigilanza; b) ferma restando la garanzia della riservatezza delle informazioni nei settori interessati dalla direttiva da attuare, consentire scambi di informazioni tra le autorita' competenti ai controllo delle imprese finanziarie e le altre autorita' od organismi, anche monetari o di compensazione, gli organi delle procedure concorsuali, i soggetti abilitati a svolgere un'attivita' di controllo legale dei conti presso imprese finanziarie o gli altri soggetti anche non appartenenti alle pubbliche amministrazioni previsti dalla direttiva alle condizioni ivi indicate. Le informazioni trasmesse o scambiate dovranno, comunque, essere preordinate esclusivamente all'esercizio delle funzioni di vigilanza; c) prevedere che i soggetti abilitati a svolgere un'attivita' di controllo legale dei conti presso una impresa finanziaria o qualsiasi altro incarico ufficiale presso la stessa o presso una impresa legata a questa da stretti legami, secondo i criteri stabiliti dalla direttiva, abbiano l'obbligo di comunicare alle autorita' di vigilanza competenti fatti rilevanti, di cui essi siano venuti a conoscenza nell'esercizio dell'incarico, che possano costituire violazione di norme legislative o regolamentari, pregiudicare la continuita' dell'impresa, comportare il rifiuto della certificazione o l'emissione di riserve") occorre rilevare che, al secondo comma lettere a), b) e c), nel fissare criteri di delega specifici per la materia delle imprese finanziarie (ulteriori rispetto a quelli gia' fissati nell'art. 25 legge 19 febbraio 1992 e richiamati dal comma 5 dell'art. 1 legge 128/1998) non e' stabilito nulla che sia riferibile, anche solo in forma indiretta, alla materia dei singoli contratti o servizi bancari, ovvero alle "modalita' di calcolo degli interessi"; in particolare, la lettera a) attiene alla soggezione delle imprese estere alla normativa nazionale italiana, la lettera b) riguarda lo scambio di informazioni fra autorita' nazionali competenti ai controlli, infine la lettera c) prevede, per i soggetti abilitati a svolgere un'attivita' di controllo legale dei conti nelle banche, l'obbligo di comunicare determinate informazioni alle autorita' di controllo. Infine, passando all'analisi delle singole Direttive comunitarie, si deve in primo luogo constatare che, di tutte quelle elencate nel predetto Allegato A, l'unica relativa agli enti creditizi e' la Direttiva 95/26 CE, del Parlamento europeo e del Consiglio, datata 29 giugno 1995, che modifica le direttive 77/789 CEE ed 89/646 CEE (quest'ultima gia' innanzi esaminata articolo per articolo). Anche in questo caso pertanto e' necessario procedere all'esame dettagliato delle due Direttive comunitarie nn. 95/26 CE e 77/789 CEE, al fine di verificare se le stessa contengano disposizioni o principi aventi ad oggetto la disciplina dei singoli contratti bancari e, piu' in particolare, la "modalita' di calcolo degli interessi". Solo in tale ipotesi infatti l'art. 1 legge 24 aprile 1998, n. 128 conferirebbe al Governo la delega a legiferare in detta materia. E' opportuno iniziare dall'esame della Direttiva n. 77/780 CEE, costituendo questa il testo base in cui si inserisce l'altra Direttiva, la n. 95/26/CE, introducendo parziali modifiche. La Direttiva 77/780 CEE del Consiglio, del 12 dicembre 1977, relativa al coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative riguardanti l'accesso all'attivita' degli enti creditizi ed il suo esercizio, analogamente alla gia' esaminata Direttiva 89/646 CEE, contiene un'ampia premessa enunciativa delle finalita' di carattere generale; in particolare e' affermata la necessita' di eliminare le discriminazioni fra gli Stati membri, in materia di stabilimento e di prestazione di servizi, fondate sulle nazionalita' o sul fatto che l'impresa non e' stabilita nello Stato membro in cui la prestazione e' eseguita; si auspica di raggiungere tale obbiettivo attraverso una progressiva armonizzazione fra i singoli ordinamenti, che contempli sia sistemi di controllo sugli enti creditizi integrati fra i singoli Stati membri, sia condizioni uniformi di autorizzazioni per categorie simili di enti creditizi, sia semplificazione nelle autorizzazioni stesse ed esenzione dalle procedure nazionali di autorizzazione per la creazione di succursali negli altri Stati membri. Come si vede, anche in questo caso, la premessa delle Direttiva non contiene alcun principio che possa in qualche modo, sia pure indirettamente, ricondursi alla disciplina dei singoli contratti bancari e, piu' in particolare, alla "modalita' di calcolo degli interessi". Ed anche in tale caso cio' trova pieno riscontro nel contenuto dei singoli articoli della Direttiva: art. 1 (definizione di "ente creditizio"; art. 2 (applicabilita' della direttiva a tutti gli enti creditizi); art. 3 (necessita' di un'autorizzazione preventiva per l'esercizio dell'attivita' creditizia); art. 4 (possibilita di subordinare a particolari autorizzazioni l'apertura di succursali); art. 5 (identita' della denominazione dell'ente creditizio nel territorio dello Stato membro in cui ha sede e fuori di questo); art. 6 (controlli sulla liquidita' e solvibilita' degli enti); art. 7 (collaborazione fra gli Stati membri per i controlli sulle succursali degli enti); art. 8 (casi in cui le autorita' competenti degli Stati revocano le autorizzazioni agli enti); art. 9 (divieto di discriminazioni in favore di succursali di enti estranei alla comunita'); art. 10 (enti gia' autorizzati prima dell'attuazione della direttiva); art. 11 (istituzione di un Comitato consultivo delle autorita' competenti degli Stati membri); art. 12 (segreto d'ufficio); art. 13 (ricorsi giurisdizionali); art. 14 (disposizione transitoria). Infine la Direttiva 95/26/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, contenente modifiche alle Direttive 77/780 CEE e 89/646 CEE in materia di enti creditizi, nella premessa, rileva l'opportunita' di modificare in alcuni punti le precedenti Direttive 77/780 CEE e 89/646 CEE in materia di enti creditizi; inoltre enuncia i seguenti obbiettivi: rafforzare la vigilanza prudenziale, con particolare considerazione dell'opportunita' di non accordare autorizzazioni ad imprese finanziarie caratterizzate da stretti legami con persone fisiche o giuridiche tali da ostacolare l'effettivo esercizio della vigilanza; meglio controllare fenomeni di elusione dei controlli da parte di imprese che a tale fine scelgono il sistema giuridico di uno stato membro diverso da quello in cui di fatto svolgono le loro attivita'; facilitare gli scambi di informazioni fra le autorita' di controllo degli Stati; intensificare la tutela del segreto professionale. Come le enunciazioni riportate nella premessa, cosi anche le singole disposizioni della Direttiva in questione non contengono alcuna norma o principio riconducibile alla disciplina dei singoli contratti bancari o alla "modalita' di calcolo degli interessi"; art. 1 (sostituzione del termine "impresa creditizia" con quello "ente creditizio" a modifica della Direttiva 77/780); art. 2 (definizione degli "stretti legami" fra ente creditizio ed altra persona fisica o giuridica); art. 3 (parziale modifica di altra Direttiva comunitaria relativa alle imprese di assicurazioni; art. 4 (scambi di informazioni fra autorita' di controllo); art. 5 (obblighi di segnalazioni alle autorita' di controllo; art. 6 (obbligo per gli Stati membri di conformare gli ordinamenti interni alla Direttiva). Non puo' infine omettersi di rilevare che, quand'anche (per mera ipotesi) l'art. 25 della legge 19 febbraio 1992, n. 142 o l'art. 1 della legge 24 aprile 1998, n. 128 avessero contenuto la delega legittimamente l'emanazione della disposizione sulla modalita' di calcolo degli interessi di cui all'art. 25 del d.lgs. 342/1999, in ogni caso il Governo avrebbe esercitato tale delega ben oltre i limiti di tempo imposti dal secondo comma dello art. 25 legge 142/1992 ("entro diciotto mesi dallla data di entrata in vigore della presente legge") e dal primo comma (richiamato dal quinto comma) dell'art. 1 legge 128/1998 "entro il termine di un anno dall'entrata in vigore della presente legge ... la scadenza e' prorogata di sei mesi se, per effetto di direttive notificate nel corso dell'anno di delega, la disciplina risultante da direttive comprese nell'elenco e' modificata senza che siano introdotte nuove norme di principio". A tale ultimo riguardo e' opportuno precisare che la legge 128/1998 e' stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 7 maggio 1998, n. 104 s.o. ed e' entrata in vigore il 22 maggio 1998; da cio' consegue che il termine ultimo di un anno per l'emanazione di decreti legislativi e' scaduto il 22 maggio 1999; sicche' il d.lgs. n. 342 del 4 agosto 1999, essendo tardivo, e' invalido ed inefficace; ne' d'altra parte risulta che, nel corso dell'anno di delega, sia pervenuta la notifica di direttive comunitarie modificative di quelle incluse nell'apposito elenco e pertanto non si e' verificata la proroga di sei mesi della scadenza. La carenza assoluta di legge di delegazione rende geneticamente incostituzionale la norma in esame. Tuttavia, subordinatamente, non sembra superfluo evidenziare altri profili di illegittimita' costituzionale che attengono al contenuto della norma stessa. 2. - L'art. 25, comma 3, d.lgs. 342/1999 come norma interpretativa - contrasto con gli artt. 3, 24, 101, 102, 104 cost. A) Violazione dei limiti costituzionali al potere del legislatore di emanare disposizioni interpretative. La disposizione contenuta nel comma 3, del citato art. 25 "Le clausole relative alla produzione di interessi sugli interessi, contenute nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della delibera di cui al comma due sono valide ed efficaci fino a tale data, dopo di essa devono essere adeguate al disposto della menzionata delibera..." o integra una norma interpretativa dell'art. 1283 c.c. sull'anatocismo, ovvero introduce, con efficacia retroattiva, una modifica dello stesso art. 1283 c.c. in tema di anatocismo limitatamente ai contratti bancari. Una prima considerazione di ordine logico e sistematico dovrebbe indurre immediatamente ad escludere che la disposizione in esame abbia il carattere proprio della norma interpretativa in senso stretto. Infatti, se il legislatore delegato avesse inteso dare un'interpretazione autentica dell'art. 1283 c.c., avrebbe dovuto occuparsi complessivamente della disciplina dell'anatocismo, quale fonte di obbligazione riferibile a qualsiasi tipo di negozio giuridico. Cio' in quanto nella sistematica del codice l'istituto dell'anatocismo e' collocato fra le obbligazioni in generale (piu' specificamente le obbligazioni pecuniarie) e di conseguenza riguarda tutti i contratti dai quali derivino obbligazioni pecuniarie. La norma in esame invece fa esclusivo riferimento al ristretto ambito dei contratti bancari, come e' facilmente desumibile dal secondo comma dello stesso art. 25, che tratta solo degli "interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell'esercizio delI'attivita' bancaria". L'interpretazione autentica non puo' restringere l'ambito di efficacia della disposizione oggetto di interpretazione; ne' puo' introdurre discipline differenziate per fattispecie particolari (l'anatocismo nei soli contratti bancari ai sensi dell'art. 25 in esame) che rientrano nell'ambito della disciplina previgente insieme ad altre fattispecie in un contesto sistematico piu' generale (l'anatocismo in tutte le obbligazioni pecuniarie e dunque in tutti i contratti ai sensi dell'art. 1283 c.c.). In base a tali considerazioni sembra che l'art. 25 d.lgs. 342/1999 va ben oltre i limiti entro i quali deve mantenersi la norma interpretativa. Tale convincimento e' rafforzato anche per altre ragioni, alla luce di taluni principi piu' volte enunciati dalla Corte costituzionale in tema di norme interpretative. Come affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 311/1995 e con le numerose altre in questa richiamate "la legge di interpretazione autentica deve rispondere alla funzione che le e' propria: quella di chiarire il senso di norme preesistenti, ovvero di imporre una delle possibili varianti di senso compatibili col tenore letterale, sia alfine di eliminare eventuali incertezze interpretative (sentenze nn. 163 del 1991 e 413 del 1988), sia per rimediare ad interpretazioni giurisprudenziali divergenti con la linea di politica del diritto perseguita dal legislatore (sentenze nn. 397 e 6 del 1994; 424 e 402 del 1993; 455 e 454 del 1992 ed altre". Dunque una norma e' interpretativa quando: a) chiarisce il senso di norme preesistenti; b) ovvero impone una delle possibili varianti di senso compatibili col tenore letterale; c) ovvero elimina eventuali incertezze interpretative o rimedia ad interpretazioni giurisprudenziali divergenti. Tali tre possibili ipotesi confluiscono in un ulteriore limite affermato dalla Corte costituzionale nelle sentenze nn. 397/1994, 6/1994, 283/1993, 39/1993, 155/1990, 123/1988: "Il carattere interpretativo deve desumersi ... dalla struttura della fattispecie normativa, in relazione cioe' ad un rapporto fra norme tale che il sopravvenire della norma interpretante non fa venire meno la norma interpretata, ma l'una e l'altra si saldano fra loro, dando luogo ad un precetto normativo unitario". Avendo riguardo a tali principi, se si pongono in relazione il terzo comma dell'art. 25 d.lgs. 342/1999 e l'art. 1283 c.c., non e' possibile evincere alcun collegamento fra le due norme tale da consentire di stabilire: a) quale sia il contenuto oscuro dell'art. 1283 c.c. il cui senso trovi definitivo chiarimento nel terzo comma del predetto art. 25; b) quali siano la possibili varianti di senso compatibili col tenore letterale dell'art. 1283 c.c. e quale di tali varianti sia stata scelta ed imposta dalla norma interpreatativa; c) infine quali siano le incertezze interpretative risolte. Ed infatti la disposizione in esame si limita ad un'apodittica affermazione di validita' ed efficacia delle clausole sull'anatocismo contenute nei contratti bancari stipulati prima dell'entrata in vigore della futura delibera, con cui il CICR fissera' le modalita' ed i criteri per la produzione degli interessi sugli interessi. Essa dunque non contiene alcuna norma che possa saldarsi sul piano interpretativo con l'art. 1283 c.c. per dare luogo ad un precetto normativo unitario, nel senso gia' chiarito dalla Corte costituzionale; invece esprime un giudizio che sembra diretto a dirimere (sia pure senza motivazione) contenziosi gia' pendenti o eventuali piuttosto che a fornire strumenti ermeneutici utili all'interpretazione di leggi preesistenti. B) Violazione dei principi di ragionevolezza e di uguaglianza (Art. 3 Cost.). La natura solo apparentemente interpretativa di una legge spesso nasconde la violazione di norme costituzionali a tale riguardo la Corte costituzionale con sentenza n. 311/1995 ha affermato che "La sovrana volonta' del legislatore nell'emanare dette leggi (di interpretazione autentica) incontra una serie di limiti, che questa Corte ha da tempo individuato, e che attengono alla salvaguardia, oltre che di norme costituzionali, di fondamentali valori di civilta' giuridica posti a tutela dei destinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno ricompresi il rispetto del principio generale di ragionevolezza che ridonda nel divieto di introdurre ingiustificate disparita' di trattamento (sentenze nn. 397 e 6 del 1994; 424 e 283 del 1993; 440 del 1992 e 429 del 1993); la tutela dell'affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto (sentenze nn. 397 e 6 del 1994; 429 del 1993; 822 del 1988), e il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziari". Il principio di ragionevolezza, contenuto nell'art. 3 della Costituzione, quale principio di uguaglianza che si traduce in un "generale canone di coerenza dell'ordinamento" (Corte cost., n. 204/1982) e' violato, secondo il costante insegnamento della Corte costituzionale, tutte le volte che una "norma generale" ritenuta valida sia ingiustificatamente derogata da una "disciplina particolare" (Corte cost. n. 46/1983). Nel caso in esame la "norma generale" e' dettata dal combinato disposto degli artt. 1283 c.c. e 25 commi 1 e 2 del d.lgs. n. 342/1999. Dall'interpretazione sistematica di dette norme si evince che in nessun caso e' legittima la capitalizzazione trimestrale degli interessi a favore delle banche fino ad oggi praticata. Ed infatti in base all'art. 1283 c.c. l'anatocismo, fatti salvi gli usi contrari, e' ammesso solo a determinate condizioni, cioe' a decorrere dalla domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla scadenza e comunque per interessi dovuti da almeno sei mesi; sicche', in mancanza di usi contrari, l'anatocismo si riduce a ben poca cosa, in quanto inizia a decorrere solo dal momento in cui il creditore intraprende l'azione giudiziaria contro il debitore, oppure per volonta' del debitore manifestata in seguito alla scadenza degli interessi base. E' evidente che la ratio risiede nell'interesse collettivo alla tutela del debitore da facili esposizioni alla levitazione dei tassi (spesso fino ai limiti dell'usura) in conseguenza della sua posizione di contraente debole. Per altro verso, in base all'art. 25 comma 2 d.lgs. n. 342/1999, l'anatocismo nei contratti bancari che saranno stipulati in futuro, potra' aversi solo in base al ripristino di una situazione contrattuale di equilibrio fra clienti e banche, ossia a condizione che le medesime modalita' di calcolo degli interessi composti siano fissate sia per gli interessi creditori che per quelli debitori delle banche. Da tale quadro normativo di riferimento si evince che il legislatore per il passato (in forza del precetto contenuto nell'art. 1283 c.c.) e per il futuro (in forza della novella di cui all'art. 25 secondo comma) ha inteso sempre tutelare il contraente piu' debole (il debitore in generale con l'art. 1283; ed il cliente delle banche con l'art 25 secondo comma), ponendolo al riparo dalle facili pressioni alle quali puo' essere assoggettato in forza della necessita' che talora lo costringe a fare ricorso al credito in misura crescente e progressiva. Dunque la medesima ratio ispiratrice congiunge le due disposizioni, facendone una "norma generale", posta a tutela del contraente piu' debole e comunque del risparmiatore (ai sensi dell'art. 47 Cost.). In stridente ed illogico contrasto con detta "norma generale", si pone il terzo comma del predetto art. 25, in quanto integra una "norma speciale" che ingiustificatamente deroga alla ratio ed alla disciplina della "norma generale" disponendo che per il passato, ossia per i contratti stipulati sotto la vigenza dell'art. 1283 c.c., le clausole relative all'anatocismo restano "valide ed efficaci". Cio' non ha alcun logico fondamento e' in contrasto con il generale canone di coerenza interna all'ordinamento e crea una manifesta ed ingiusta discriminazione nei danni di coloro i quali sotto la vigenza dell'art. 1283 c.c. avevano pattuito con le banche interessi anatocistici ed oggi si vedono improvvisamente privati della tutela di una norma che era vigente per tutta la durata del rapporto fin dal momento della pattuizione dell'anatocismo e che li poneva al riparo dall'illegittimita' di tale clausola per i casi in cui la stessa fosse stata applicata al di fuori dei limiti e delle condizioni previste nello stesso art. 1283 c.c. Inoltre la manifesta ingiustizia e disparita' di trattamento si configura anche in danno degli altri operatori economici i quali, a differenza delle banche, alle quali soltanto si riferisce la novella dell'art. 25, non beneficiano dell'affermazione di validita' ed efficacia dei contratti (ad esempio di conto corrente ordinario) eventualmente stipulati con previsione di interessi anatocistici. C. - Violazione delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (artt. 24, 101, 102, 104 Cost.) L'apparente natura interpretativa della disposizione in esame maschera un'altra violazione costituzionale, questa assai piu' grave, in quanto mina il fondamento dello stato di diritto. Si tratta della violazione di funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario. A tale riguardo la Corte costituzionale, con riferimento alle leggi interpretative, ha affermato che "il legislatore vulnera le funzioni giurisdizionali: a) quando intervenga per annullare gli effetti del giudicato; b) quando la legge sia intenzionalmente diretta ad incidere su concrete fattispecie sub iudice" (Corte cost. nn. 397/1994, 6/1994, 429/1993, 424/1993, 283/1993, 39/1993, 440/1992, 429/1991 ed altre). Si tratta allora di stabilire se la statuizione contenuta nel terzo comma dell'art. 25 (Le clausole relative alla produzione di interessi sugli interessi, contenute nei contratti stipulati anteriormente a ... sono valide ed efficaci) integri un precetto normativo, come tale caratterizzato da generalita' ed astrattezza, ovvero sia diretto ad incidere su concrete fattispecie sub iudice. E' principio generale che la norma, per potere essere astratta, ossia riferibile a situazioni tipo individuate ipoteticamente (c.d. fattispecie astratta), deve contenere un precetto, cioe' una regola di comportamento, riferibile ad una molteplicita' indeterminata di situazioni concrete, nelle quali la violazione del precetto da' luogo agli eventuali effetti sanzionatori. E' allora da chiedersi se sia astratta la norma che si limita solo ad escludere una data conseguenza sanzionatoria (invalidita' o inefficacia) con riferimento a situazioni particolari (i contratti bancari). La disposizione in esame ha per oggetto i contratti bancari; e' principio generale dell'ordinamento che l'invalidita' o l'inefficacia del negozio giuridico scaturisce dalla violazione di specifici precetti, in forza dei quali l'ordinamento, pur riconoscendo l'autonomia privata come principio generale, impone dei limiti entro cui le manifestazioni di volonta' negoziale hanno valore ed effetti giuridicamente rilevanti. L'invalidita' o l'inefficacia del contratto pertanto e' conseguenza sanzionatria della violazione di tali limiti dettati da norme generali ed astratte (norme sulla nullita', annullabilita', rescindibilita', risolvibilita' dei contratti). Al di fuori di tali ipotesi astratte, tutti i contratti sono validi ed efficaci in forza dell'art. 1322 c.c. "Le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge". Da cio' consegue che la disposizione che apoditticamente afferma "sono validi ed efficaci le clausole relative alla produzione di interessi sugli interessi, contenute nei contratti stipulati anteriormente a ..." non introduce nell'ordinamento alcuna modifica dei limiti all'autonomia privata che possa astrattamente riferirsi ad una molteplicita' indeterminata di situazioni concrete, ma afferma soltanto l'esclusione dell'invalidita' e dell'inefficacia quali conseguenze sanzionatorie previste, queste si in via generale ed astratta, dall'art. 1283 c.c. In conclusione, l'art. 25 comma 3 d.lgs. n. 342/1999, non contenendo alcun precetto dotato di generalita' ed astrattezza ed affermando la validita' e l'efficacia delle clausole sulla capitalizzazione trimestrale contenute in tutti i contratti stipulati in passato dalle banche, svolge una funzione prettamente giurisdizionale, in quanto si sostituisce all'autorita', giudiziaria nel dirimere il contenzioso in atto fra banche e clienti che verte proprio sulla validita' delle clausole contrattuali relative all'anatocismo. In tal modo e' stato privato il cittadino della possibilita' di tutelare i propri diritti ed interessi legittimi dinanzi all'autorita' giurisdizionale (art. 24 Cost.); e' stata violata la riserva della funzione giurisdizionale in favore dei magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sul regolamento giudiziario (art. 102 Cost.); e' stata violata l'indipendenza e l'autonomia della magistratura (art. 104 Cost.) sia in conseguenza del contrasto con la riserva di cui innanzi, sia per avere un altro potere dello Stato imposto ai giudici la soluzione di singoli casi giudiziari. 3. - L'art. 25, comma terzo, d.lgs. 342/1999 come disposizione innovativa avente efficacia retroattiva - contrasto con gli artt. 76, 3, 24, 101, 102, 104 Cost. A) Carenza di delega a conferire efficacia retroattiva alla norma delegata (art. 76 Cost). Se si esclude che la disposizione in esame possa avere natura interpretativa e si ritiene che la stessa integri una norma innovativa avente efficacia retroattiva, si deve rilevare il contrasto con l'art. 76 della Costituzione per difetto di espressa delega a conferire efficacia retroattiva alla disposizione delegata. A tale riguardo la Corte costituzionale, con sent. n. 29/64 ha affermato che "Anche nel fissare la data di decorrenza della disciplina delegata il Governo deve osservare i principi ed i criteri direttivi della legge delegante in conformita' all'art. 76 Cost. Di conseguenza, in relazione alle singole leggi di delegazione, deve accertarsi se il legislatore delegato abbia il potere di conferire alle norme un'efficacia retroattiva". Si e' gia' dimostrato che nella fattispecie non esisteva alcuna legge delega che legittimasse il Governo ad emettere le disposizioni di cui all'art. 25 in esame. Pertanto, a maggior ragione, deve ritenersi che non ricorre la particolare delega del potere di conferire alle norme efficacia retroattiva. B) Violazione del principio di ragionevolezza, quale limite per l'emanazione di leggi aventi efficacia retroattiva (art. 3 Cost.). La Corte costituzionale con la sentenza n. 402/1993 ha affermato che "La legge retroattiva e' soggetta al controllo di conformita' al principio di ragionevolezza secondo criteri analoghi, sia che si tratti di una norma innovativa con clausola di retroattivita', sia che si tratti di una norma interpretativa, per sua natura retroattiva". Alla luce di tale principio, deve ritenersi che valgono in questa sede (ossia con riferimento all'interpretazione dell'art. 25, comma 3, d.lgs. 342/1999 come norma innovativa con clausola di retroattivita') le medesime ragioni di contrasto con i principi di ragionevolezza ed uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione gia' in precedenza illustrati, al punto B) del paragrafo 2) di questa ordinanza con riferimento alla qualificazione dell'art. 25 comma 3 come norma interpretativa; le gia' espresse ragioni di incostituzionalita' per contrasto con l'art. 3 della Costituzione devono intendersi integralmente richiamate in questa sede e pertanto si fa espresso rinvio a quanto gia' esposto al punto B) del paragrafo 2). C) Violazione delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (artt. 24, 101, 102, 104 Cost.). Analogamente, con riferimento alla riserva costituzionale delle funzioni giurisdizionali al potere giudiziario, valgono anche per le norme innovative aventi efficacia retroattiva i medesimi limiti innanzi enunciati con riferimento alle norme interpretative. In tal senso si e' pronunciata la Corte costituzionale sempre con la sentenza n. 402/1993, affermando che la legge innovativa avente efficacia retroattiva, non deve comunque "influire su concrete fattispecie sub iudice". Alla luce di tale principio, deve ritenersi ancora una volta che valgono in questa sede (ossia con riferimento all'interpretazione dell'art. 25, comma 3, d.lgs, 342/1999 come norma innovativa con clausola di retroattivita') le medesime ragioni di contrasto con la riserva costituzionale del potere giurisdizionale contenuta negli artt. 24, 101, 102, 104 della Costituzione gia' in precedenza illustrati, al punto C) del paragrafo 2) di questa ordinanza con riferimento alla qualificazione dell'art. 25, comma 3 come norma interpretativa; le ragioni di incostituzionalita' per contrasto con gli artt. 24, 101, 102, 104 della Costituzione devono intendersi integralmente richiamate in questa sede e pertanto si fa espresso rinvio a quanto gia' esposto al punto C) del paragrafo 2). 4. - Contrasto con gli artt. 3, 47 Cost. L'anatocismo trimestrale, generalmente applicato per anni dagli istituti di credito ai loro clienti, contrasta con il principio costituzionale della tutela del risparmio in tutte le sue forme. Le banche hanno la funzione istituzionale, propria dell'economia di mercato, d'intermediazione nell'uso del risparmio e quindi le norme che disciplinano l'esercizio del credito dovrebbero realizzare il principio contenuto nell'art. 47, comma secondo, della Costituzione, nel senso di favorire l'accesso al risparmio verso investimenti produttivi. L'applicazione generalizzata dell'anatocismo trimestrale invece, sino a ora, ha gravato enormemente sull'esercizio del credito, innescando meccanismi di progressivo aumento dei montanti, cosi' da determinare, in concreto, l'aumento dei tassi effettivi globali riferiti ad anno ed, ancora di piu', ad interi periodi di credito. Il meccanismo anatocistico trimestrale, di per se', determina enorme aumento effettivo del costo del danaro, al di fuori da ogni controllo istituzionale da parte degli organi a cio' preposti dall'ordinamento dello Stato. L'aumento del costo del danaro riduce la competitivita' degli oratori economici (soprattutto agricoltori, artigiani, nonche' piccole e medie imprese commerciali ed industriali), che, non essendo in grado di autofinanziarsi, normalmente fanno ricorso al credito, perche' determina l'aumento dei loro costi di produzione e li costringe, prima o poi, ad uscire dal mercato per insolvenza o al fine di evitare irreparabili conseguenze. L'elevato costo del denaro, quindi, si traduce in un generale aumento dei costi delle imprese, incide progressivamente sul livello dei prezzi di mercato e sulla competitivita' dei prodotti soprattutto dei piccoli e medi operatori rispetto a quelli delle grandi imprese nazionali e dei produttori esteri. Determina cioe' gravissimo danno per l'economia nazionale. Il nuovo indirizzo della Corte di cassazione era da tempo auspicato. Per effetto della diffusione dei meccanismi dannosi conseguenti all'anatocismo trimestrale, gli istituti bancari sono venuti meno al loro compito istituzionale di intermediari nell'uso del risparmio, che, naturalmente, ha una funzione produttiva. La norma in esame, violando i suddetti principi costituzionali, e' rivolta a convalidare gli effetti dannosi di una pratica oligopolistica e di cartello imposta generalmente agli operatori economici, ma non da loro accettata. in violazione della norma generale contenuta nell'art. 1283 c.c., ispirata, certo, ai principi di ordine pubblico e di tutela del contraente piu' debole, del risparmio e dell'economia nazionale. Il nuovo indirizzo giurisprudenziale, se consolidato, determinera' la progressiva riduzione del costo del danaro, dei costi delle imprese e dei prezzi, con evidenti benefici per i consumatori, per la stabilita' degli equilibri del mercato, per la competitivita' delle imprese e per il miglioramento dell'economia nazionale. Una norma finalizzata a convalidare una pratica dannosa per l'economia, imposta in violazione di una norma civilistica generale, e' certamente in contrasto con i principi di ragionevolezza e coerenza interna dell'ordinamento contenuti nell'art. 3 Cost., nonche' con i principi di tutela del risparmio di cui all'art. 47 Cost. Si ritiene (Merusi; "Comm. Banca") che l'art. 47 della Costituzione si pone l'obiettivo di tutelare e difendere il valore della moneta nel rapporto dinamico risparmio-credito. Risparmio e credito costituiscono i due termini in cui si esprime la liquidita' monetaria (Cpraglione; "Intervento pubblico ed ordinamento del credito"), che a sua volta e' uno dei fattori dell'equilibrio economico "espressamente costituzionalizzato". L'articolo suddetto tutela sia il risparmio "che correlato al credito entra a far parte della liquidita' monetaria" (Merusi, op. cit.) sia "il risparmio in tutte le sue fonti", cioe' ogni forma di surplus monetario di carattere volontario in qualunque modo indirizzato (Cerri e Baldassarre; Giur. cost.). Se e' vero che il risparmio e' una risorsa pubblica, non puo' essere legittimamente favorita una pratica contra legem che ne ha deformato la naturale funzione con grave danno per chi ha fatto ricorso al credito bancario, per la stabilita' dei prezzi e per l'intero sistema economico.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 della Costituzione, e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale nei termini di cui in motivazione, dell'art. 25, comma 3, d.lgs. 4 agosto 1999, n. 342 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 4 ottobre 1999, n. 233 ed entrato in vigore il 19 ottobre 1999) in relazione agli artt. 76, 3, 24, 141, 102, 104 e 47 della Costituzione; Sospende il presente procedimento; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la dichiarazione d'incostituzionalita' della norma innanzi indicata; Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati. Brindisi, addi' 9 dicmebre 1999. Il giudice unico: Marzo 00C0114