N. 327 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 marzo 2000

Ordinanza  emessa  il  25  marzo  2000  dal  tribunale amministrativo
regionale  della  Sicilia,  sezione  staccata  di Catania sul ricorso
proposto da Olivo Salvatore contro il comune di Patti ed altri
Sindaco  -  Regione  Sicilia - Mozione di sfiducia votata per appello
nominale  dal  60  per  cento  dei componenti del Consiglio comunale,
oppure  dai  due  terzi  dei componenti nei comuni aventi popolazione
fino  a  10.000  abitanti  -  Conseguente obbligo di dimissioni senza
consultazione del corpo elettorale mediante referendum, come previsto
dalla    legislazione   previgente   -   Inidoneita'   dell'impugnata
disciplina,  ispirata  alla  legislazione  statale,  ad assicurare il
rispetto  del  principio  della  sovranita'  popolare  in  un sistema
elettorale    caratterizzato   (diversamente   da   quello   statale)
dall'elezione  diretta  del sindaco - Incidenza sul diritto di voto e
sui principi di imparzialita' e buon andamento della p.a.
- Legge Regione Siciliana 15 settembre 1997, n. 35, art. 10, comma 2.
- Costituzione, artt. 1, 48 e 97.
(GU n.25 del 14-6-2000 )
                IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 938 del 2000,
  proposto  da  Olivo Salvatore rappresentato e difeso dagli avvocati
  Andrea  Scuderi  e  Edoardo  Nigra nel cui studio ed elett. dom. in
  Catania via V. Giuffrida n. 37;
    Contro  il  comune  di  Patti  non  costituito  in  giudizio;  la
  presidenza  della  regione  siciliana  in  persona  del  presidente
  pro-tempore  e  l'assessorato  regionale  agli  enti  locali  della
  regione    siciliana,   in   persona   dell'assessore   pro-tempore
  rappresentato e difeso ope legis dall'Avvocatura distrettuale dello
  Stato  di  Catania,  domiciliataria;  e nei confronti di: Bertilone
  Domenico,  Calava'  Francesco,  Campana  Carmelo,  De Luca Giorgio,
  Faranda  Antonio,  Giganete  Antonino,  Giuttari  Tindaro,  Impala'
  Salvatore,   La   Macchia   Pasqualino,  Maffoda  Orazio,  Mannelli
  Massimiliano,   Scafidi  Fernando  e  Trifilo  Fabrizio,  n. q.  di
  consiglieri  comunali  firmatari  della  mozione  di  sfiducia, non
  costituiti in giudizio;

    Per l'annullamento:
        della deliberazione dal consiglio comunale di Enna n. 2 del 4
  febbraio  2000  di  approvazione  della  mozione  di  sfiducia  nei
  confronti del sindaco;
        dell'atto di promozione della mozione di sfiducia;
        del  decreto  dell'assessore  agli  enti locali della regione
  siciliana di nomina del commissario straordinario;

    Visto il ricorso introduttivo del giudizio;
    Vista la domanda di sospensione dell'esecuzione dei provvedimenti
  impugnati;
    Udito  il  relatore  cons.  Vincenzo  Salamone e uditi, altresi',
  l'avv.  Andrea Scuderi, per il ricorrente, e l'avvocato dello Stato
  Maurizio Borgo;
    Vista la documentazione tutta in atti;
    Visto l'art. 21 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034;

                              F a t t o

    Con il gravame introduttivo del giudizio si chiede l'annullamento
  della  deliberazione  dal  consiglio comunale di approvazione della
  mozione  di  sfiducia  nei  confronti  del  sindaco  e  del decreto
  dell'assessore  agli  enti locali della regione siciliana di nomina
  del commissario straordinario.
    Con   assorbente   censura   la   parte   ricorrente  lamenta  la
  incostituzionalita'  dell'art. 10,  comma  2, della legge regionale
  siciliana  n. 35,  del  1997,  che  prevede e disciplina l'istituto
  della  mozione  di  sfiducia per contrasto con gli artt. 1, 48 e 97
  della   Costituzione   e   che   tale   censura   non  si  appalesa
  manifestamente infondata.
    La  presidenza  e  l'assessorato  agli  enti locali della regione
  siciliana  nel costituirsi in giudizio hanno chiesto il rigetto del
  gravame.
    Con ordinanza collegiale deliberata nella camera di consiglio del
  15  marzo  2000  il  collegio,  muovendo  dal  presupposto  che con
  separata  ordinanza  deliberata  nella medesima camera di consiglio
  viene   sollevato   incidente   di   costituzionalita'   in  ordine
  all'art. 10,  comma  2,  della  legge regionale siciliana n. 35 del
  1997,  per  contrasto  con gli artt. 1, 48 e 97 della Costituzione,
  sussistendone  i  presupposti  di rilevanza ai fini della decisione
  della  controversia  e  di  non manifesta infondatezza, ha disposto
  l'accoglimento  delle  domanda  di  sospensione dell'esecuzione dei
  provvedimenti  impugnati  con il ricorso descritti in epigrafe sino
  alla camera di consiglio successiva alla data di restituzione degli
  atti da parte della cancelleria della Corte costituzionale e rinvia
  a  detta Corte costituzionale l'ulteriore trattazione delle domande
  cautelari.

                            D i r i t t o

    Con    assorbente    motivo    di    censura    si   lamenta   la
  incostituzionalita'  dell'art. 10,  comma  2, della legge regionale
  siciliana n. 35 del 1997, che prevede e disciplina l'istituto della
  mozione  di  sfiducia  per contrasto con gli artt. 1, 48 e 97 della
  Costituzione.
    Tale censura e' rilevante ai fini della decisione del gravame.
    Come  evidenziato  in  narrativa con separata ordinanza e' stata,
  infatti,  accolta  la  domanda di sospensione dell'esecuzione degli
  atti  impugnati  sino alla camera di consiglio successiva alla data
  di  restituzione  degli atti da parte della cancelleria della Corte
  costituzionale  e  cio'  in  quanto  sussiste  il  danno  grave  ed
  irreparabile  determinato  dalla  circostanza  che nelle more della
  decisione  della  Corte  costituzionale la parte ricorrente sarebbe
  stata privata della carica di sindaco.
    Osserva il collegio che va ritenuta la non manifesta infondatezza
  della  questione  di costituzionalita' dell'art. 10, comma 2, della
  legge  regionale siciliana n. 35 del 1997, che prevede e disciplina
  l'istituto della mozione di sfiducia per contrasto con gli artt. 1,
  48 e 97 della Costituzione.

    Giova   premettere   che   la  legge  regionale  n. 7  del  1992,
  nell'introdurre  per  la prima volta il sistema di elezione diretta
  dei  sindaci  da  parte  del corpo elettorale (in anticipo rispetto
  alla   legislazione   nazionale)  in  attuazione  della  competenza
  legislativa  esclusiva  prevista  dall'art. 14,  comma 1, lettera O
  dello   statuto   regionale,   all'art. 18   ha   disciplinato   la
  "consultazione  del  corpo  elettorale sulla rimozione del sindaco"
  prevedendo che:
        1) avverso  il  sindaco  e  la  giunta  dallo stesso nominata
  secondo  quanto  disposto  dell'art. 12  non puo' essere presentata
  mozione di sfiducia;
        2) ove   il   consiglio,  a  maggioranza  assoluta  dei  suoi
  componenti,    valuti    l'esistenza    di    gravi    inadempienze
  programmatiche,  puo'  promuovere,  una  sola volta nel quadrienno,
  consultazione del corpo elettorale sulla rimozione del sindaco;
        3) la  consultazione  avviene secondo modalita' stabilite con
  decreto  dell'Assessore  regionale  per gli enti locali da emanarsi
  entro  tre mesi dalla data di pubblicazione della presente legge su
  schede  recanti  la seguente dizione: l'elettore intende confermare
  l'attuale sindaco? SI, NO;
        4) la  consultazione  non  e' valida se non vi ha preso parte
  almeno la meta' piu' uno degli elettori;
        5) l'accoglimento  della  proposta determina la decadenza del
  sindaco,  che  viene  dichiarata  con  decreto del presidente della
  regione,  su proposta dell'assessore regionale per gli enti locali,
  entro quindici giorni dalla comunicazione;
        6) con  lo  stesso  decreto  viene  nominato  un  commissario
  straordinario,  secondo  il  disposto delI'art. 55 dell'ordinamento
  amministrativo  degli enti locali (d.l.p. n. 6/1955), approvato con
  legge   regionale   n. 16/1963,   e   successive  modificazioni  ed
  interazioni,  per  l'esercizio  delle funzioni sindacali, fino alla
  elezione  del sindaco da indirsi entro novanta giorni dalla data in
  cui e' dichiarata la decadenza;
        7) il  sindaco  eletto resta in carica sino alla scadenza del
  consiglio comunale;
        8) se la decadenza e' dichiarata a meno di un anno dalla data
  di  scadenza del consiglio, le funzioni del sindaco sono esercitate
  da  un  commissario  straordinario nominato secondo le disposizioni
  dei commi 6 e 7;
        9) il  non accoglimento della proposta determina la decadenza
  del consiglio che viene dichiarata con decreto del presidente della
  regione,  su proposta dell'assessore regionale per gli enti locali,
  entro quindici giorni dalla comunicazione;
       10) con   lo  stesso  decreto  viene  nominata  una  terna  di
  commissari  straordinari  per l'esercizio delle funzioni consiliari
  fino  alla  elezione  del consiglio da indirsi entro novanta giorni
  dalla data in cui e' dichiarata la decadenza;
       11) il consiglio eletto resta in carica sino alla scadenza del
  sindaco;
       12) se la decadenza e' dichiarata a meno di un anno dalla data
  di  scadenza del sindaco, le funzioni del consiglio sono esercitate
  da  una  terna  di  commissari  straordinari  nominati  secondo  le
  disposizioni dei commi 6 e 7.

    Il  referendum  popolare  per  la rimozione del sindaco per gravi
  inadempienze  di  quest'ultimo  al programma a suo tempo sottoposto
  agli  elettori,  di  cui  all'art. 18, legge regionale siciliana 26
  agosto  1992,  n. 7,  si  configurava  quale strumento previsto dal
  legislatore  per  temperare il principio dell'autonomia del sindaco
  rispetto  al  consiglio (principio del quale costituisce corollario
  il divieto della mozione di sfiducia).
    La  relativa  valutazione  compiuta  dal  consiglio  comunale  si
  sottraeva al sindacato di legittimita', rilevando, in tale ipotesi,
  a  legittimare  la richiesta di consultazione del corpo elettorale,
  l'astratta  idoneita'  della  motivazione  addotta, dato che e' pur
  sempre  l'azione  del  sindaco  e  la  sua  attivita'  di  gestione
  dell'ente  ad essere posta in discussione (tribunale amministrativo
  regionale  di  Palermo  19  maggio 1997, n. 866, c.g.a., sez. giur.
  21 novembre   1997,   n. 512,  tribunale  amministrativo  regionale
  Sicilia-Catania, sez. I, 8 luglio 1996, n. 1262).

    La legge statale 25 marzo 1993, n. 81, nel disciplinare in ambito
  nazionale  la  "elezione  diretta del sindaco, del presidente della
  provincia,  del consiglio comunale e del consiglio provinciale", ha
  previsto,  invece,  la  mozione  di  sfiducia,  e  all'art. 18, nel
  sostituire l'art. 37 della legge 8 luglio 1990, n. 142, ha previsto
  che:
        1) il voto del consiglio comunale o del consiglio provinciale
  contrario  ad  una  proposta  del  sindaco,  del  presidente  della
  provincia  o  delle  rispettive  giunte  non comporta le dimissioni
  degli stessi;
        2) il  sindaco, il presidente della provincia e le rispettive
  giunte  cessano dalla carica in caso di approvazione di una mozione
  di  sfiducia votata per appello nominale dalla maggioranza assoluta
  dei componenti il consiglio.

    La  mozione  di  sfiducia  deve essere motivata e sottoscritta da
  almeno  due  quinti  dei  consiglieri  assegnati  e  viene messa in
  discussione  non  prima  di  dieci giorni e non oltre trenta giorni
  dalla  sua presentazione. Se la mozione viene approvata, si procede
  allo  scioglimento del consiglio e alla nomina di un commissario ai
  sensi delle leggi vigenti.

    La  legge  regionale  siciliana  n. 35  del  1997  all'art. 10 ha
  abbandonato il metodo del referendum introducendo (in analogia alla
  disciplina   statale)   la   mozione  di  sfiducia,  che  e'  cosi'
  disciplinata:
        1) il voto del consiglio comunale o del consiglio provinciale
  contrario  ad  una  proposta  del  sindaco,  del  presidente  della
  provincia  o  delle  rispettive  giunte, non comporta le dimissioni
  degli stessi;
        2) il  sindaco, il presidente della provincia e le rispettive
  giunte  cessano dalla carica in caso di approvazione di una mozione
  di  sfiducia  votata  per  appello  nominale  dal  60 per cento dei
  componenti  del  consiglio;  nei  comuni  aventi popolazione sino a
  10.000  abitanti,  per tale approvazione occorre la maggioranza dei
  due terzi i componenti del consiglio.

    La  mozione  di  sfiducia  deve essere motivata e sottoscritta da
  almeno  due  quinti  dei  consiglieri  assegnati  e  viene messa in
  discussione  non  prima  di  dieci giorni e non oltre trenta giorni
  dalla  sua presentazione. Se la mozione viene approvata, si procede
  allo scioglimento del consiglio ed alla nomina di un commissario ai
  sensi dell'art. 11, comma 4.

    Il successivo art. 11 dispone che:
        1) la  cessazione  dalla  carica  di  sindaco o di presidente
  della provincia per decadenza, dimissioni, revoca, rimozione, morte
  o  impedimento  permanente, comporta la cessazione dalla carica dei
  componenti delle rispettive giunte e dei rispettivi consigli;
        2) la  cessazione  del  consiglio  comunale  o  del consiglio
  provinciale  per  dimissioni contestuali della maggioranza assoluta
  dei  componenti  o  per  altra  causa  comporta  la nomina da parte
  dell'assessore   regionale   per   gli   enti  locali,  secondo  le
  disposizioni  di  cui  all'art.  11, comma 4, di un commissario, il
  quale  restera'  in  carica sino al rinnovo degli organi comunale e
  provinciali per scadenza naturale.

    Operata  la ricostruzione dell'assetto normativo, giova ricordare
  che    la   giurisprudenza,   con   riferimento   alla   dialettica
  Governo-Parlamento,  ritiene che la mozione di sfiducia - quali che
  ne  possano  essere  le  varianti (atto rivolto contro il Governo o
  contro  il  singolo  Ministro)  -  va  annoverata tra gli strumenti
  funzionali   al   ruolo  proprio  delle  camere  di  verificare  la
  consonanza  con  il  Governo  rispetto  all'indirizzo  politico  e,
  comportando,  percio',  un  giudizio  soltanto  politico,  non puo'
  essere  ammissibilmente  sindacata sotto il profilo teologico delle
  ragioni  e  dei  fini  della  sua adozione (Corte costituzionale 18
  gennaio 1996, n. 7).
    La  Corte  costituzionale  ha,  in  particolare,  ritenuto che la
  mozione  di  sfiducia  individuale  nei  confronti  di  un  singolo
  Ministro,  pur  se non prevista espressamente in Costituzione, puo'
  essere  proposta  ed  approvata  da ciascuna camera, in quanto essa
  rientra nella logica del sistema di governo parlamentare secondo il
  disegno  definito  dagli  artt.  92,  94  e 95 Cost., e dalle fonti
  integrative  del  testo  costituzionale, in relazione alle esigenze
  poste dallo sviluppo storico di tale tipo di governo.
    A  diverse  conclusioni  deve  invece  pervenirsi,  ad avviso del
  collegio,   in   relazione   ad  un  sistema  (non  previsto  dalla
  Costituzione, ma con la stessa non incolpabile) di elezione diretta
  dell'esecutivo di comuni e province.
    La  regione  siciliana che, come sopra rilevato, ha per prima nel
  nostro  ordinamento  introdotto  un metodo di elezione diretta alla
  carica  di sindaco (e successivamente di presidente della provincia
  regionale)  ha risolto il problema della consonanza tra la volonta'
  del corpo elettorale e la gestione amministrativa espressa dai capi
  delle   amministrazioni   locali  con  il  sistema  innovativo  del
  referendum,  incentrato sostanzialmente sulla rinnovazione parziale
  della consultazione elettorale.
    In quest'ultima, infatti, viene ad assumere rilievo la sovranita'
  popolare dalla quale ai sensi dell'art. 1 della Costituzione mutano
  le attribuzioni le pubbliche autorita'.
    La  norma  dell'art. 10, comma 2, della legge regionale n. 35 del
  1997,  che  sostituisce  il  referendum  con la mozione di sfiducia
  appare,  sotto  diversi  profili,  in contrasto con alcuni principi
  contenuti  nella Costituzione ed in particolare con gli artt. 1, 48
  e 97.
    L'art.   10   della   legge  regionale  n. 35  del  1997  prevede
  espressamente  la  mozione  di sfiducia nei confronti del sindaco e
  della  giunta.  A tale istituto, nel silenzio della legge, dovrebbe
  essere attribuita quella valenza tipica che essa possiede a livello
  di organi parlamentari.
    All'interno  del  sistema  elettorale  previsto  dalla  normativa
  regionale,  tuttavia,  l'istituto  acquista  delle  caratteristiche
  particolari,  le quali fanno dubitare della corretta applicabilita'
  di  tale  istituto  al  rapporto  che  intercorre  tra  gli  organi
  amministrativi  locali.  All'interno  del nostro sistema elettorale
  viene  a  creare,  infatti, un rapporto trilatero tra sindaco (e la
  sua giunta), consiglio comunale e corpo elettorale.
    Pur  con  le modifiche introdotte dalla legge regionale n. 35 del
  1997,  rispetto  al  sistema di elezione del sindaco previsto dalla
  legge  regionale  n. 7/1992,  non si puo' affermare che il rapporto
  fiduciario  -  il  cui  venir  meno e' sanzionato dall'approvazione
  della mozione di sfiducia - intercorra esclusivamente tra sindaco e
  consiglio  comunale. Cio' in quanto che, se e' vero che nel vecchio
  sistema  non  vi era alcun collegamento tra i candidati sindaci con
  le liste di candidati al consiglio comunale, mentre in quello della
  legge  regionale  n. 35  ciascun  candidato sindaco deve presentare
  dichiarazione  di collegamento ad una lista o gruppo di liste, cio'
  non  basta a far si' che il predetto rapporto politico da trilatero
  si trasformi in bilatero.
    Cio',  ad  avviso  del collegio, si evince dal disposto normativo
  dell'art.  3 della legge regionale n. 35 del 1997, laddove al comma
  terzo,  ultima  parte,  si  dispone  che:  "ciascun  elettore  puo'
  altresi'  votare  per un candidato alla carica di sindaco anche non
  collegato  alla  lista  prescelta, tracciando un segno sul relativo
  rettangolo".
    La  presenza  di  quest'ultimo  tipo  di  voto,  cosiddetto  voto
  disgiunto,  consente  di affermare che il sindaco eletto ottiene la
  propria  investitura direttamente dal corpo elettorale (espressione
  della  sovranita'  popolare  ai  sensi  degli  artt.  1  e 48 della
  Costituzione)  e  non  e' affatto espressione diretta delle liste a
  cui   egli   e'   collegato.   La   mozione  di  sfiducia  prevista
  dall'ordinamento  regionale  altera, quindi, ingiustificatamente il
  rapporto fiduciario esistente tra cittadini ed esecutivo.
    Ne   consegue   che   per   ridare   legittimita'  costituzionale
  all'istituto della mozione di sfiducia occorrerebbe o modificare la
  lettera  della  legge o disporne una correzione in termini parziale
  declaratoria di illegittimita' costituzionale, ancorando l'istituto
  a  precisi  strumenti  di  verifica dell'attivita' dell'esecutivo e
  cioe' alla contestazione della violazione di norme dell'ordinamento
  (norme primarie, statuti, atti di indirizzo).
    Solo  ne  caso  in  cui,  infatti,  dovessero  emergere risultati
  negativi  di  gestione, il consiglio comunale sarebbe legittimato a
  diventare  effettivo  strumento  di  rappresentativita'  del  corpo
  elettorale  che  ha  espresso  la figura del sindaco e solo in tale
  caso,  di  conseguenza,  legittimato ad irrogare l'estrema sanzione
  della decadenza dalla carica.
    Certamente  un rilievo determinante in ordine alla valutazione di
  negativita'   di  un  istituto  giuridico  assume,  ad  avviso  del
  collegio,  la  sua  utilizzabilita',  senza  reale  possibilita' di
  sindacato  giurisdizionale,  per  finalita'  che contrastano con il
  principio   del   buon  andamento  della  pubblica  amministrazione
  espresso all'art. 97 della Costituzione.
    A  tal proposito giova osservare che il canone costituzionale del
  buon  andamento  nella  pubblica amministrazione riguarda anche gli
  aspetti   attinenti  alle  funzioni  ed  all'esercizio  dei  poteri
  amministrativi,  cosicche'  i  relativi procedimenti debbono essere
  idonei   a  perseguire  la  migliore  realizzazione  dell'interesse
  pubblico  nel  rispetto dei diritti e degli interessi legittimi dei
  soggetti   coinvolti   nell'attivita'   amministrativa;   tuttavia,
  l'obiettivo  costituzionale  puo'  essere  realizzato con strumenti
  diversi,  egualmente  efficienti  ed  efficaci,  la  cui  scelta e'
  rimessa, nei limiti della ragionevolezza, alla discrezionalita' del
  legislatore (Corte costituzionale 23 aprile 1998, n. 135).
    Orbene  l'attuale disciplina della mozione di sfiducia, ancorche'
  motivata, e' sempre piu' frequentemente espressione di mutamenti (o
  trasformismi)  all'interno di schieramenti politici, volti spesso a
  condizionare  l'esecutivo  al di fuori di quella dialettica tra gli
  organi  dell'ente locale disegnata dal legislatore, che ha separato
  nettamente   le  competenze  degli  organi  assembleari  da  quelle
  dell'esecutivo.
    La possibilita' di presentare mozioni di sfiducia, anche soltanto
  dopo  pochi  mesi  dallo svolgimento della consultazione elettorale
  (fenomeno  divenuto  ormai ricorrente), incide, inoltre, sul valore
  della  stabilita' delle istituzioni pubbliche, fortemente avvertito
  dalla  collettivita'  e  che, per quanto riguarda la organizzazione
  della  pubblica  amministrazione,  e'  enunciato in termini di buon
  andamento nell'art. 97 della Costituzione.
    La  stabilita'  delle  istituzioni,  come  valore  costituzionale
  implica  che  il  "patto"  tra  corpo  elettorale ed organi eletti,
  fulcro  del  sistema  democratico,  si  esplichi  nei tempi fissati
  dall'ordinamento senza interruzioni che si ripercuotono nei termini
  di  inefficienza e deresponsabilizzazione dei soggetti investiti da
  cariche pubbliche.
    Ne'  puo'  ritenersi  che  una  piena  "copertura costituzionale"
  discende  in  ordine  all'istituto  della mozione di sfiducia della
  recente legge costituzionale n. 1 del 22 novembre 1999.
    L'art.  2  di  quest'ultima  legge  costituzionale  (che modifica
  dell'art.  122 della Costituzione) dispone all'ultimo comma che "il
  presidente  della  giunta regionale, salvo che lo statuto regionale
  disponga diversamente, e' eletto a suffragio universale e diretto".
  L'art. 4, che modifica dell'art. 126 della Costituzione, al secondo
  e  terzo  comma, dispone che "il consiglio regionale puo' esprimere
  la  sfiducia  nei  confronti  del  presidente della giunta mediante
  mozione  motivata,  sottoscritta  da  almeno  un  quinto  dei  suoi
  componenti  e approvata per appello nominale a maggioranza assoluta
  dei componenti.
    La  mozione  non  puo'  essere  messa in discussione prima di tre
  giorni   dalla   presentazione.  L'approvazione  della  mozione  di
  sfiducia  nei  confronti  del  presidente  della  giunta  eletto  a
  suffragio  universale  e diretto ... comportano le dimissioni della
  giunta e lo scioglimento del consiglio".

    L'art. 5, in via transitoria, dispone che:
        1) fino  alla  data  di  entrata  in vigore dei nuovi statuti
  regionali  e  delle nuove leggi elettorali ai sensi del primo comma
  dell'art. 122 della Costituzione, come sostituito dall'art. 2 della
  presente  legge  costituzionale,  l'elezione  del  presidente della
  giunta  regionale e' contestuale al rinnovo dei rispettivi consigli
  regionali   e   si   effettua   con  le  modalita'  previste  dalla
  disposizione  di legge ordinaria vigenti in materia di elezione dei
  consigli  regionali.  Sono  candidati  alla presidenza della giunta
  regionale  i  capilista delle liste regionali. E' proclamato eletto
  presidente della giunta regionale il candidato che ha conseguito il
  maggior  numero  di  voti validi in ambito regionale. Il presidente
  della  giunta regionale fa parte del consiglio regionale. E' eletto
  alla  carica  di consigliere il candidato alla carica di presidente
  della  giunta  regionale che ha conseguito un numero di voti validi
  immediatamente  inferiore  a quello del candidato proclamato eletto
  presidente;
        2) fino  alla  data  di  entrata  in vigore dei nuovi statuti
  regionali si osservano le seguenti disposizioni: ... b) nel caso in
  cui  il  consiglio  regionale  approvi  a  maggioranza assoluta una
  mozione  motivata  di  sfiducia  nei confronti del presidente della
  giunta   regionale,   presentata  da  almeno  un  quinto  dei  suoi
  componenti  e  messa  in  discussione non prima di tre giorni dalla
  presentazione,  entro  tre  mesi  si procede all'indizione di nuove
  elezioni del consiglio e del presidente della giunta.

    Dalle predette disposizioni si evincono i seguenti principi:
        l'elezione  a  suffragio  universale e diretto del presidente
  della  giunta  regionale  e'  un principio derogabile dello statuto
  regionale;
        gli  effetti  della mozione di sfiducia (ed in particolare di
  scioglimento  anche  del  consiglio  regionale),  anche  in caso di
  elezione  diretta  del  presidente  della  giunta  regionale,  sono
  previsti  al  fine  di  impedire  mutamenti  di maggioranze che non
  corrispondono  alla  volonta' del corpo elettorale (di vedano a tal
  proposito i lavori parlamentari sul sito Internet www.Senato.it);
        il   sistema   elettorale   disciplinato   con  la  normativa
  transitoria  di  cui all'art. 5, lungi dal consentire un sistema di
  voto  disgiunto, come previsto nella normativa regionale siciliana,
  prevede  una  connessione  diretta  tra  l'elezione del consiglio e
  quella del presidente della giunta regionale;
        l'elettore,  infatti,  nell'espressione  del  voto, opera una
  scelta della lista dei candidati da eleggere al consiglio, che deve
  coincidere  con  la  scelta  del  presidente  della giunta alla cui
  carica e' eletto il capolista;
        la  inscindibilita'  del  voto  di lista rispetto a quello di
  scelta  del  presidente  della  giunta comporta che tra consiglio e
  presidente della giunta deve esistere il rapporto fiduciario voluto
  dal   corpo  elettorale  ed  a  cio'  consegue  che  il  necessario
  collegamento  previsto in sede di candidatura e prescelto dal corpo
  elettorale  deve  permanere  durante  la  legislatura e puo' essere
  superato  soltanto  attraverso  una  nuova consultazione elettorale
  originata dalla mozione di sfiducia.

    E'  agevole  rilevare  che detto sistema di elezione e' del tutto
  diverso  da  quello  della  regione  siciliana sopra delineato, nel
  quale  la  volonta'  del  corpo  elettorale  si articola con scelte
  autonome   di   consiglio   e   di   sindaco  (tipico  dei  sistemi
  presidenziali  ai  quali  e'  del  tutto  estranea  la  mozione  di
  sfiducia).
    In quest'ultimo contesto la possibilita' di sfiduciare il sindaco
  costituisce  una violazione del principio della sovranita' popolare
  che si manifesta nell'esercizio del voto.
    Il collegio, pertanto, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo
  1953,  n. 87, ritiene rilevante e non manifestamente infondata, nei
  termini  di  cui  in motivazione, la questione di costituzionalita'
  dell'art.  10,  comma  2, delle legge regionale siciliana n. 35 del
  1997, per contrasto con gli artt. 1, 48 e 97 della Costituzione.
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, nei termini di
  cui in motivazione, la questione di costituzionalita' dell'art. 10,
  comma  2,  della  legge  regionale  siciliana  n. 35  del 1997, per
  contrasto con gli artt. 1, 48 e 97 della Costituzione.
    Sospende  il  giudizio  in  corso e dispone la trasmissione degli
  atti alla Corte costituzionale.
    Ordina  che  la  presente  ordinanza sia notificata al presidente
  della  regione  siciliana e comunicata al presidente dell'assemblea
  regionale siciliana.

    Cosi'  deciso in Catania, nella Camera di consiglio del giorno 15
  marzo 2000.
                        Il presidente: Delfa
L'estensore: Salamone
00C0515