N. 285 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 marzo 1999

Ordinanza  emessa  il  22  marzo  1999  dalla  Commissione tributaria
regionale  di  Cagliari  sui  ricorso  proposto  da Coni Luigi contro
l'ufficio delle entrate di Tempio Pausiana
Contenzioso  tributario - Disciplina contenuta nel d.P.R. n. 636/1972
-  Impugnazioni  avverso le decisioni delle Commissioni tributarie di
primo  e  secondo  grado  -  Termine  annuale  di  decadenza previsto
dall'art.  327,  primo  comma, cod. proc. civ. - Applicabilita' (alla
stregua  del  "diritto vivente" risultante dalla giurisprudenza della
Cassazione) - Violazione del diritto di difesa - Compromissione della
"certezza del diritto".
- D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 22, 25 e 38.
- Costituzione, art. 24.
(GU n.23 del 31-5-2000 )
                 LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE

    Ha  emesso  la  seguente  ordinanza  sull'appello  r.  g. appelli
  n. 6089/1996  depositato  l'8  giugno  1996,  avverso  la  sentenza
  n. 182/01/1987,  emessa dalla Commissione tributaria provinciale di
  Tempio  Pausania  da  Coni  Luigi,  residente a Olbia (Sassari), in
  localita'  Pleri;  controparti:  Ufficio  delle  entrate  di Tempio
  Pausania (reg. di Tempio Pausania); atti impugnati: avv. di accert.
  n. scad.  63119  - reg. + I.N.V.I.M.;     La Commissione tributaria
  regionale  di Cagliari, sezione IX, ha emesso la seguente ordinanza
  sull'appello  prodotto  da Coni Luigi, residente a Olbia (Sassari),
  via Palladio, 22, avverso la decisione della Commissione tributaria
  di 1o grado di Tempio Pausania n. 182 dell'8 maggio 1987;
                           R i t e n u t o
    Con  atto  registrato in data 3 febbraio 1983, il sig. Coni Luigi
  alienava alla sig.ra Corrias Giannetta un tratto di terreno sito in
  comune  di  Olbia, localita' Plebbi, dell'estensione di mq 5000 per
  il corrispettivo di L. 600.000.
    L'ufficio  del  registro  di  Tempio  Pausania  rettificava in L.
  74.000.000   il   valore   finale   della   predetta  compravendita
  assoggettando  a  valutazione  anche  i  fabbricati  insistenti sul
  terreno alienato al momento del sopralluogo effettuato dall'ufficio
  tecnico  erariale  di  Sassari  il 26 novembre 1984, cioe' circa un
  anno e nove mesi dopo il trasferimento del terreno.
    Avverso   il   predetto  accertamento,  si  opponevano  le  parti
  contraenti  e  la  Commissione  tributaria  di  1o grado adita, con
  decisione  n. 182  dell'8 febbraio 1987, accoglieva parzialmente il
  ricorso stabilendo il valore finale in L. 55.600.000.
    Con  l'appello  in  esame,  il  venditore Coni Luigi impugnava la
  predetta decisione, eccependo:
        1) la carenza di motivazione dell'accertamento;
        2)  l'illegittimita'  della  valutazione anche dei fabbricati
  perche' edificati dopo l'alienazione del terreno.

    L'ufficio  si  costituiva  in giudizio producendo controdeduzioni
  nelle  quali, in via pregiudiziale, veniva chiesta la dichiarazione
  di  inammissibilita'  dell'impugnazione  in quanto proposta oltre i
  termini previsti dall'art. 22 del previgente decreto del Presidente
  della  Repubblica  26  ottobre  1972,  n. 636,  e,  nel  merito, la
  reiezione dell'appello.
    Agli   atti  del  fascicolo  risulta  che  il  dispositivo  della
  decisione  di  primo  grado,  depositata  l'8 maggio 1987, e' stato
  comunicato  a  cura della segreteria con atto notificato al Coni il
  26  settembre  1988,  mentre  l'appello  e'  stato presentato il 24
  novembre  1988,  quindi  nei termini di cui all'art. 22 del decreto
  del   Presidente  della  Repubblica  n. 636  citato,  ma,  si  deve
  soggiungere,  abbondantemente  dopo  il termine di cui all'art. 327
  del c.p.c.
    In  via  preliminare  si  deve  rilevare  che  l'appello in esame
  risulta prodotto abbondantemente oltre il termine dell'art. 327 del
  c.p.c.  che la Corte di cassazione, con consolidata giurisprudenza,
  costituente  ormai "diritto vivente", ha ritenuto applicabile anche
  nel  processo  tributario con la conseguenza che questa commissione
  e'   tenuta   a   giudicare   sulla   questione  di  ammissibilita'
  dell'appello  proposto  anche  in  base  al  diritto  vivente cosi'
  introdotto.
    La  Corte di cassazione si e' ripetutamente dovuta occupare della
  questione   dell'applicabilita'  dell'art.  n. 327  del  codice  di
  procedura  civile,  dichiarando  ogni volta, con qualche eccezione,
  che  le  disposizioni  del  decreto  Presidente della Repubblica 26
  ottobre  1972,  sulle impugnazioni delle pronunce delle commissioni
  tributarie,  quando  fissano  il  termine di sessanta giorni, dalla
  loro   notificazione   o   dalla   comunicazione   del  dispositivo
  (articoli 22, 25  e  38),  devono  essere  integrate  con la regola
  dell'art.  n. 327,  comma  1,  del  codice di procedura civile, nel
  senso  che, indipendentemente da detti adempimenti e dall'eventuale
  pendenza   di   quel   termine   breve,  la  facolta'  di  proporre
  l'impugnazione  viene  meno  a seguito del decorso di un anno dalla
  pubblicazione (mediane deposito) delle pronunce medesime.
    Al  riguardo,  sin dalla sentenza delle Sezioni unite della Corte
  di  cassazione  n. 668 del 20 gennaio 1992, si e' formato un solido
  indirizzo  con  formazione,  in adesione ad esso, mediante le altre
  pronunce  della  Cassazione (Cassazione n. 6724 del 14 giugno 1995;
  sezioni  unite,  n. 202 del 10 gennaio 1992; n. 7311 del 12 gennaio
  1993; n. 7155 del 26 aprile 1994; n. 5162 dell'11 maggio 1995; sez.
  prima, n. 5661 del 19 gennaio 1996) del principio sopra illustrato,
  cui  hanno  fatto  seguito  numerose pronunce, oltre che di diverse
  commissioni  di primo e secondo grado, della Commissione tributaria
  centrale (n. 1589 del 15 dicembre 1992; n. 648 del 26 gennaio 1993;
  Sezioni unite n. 3778 del 15 novembre 1995).
    Senonche',  sembra  a  questa  Commissione che il diritto vivente
  cosi'  creato  dalla suprema Corte di cassazione con la consolidata
  sua  giurisprudenza  cosi'  come introdotto nel processo tributario
  nella  disciplina del d.P.R. n. 636 citato, appare in contrasto con
  l'art. 24  della  Costituzione nel quale si sostanzia la tutela del
  diritto alla difesa.
    Invero,   il   sistema  del  contenzioso  tributario  cosi'  come
  delineato  dal  d.P.R.  n. 636  si  presenta  caratterizzato  da un
  complesso  di  semplificazioni  procedurali  e  da  regole  volte a
  renderlo  accessibile anche al semplice contribuente pur sprovvisto
  di cognizioni specifiche.
    In particolare, in esso:
        1)  non  vi  e'  obbligo  di  difesa  tecnica, neanche per le
  controversie  di  valore  elevato,  diversamente  da  come e' stato
  disposto  nel  sistema del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, entrato
  in vigore nel 1996;
        2)   l'art. 30  esplicitamente  ammette  il  contribuente  ad
  accedere   direttamente   e   senza   particolari  formalita'  alle
  Commissioni ed a rappresentarsi anche tecnicamente davanti ad esse;
        3)  il  sistema  delle  nullita'  degli  atti di parte appare
  ispirato  al  principio  della  conservazione  e  dell'economia dei
  procedimenti.  Esso  e'  sicuramente piu' ridotto rispetto a quello
  del   codice   di   procedura   civile   e   ristretto   al  minimo
  indispensabile;
        4)   l'art. 38   prevede   l'obbligo   di   comunicazione  al
  contribuente   del   dispositivo   della  decisione  a  cura  della
  segreteria della Commissione;
        5)  l'art. 39-bis  prevede  la non applicabilita' di sanzioni
  quando  la  violazione  di  leggi  tributarie  e'  giustificata  da
  obiettive  condizioni  di incertezza sulla portata e sull'ambito di
  applicazione delle disposizioni.

    In particolare, la mancanza di un obbligo alla difesa tecnica del
  contribuente, peraltro in perfetto accordo con tutta l'architettura
  del contenzioso cosi' disciplinato, trova giustificazione solamente
  se  inserita  in  un  quadro interpretativa del sistema processuale
  tributario  fondato sulla semplicita' delle procedure ed imperniato
  su di essa. Ed in realta', il predetto sistema appare profondamente
  intriso  da  regole  semplici  tali  da consentire l'accessibilita'
  diretta  del contribuente alla difesa delle proprie ragioni e delle
  proprie situazioni giuridiche.
    La  predetta  rappresentazione del sistema processuale tributario
  si  rivela  maggiormente  fondata ove si abbia riguardo all'art. 72
  del  gia'  citato  decreto legislativo n. 546 del 1992, relativo al
  nuovo   processo  tributario,  che,  modificato  dal  decreto-legge
  22 giugno  1996,  n. 329,  ha avuto una operativita' durata fino al
  26 giugno  1996.  Tale  norma,  con  riferimento  alle controversie
  pendenti   alla   data   d'insediamento   delle  nuove  Commissioni
  tributarie,  espressamente confermava, come unica tegola esistente,
  la  semplice regola dell'appello entro il termine breve di sessanta
  giorni  dalla  notifica del dispositivo della decisione, escludendo
  testualmente   l'applicabilita'   dell'art. 327  c.p.c.  La  stessa
  formula   adoperata  dal  legislatore  e'  tale  da  ingenerare  il
  convincimento  dell'estraneita'  della  norma processuale di cui si
  tratta   all'ispirazione   di  tutta  l'architettura  del  processo
  tributario,  almeno  fino all'avvio del nuovo processo regolato dal
  predetto decreto legislativo n. 546 avvenuto nell'aprile 1996.
    In   effetti,   l'art. 327  appare  in  netto  contrasto  con  le
  caratteristiche  del  contenzioso  regolato dal d.P.R. n. 636, come
  detto,  improntato  alla  massima  semplicita'  degli  atti e delle
  procedure.
    Inoltre, non puo' non considerarsi che la conoscenza o persino la
  semplice  conoscibilita'  di una disposizione come quella contenuta
  nell'art. 327   del  c.p.c.  richiede  sicuramente  una  competenza
  tecnica  qualificata  che puo' demandarsi soltanto agli operatori o
  ai  cultori  del  diritto  che  la  possiedono,  talvolta non senza
  incertezze  come  documentato  dal  dibattito  sorto  intorno  alla
  questione, per ragioni professionali. Di certo non puo' richiedersi
  a soggetto, com'e' il semplice contribuente, privo in via ordinaria
  di preparazione specifica ed anzi ordinariamente privo di qualsiasi
  conoscenza  della  norma,  a  maggiore  ragione  quindi  della  sua
  applicabilita'   o  meno  al  processo  tributario  e  delle  gravi
  implicazioni connesse alla sua mancata applicazione.
    Non  puo'  altresi' non considerarsi le difficolta' alle quali il
  contribuente va incontro per la conoscenza delle norme tributarie e
  della  loro  applicazione  alla  propria posizione, difficolta' che
  richiedono  ordinariamente,  come  ormai riconosciuto unanimamente,
  l'assistenza qualificata di tecnici e di esperti.
    Gia'  nel  diritto  penale  si  tende  a  giustificare la mancata
  conoscenza  di  norme  che, per il loro radicamento nella coscienza
  popolare,  dovrebbero essere note e quindi costantemente applicate.
  Le  stesse  considerazioni  certamente  ed  a  maggiore ragione, si
  debbono  e  si possono fare rispetto a norme squisitamente tecniche
  riguardanti   comportamenti  procedurali  davanti  agli  organi  di
  giustizia,  in  particolare  rispetto  a  norme,  come  sono quelle
  tributarie,   modellate   opportunamente   per  corrispondere  alle
  particolari  esigenze  rappresentate  dalle  necessita' finanziarie
  dello  Stato  che impongono adempimenti e comportamenti dettagliati
  rivelatisi di straordinaria complessita'.
    Le  difficolta'  di  conoscenza  della  norma  procedurale di cui
  trattasi,  nonche' della conoscenza della complessa questione della
  sua  applicabilita' al processo tributario appaiono realmente fuori
  dalla  portata  del  semplice  contribuente. Esse impongono invece,
  come  appare evidente e come dimostrato dalle complesse discussioni
  sorte    intorno    all'argomento,   letture   ed   interpretazioni
  sistematiche  che,  in considerazione del rapidissimo succedersi di
  leggi  e di abrogazioni, espresse o tacite, richiedono a loro volta
  la  mediazione  di  tecnici,  quanto piu' possibile qualificati. Le
  stesse  difficolta'  appaiono peraltro in tutta la loro evidenza ed
  ulteriormente  accresciute  se  si  considera  il  gia'  richiamato
  art. 72  del  decreto  legislativo  n. 546  del  1992,  per  la sua
  idoneita'  manifesta  a ulteriormente disorientare nella ricerca ed
  individuazione  della  norma  applicabile.  L'introduzione  di tale
  norma   ha   certamente   avuto  l'effetto  di  produrre  ulteriore
  turbamento   dell'assetto   del  contenzioso,  spargendo  ulteriore
  incertezza, in pregiudizio della stessa certezza della legge.
    Ogni cittadino deve essere messo in grado di conoscere quali sono
  le  norme  giuridiche  che  si  applicano alle singole fattispecie;
  quale  e'  il  loro  esatto  contenuto  di  significato;  quali  le
  conseguenze   giuridiche  delle  proprie  azioni.  Tale  situazione
  giuridica,  nella  quale si sostanzia il diritto alla "certezza del
  diritto",   pur  designando  una  situazione  soltanto  ideale,  un
  obiettivo cui tendere, e' pur sempre una situazione della quale non
  puo'  prescindersi  e che non puo' essere compromessa fino al punto
  da  vanificare  o mettere in dubbio la stessa concreta possibilita'
  di difesa del cittadino.
    Le  stesse vicende dell'art. 72 citato, che ha dispiegato, per il
  periodo  di  sua  vigenza,  effetti  difformi rispetto a situazioni
  analoghe   del  precedente  periodo  ed  ha  introdotto  un  sicuro
  ulteriore  turbamento  dell'operativita'  dell'art. 327 c.p.c., nel
  processo  tributario,  costituiscono  una  prova  evidente  ed  una
  rappresentazione    delle    incertezze,   persino   dello   stesso
  legislatore, sulla norma concretamente applicabile, incertezze che,
  per  la  loro  notevole complessita' e difficolta', non sembrano di
  grado facilmente superabile particolarmente da soggetto privo delle
  necessarie   conoscenze   tecniche,   con  la  conseguenza  di  una
  compromissione  della  certezza  del  diritto  e  soprattutto della
  ulteriore   vulnerazione   del   diritto   garantito  dal  precetto
  costituzionale dell'art. 24.
    L'art. 327  c.p.c.,  piu'  volte  citato,  quindi,  applicato  al
  processo  tributario  come regolato dal d.P.R. N. 636, si rivela in
  aperto   contrasto   con   tutta   l'impalcatura   del  contenzioso
  tributario.  Cio'  appare  ancora  piu'  evidente per la sua stessa
  extrapolazione  da un testo normativo la cui articolazione e la cui
  complessita',    congiunte   alla   ricchezza   delle   difficolta'
  interpretative,  richiedono  specifico  studio  ed  applicazione di
  conoscenze  tecniche  adeguate normalmente non possedute da chi non
  abbia   seguito  un  percorso  culturale  formativo  pertinente  ed
  appropriato,   acquisibile   mediante   applicazione   specifica  e
  professionale.
    In definitiva, la normativa degli artt. 22, 25 e 38 del d.P.R. 26
  ottobre  1972,  n. 636,  integrata,  dall'art. 327  del  c.p.c., si
  rivela  tale  da vanificare l'esigenza della tutela della difesa di
  cui all'art. 24 della Costituzione non corrispondendo la disciplina
  di  quel  processo  ad una previsione di difesa tecnica, l'unica ad
  apparire  in  grado  di percepire la consapevolezza dell'estensione
  operativa della norma e delle sue implicazioni applicative.
    La  questione di legittimita' costituzionale, come sopra esposta,
  e'  da ritenersi non manifestamente infondata, esistendo seri dubbi
  sulla conformita' ai principi costituzionali sopra richiamati delle
  disposizioni  di  cui  agli artt. 22, 25 e 38 del d.P.R. 26 ottobre
  1972,  n. 636, laddove consentono di essere integrate con la regola
  dell'art. 327,  comma  1,  del codice di procedura civile. Per cui,
  attesa  la  sua  rilevanza  ai  fini della decisione del ricorso in
  trattazione, va ordinata la sospensione del procedimento in corso e
  la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
                              P. Q. M.
    Dichiara  non  manifestamente  infondata,  oltre che rilevante ai
  fini  del decidere, la questione di legittimita' costituzionale nei
  sensi  esposti  in narrativa consistente nella non conformita' alla
  Costituzione  delle disposizioni degli artt. 22, 25 e 38 del d.P.R.
  n. 636  del  26 ottobre 1972 laddove consentono di essere integrate
  con  la  regola  dell'art. 327,  comma  1,  del codice di procedura
  civile;
    Sospende  il  procedimento  in  corso  e  dispone che la presente
  ordinanza  sia  notificata alle parti e al Presidente del Consiglio
  dei Ministri e comunicata al Presidente del Senato della Repubblica
  ed  al  Presidente  della  Camera  dei  Deputati,  disponendosi  al
  contempo la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.

    Cosi'  deciso  in  Cagliari,  in camera di consiglio, il 22 marzo
  1999.
                      Il Presidente: Silvestri
                       Il relatore: Gullotta
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