N. 98 SENTENZA 5 - 13 aprile 2000

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale.
Finanza  pubblica - Rapporti finanziari tra Stato e Regione Siciliana
  -  Disposizioni  di  legge  dello  Stato  in  materia finanziaria -
  Ricorso  della  Regione  Siciliana  in  via  principale  -  Riserva
  all'erario,  per  risanamento  del  bilancio  statale,  di  entrate
  derivanti  dai  provvedimenti  legislativi  impugnati  -  Lamentata
  genericita'   della  riserva,  in  violazione  della  regola  della
  devoluzione  alla  Regione  delle entrate erariali riscosse nel suo
  territorio, ad eccezione di "nuove entrate" destinate a particolari
  finalita' - Conformita' delle disposizioni impugnate alla normativa
  di attuazione statutaria - Non fondatezza della questione.
- Legge 23 dicembre 1996, n. 662, artt. 2, comma 154, e 3, comma 216;
  d.l. 31 dicembre 1996, n. 669 (convertito, con modificazioni, dalla
  legge 28 febbraio 1997, n. 30), art. 7.
- Statuto Regione Siciliana, art. 36; d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074,
  art.  2. Finanza pubblica - Rapporti finanziari tra Stato e Regione
  Siciliana  - Riserva all'erario di tributi riscossi nell'ambito del
  territorio  regionale  -  Ricorso  della  Regione  Siciliana in via
  principale  -  Omessa  previsione della partecipazione della stessa
  Regione   al   procedimento   di  definizione  delle  modalita'  di
  attuazione   delle   clausole  di  riserva  -  Conseguente  lesione
  dell'autonomia    finanziaria    della    Regione    Siciliana    -
  Illegittimita' costituzionale in parte qua.
- Legge 23 dicembre 1996, n. 662, artt. 2, comma 154, e 3, comma 216;
  d.l. 31 dicembre 1996, n. 669 (convertito, con modificazioni, dalla
  legge 28 febbraio 1997, n. 30), art. 7, comma 1.
- Statuto Regione Siciliana, art. 36; d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074,
  art. 2.
(GU n.17 del 19-4-2000 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Cesare MIRABELLI;
  Giudici:  Francesco  GUIZZI,  Fernando  SANTOSUOSSO,  Massimo VARI,
Cesare RUPERTO, Riccardo CHIEPPA, Gustavo ZAGREBELSKY, Valerio ONIDA,
Carlo  MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto
CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK;
ha pronunciato la seguente


                              Sentenza

nei  giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 2, comma 154,
e 3, comma 216, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, recante "Misure
di  razionalizzazione  della  finanza  pubblica",  e  dell'art. 7 del
decreto-legge 31 dicembre 1996, n. 669, recante "Disposizioni urgenti
in  materia tributaria, finanziaria e contabile a completamento della
manovra  di  finanza  pubblica  per  l'anno  1997",  convertito,  con
modificazioni,  dalla legge 28 febbraio 1997, n. 30, promossi con due
ricorsi   della  Regione  Siciliana,  notificati  rispettivamente  il
27 gennaio   e   il   27 marzo   1997,   depositati  in  Cancelleria,
rispettivamente,  il  30 gennaio  ed il 7 aprile 1997, ed iscritti ai
nn. 18 e 32 del registro ricorsi 1997.
    Visti  gli  atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
    Udito  nell'udienza pubblica del 7 marzo 2000 il giudice relatore
Valerio Onida;
    Uditi  gli  avvocati Franco Castaldi, Giovanni Lo Bue e Francesco
Torre  per  la  Regione  Siciliana e l'avvocato dello Stato Giancarlo
Mando' per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

                          Ritenuto in fatto


    1. -   Con  ricorso  notificato  il  27 gennaio  e  depositato il
30 gennaio  1997  (Reg.  ric. n. 18 del 1997) la Regione Siciliana ha
impugnato,  in  riferimento agli articoli 14, lettera r), 17, lettera
d)  20,  21, terzo comma, e 36 dello statuto speciale e alle relative
norme  di  attuazione  in materia di pubblica istruzione e in materia
finanziaria, gli articoli 1, comma 85, 2, comma 154, e 3, commi 158 e
216,    della    legge    23 dicembre   1996,   n. 662   (Misure   di
razionalizzazione della finanza pubblica).
    A  seguito dell'udienza pubblica del 26 gennaio 1999 questa Corte
ha  deciso,  con sentenza n. 111 del 1999, oltre ad un profilo comune
di  illegittimita'  costituzionale  sollevato  dalla  ricorrente  nei
confronti di tutte le disposizioni impugnate, le questioni specifiche
sollevate  nei  confronti dell'art. 1, comma 85, e dell'art. 3, comma
158.  Il  giudizio e' proseguito quindi limitatamente alle specifiche
questioni  di  legittimita'  costituzionale,  sollevate  con il terzo
motivo   del   ricorso,  nei  confronti  dell'art. 2,  comma  154,  e
dell'art. 3,  comma  216,  della  stessa  legge  n. 662  del 1996, in
riferimento  all'art. 36 dello statuto speciale e alle relative norme
di attuazione in materia finanziaria, nonche' ai principi di certezza
del diritto e di leale cooperazione.
    Si  tratta  di  due  disposizioni di tenore simile, che riservano
all'erario,  rispettivamente, le entrate derivanti dai commi da 133 a
165  dell'art. 2, e le entrate derivanti dalla legge n. 662 nella sua
globalita', destinandole a concorrere "alla copertura degli oneri per
il  servizio  del  debito  pubblico, nonche' alla realizzazione delle
linee  di  politica economica e finanziaria in funzione degli impegni
di   riequilibrio  del  bilancio  assunti  in  sede  comunitaria",  e
stabiliscono  che con decreto del Ministro delle finanze (per il solo
art. 2,  comma  154,  di  concerto  con il Ministro del tesoro) "sono
definite,  ove  necessarie,  le  modalita'"  di  attuazione di quanto
previsto negli stessi commi in questione.
    La  ricorrente  osserva  che  la  legge  n. 662 contiene, oltre a
diverse  disposizioni  che  istituiscono nuovi tributi, sostituiscono
imposte  esistenti con altro tipo di imposizioni, ed elevano aliquote
di  tributi,  interventi  molteplici e di varia natura caratterizzati
dall'apparente  intento  di ridisegnare fattispecie tributarie, cause
di  detrazione  o di deduzione, o di allargare la base imponibile (ad
esempio   attraverso   l'aumento   delle   rendite   catastali),   ma
sostanzialmente rivolti a procurare, in "forme trasversali", maggiori
entrate.
    Tali  interventi  sulla base imponibile di tributi esistenti, che
consentono  l'acquisizione  di maggiori  entrate, non darebbero pero'
luogo  a  quelle  "nuove  entrate tributarie" che l'art. 2 del d.P.R.
26 luglio  1965,  n. 1074,  nell'attribuire alla Regione la spettanza
delle  entrate  tributarie erariali (salvo alcune eccezioni) riscosse
nel  suo  territorio,  consente  di riservare allo Stato con apposite
leggi,  che  le destinino al soddisfacimento di particolari finalita'
specificate  nelle leggi medesime. Nuove entrate tributarie, a questi
fini,  sarebbero  solo, secondo la ricorrente, quelle derivanti dalla
istituzione  di  nuovi  tributi  o  dall'incremento delle aliquote di
tributi  preesistenti: non ricorrendo, nella specie, tali ipotesi, la
devoluzione allo Stato dei maggiori proventi sarebbe illegittima.
    Lamenta  la ricorrente che nelle norme impugnate non vi e' alcuna
indicazione  dei criteri per distinguere i proventi nuovi da cio' che
nuovo  non e', limitandosi esse a rinviare ad un decreto ministeriale
la  indicazione  dei  criteri  selettivi:  si  impedirebbe  cosi'  il
controllo  sul  corretto  esercizio  della deroga, e verrebbe meno la
prevedibilita'   delle   relative  decisioni,  con  violazione  della
certezza  del  diritto. Per aversi tutela effettiva, occorrerebbe che
le  norme  fossero  sufficientemente  precise  e dettagliate, nonche'
ancorate a precisi indicatori quantitativi.
    Il  vulnus al principio di leale cooperazione sarebbe ancora piu'
grave  per  non  essersi  prevista  alcuna  forma di partecipazione e
consultazione   della   Regione   nella  determinazione  dei maggiori
proventi  derivanti  dagli  interventi  in parola. La Regione sarebbe
stata  totalmente ignorata, in quanto il Presidente della Regione non
sarebbe  stato  invitato  al  Consiglio  dei  ministri  in  cui si e'
discussa  e  approvata  la  normativa  in  questione,  e  il  decreto
ministeriale  verrebbe  a determinare discrezionalmente, senza alcuna
partecipazione   della  Regione,  il  quantum  dei maggiori  proventi
riservati allo Stato.

    2. - Il  Presidente  del Consiglio dei Ministri, costituitosi nel
giudizio, chiedendo la reiezione del ricorso, osserva, in ordine alle
censure  qui  esaminate,  che questa Corte, nella sentenza n. 429 del
1996, ha giudicato infondato il dubbio di legittimita' costituzionale
che  investiva  una  clausola  legislativa  (art. 3, comma 241, della
legge n. 549 del 1995) identica a quella contenuta nell'art. 3, comma
216,  della  legge  impugnata,  e ha precisato che il requisito della
novita' dell'entrata puo' ritenersi soddisfatto anche con riferimento
ad   entrate   derivanti   dall'aumento  delle  aliquote  di  tributi
preesistenti.
    Le  norme  della  legge  n. 662  del 1996, inoltre, solo in parte
determinerebbero  entrate aggiuntive relative a tributi preesistenti,
mediante la rimodulazione di una serie di imposte erariali attraverso
l'accorpamento  delle  aliquote;  per  il  resto prevederebbero nuovi
tributi   strutturalmente  destinati  alle  Regioni,  come  l'IRAP  e
l'addizionale  regionale  all'IRPEF,  ovvero  nuovi  tributi erariali
specificamente  destinati  al  perseguimento  delle linee di politica
economica  e  finanziaria  in  vista della partecipazione dell'Italia
all'Unione monetaria europea (c.d. contributo per l'Europa).

    3. - Con  ordinanza  in  data  11-22 febbraio  1999,  la Corte ha
disposto   l'acquisizione   in  via  istruttoria  di  informazioni  e
documenti  circa l'attuazione e gli effetti finanziari delle clausole
legislative impugnate.
    Le   relazioni  dei  Ministeri  competenti  e  la  documentazione
prodotta  sia dall'amministrazione centrale, sia dalla regione, hanno
consentito  di accertare che l'attuazione in via amministrativa delle
clausole  di  riserva  di  entrate  all'erario, contenute nelle norme
impugnate,  e' avvenuta (per la legge n. 662 del 1996 con riguardo ad
una  sola  parte delle disposizioni da cui derivano maggiori entrate,
con  esclusione  delle  disposizioni  destinate ad essere attuate con
atti  di  legislazione  delegata)  con  il decreto del Ministro delle
finanze,  adottato  di  concerto  con il Ministro del tesoro, in data
23 dicembre  1997  (Modalita'  di attuazione delle riserve all'erario
dal 1o gennaio 1997 del gettito derivante dagli interventi in materia
di  entrate  finanziarie  della  Regione  Sicilia, emanati dal 1992),
pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale  del  19 marzo  1998,  che  ha
provveduto  contestualmente  all'attuazione  anche  di altre analoghe
clausole di riserva di entrate, disposte da provvedimenti legislativi
succedutisi  dal 1992 al 1997, per quanto riguarda i gettiti relativi
agli anni 1997 e seguenti. In particolare, si e' provveduto a stimare
-   principalmente   sulla   scorta   delle  relazioni  tecniche  che
accompagnavano  i  disegni  di  legge  - il maggior gettito atteso in
ciascuno  degli  anni  1997,  1998  e  1999,  dall'applicazione delle
singole  disposizioni  delle  leggi  da  cui  derivano nuove entrate,
calcolando  poi  l'incidenza  percentuale di tale gettito sul gettito
totale  a  livello nazionale, relativo alle singole voci di entrata -
definite  per  singoli capitoli e articoli del bilancio dello Stato -
previste  nel  relativo  esercizio;  tale percentuale di incidenza e'
stata  applicata  alle  corrispondenti  voci  di entrata del bilancio
della  Regione  Siciliana, sulla base delle riscossioni del 1997 e di
stime  effettuate  per  il  1998 e il 1999, per determinare l'importo
riservato,  per  ogni  voce,  all'erario.  Si e' poi disposto che gli
incaricati   della   riscossione,  per  le  operazioni  eseguite  nel
territorio  della Regione Siciliana in ciascuno degli anni 1997, 1998
e   1999,   versino   all'erario   gli  importi  corrispondenti  alle
percentuali di incidenza predette, e alla Regione gli importi residui
(art. 2  del d.m. 23 dicembre 1997); che per gli anni 2000 e seguenti
sia  versata all'erario la percentuale prevista per il 1999 (art. 3);
e si e' previsto che i versamenti effettuati con l'applicazione delle
predette  percentuali possano essere oggetto di conguaglio sulla base
di un aggiornamento di dette percentuali, ottenuto utilizzando i dati
definitivi dei singoli capitoli di bilancio risultanti dal rendiconto
generale  dello  Stato  per  ciascun  anno:  conguaglio da effettuare
secondo  modalita'  da  stabilirsi  con  decreto  del  Ministro delle
finanze,  di  concerto  con  quello  del  tesoro,  al  momento  della
determinazione delle percentuali definitive da utilizzare (art. 4).

    4. - Con  ricorso notificato il 27 marzo e depositato il 7 aprile
1997  (Reg.  ric.  32 del 1997), la Regione Siciliana ha proposto due
questioni     di     legittimita'     costituzionale     riguardanti,
rispettivamente,   l'art. 5,  comma  1,  lettera  a  e  l'art. 7  del
decreto-legge  31 dicembre  1996,  n. 669  (Disposizioni  urgenti  in
materia  tributaria,  finanziaria  e  contabile a completamento della
manovra  di  finanza  pubblica  per  l'anno  1997),  convertito,  con
modificazioni,   dalla   legge   28 febbraio  1997,  n. 30,  entrambi
impugnati per contrasto con l'art. 36 dello statuto speciale e con le
relative  norme di attuazione in materia finanziaria di cui al d.P.R.
26 luglio   1965,   n. 1074,   nonche'  con  il  principio  di  leale
collaborazione fra Stato e Regione.
    A  seguito  dell'udienza  del  9 marzo  1999,  la  prima di dette
questioni  e'  stata  decisa  dalla  Corte con la sentenza n. 186 del
1999: il giudizio e' dunque proseguito con riguardo solo alla seconda
questione.
    L'art. 7  del  decreto-legge n. 669 del 1996 dispone la riserva a
favore  dell'erario delle entrate derivanti dal decreto medesimo, che
vengono  destinate a finalita' di copertura degli oneri per il debito
pubblico e di riequilibrio del bilancio statale.
    La  ricorrente  afferma  che  varie  disposizioni  del capo I del
decreto-legge darebbero luogo a incrementi di entrate conseguenti non
a   nuove   imposizioni  o  all'aumento  delle  aliquote  di  tributi
esistenti,  ma  a  semplici  rimodulazioni  della  base imponibile di
tributi, il cui gettito e' devoluto alla Regione ai sensi dell'art. 2
del  d.P.R.  n. 1074  del  1965.  Tali incrementi non costituirebbero
dunque "nuove entrate tributarie" suscettibili, secondo la previsione
dello  stesso art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965, di essere riservate
con  legge  all'erario  per essere destinate "alla copertura di oneri
diretti a soddisfare particolari finalita' contingenti o continuative
dello Stato".
    Mancando  ogni  indicazione  dei  criteri  di selezione fra nuove
entrate  e  cio'  che  non  lo e', e limitandosi la norma impugnata a
rinviare  ad  un  successivo  decreto  ministeriale, verrebbe meno la
possibilita' di controllare il corretto uso della deroga al principio
della  devoluzione  alla  regione  siciliana  del gettito dei tributi
erariali   riscossi   nel   suo   territorio,   e  verrebbe  meno  la
prevedibilita'  delle  decisioni  ministeriali  di  applicazione, con
violazione   del  principio  di  certezza  del  diritto.  Per  aversi
effettiva  tutela, occorrerebbe che le norme fossero sufficientemente
precise   e   dettagliate,  nonche'  ancorate  a  precisi  indicatori
quantitativi.

    5. - Il  Presidente  del Consiglio, costituitosi nel giudizio per
chiedere  il  rigetto  del  ricorso, osserva, quanto alla censura che
investe l'art. 7 del decreto-legge impugnato, che non sarebbe dato di
comprendere  quali  siano  le norme che comporterebbero entrate senza
influire  sulle  aliquote tributarie. "Nuove entrate" suscettibili di
essere  riservate  allo  Stato, comunque, sarebbero tutte quelle che,
modificando  il  meccanismo  impositivo (base imponibile, aliquota, o
altro), producono maggior gettito.

    6. - Con  ordinanza  22-31 marzo 1999 la Corte ha disposto in via
istruttoria    l'acquisizione    di    informazioni    e    documenti
sull'attuazione  e  sugli effetti finanziari della norma impugnata, e
di altre clausole legislative analoghe.
    Sia  il Presidente del Consiglio, sia la regione hanno depositato
una  abbondante  documentazione, che ha permesso di accertare come la
clausola di riserva di entrate per cui e' giudizio sia stata attuata,
contestualmente  a  quelle  analoghe contenute in altri provvedimenti
legislativi  emanati  a partire dal 1992, con il decreto del Ministro
delle finanze 22 dicembre 1997, di cui si e' detto sopra, al n. 3.

    7. - Nell'imminenza  della  nuova  udienza  del  7 marzo 2000, la
difesa  del Presidente del Consiglio ha depositato una memoria, nella
quale  afferma che rientrerebbero nella definizione di "nuove entrate
tributarie"  quelle  conseguenti  ad  una  "rimodulazione"  dei  vari
elementi   che   integrano   il   rapporto   tributario  (fattispecie
imponibile,   base   imponibile,  esenzioni,  deduzioni,  detrazioni,
modalita'  di  accertamento  e  di definizione dello stesso, ecc.); e
osserva   che   al  decreto  interministeriale  e'  rimessa  solo  la
determinazione  concreta,  oggettiva  e  vincolata  della porzione di
gettito    spettante    all'erario,    attraverso   un   procedimento
logico-matematico,  cosi' come sarebbe avvenuto nell'attuazione delle
disposizioni denunciate.

                       Considerato in diritto


    1. -   I  giudizi,  aventi  ad  oggetto disposizioni di contenuto
analogo, impugnate in relazione agli stessi parametri costituzionali,
possono essere riuniti per essere decisi con unica pronunzia.

    2. - Le  questioni, ancora non decise, proposte con i due ricorsi
della  regione  siciliana investono, rispettivamente, l'art. 2, comma
154,  e  l'art. 3,  comma 216, della legge n. 662 del 1996 (Reg. ric.
n. 18  del  1997),  e  l'art. 7  del  decreto-legge  n. 669 del 1996,
convertito,  con modificazioni, dalla legge n. 30 del 1997 (Reg. ric.
n. 32  del 1997): tutte e tre le norme dispongono la riserva a favore
dell'erario  delle  entrate  derivanti  da  altre  disposizioni degli
stessi  provvedimenti  legislativi  impugnati, e vengono censurate in
relazione   all'art. 36  dello  statuto  speciale  e  alle  norme  di
attuazione  dello  stesso,  e in particolare all'art. 2, primo comma,
seconda parte, del d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074, a tenore del quale
fanno  eccezione, rispetto alla regola della devoluzione alla Regione
delle entrate tributarie erariali riscosse nell'ambito del territorio
regionale,  le "nuove entrate tributarie il cui gettito sia destinato
con  apposite  leggi  alla  copertura  di  oneri diretti a soddisfare
particolari   finalita'   contingenti   o  continuative  dello  Stato
specificate nelle leggi medesime".
    Le  censure  mosse  dalla  ricorrente  fanno  leva,  da  un lato,
sull'assunto  secondo cui potrebbero essere riservate allo Stato solo
le  nuove  entrate  conseguenti  alla  istituzione di nuovi tributi o
all'aumento  di  aliquote  di  tributi  esistenti,  ma non le entrate
derivanti  da  altri  interventi  legislativi  incidenti  sulla  base
imponibile  e quindi sul gettito di tributi esistenti, onde sarebbero
illegittime    le   norme   impugnate   che   riservano   all'erario,
genericamente, le entrate derivanti dai due provvedimenti legislativi
(art.  3,  comma  216,  della  legge  n. 662  del  1996;  art.  7 del
decreto-legge  n. 669  del  1996), o quelle derivanti da un gruppo di
altre disposizioni della stessa legge (art. 2, comma 154, della legge
n. 662 del 1996). Dall'altro lato, la ricorrente lamenta che le norme
in  questione,  non  precisando  quali siano le entrate riservate, ma
rinviando  ad  un  decreto  ministeriale,  espongono  la  regione  ad
incertezza circa le entrate ad essa spettanti, e contrastano altresi'
con il principio di leale collaborazione.

    3. - Sotto il primo profilo, le questioni non sono fondate.
    La  regione impugna le norme che dispongono la riserva di entrate
all'erario, nella loro portata generale o generica, senza coinvolgere
nell'impugnativa  alcuna  delle  singole  disposizioni  delle  stesse
leggi,  relative  ad entrate che, secondo l'assunto della ricorrente,
non  potrebbero  essere  legittimamente  riservate  allo Stato. Ma le
norme  impugnate  si  limitano  a  riservare  all'erario  le  entrate
"derivanti"   dalle   altre   disposizioni   contenute  negli  stessi
provvedimenti  legislativi,  cioe'  le entrate che trovano in essi la
loro fonte (cfr. sentenza n. 198 del 1999), senza discostarsi in cio'
da  quanto  appunto prevede l'art. 2, primo comma, seconda parte, del
d.P.R.  n. 1074 del 1965, a tenore del quale le singole leggi statali
possono  appunto destinare il gettito di "nuove entrate tributarie" a
finalita'  contingenti  o  continuative dello Stato specificate nelle
stesse  leggi.  E  non  vi  e'  dubbio  che,  come  ammette la stessa
ricorrente,  i  due  provvedimenti  legislativi siano volti proprio a
procurare   incrementi   di   entrate  da  destinare  allo  scopo  di
risanamento  del bilancio statale. Da siffatte clausole non si desume
affatto  che  il  legislatore  statale  abbia considerato come "nuove
entrate tributarie", derivanti dalle stesse leggi, entrate cui invece
non  si  possa  riconoscere  tale carattere. Esse, d'altra parte, non
potrebbero  che essere applicate in senso conforme a cio' che prevede
la  normativa di attuazione statutaria. Ove poi, in sede applicativa,
sorgesse   controversia   circa   il   carattere  di  "nuova  entrata
tributaria"  attribuibile  a questo o a quel gettito, sara' in quella
sede,  e con gli strumenti ad essa appropriati - ivi compreso, se del
caso,  il conflitto di attribuzioni - che la regione potra' difendere
la propria autonomia finanziaria da eventuali illegittime lesioni.

    4. - Sotto il secondo dei profili indicati, concernente il rinvio
operato  dalle  disposizioni  denunciate,  per  la  definizione delle
modalita'  della loro attuazione, ad un decreto interministeriale, la
questione  e'  invece  fondata,  nei  limiti e nei termini di seguito
specificati.
    Le  norme  denunciate  non  possono intendersi - come vorrebbe la
ricorrente - nel senso che esse attribuiscano ai Ministri la potesta'
di  stabilire con discrezionalita' quali fra le entrate derivanti dai
provvedimenti  legislativi vengono riservate all'erario: quasi che il
legislatore   avesse  affidato  al  provvedimento  amministrativo  il
compito  di  determinare l'ambito delle entrate riservate all'erario,
cio'   che  invece  solo  la  legge,  secondo  l'espressa  previsione
dell'art. 2  del  d.P.R.  n. 1074  del 1965, puo' fare, destinando il
gettito  di  tali  entrate  alle  finalita'  specificate  nella legge
medesima.
    In  realta' il rinvio ad un decreto ministeriale concerne solo la
definizione   delle  "modalita'  di  attuazione"  della  clausola  di
riserva:  cioe'  la  statuizione  dei criteri tecnici da adottare per
determinare  il gettito aggiuntivo derivante dalle altre disposizioni
della   legge,   per   definirne   l'entita'   in  ciascun  esercizio
finanziario,  e per dividere operativamente il gettito riservato allo
Stato  da  quello  che  resta attribuito alla Regione. Non a caso, le
stesse  norme  impugnate  rinviano  al  decreto  per  stabilire  tali
modalita'   solo   "ove  necessarie":  cioe'  in  quanto  il  gettito
aggiuntivo  e  riservato  allo  Stato  non  risulti gia' in base alle
ordinarie  emergenze  contabili  dei  bilanci  dello  Stato  e  della
Regione.
    La  determinazione  del  gettito riservato e l'applicazione della
clausola  di  riserva  sono agevoli quando si tratti di un tributo di
nuova  istituzione;  e possono essere relativamente agevoli anche nel
caso  di semplici aumenti di aliquota di un tributo esistente, almeno
quando  l'aliquota  prevista sia di tipo proporzionale. Quando invece
le  nuove  entrate  derivino da piu' complesse manovre sulle aliquote
tributarie  (per  esempio, attraverso aumenti di alcune e contestuali
diminuzioni  di  altre  aliquote, o attraverso la ridefinizione della
"curva"  di  aliquote di tipo progressivo, come avviene per l'IRPEF),
ovvero  da  modifiche legislative incidenti, anziche' sulle aliquote,
sulla estensione della base imponibile dei tributi, la determinazione
in  concreto  del  gettito  derivante  dalle nuove norme, in ciascuno
degli  esercizi  finanziari  interessati,  puo'  non  essere  affatto
agevole, e richiedere operazioni tecnicamente complesse di stima e di
valutazione della provenienza del gettito medesimo.
    La  complessita'  tecnica  di  tali operazioni risulta confermata
dalle relazioni dell'amministrazione finanziaria statale acquisite in
via  istruttoria,  e  dalla relativa documentazione allegata, nonche'
dalla  analitica trattazione contenuta nello "Studio preliminare alla
definizione  dei  pregressi  rapporti  finanziari  tra  lo Stato e la
Regione  Siciliana",  redatto  dal presidente dell'apposito gruppo di
lavoro  costituito  dal Governo, e pure acquisito agli atti a seguito
dell'istruttoria.   Essa   risulta   accresciuta   quando  le  misure
produttive  di  nuovo  gettito siano previste da una molteplicita' di
provvedimenti  legislativi  e  da  una  molteplicita' di disposizioni
contenute  nella  stessa  legge  che dispone la riserva delle entrate
all'erario,  incidenti  su  vari  aspetti della normativa tributaria,
secondo   la   tecnica,  non  priva  di  inconvenienti,  delle  leggi
finanziarie   o   collegate   che  riuniscono  in  uno  stesso  testo
legislativo  un  gran  numero di norme unificate solo dalla finalita'
della "manovra" finanziaria attraverso di esse perseguita.
    Non  e'  in  discussione  la  possibilita'  di ricorrere - in via
generale,  e  salve  le  specificita'  delle  singole fattispecie - a
criteri  presuntivi  ragionevoli,  fondati  su stime attendibili, per
l'attuazione pratica di siffatte previsioni (cfr. sentenza n. 253 del
1996).  Ma  proprio  la  necessita'  di operare complesse valutazioni
tecnico-finanziarie  per la corretta applicazione della riserva pone,
dal  punto di vista costituzionale, l'esigenza di un procedimento che
non  escluda  la  partecipazione  della Regione, in forme adeguate al
caso.
    Le  clausole di riserva di nuove entrate all'erario costituiscono
infatti un meccanismo derogatorio, consentito al legislatore statale,
rispetto  al  principio,  sancito  dalla  norma  di  attuazione dello
statuto,  della  attribuzione  alla  Regione  dell'intero gettito dei
tributi   erariali   (eccettuati  alcuni)  riscossi  nell'ambito  del
territorio regionale; la loro attuazione incide pertanto direttamente
sulla  effettiva  garanzia  dell'autonomia finanziaria della Regione,
oltre   che  sugli  interessi  attinenti  alle  specifiche  finalita'
statali,  alle quali sono destinate per legge le maggiori entrate. Il
principio,  dunque,  di  leale  cooperazione fra Stato e Regione, che
domina le relazioni fra i livelli di governo la' dove si verifichino,
come in queste ipotesi accade, interferenze fra le rispettive sfere e
i  rispettivi  ambiti  finanziari, esige che si attui tale meccanismo
mediante   procedimenti  non  unilaterali,  ma  che  contemplino  una
partecipazione della Regione direttamente interessata.
    Sono  espressioni  significative  di  tale  esigenza  le norme di
attuazione  di  altri  statuti  speciali,  le quali, a tal proposito,
contemplano  procedimenti  cui sono chiamate a partecipare le Regioni
(cfr.  art. 4,  comma  1  e comma 2, lettera a) del d.P.R. 23 gennaio
1965,  n. 114,  recante  "Norme  di attuazione dello Statuto speciale
della   Regione   Friuli-Venezia   Giulia,   in  materia  di  finanza
regionale",  come  sostituito  dall'art. 2 del d.lgs. 2 gennaio 1997,
n. 8;  artt. 9, 10, commi 1, 6 e 7, lettera a 10-bis comma 1, lettera
a  del  d.lgs.  16 marzo  1992,  n. 268, recante "Norme di attuazione
dello  Statuto  speciale  per  il  Trentino-Alto  Adige in materia di
finanza  regionale e provinciale", come modificati dagli artt. 4, 5 e
6 del d.lgs. 24 luglio 1996, n. 432; e cfr. pure l'art. 8 della legge
26 novembre   1981,   n. 690,   recante  "Revisione  dell'ordinamento
finanziario della Regione Valle d'Aosta").
    Ne'  basterebbe,  ad  escludere siffatta esigenza, riferirsi alla
presenza,  nei  provvedimenti  applicativi  adottati  dal Governo, di
meccanismi   di   conguaglio   ex   post   delle  entrate  attribuite
rispettivamente  alla  Regione  e allo Stato, operanti sulla base dei
dati  di  consuntivo  (come  prevede  l'art. 4,  comma 3, del decreto
23 dicembre   1997,   acquisito  in  via  istruttoria,  che  ha  dato
applicazione  anche alle norme in questa sede impugnate). Infatti, da
un  lato,  un  conguaglio  che intervenga a distanza di anni puo' non
essere  sufficiente  a  salvaguardare tempestivamente i diritti della
Regione;  dall'altro  lato,  anche la valutazione ex post dei gettiti
che  si  debbano  considerare  derivanti  da  singole modifiche della
normativa tributaria puo' presentare aspetti di complessita' tecnica,
non dissimilmente dalle valutazioni presuntive ex ante.

    5. - Sono  dunque  costituzionalmente illegittime le disposizioni
denunciate,  nella  parte  in  cui  non prevedono, ai fini della loro
attuazione,  un  procedimento  che  contempli la partecipazione della
Regione   interessata,  la  quale  deve  essere  posta  in  grado  di
interloquire  sulle scelte tecniche e sulle stime da effettuare, e di
rappresentare il proprio punto di vista. Al termine del procedimento,
com'e'  naturale,  una decisione finale deve comunque intervenire, ad
opera  degli organi centrali, anche se vi sia dissenso da parte della
Regione:  fermo  restando  che  quest'ultima  conserva la facolta' di
avvalersi    degli    ordinari    rimedi   giurisdizionali   previsti
dall'ordinamento,  nel caso essa ritenga che l'attuazione delle norme
di  riserva  sia  avvenuta  in  violazione della legalita', ovvero di
ricorrere   a   questa  Corte  con  lo  strumento  del  conflitto  di
attribuzioni,  ove  insorga controversia sull'ambito delle rispettive
sfere  presidiate  da  norme  costituzionali  o  di  attuazione dello
statuto.
                          Per questi motivi

                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Riuniti i giudizi:
        a)  dichiara  l'illegittimita'  costituzionale degli artt. 2,
comma  154,  e  3,  comma  216,  della legge 23 dicembre 1996, n. 662
(Misure  di razionalizzazione della finanza pubblica), e dell'art. 7,
comma  1,  del  decreto-legge  31 dicembre 1996, n. 669 (Disposizioni
urgenti   in   materia   tributaria,   finanziaria   e   contabile  a
completamento  della  manovra  di  finanza pubblica per l'anno 1997),
convertito,  con  modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1997, n. 30,
nella  parte  in  cui  dette  disposizioni,  nello  stabilire  che le
modalita'   della   loro   attuazione   siano  definite  con  decreto
ministeriale, non prevedono la partecipazione della Regione Siciliana
al relativo procedimento;
        b)  dichiara  non  fondate,  per  la  parte  non compresa nel
precedente capo a), le questioni di legittimita' costituzionale degli
artt. 2,  comma  154, e 3, comma 216, della predetta legge n. 662 del
1996,  e  dell'art. 7  del  predetto  decreto legge 31 dicembre 1996,
n. 669,  sollevate, in riferimento all'art. 36 dello statuto speciale
della  Regione  Siciliana  e  alle  relative  norme  di attuazione in
materia  finanziaria,  di  cui  all'art. 2 del d.P.R. 26 luglio 1965,
n. 1074, dalla Regione Siciliana con i ricorsi in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 5 aprile 2000.
                      Il Presidente: Mirabelli
                         Il redattore: Onida
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 13 aprile 2000.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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