N. 327 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 marzo 2000
Ordinanza emessa il 25 marzo 2000 dal tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania sul ricorso proposto da Olivo Salvatore contro il comune di Patti ed altri Sindaco - Regione Sicilia - Mozione di sfiducia votata per appello nominale dal 60 per cento dei componenti del Consiglio comunale, oppure dai due terzi dei componenti nei comuni aventi popolazione fino a 10.000 abitanti - Conseguente obbligo di dimissioni senza consultazione del corpo elettorale mediante referendum, come previsto dalla legislazione previgente - Inidoneita' dell'impugnata disciplina, ispirata alla legislazione statale, ad assicurare il rispetto del principio della sovranita' popolare in un sistema elettorale caratterizzato (diversamente da quello statale) dall'elezione diretta del sindaco - Incidenza sul diritto di voto e sui principi di imparzialita' e buon andamento della p.a. - Legge Regione Siciliana 15 settembre 1997, n. 35, art. 10, comma 2. - Costituzione, artt. 1, 48 e 97.(GU n.25 del 14-6-2000 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 938 del 2000, proposto da Olivo Salvatore rappresentato e difeso dagli avvocati Andrea Scuderi e Edoardo Nigra nel cui studio ed elett. dom. in Catania via V. Giuffrida n. 37; Contro il comune di Patti non costituito in giudizio; la presidenza della regione siciliana in persona del presidente pro-tempore e l'assessorato regionale agli enti locali della regione siciliana, in persona dell'assessore pro-tempore rappresentato e difeso ope legis dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Catania, domiciliataria; e nei confronti di: Bertilone Domenico, Calava' Francesco, Campana Carmelo, De Luca Giorgio, Faranda Antonio, Giganete Antonino, Giuttari Tindaro, Impala' Salvatore, La Macchia Pasqualino, Maffoda Orazio, Mannelli Massimiliano, Scafidi Fernando e Trifilo Fabrizio, n. q. di consiglieri comunali firmatari della mozione di sfiducia, non costituiti in giudizio; Per l'annullamento: della deliberazione dal consiglio comunale di Enna n. 2 del 4 febbraio 2000 di approvazione della mozione di sfiducia nei confronti del sindaco; dell'atto di promozione della mozione di sfiducia; del decreto dell'assessore agli enti locali della regione siciliana di nomina del commissario straordinario; Visto il ricorso introduttivo del giudizio; Vista la domanda di sospensione dell'esecuzione dei provvedimenti impugnati; Udito il relatore cons. Vincenzo Salamone e uditi, altresi', l'avv. Andrea Scuderi, per il ricorrente, e l'avvocato dello Stato Maurizio Borgo; Vista la documentazione tutta in atti; Visto l'art. 21 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034; F a t t o Con il gravame introduttivo del giudizio si chiede l'annullamento della deliberazione dal consiglio comunale di approvazione della mozione di sfiducia nei confronti del sindaco e del decreto dell'assessore agli enti locali della regione siciliana di nomina del commissario straordinario. Con assorbente censura la parte ricorrente lamenta la incostituzionalita' dell'art. 10, comma 2, della legge regionale siciliana n. 35, del 1997, che prevede e disciplina l'istituto della mozione di sfiducia per contrasto con gli artt. 1, 48 e 97 della Costituzione e che tale censura non si appalesa manifestamente infondata. La presidenza e l'assessorato agli enti locali della regione siciliana nel costituirsi in giudizio hanno chiesto il rigetto del gravame. Con ordinanza collegiale deliberata nella camera di consiglio del 15 marzo 2000 il collegio, muovendo dal presupposto che con separata ordinanza deliberata nella medesima camera di consiglio viene sollevato incidente di costituzionalita' in ordine all'art. 10, comma 2, della legge regionale siciliana n. 35 del 1997, per contrasto con gli artt. 1, 48 e 97 della Costituzione, sussistendone i presupposti di rilevanza ai fini della decisione della controversia e di non manifesta infondatezza, ha disposto l'accoglimento delle domanda di sospensione dell'esecuzione dei provvedimenti impugnati con il ricorso descritti in epigrafe sino alla camera di consiglio successiva alla data di restituzione degli atti da parte della cancelleria della Corte costituzionale e rinvia a detta Corte costituzionale l'ulteriore trattazione delle domande cautelari. D i r i t t o Con assorbente motivo di censura si lamenta la incostituzionalita' dell'art. 10, comma 2, della legge regionale siciliana n. 35 del 1997, che prevede e disciplina l'istituto della mozione di sfiducia per contrasto con gli artt. 1, 48 e 97 della Costituzione. Tale censura e' rilevante ai fini della decisione del gravame. Come evidenziato in narrativa con separata ordinanza e' stata, infatti, accolta la domanda di sospensione dell'esecuzione degli atti impugnati sino alla camera di consiglio successiva alla data di restituzione degli atti da parte della cancelleria della Corte costituzionale e cio' in quanto sussiste il danno grave ed irreparabile determinato dalla circostanza che nelle more della decisione della Corte costituzionale la parte ricorrente sarebbe stata privata della carica di sindaco. Osserva il collegio che va ritenuta la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' dell'art. 10, comma 2, della legge regionale siciliana n. 35 del 1997, che prevede e disciplina l'istituto della mozione di sfiducia per contrasto con gli artt. 1, 48 e 97 della Costituzione. Giova premettere che la legge regionale n. 7 del 1992, nell'introdurre per la prima volta il sistema di elezione diretta dei sindaci da parte del corpo elettorale (in anticipo rispetto alla legislazione nazionale) in attuazione della competenza legislativa esclusiva prevista dall'art. 14, comma 1, lettera O dello statuto regionale, all'art. 18 ha disciplinato la "consultazione del corpo elettorale sulla rimozione del sindaco" prevedendo che: 1) avverso il sindaco e la giunta dallo stesso nominata secondo quanto disposto dell'art. 12 non puo' essere presentata mozione di sfiducia; 2) ove il consiglio, a maggioranza assoluta dei suoi componenti, valuti l'esistenza di gravi inadempienze programmatiche, puo' promuovere, una sola volta nel quadrienno, consultazione del corpo elettorale sulla rimozione del sindaco; 3) la consultazione avviene secondo modalita' stabilite con decreto dell'Assessore regionale per gli enti locali da emanarsi entro tre mesi dalla data di pubblicazione della presente legge su schede recanti la seguente dizione: l'elettore intende confermare l'attuale sindaco? SI, NO; 4) la consultazione non e' valida se non vi ha preso parte almeno la meta' piu' uno degli elettori; 5) l'accoglimento della proposta determina la decadenza del sindaco, che viene dichiarata con decreto del presidente della regione, su proposta dell'assessore regionale per gli enti locali, entro quindici giorni dalla comunicazione; 6) con lo stesso decreto viene nominato un commissario straordinario, secondo il disposto delI'art. 55 dell'ordinamento amministrativo degli enti locali (d.l.p. n. 6/1955), approvato con legge regionale n. 16/1963, e successive modificazioni ed interazioni, per l'esercizio delle funzioni sindacali, fino alla elezione del sindaco da indirsi entro novanta giorni dalla data in cui e' dichiarata la decadenza; 7) il sindaco eletto resta in carica sino alla scadenza del consiglio comunale; 8) se la decadenza e' dichiarata a meno di un anno dalla data di scadenza del consiglio, le funzioni del sindaco sono esercitate da un commissario straordinario nominato secondo le disposizioni dei commi 6 e 7; 9) il non accoglimento della proposta determina la decadenza del consiglio che viene dichiarata con decreto del presidente della regione, su proposta dell'assessore regionale per gli enti locali, entro quindici giorni dalla comunicazione; 10) con lo stesso decreto viene nominata una terna di commissari straordinari per l'esercizio delle funzioni consiliari fino alla elezione del consiglio da indirsi entro novanta giorni dalla data in cui e' dichiarata la decadenza; 11) il consiglio eletto resta in carica sino alla scadenza del sindaco; 12) se la decadenza e' dichiarata a meno di un anno dalla data di scadenza del sindaco, le funzioni del consiglio sono esercitate da una terna di commissari straordinari nominati secondo le disposizioni dei commi 6 e 7. Il referendum popolare per la rimozione del sindaco per gravi inadempienze di quest'ultimo al programma a suo tempo sottoposto agli elettori, di cui all'art. 18, legge regionale siciliana 26 agosto 1992, n. 7, si configurava quale strumento previsto dal legislatore per temperare il principio dell'autonomia del sindaco rispetto al consiglio (principio del quale costituisce corollario il divieto della mozione di sfiducia). La relativa valutazione compiuta dal consiglio comunale si sottraeva al sindacato di legittimita', rilevando, in tale ipotesi, a legittimare la richiesta di consultazione del corpo elettorale, l'astratta idoneita' della motivazione addotta, dato che e' pur sempre l'azione del sindaco e la sua attivita' di gestione dell'ente ad essere posta in discussione (tribunale amministrativo regionale di Palermo 19 maggio 1997, n. 866, c.g.a., sez. giur. 21 novembre 1997, n. 512, tribunale amministrativo regionale Sicilia-Catania, sez. I, 8 luglio 1996, n. 1262). La legge statale 25 marzo 1993, n. 81, nel disciplinare in ambito nazionale la "elezione diretta del sindaco, del presidente della provincia, del consiglio comunale e del consiglio provinciale", ha previsto, invece, la mozione di sfiducia, e all'art. 18, nel sostituire l'art. 37 della legge 8 luglio 1990, n. 142, ha previsto che: 1) il voto del consiglio comunale o del consiglio provinciale contrario ad una proposta del sindaco, del presidente della provincia o delle rispettive giunte non comporta le dimissioni degli stessi; 2) il sindaco, il presidente della provincia e le rispettive giunte cessano dalla carica in caso di approvazione di una mozione di sfiducia votata per appello nominale dalla maggioranza assoluta dei componenti il consiglio. La mozione di sfiducia deve essere motivata e sottoscritta da almeno due quinti dei consiglieri assegnati e viene messa in discussione non prima di dieci giorni e non oltre trenta giorni dalla sua presentazione. Se la mozione viene approvata, si procede allo scioglimento del consiglio e alla nomina di un commissario ai sensi delle leggi vigenti. La legge regionale siciliana n. 35 del 1997 all'art. 10 ha abbandonato il metodo del referendum introducendo (in analogia alla disciplina statale) la mozione di sfiducia, che e' cosi' disciplinata: 1) il voto del consiglio comunale o del consiglio provinciale contrario ad una proposta del sindaco, del presidente della provincia o delle rispettive giunte, non comporta le dimissioni degli stessi; 2) il sindaco, il presidente della provincia e le rispettive giunte cessano dalla carica in caso di approvazione di una mozione di sfiducia votata per appello nominale dal 60 per cento dei componenti del consiglio; nei comuni aventi popolazione sino a 10.000 abitanti, per tale approvazione occorre la maggioranza dei due terzi i componenti del consiglio. La mozione di sfiducia deve essere motivata e sottoscritta da almeno due quinti dei consiglieri assegnati e viene messa in discussione non prima di dieci giorni e non oltre trenta giorni dalla sua presentazione. Se la mozione viene approvata, si procede allo scioglimento del consiglio ed alla nomina di un commissario ai sensi dell'art. 11, comma 4. Il successivo art. 11 dispone che: 1) la cessazione dalla carica di sindaco o di presidente della provincia per decadenza, dimissioni, revoca, rimozione, morte o impedimento permanente, comporta la cessazione dalla carica dei componenti delle rispettive giunte e dei rispettivi consigli; 2) la cessazione del consiglio comunale o del consiglio provinciale per dimissioni contestuali della maggioranza assoluta dei componenti o per altra causa comporta la nomina da parte dell'assessore regionale per gli enti locali, secondo le disposizioni di cui all'art. 11, comma 4, di un commissario, il quale restera' in carica sino al rinnovo degli organi comunale e provinciali per scadenza naturale. Operata la ricostruzione dell'assetto normativo, giova ricordare che la giurisprudenza, con riferimento alla dialettica Governo-Parlamento, ritiene che la mozione di sfiducia - quali che ne possano essere le varianti (atto rivolto contro il Governo o contro il singolo Ministro) - va annoverata tra gli strumenti funzionali al ruolo proprio delle camere di verificare la consonanza con il Governo rispetto all'indirizzo politico e, comportando, percio', un giudizio soltanto politico, non puo' essere ammissibilmente sindacata sotto il profilo teologico delle ragioni e dei fini della sua adozione (Corte costituzionale 18 gennaio 1996, n. 7). La Corte costituzionale ha, in particolare, ritenuto che la mozione di sfiducia individuale nei confronti di un singolo Ministro, pur se non prevista espressamente in Costituzione, puo' essere proposta ed approvata da ciascuna camera, in quanto essa rientra nella logica del sistema di governo parlamentare secondo il disegno definito dagli artt. 92, 94 e 95 Cost., e dalle fonti integrative del testo costituzionale, in relazione alle esigenze poste dallo sviluppo storico di tale tipo di governo. A diverse conclusioni deve invece pervenirsi, ad avviso del collegio, in relazione ad un sistema (non previsto dalla Costituzione, ma con la stessa non incolpabile) di elezione diretta dell'esecutivo di comuni e province. La regione siciliana che, come sopra rilevato, ha per prima nel nostro ordinamento introdotto un metodo di elezione diretta alla carica di sindaco (e successivamente di presidente della provincia regionale) ha risolto il problema della consonanza tra la volonta' del corpo elettorale e la gestione amministrativa espressa dai capi delle amministrazioni locali con il sistema innovativo del referendum, incentrato sostanzialmente sulla rinnovazione parziale della consultazione elettorale. In quest'ultima, infatti, viene ad assumere rilievo la sovranita' popolare dalla quale ai sensi dell'art. 1 della Costituzione mutano le attribuzioni le pubbliche autorita'. La norma dell'art. 10, comma 2, della legge regionale n. 35 del 1997, che sostituisce il referendum con la mozione di sfiducia appare, sotto diversi profili, in contrasto con alcuni principi contenuti nella Costituzione ed in particolare con gli artt. 1, 48 e 97. L'art. 10 della legge regionale n. 35 del 1997 prevede espressamente la mozione di sfiducia nei confronti del sindaco e della giunta. A tale istituto, nel silenzio della legge, dovrebbe essere attribuita quella valenza tipica che essa possiede a livello di organi parlamentari. All'interno del sistema elettorale previsto dalla normativa regionale, tuttavia, l'istituto acquista delle caratteristiche particolari, le quali fanno dubitare della corretta applicabilita' di tale istituto al rapporto che intercorre tra gli organi amministrativi locali. All'interno del nostro sistema elettorale viene a creare, infatti, un rapporto trilatero tra sindaco (e la sua giunta), consiglio comunale e corpo elettorale. Pur con le modifiche introdotte dalla legge regionale n. 35 del 1997, rispetto al sistema di elezione del sindaco previsto dalla legge regionale n. 7/1992, non si puo' affermare che il rapporto fiduciario - il cui venir meno e' sanzionato dall'approvazione della mozione di sfiducia - intercorra esclusivamente tra sindaco e consiglio comunale. Cio' in quanto che, se e' vero che nel vecchio sistema non vi era alcun collegamento tra i candidati sindaci con le liste di candidati al consiglio comunale, mentre in quello della legge regionale n. 35 ciascun candidato sindaco deve presentare dichiarazione di collegamento ad una lista o gruppo di liste, cio' non basta a far si' che il predetto rapporto politico da trilatero si trasformi in bilatero. Cio', ad avviso del collegio, si evince dal disposto normativo dell'art. 3 della legge regionale n. 35 del 1997, laddove al comma terzo, ultima parte, si dispone che: "ciascun elettore puo' altresi' votare per un candidato alla carica di sindaco anche non collegato alla lista prescelta, tracciando un segno sul relativo rettangolo". La presenza di quest'ultimo tipo di voto, cosiddetto voto disgiunto, consente di affermare che il sindaco eletto ottiene la propria investitura direttamente dal corpo elettorale (espressione della sovranita' popolare ai sensi degli artt. 1 e 48 della Costituzione) e non e' affatto espressione diretta delle liste a cui egli e' collegato. La mozione di sfiducia prevista dall'ordinamento regionale altera, quindi, ingiustificatamente il rapporto fiduciario esistente tra cittadini ed esecutivo. Ne consegue che per ridare legittimita' costituzionale all'istituto della mozione di sfiducia occorrerebbe o modificare la lettera della legge o disporne una correzione in termini parziale declaratoria di illegittimita' costituzionale, ancorando l'istituto a precisi strumenti di verifica dell'attivita' dell'esecutivo e cioe' alla contestazione della violazione di norme dell'ordinamento (norme primarie, statuti, atti di indirizzo). Solo ne caso in cui, infatti, dovessero emergere risultati negativi di gestione, il consiglio comunale sarebbe legittimato a diventare effettivo strumento di rappresentativita' del corpo elettorale che ha espresso la figura del sindaco e solo in tale caso, di conseguenza, legittimato ad irrogare l'estrema sanzione della decadenza dalla carica. Certamente un rilievo determinante in ordine alla valutazione di negativita' di un istituto giuridico assume, ad avviso del collegio, la sua utilizzabilita', senza reale possibilita' di sindacato giurisdizionale, per finalita' che contrastano con il principio del buon andamento della pubblica amministrazione espresso all'art. 97 della Costituzione. A tal proposito giova osservare che il canone costituzionale del buon andamento nella pubblica amministrazione riguarda anche gli aspetti attinenti alle funzioni ed all'esercizio dei poteri amministrativi, cosicche' i relativi procedimenti debbono essere idonei a perseguire la migliore realizzazione dell'interesse pubblico nel rispetto dei diritti e degli interessi legittimi dei soggetti coinvolti nell'attivita' amministrativa; tuttavia, l'obiettivo costituzionale puo' essere realizzato con strumenti diversi, egualmente efficienti ed efficaci, la cui scelta e' rimessa, nei limiti della ragionevolezza, alla discrezionalita' del legislatore (Corte costituzionale 23 aprile 1998, n. 135). Orbene l'attuale disciplina della mozione di sfiducia, ancorche' motivata, e' sempre piu' frequentemente espressione di mutamenti (o trasformismi) all'interno di schieramenti politici, volti spesso a condizionare l'esecutivo al di fuori di quella dialettica tra gli organi dell'ente locale disegnata dal legislatore, che ha separato nettamente le competenze degli organi assembleari da quelle dell'esecutivo. La possibilita' di presentare mozioni di sfiducia, anche soltanto dopo pochi mesi dallo svolgimento della consultazione elettorale (fenomeno divenuto ormai ricorrente), incide, inoltre, sul valore della stabilita' delle istituzioni pubbliche, fortemente avvertito dalla collettivita' e che, per quanto riguarda la organizzazione della pubblica amministrazione, e' enunciato in termini di buon andamento nell'art. 97 della Costituzione. La stabilita' delle istituzioni, come valore costituzionale implica che il "patto" tra corpo elettorale ed organi eletti, fulcro del sistema democratico, si esplichi nei tempi fissati dall'ordinamento senza interruzioni che si ripercuotono nei termini di inefficienza e deresponsabilizzazione dei soggetti investiti da cariche pubbliche. Ne' puo' ritenersi che una piena "copertura costituzionale" discende in ordine all'istituto della mozione di sfiducia della recente legge costituzionale n. 1 del 22 novembre 1999. L'art. 2 di quest'ultima legge costituzionale (che modifica dell'art. 122 della Costituzione) dispone all'ultimo comma che "il presidente della giunta regionale, salvo che lo statuto regionale disponga diversamente, e' eletto a suffragio universale e diretto". L'art. 4, che modifica dell'art. 126 della Costituzione, al secondo e terzo comma, dispone che "il consiglio regionale puo' esprimere la sfiducia nei confronti del presidente della giunta mediante mozione motivata, sottoscritta da almeno un quinto dei suoi componenti e approvata per appello nominale a maggioranza assoluta dei componenti. La mozione non puo' essere messa in discussione prima di tre giorni dalla presentazione. L'approvazione della mozione di sfiducia nei confronti del presidente della giunta eletto a suffragio universale e diretto ... comportano le dimissioni della giunta e lo scioglimento del consiglio". L'art. 5, in via transitoria, dispone che: 1) fino alla data di entrata in vigore dei nuovi statuti regionali e delle nuove leggi elettorali ai sensi del primo comma dell'art. 122 della Costituzione, come sostituito dall'art. 2 della presente legge costituzionale, l'elezione del presidente della giunta regionale e' contestuale al rinnovo dei rispettivi consigli regionali e si effettua con le modalita' previste dalla disposizione di legge ordinaria vigenti in materia di elezione dei consigli regionali. Sono candidati alla presidenza della giunta regionale i capilista delle liste regionali. E' proclamato eletto presidente della giunta regionale il candidato che ha conseguito il maggior numero di voti validi in ambito regionale. Il presidente della giunta regionale fa parte del consiglio regionale. E' eletto alla carica di consigliere il candidato alla carica di presidente della giunta regionale che ha conseguito un numero di voti validi immediatamente inferiore a quello del candidato proclamato eletto presidente; 2) fino alla data di entrata in vigore dei nuovi statuti regionali si osservano le seguenti disposizioni: ... b) nel caso in cui il consiglio regionale approvi a maggioranza assoluta una mozione motivata di sfiducia nei confronti del presidente della giunta regionale, presentata da almeno un quinto dei suoi componenti e messa in discussione non prima di tre giorni dalla presentazione, entro tre mesi si procede all'indizione di nuove elezioni del consiglio e del presidente della giunta. Dalle predette disposizioni si evincono i seguenti principi: l'elezione a suffragio universale e diretto del presidente della giunta regionale e' un principio derogabile dello statuto regionale; gli effetti della mozione di sfiducia (ed in particolare di scioglimento anche del consiglio regionale), anche in caso di elezione diretta del presidente della giunta regionale, sono previsti al fine di impedire mutamenti di maggioranze che non corrispondono alla volonta' del corpo elettorale (di vedano a tal proposito i lavori parlamentari sul sito Internet www.Senato.it); il sistema elettorale disciplinato con la normativa transitoria di cui all'art. 5, lungi dal consentire un sistema di voto disgiunto, come previsto nella normativa regionale siciliana, prevede una connessione diretta tra l'elezione del consiglio e quella del presidente della giunta regionale; l'elettore, infatti, nell'espressione del voto, opera una scelta della lista dei candidati da eleggere al consiglio, che deve coincidere con la scelta del presidente della giunta alla cui carica e' eletto il capolista; la inscindibilita' del voto di lista rispetto a quello di scelta del presidente della giunta comporta che tra consiglio e presidente della giunta deve esistere il rapporto fiduciario voluto dal corpo elettorale ed a cio' consegue che il necessario collegamento previsto in sede di candidatura e prescelto dal corpo elettorale deve permanere durante la legislatura e puo' essere superato soltanto attraverso una nuova consultazione elettorale originata dalla mozione di sfiducia. E' agevole rilevare che detto sistema di elezione e' del tutto diverso da quello della regione siciliana sopra delineato, nel quale la volonta' del corpo elettorale si articola con scelte autonome di consiglio e di sindaco (tipico dei sistemi presidenziali ai quali e' del tutto estranea la mozione di sfiducia). In quest'ultimo contesto la possibilita' di sfiduciare il sindaco costituisce una violazione del principio della sovranita' popolare che si manifesta nell'esercizio del voto. Il collegio, pertanto, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, ritiene rilevante e non manifestamente infondata, nei termini di cui in motivazione, la questione di costituzionalita' dell'art. 10, comma 2, delle legge regionale siciliana n. 35 del 1997, per contrasto con gli artt. 1, 48 e 97 della Costituzione.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, nei termini di cui in motivazione, la questione di costituzionalita' dell'art. 10, comma 2, della legge regionale siciliana n. 35 del 1997, per contrasto con gli artt. 1, 48 e 97 della Costituzione. Sospende il giudizio in corso e dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Ordina che la presente ordinanza sia notificata al presidente della regione siciliana e comunicata al presidente dell'assemblea regionale siciliana. Cosi' deciso in Catania, nella Camera di consiglio del giorno 15 marzo 2000. Il presidente: Delfa L'estensore: Salamone 00C0515