N. 56 SENTENZA 9 - 15 febbraio 2000

 Giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato.
 Conflitto di attribuzione  tra  poteri  dello  Stato  -  Ricorso  del
    giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Salerno
    -   Forma  dell'atto  di  promovimento  -  Idoneita'  alla  valida
    instaurazione del giudizio.  Legge 11 marzo 1953, n. 87, art.  37;
    norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale,
    art. 26.
 Parlamento  -  Immunita'  parlamentari  -  Dichiarazioni  rese  da un
    deputato nel corso di una trasmissione televisiva  -  Procedimento
    penale   instaurato  con  riguardo  alle  stesse  dichiarazioni  -
    Delibera  di  insindacabilita'  della  Camera  di  appartenenza  -
    Ricorso   del  giudice  per  le  indagini  preliminari  presso  il
    Tribunale di Salerno, nei confronti della Camera  dei  deputati  -
    Carenza   del  nesso  funzionale  tra  le  opinioni  espresse  dal
    parlamentare  e   l'esercizio   delle   funzioni   -   Illegittima
    interferenza    nella   sfera   di   attribuzioni   dell'autorita'
    giudiziaria  -  Accoglimento  del  ricorso  -  Annullamento  della
    deliberazione  adottata  dalla Camera dei deputati.  Deliberazione
    della Camera dei deputati 22 ottobre 1997.
  Costituzione, art. 68, primo comma.

(GU n.9 del 23-2-2000 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: prof. Giuliano VASSALLI;
  Giudici:  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.  Cesare  MIRABELLI, prof.
 Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO,  dott.
 Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo  ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,
 prof. Carlo MEZZANOTTE,  avv.  Fernanda  CONTRI,  prof.  Guido  NEPPI
 MODONA,  prof.  Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI, dott.
 Franco BILE;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio per conflitto di attribuzione  fra  poteri  dello  Stato
 sorto  a  seguito  della  delibera  della  Camera dei deputati del 22
 ottobre 1997, relativa alla insindacabilita' delle opinioni  espresse
 dal deputato Vittorio Sgarbi nei confronti del dottor Luigi Esposito,
 promosso  con  ricorso del giudice per le indagini preliminari presso
 il Tribunale di Salerno, notificato il 14 gennaio 1999, depositato in
 cancelleria il 2 febbraio 1999  e  iscritto  al  n.  6  del  registro
 conflitti 1999.
   Visto l'atto di costituzione della Camera dei deputati;
   Udito nell'udienza pubblica del 9 novembre 1999 il giudice relatore
 Francesco Guizzi;
   Udito l'avvocato Giuseppe Abbamonte per la Camera dei deputati;
                           Ritenuto in fatto
   1.  - Il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di
 Salerno ha promosso conflitto di attribuzione fra poteri dello  Stato
 a seguito della delibera con cui la Camera dei deputati, nella seduta
 del   22   ottobre   1997,   aveva  affermato  la  sussistenza  della
 insindacabilita',  ai  sensi  dell'art.  68,   primo   comma,   della
 Costituzione,  per  affermazioni  rese  dal deputato Vittorio Sgarbi,
 dopo che erano decaduti, per  mancata  conversione,  i  decreti-legge
 emanati  per  dare  attuazione  al  nuovo  testo  dell'art.  68 della
 Costituzione, come novellato dalla legge  costituzionale  29  ottobre
 1993, n. 3.
   Il   Procuratore   della   Repubblica  di  Salerno,  con  richiesta
 depositata presso il giudice per le indagini preliminari il 26 luglio
 1997, aveva chiesto il rinvio a giudizio del deputato Sgarbi  per  il
 delitto previsto e punito dagli artt. 595 del codice penale, 13 della
 legge  8  febbraio  1948,  n. 47, e 30, comma 4, della legge 6 agosto
 1990, n. 223, poiche' nel corso della trasmissione televisiva "Sgarbi
 quotidiani" del 24 gennaio 1995, in onda sull'emittente Canale 5,  il
 parlamentare  avrebbe offeso la reputazione del sostituto procuratore
 della Repubblica Luigi Esposito,  affermando  che  "c'e'  una  guerra
 contro le vittime, contro le persone, che viene combattuta con l'arma
 impropria della Magistratura, con l'indifferenza di un magistrato, di
 un  giudice,  alla  vita  di  un uomo... questi magistrati tengono la
 gente in carcere come cani e non vanno a  vedere  in  che  condizioni
 sono".  Collegatosi  telefonicamente  con  la  moglie di un detenuto,
 rinviato a giudizio per  il  reato  di  associazione  per  delinquere
 finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti, il deputato Sgarbi
 asseriva  che  "Esposito e' il magistrato che ha impedito ad un prete
 di andare in carcere a visitare il dottor Gamberale"; egli  formulava
 quindi  una  serie di domande ("Ma suo marito sta male? Ma suo marito
 e' un uomo? Non ha risposto alle sue  lettere  Esposito?  Ma  non  e'
 andato  in  carcere  a  trovare suo marito? Ma suo marito e' un uomo?
 Esposito e' un uomo?  E' andato in carcere a parlare con suo  marito?
 Ha  visto  in  che  condizioni  e'?")  tutte chiaramente finalizzate,
 prosegue il GIP, a sottolineare un  presunto  comportamento  omissivo
 del magistrato. Il deputato Sgarbi concludeva rilevando che "Esposito
 non  deve  continuare  a  non  mandare preti in carcere... e non puo'
 continuare a tenere in carcere chi e' malato. Questa e' una questione
 che riguarda gli uomini, che riguarda la dignita' dell'uomo".
   Successivamente, nel corso dell'udienza preliminare del  22  aprile
 1998, la difesa parlamentare ha fatto presente che il 22 ottobre 1997
 la  Camera  dei  deputati,  su  conforme proposta della Giunta per le
 autorizzazioni a procedere, ha ritenuto  sussistente  la  prerogativa
 dell'insindacabilita'  introdotta  dall'art.  68,  primo comma, della
 Costituzione; di qui la richiesta, ai sensi dell'art. 129 del  codice
 di   procedura   penale,   della   declaratoria  di  improcedibilita'
 dell'azione penale.
   2. - Nell'ordinanza con cui promuove il conflitto, il  giudice  per
 le   indagini   preliminari   sottolinea,  in  primo  luogo,  che  la
 fattispecie al suo esame ha carattere peculiare, dal momento  che  la
 deliberazione  della  Camera  dei  deputati  e'  intervenuta  dopo la
 decadenza del decreto-legge n. 555 del  1996,  volto  ad  attuare  la
 nuova  disciplina  dell'immunita'  parlamentare  quale  risulta dalla
 legge costituzionale 29 ottobre 1993, n. 3; per cui  si  deve  allora
 accertare,   ad   avviso   del  ricorrente,  se  persista  il  potere
 parlamentare di valutazione della condotta al fine  di  stabilire  se
 essa  rientri  nell'ambito protetto dalla prerogativa costituzionale,
 con inibizione di difforme pronuncia giurisdizionale.
   Il giudice per le indagini preliminari richiama  la  giurisprudenza
 di  questa  Corte  sul  controllo  delle  deliberazioni  parlamentari
 affermative della insindacabilita', che possono essere censurate  per
 vizi  in  procedendo  o quando manchino i presupposti richiesti dalla
 Costituzione, fra i quali deve ritenersi essenziale  il  collegamento
 delle  opinioni  espresse con la funzione parlamentare, o nel caso di
 arbitraria valutazione di detti presupposti.
   Per quanto attiene ai vizi in procedendo il ricorrente afferma  che
 la   Camera   dei   deputati  ha  deliberato  secondo  una  procedura
 disciplinata da un decreto-legge decaduto. Egli  denuncia,  altresi',
 la   carenza   (o   arbitraria   valutazione)   dei  presupposti  per
 l'applicazione  della  prerogativa,   ricordando   a   tal   riguardo
 l'orientamento  della  Corte  di cassazione secondo cui non rientrano
 nell'ambito coperto dalla prerogativa le manifestazioni del  pensiero
 che,  espresse  in  comizi,  cortei,  trasmissioni  radiotelevisive o
 durante lo svolgimento di scioperi, non  abbiano  alcun  collegamento
 funzionale  con  l'attivita'  parlamentare  se  non  quello meramente
 soggettivo, in quanto poste in essere da persona fisica che e'  anche
 membro  del  Parlamento  (Corte  di  cassazione, V sezione penale, 16
 dicembre 1997, n. 11667).
   3. - Il conflitto e' stato dichiarato ammissibile  con  l'ordinanza
 n. 469 del 1998.
   4.  -  Si  e'  costituita  la Camera dei deputati, ritenendo che il
 conflitto debba essere rigettato.
   Attraverso  la rappresentanza parlamentare - osserva la Camera - la
 collettivita' controlla il buon funzionamento  dei  singoli  apparati
 pubblici,  ed  e'  la  legge  che regola ogni potesta' dello Stato. E
 infatti la  denuncia  compiuta  dal  deputato  Sgarbi,  e  l'addebito
 rivolto  al  magistrato  di non occuparsi delle condizioni di vita in
 carcere, attengono entrambi all'esercizio della funzione giudiziaria,
 all'esecuzione delle pene, alle  condizioni  di  coloro  i  quali  si
 trovano nello stato di custodia cautelare. Ne' vale qui l'esigenza di
 salvaguardare  la  personalita'  di  chi  e'  investito  dell'ufficio
 pubblico,  perche'  risulta  prevalente  -  prosegue  la  memoria   -
 l'interesse generale al corretto esercizio della funzione.
   Dopo  aver  ricordato  il contenuto degli articoli 5, 18 e 21 della
 Dichiarazione universale dei diritti  dell'uomo  sottoscritta  infine
 dall'Italia  con  numerosissimi  altri  Stati,  la Camera richiama la
 recente giurisprudenza costituzionale, in particolare le sentenze nn.
 129 e 379 del 1996, nn. 375 del 1997 e 289 del 1998,  rilevando  come
 l'attivita'  parlamentare  non  si risolva - per riconoscimento della
 stessa Corte - negli "atti tipici", anche se non ricomprende l'intera
 azione politica  svolta  da  deputati  e  senatori.  Applicando  tali
 principi  al  presente  conflitto,  si  dovrebbe  concludere  che  il
 comportamento del deputato Sgarbi, mosso da una fondamentale  istanza
 di  salvaguardia  della  persona  umana,  rientra  nell'esercizio del
 mandato politico e segnatamente nel "diritto di critica":  la  quale,
 per  poter  avere  una qualche efficacia, ben poteva essere formulata
 rivolgendosi direttamente all'opinione pubblica.
   L'Assemblea della Camera, accogliendo la proposta della Giunta  per
 le  autorizzazioni  a  procedere,  ha  quindi ritenuto che il proprio
 componente  sia  rimasto  nei  limiti   del   mandato   parlamentare,
 esprimendo  un'istanza  -  conclude  la  memoria  - che e' riferibile
 all'intera comunita' civile.
   Nell'imminenza dell'udienza, la Camera dei deputati  ha  presentato
 memoria,  sottolineando  come  le  affermazioni  del  deputato Sgarbi
 denuncino una disfunzione giudiziaria e rientrino nel  diritto-dovere
 del  parlamentare  di  richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica
 sulle inefficienze degli apparati pubblici; e a tal riguardo richiama
 il disposto dell'art.  67 della Costituzione e le valenze del mandato
 rappresentativo, che e' rappresentanza di interessi, nel  senso  piu'
 lato   del   termine,  e  non  si  esercita  soltanto  attraverso  la
 partecipazione all'iter formativo della volonta' dello Stato,  ma  si
 estende fin dove detti interessi lo richiedano.
                        Considerato in diritto
   1.  - Il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di
 Salerno ha promosso conflitto di attribuzione fra poteri dello  Stato
 nei  confronti della Camera dei deputati che, ai sensi dell'art.  68,
 primo comma, della Costituzione, aveva affermato, il 22 ottobre 1997,
 l'insindacabilita' di opinioni espresse dal deputato Vittorio  Sgarbi
 nel  corso  di  una  trasmissione televisiva, oggetto di procedimento
 penale pendente innanzi ad esso.
   Nell'ordinanza con la  quale  promuove  il  conflitto,  il  giudice
 sostiene  che la delibera parlamentare sarebbe affetta da un vizio in
 procedendo giacche' la Camera dei deputati ha seguito  una  procedura
 disciplinata  da  un  decreto-legge, il n. 555 del 1996, decaduto per
 mancata conversione; tale deliberazione sarebbe  comunque  priva  del
 presupposto giustificativo, e cioe' del necessario collegamento delle
 opinioni  espresse  con  la  funzione  parlamentare  (a  quest'ultimo
 riguardo  egli  richiama  una  pronuncia della Corte di cassazione, V
 sezione penale,  16 dicembre 1997, n. 11667).
   Costituitasi in giudizio, la Camera ha replicato  che  la  delibera
 d'insindacabilita'   e'   legittima,  dal  momento  che  le  opinioni
 manifestate dal parlamentare rientrano nella  funzione  di  controllo
 del  buon funzionamento degli apparati pubblici e vanno ricondotte al
 mandato  politico  garantito  dall'art.  68,   primo   comma,   della
 Costituzione.
   2.  -  Deve  essere  innanzitutto  dichiarata  l'ammissibilita' del
 conflitto, benche' promosso con ordinanza e non con ricorso.  E'  ben
 vero  che  nel conflitto di attribuzione fra poteri il giudice, quale
 titolare  della  funzione  giurisdizionale,  si  fa   promotore   del
 giudizio,  come  parte  ricorrente, per tutelare il proprio ambito di
 attribuzioni.   L'atto  introduttivo  e'  dunque  atto  del  giudizio
 costituzionale,  ne  assume  i  contenuti  e le forme, e segue le sue
 regole procedurali.   Ma da cio'  non  deriva  l'irricevibilita'  del
 presente   conflitto   perche'  promosso  con  ordinanza.  Sussistono
 infatti, nella specie, i requisiti sostanziali di un valido  ricorso,
 come  definiti dall'art. 37 della legge n. 87 del 1953 e dall'art. 26
 delle  norme  integrative  per   i   giudizi   davanti   alla   Corte
 costituzionale,  essendo  indicati con sufficiente chiarezza i motivi
 del ricorso, l'atto da cui si afferma  discendere  la  lesione  delle
 attribuzioni e il vizio che - ad avviso del giudice - inficierebbe la
 delibera di insindacabilita'. L'atto e' pervenuto alla cancelleria di
 questa  Corte  in  forma  che  e'  assimilabile al deposito di cui al
 citato art. 26 ed  e'  stato,  dopo  l'ordinanza  di  ammissibilita',
 regolarmente notificato e depositato.
   Si deve quindi passare al merito.
   3. - Questa Corte e' chiamata ad accertare se le dichiarazioni rese
 dal  deputato  Sgarbi  nel corso della trasmissione televisiva del 24
 gennaio 1995, in precedenza  citata,  possano  essere  legittimamente
 ricomprese  nelle  funzioni  parlamentari,  e se l'affermazione della
 prerogativa da parte delle Camere rispetti il nesso funzionale tra la
 dichiarazione e  l'attivita'  parlamentare  richiesto  dall'art.  68,
 primo  comma.  Spetta  invece  al  giudice  ordinario  il  compito di
 verificare se tali  esternazioni  integrino  gli  estremi  del  reato
 ascritto  al  deputato, o siano manifestazione del diritto di critica
 politica anche nei confronti di atti  e  comportamenti  dei  titolari
 degli organi giudiziari.
   E'  pacifico  che  costituiscono  opinioni formulate nell'esercizio
 della funzione quelle espresse nel corso dei lavori  della  Camera  e
 dei  suoi  organi,  in  occasione  dell'espletamento di una qualsiasi
 funzione di cui la Camera e' titolare, o manifestate in  atti,  anche
 individuali,  che  siano  estrinsecazione  delle  facolta' proprie di
 deputati e senatori. Nel normale svolgimento della vita  democratica,
 le  opinioni  che  il  parlamentare  espone  al di fuori dell' ambito
 funzionale rappresentano  esercizio  della  liberta'  di  espressione
 comune  a  tutti  i consociati, alle quali non puo' quindi estendersi
 (senza snaturarla) la  prerogativa  introdotta  dall'art.  68,  primo
 comma, della Costituzione.
   Non  e'  infatti  compatibile  con  l'impianto  della  nostra Carta
 costituzionale   un'accezione   della   funzione   parlamentare   che
 ricomprenda  l'attivita'  politica  svolta  in qualsiasi sede e nella
 quale  sia  irrilevante  la  qualita'  di  membro  delle  Camere.  In
 proposito  va  considerato  che  le  funzioni  conferite  agli organi
 costituzionali  non  designano   generiche   finalita',   ma   poteri
 giuridicamente  definiti;  e  questo  vale  altresi'  per la funzione
 parlamentare, che ha natura generale.  Cio'  che  la  differenzia  da
 altre   funzioni   costituzionalmente   tutelate,   ma   a  carattere
 specializzato  (v.  sentenze  nn.  10  e  11  del   2000   e,   nella
 giurisprudenza  risalente,  le  sentenze  nn.  375 del 1997 e 148 del
 1983).
   Occorre dunque che  la  prerogativa  trovi  una  sua  delimitazione
 funzionale:    senza  di  essa,  la  prassi  attuativa trasformerebbe
 l'istituto  in  una  sorta  di  privilegio  personale,  conferendo  a
 deputati  e senatori uno statuto personale di favore circa l'ambito e
 i limiti della liberta' di manifestazione del pensiero. Con  evidente
 distorsione del principio di eguaglianza e di pari opportunita' fra i
 cittadini nella dialettica politica.
   4.  -  La semplice comunanza di argomento fra la dichiarazione resa
 ai mezzi di comunicazione o  in  dibattiti  pubblici  e  le  opinioni
 espresse  in  sede  parlamentare  non  basta  a  estendere alla prima
 l'insindacabilita' che copre le seconde. Ne' si puo' invocare  a  tal
 fine l'esistenza di un "contesto" politico in cui la dichiarazione si
 inserisca,  giacche'  siffatto  tipo di collegamenti non vale, di per
 se',  a  conferire  il  carattere   di   attivita'   parlamentare   a
 manifestazioni di pensiero oggettivamente estranee ad essa.
   Deve   esservi,   dunque,   un  preciso  nesso  funzionale  fra  la
 dichiarazione   e   l'attivita'   parlamentare:   nesso   che    puo'
 legittimamente   essere   affermato  dalle  Camere  anche  quando  le
 dichiarazioni  siano   sostanzialmente   riproduttive   dell'opinione
 sostenuta in sede parlamentare. La prerogativa costituzionale rileva,
 infatti,  non soltanto per l'occasione specifica in cui l'opinione e'
 espressa in ambito parlamentare, ma riguarda il contenuto storico  di
 essa,  pure  quando ne sia realizzata la diffusione pubblica. Perche'
 la pubblicita' accompagna l'attivita' parlamentare,  necessariamente,
 assicurando   il   ruolo   fondamentale  delle  Camere  nella  libera
 dialettica politica.
   L'insindacabilita' si estende, quindi, a tutte  le  altre  sedi,  e
 occasioni,  in  cui  l'opinione  sia  riprodotta  nel  suo  contenuto
 sostanziale (v. ancora le sentenze nn. 10 e 11 del 2000).
   5.  -  Cio'  premesso,  si   puo'   analizzare   la   delibera   di
 insindacabilita'   impugnata  attraverso  il  presente  conflitto  di
 attribuzione.
   L'esame della  relazione  della  Giunta  per  le  autorizzazioni  a
 procedere della Camera (XIII legislatura, doc. IV-ter n. 38-A, del 12
 febbraio  1997)  e  del successivo dibattito in Assemblea (22 ottobre
 1997) dimostra che la delibera e' stata adottata  sulla  base  di  un
 generico  riferimento  alla  "azione  politica"  svolta  dal deputato
 Sgarbi,  "dentro  e  fuori  il  Parlamento",   sui   temi   attinenti
 all'amministrazione  della  giustizia  e  alla  tutela  dei  soggetti
 sottoposti a carcerazione preventiva.  E qui va osservato che non  vi
 e'  alcun  richiamo  di  atti  tipici  di  funzione con riguardo alla
 vicenda oggetto dell'esternazione  in  esame.    Anzi,  la  relazione
 riconosce  che  essa  e'  stata  resa  extra  moenia; e il precedente
 rilievo sul "carattere divulgativo" e' presente nella relazione della
 Giunta quale mero argomento di stile che non trova alcun conforto nei
 dati  di  fatto offerti al vaglio della Giunta e, poi, del plenum (v.
 il documento IV-ter n. 38-A e il  dibattito  in  Assemblea,  entrambi
 citati).
   Anche  le  circostanze  in  cui  ha  avuto  luogo  la dichiarazione
 dell'onorevole  Sgarbi  confermano  la  sua  estraneita'   all'ambito
 funzionale: si tratta di valutazioni compiute quale "opinionista" nel
 corso   di   una  trasmissione  televisiva,  senza  alcuna  specifica
 connessione con dibattiti  parlamentari,  interrogazioni,  inchieste,
 discussioni  di  progetti  di  legge;  ne'  si puo' far richiamo, per
 sorreggere la delibera d'insindacabilita', ad  altri  interventi  del
 parlamentare   sui   temi   della  giustizia  e  su  diverse  vicende
 individuali. Del resto, non risulta nemmeno che abbia fatto uso della
 facolta' contemplata dall'art. 67 della legge 26 luglio 1975, n. 354,
 sull'ordinamento penitenziario, di visitare gli istituti penitenziari
 per accertare in concreto le condizioni di  detenzione,  al  fine  di
 esercitare  eventualmente,  nelle  forme  appropriate,  il  sindacato
 ispettivo che la Costituzione gli riconosce.
   Mancando palesemente il nesso funzionale  richiesto  dall'art.  68,
 primo  comma,  della  Costituzione,  la  delibera  della  Camera  dei
 deputati del 22  ottobre  1997  risulta  illegittima  e  deve  essere
 annullata     per     invasione     dell'ambito    di    attribuzioni
 costituzionalmente garantito all'autorita' giudiziaria.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara che non spetta alla Camera dei  deputati  statuire  che  i
 fatti  per  i  quali  e'  in  corso presso il Tribunale di Salerno il
 procedimento penale a carico del  deputato  Vittorio  Sgarbi  per  il
 delitto previsto e punito dagli artt. 595 del codice penale, 13 della
 legge  8  febbraio  1948,  n. 47, e 30, comma 4, della legge 6 agosto
 1990, n.  223,  concernono  opinioni  espresse  nell'esercizio  delle
 funzioni, ai sensi dell'art.  68, primo comma, della Costituzione; di
 conseguenza  annulla  la  deliberazione  in  tal senso adottata dalla
 Camera dei deputati il 22 ottobre 1997.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 9 febbraio 2000.
                        Il Presidente: Vassalli
                         Il redattore: Grippi
                       Il cancelliere: Fruscella
   Depositata in cancelleria il 15 febbraio 2000.
                       Il cancelliere: Fruscella
 00C0170