N. 13 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 28 aprile 2000

Ricorso  per  questione  di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 28 aprile 2000 (della regione Lombardia)

Istruzione  pubblica  -  Norme sulla parita' scolastica e sul diritto
  all'istruzione  -  Piano  straordinario di finanziamento a sostegno
  delle spese sostenute dalle famiglie per l'istruzione - Criteri per
  la  ripartizione  dei fondi tra le Regioni e le Province autonome e
  per   l'individuazione   dei   beneficiari,  nonche'  modalita'  di
  fruizione  dei  benefici  - Prevista determinazione con decreto del
  Presidente  del Consiglio dei Ministri, senza partecipazione alcuna
  delle Regioni - Denunciata violazione delle competenze regionali in
  materia  di  assistenza  scolastica  - Mancato coinvolgimento della
  Conferenza   Stato-Regioni   -   Lesione  del  principio  di  leale
  collaborazione.
- Legge 10 marzo 2000, n. 62, art. 1, commi 9 e 10.
- Costituzione,  artt. 117, 118 e 119; d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616,
  artt. 17, 42 e 45; d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281, artt. 2 e 8.
Istruzione  pubblica  -  Norme sulla parita' scolastica e sul diritto
  all'istruzione  -  Piano  straordinario di finanziamento a sostegno
  delle spese sostenute dalle famiglie per l'istruzione - Criteri per
  la  ripartizione  dei fondi tra le Regioni e le Province autonome -
  Prevista  determinazione  con  decreto del Presidente del Consiglio
  dei  Ministri - Denunciata mancanza di limiti alla discrezionalita'
  dell'Esecutivo  - Violazione della riserva di legge posta dall'art.
  119, primo comma, Cost., in materia di finanza regionale.
- Legge 10 marzo 2000, n. 62, art. 1, comma 9.
- Costituzione, art. 119.
Istruzione  pubblica  -  Norme sulla parita' scolastica e sul diritto
  all'istruzione - Requisiti per il riconoscimento della parita' alle
  scuole   non   statali   -   Denunciata   previsione   di  "criteri
  irragionevolmente   ristretti   e   incongruamente   vincolanti"  -
  Incidenza  sulla  capacita' di programmazione della rete scolastica
  delle  Regioni  e  sulle  funzioni  ad  esse delegate in materia di
  istruzione  scolastica  -  Mancato  coinvolgimento della Conferenza
  Stato-Regioni.
- Legge 10 marzo 2000, n. 62, art. 1, comma 4.
- Costituzione, artt. 3, 97, 117 e 118; d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112,
  art. 138; d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281, art. 2.
(GU n.32 del 2-8-2000 )
    Ricorso  della regione Lombardia, in persona del presidente della
  Giunta  regionale  pro-tempore,  on. Roberto Formigoni, autorizzato
  con  delibera  di  giunta  regionale  n. 49549  del 18 aprile 2000,
  rappresentato  e  difeso,  come  da  mandato a margine del presente
  atto,  dal prof. avv. Beniamino Caravita di Toritto e presso il suo
  studio  elettivamente  domiciliato  in Roma, via di Porta Pinciana,
  n. 6;
    Contro  il  Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore per
  la  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale  dell'art. 1,
  commi  9,  10  e 4 della legge 10 marzo 2000, n. 62, recante "Norme
  per  la parita' scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e
  all'istruzione",  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale, n. 67 del
  21 marzo 2000.

                              F a t t o

    La legge 10 marzo 2000, n. 62 detta, in unico articolo, norme per
  la  parita'  scolastica  e  disposizioni  sul diritto allo studio e
  all'istruzione,  in  relazione all'obiettivo prioritario, enunciato
  al  comma 1,  dell'  "espansione  dell'offerta  formativa"  e della
  "conseguente   generalizzazione   della   domanda   di   istruzione
  dall'infanzia  lungo  tutto  l'arco  della  vita".  Il  primo comma
  dell'art. 1  configura  il  sistema  nazionale  di istruzione quale
  sistema  "costituito  dalle scuole statali e dalle scuole paritarie
  private e degli enti locali".
    Il  comma 2  individua  il  concetto  di  scuole paritarie, quali
  scuole  abilitate  a  rilasciare  titoli  di  studio  aventi valore
  legale.
    Il  comma 3,  premessa  la  piena liberta' delle scuole paritarie
  private  per quanto concerne l'orientamento culturale e l'indirizzo
  pedagogico  didattico,  impone  alle  stesse  il rispetto di alcuni
  principi,   prevedendo,  inoltre,  la  possibilita'  che  il  piano
  educativo indichi l'eventuale ispirazione culturale o religiosa.
    Il  comma 4  indica, alle lettere da a) ad h), i requisiti il cui
  possesso risulta indispensabile affinche' possa essere riconosciuta
  la parita' alle scuole non statali che ne facciano richiesta.
    I  successivi  commi  5  e  6  prevedono la sottoposizione, delle
  scuole  paritarie, rispettivamente, alla valutazione dei processi e
  degli  esiti  da  parte  del  sistema  nazionale  di  valutazione e
  all'accertamento, da parte del Ministero della pubblica istruzione,
  del  possesso  originario  e  della permanenza dei requisiti per il
  riconoscimento della parita'.
    Con riguardo alle scuole non statali che non intendano richiedere
  il  riconoscimento della parita', il comma 7 stabilisce che ad esse
  si  applica la disciplina dettata dalla parte seconda, titolo VIII,
  del decreto legislativo n. 297/1994.
    Tale  disposizione,  inoltre,  affida  al Ministro della pubblica
  istruzione  il  potere  di  proporre,  con  decreto,  il definitivo
  superamento  delle  citate  disposizioni  del  decreto  legislativo
  n. 297/1994  "anche  al  fine  di  ricondurre  tutte  le scuole non
  statali  nelle  due tipologie delle scuole paritarie e delle scuole
  non paritarie".
    Il  successivo  comma 8  prevede  l'applicazione  alle scuole non
  statali,  senza  fini di lucro, in possesso dei requisiti di cui al
  decreto  legislativo  n. 460/1997, del trattamento fiscale previsto
  dallo stesso decreto.
    I  commi 9  e  10  dettano  disposizioni  finalizzate  "a rendere
  effettivo  il  diritto  allo  studio  e  all'istruzione a tutti gli
  alunni delle scuole statali e paritarie...".
    In  particolare,  il  comma 9  prevede "un piano straordinario di
  finanziamento alle regioni e alle province autonome da utilizzare a
  sostegno  della  spesa  sostenuta  e documentata dalle famiglie per
  l'istruzione,  mediante  l'assegnazione  di borse di studio di pari
  importo   eventualmente   differenziate   per  ordine  e  grado  di
  istruzione".
    Tale   disposizione,   inoltre,  attribuisce  al  Presidente  del
  Consiglio   dei   Ministri,   senza   prevedere   alcuna  forma  di
  coinvolgimento delle regioni, il potere di fissare i criteri per la
  ripartizione  delle  somme  cosi'  stanziate  tra  le  regioni e le
  province  autonome, di individuare i beneficiari "in relazione alle
  condizioni  reddituali  delle  famiglie  da  determinare  ai  sensi
  dell'art. 27  della  legge  n. 448/1998",  nonche'  di  definire le
  modalita'  per  la  fruizione  dei benefici e per l'indicazione del
  loro utilizzo.
    Il  successivo comma 10 prevede la possibilita' per i beneficiari
  di  utilizzare  le  borse  di  studio  di  cui al comma 9 "mediante
  detrazione  di  una  somma  equivalente dall'imposta lorda riferita
  all'anno  in  cui  la  spesa  e'  stata  sostenuta", e assegna alle
  regioni  e  alle  province  autonome  il compito di disciplinare le
  modalita'  di comunicazione al Ministero del tesoro, del bilancio e
  della  programmazione  economica  dei dati relativi ai soggetti che
  intendono avvalersi della detrazione fiscale.
    Al  comma  11,  la  legge  n. 62/2000, dopo aver stabilito che la
  realizzazione  degli  interventi  di  cui  ai  commi  9  e 10, deve
  avvenire  prioritariamente  a  favore  delle famiglie in condizioni
  svantaggiate,  fa  espressamente salvi gli interventi di competenza
  di ciascuna regione e delle province autonome in materia di diritto
  allo studio.
    I  successivi  commi  da 12 a 17 individuano i mezzi finanziari a
  carico  del  bilancio  dello  Stato  con  i  quali  perseguire  gli
  obiettivi indicati nella legge.
    Tra  le  disposizioni  contenute  nella  legge  n. 62, la regione
  Lombardia  ha  individuato  nei  commi  9,  10 e 4, dell'articolo 1
  alcune   previsioni  direttamente  e  immediatamente  lesive  della
  propria autonomia, che qui di seguito vengono impugnate.
    1.  -  Violazione  degli articoli 117, 118 della Costituzione, in
  relazione  al  d.P.R.  n. 616/1977  (artt. 17,  42 e 45), al d.lgs.
  n. 281/1997  (artt. 2,  8),  alla giurisprudenza costituzionale sul
  principio  di  leale  collaborazione  tra  lo  Stato  e le regioni,
  nonche'  violazione  dell'articolo 119 della Costituzione, da parte
  dell'articolo 1, commi 9 e 10.
    1.1.  -  L'articolo 1, comma 9, esordisce stabilendo che, al fine
  di  rendere  effettivo  il  diritto  allo studio e all'istruzione a
  tutti gli alunni delle scuole statali e paritarie, "lo Stato adotta
  un  piano  straordinario  di  finanziamento  alle  regioni  e  alle
  province  autonome  di Trento e di Bolzano da utilizzare a sostegno
  della spesa sostenuta e documentata dalle famiglie per l'istruzione
  mediante   l'assegnazione  di  borse  di  studio  di  pari  importo
  eventualmente differenziate e per ordine e grado di istruzione".
    Il secondo periodo del comma 9 affida al Presidente del Consiglio
  dei Ministri il potere di stabilire con decreto:
        i  criteri per la ripartizione di tali somme tra le regioni e
  le province autonome di Trento e di Bolzano;
        i  criteri per l'individuazione dei beneficiari, in relazione
  alle  condizioni  reddituali delle famiglie da determinare ai sensi
  dell'articolo 27 della legge 23 dicembre 1998, n. 448;
        le   modalita'  per  la  fruizione  dei  benefici  e  per  la
  indicazione del loro utilizzo.
    Il successivo comma 10, inoltre, individua direttamente una delle
  modalita'  di  fruizione  dei  benefici, stabilendo che "i soggetti
  aventi  i  requisiti  individuati  dal  decreto  del Presidente del
  Consiglio dei Ministri di cui al comma 9 possono fruire della borsa
  di studio mediante detrazione di una somma equivalente dall'imposta
  lorda riferita all'anno in cui la spesa e' stata sostenuta".
    Alle  regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano, il
  comma  10 affida il compito meramente esecutivo di disciplinare "le
  modalita'  con  le  quali  sono annualmente comunicati al Ministero
  delle  finanze  e  al  Ministero  del  tesoro, del bilancio e della
  programmazione  economica i dati relativi ai soggetti che intendono
  avvalersi della detrazione fiscale".
    Le norme in esame prevedono sostanzialmente un intervento statale
  in un settore - "sostegno della spesa sostenuta e documentata dalle
  famiglie per l'istruzione" - di sicura competenza regionale.
    L'articolo  117  della  Costituzione,  infatti,  contempla tra le
  materie   rientranti   nella   competenza   legislativa   regionale
  "l'assistenza scolastica".
    A sua volta il d.P.R. n. 616/1977, all'articolo 17, ha trasferito
  espressamente  alle  regioni le funzioni amministrative dello Stato
  nella materia dell'assistenza scolastica.
    All'articolo  42,  inoltre, il d.P.R. n. 616/1977 ha precisato il
  concetto  di  "assistenza scolastica", stabilendo che: "le funzioni
  amministrative  relative  alla  materia dell'"assistenza scolastica
  concernono tutte le strutture, i servizi e le attivita' destinate a
  facilitare  mediante  erogazioni e provvidenze in denaro o mediante
  servizi   individuali  e  collettivi,  a  favore  degli  alunni  di
  istituzioni  pubbliche  o  private, anche se adulti, l'assolvimento
  dell'obbligo   scolastico   nonche',  per  gli  studenti  capaci  e
  meritevoli  ancorche'  privi di mezzi, la prosecuzione degli studi.
  Le  funzioni  suddette  concernono  fra  l'altro: gli interventi di
  assistenza  medico  psichica, l'assistenza ai minorati psico-fisici
  l'erogazione  gratuita  di  libri di testo agli alunni delle scuole
  elementari.  Il  successivo  articolo  45  ha,  inoltre, stabilito,
  rispettivamente,  al  primo  comma, che "le funzioni amministrative
  indicate  all'articolo 42 sono attribuite ai comuni che le svolgono
  secondo  le modalita' previste dalla legge regionale"; e, al quarto
  comma,   che   "la   Regione   promuove   le   opportune  forme  di
  collaborazione tra i comuni interessati".
    Questa stessa ecc.ma Corte, inoltre, ha piu' volte, riconosciuto,
  l'afferenza  della materia in oggetto alle competenze legislative e
  amministrative  regionali  (cfr.,  in  particolare,  le  sentt. nn.
  56/1983 e 454/1994).
    1.2.  - Una volta fugato ogni dubbio circa la titolarita' in capo
  alle  regioni  delle  competenze legislative e amministrative nella
  materia  dell'assistenza  scolastica, risulta del tutto evidente la
  ripetuta   lesione   dell'autonomia   regionale   perpetuata  dalle
  disposizioni in esame.
    Tali  norme,  infatti,  nel  prevedere  un piano straordinario di
  finanziamento  delle  regioni e delle province autonome a "sostegno
  della   spesa   sostenuta   e   documentata   dalle   famiglie  per
  l'istruzione",  non  hanno  contemplato  alcun coinvolgimento delle
  regioni, ne' nella fase della ripartizione dei finanziamenti tra le
  regioni  e le province autonome, ne' in quella della individuazione
  dei  beneficiari,  ne'  infine in quella della determinazione delle
  modalita'  per  la  fruizione dei benefici e per la indicazione del
  loro utilizzo.
    Trattandosi  di  destinazione di risorse statali alle regioni per
  l'esercizio di un'attivita' rientrante nella competenza legislativa
  e  amministrativa  regionale,  le  fattispecie in esame non possono
  invero  essere  ricondotte all'esercizio da parte dello Stato della
  funzione   di   indirizzo  e  coordinamento.  Le  norme  impugnate,
  tuttavia,  pur  non  potendosi  ritenere censurabili per il mancato
  rispetto   del   procedimento   delineato   dall'articolo  8  legge
  n. 59/1997 risultano tuttavia illegittime in relazione al principio
  costituzionale di "leale collaborazione" tra lo Stato e le regioni.
  Va  a  tal  proposito  ricordato  come i rapporti tra la Stato e le
  regioni  nelle  materie di competenza di queste ultime e, comunque,
  nelle  materie  nelle  quali  competenze  statali  e  regionali  si
  intrecciano  tra  loro,  siano regolati dal surrichiamato principio
  costituzionale,  il  quale  impone la necessita' di adottare quelle
  forme  di coordinamento tra lo Stato e le regioni, che siano idonee
  a  salvaguardare gli interessi pubblici affidati alle cure dei vari
  livelli   di  governo  (cfr.  Corte  costituzionale  nn.  483/1991;
  366/1992; 109/1993; 289/1993; 334/1998).
    Recentemente,   proprio   in   nome   del   principio   di  leale
  collaborazione tra la Stato e le regioni, codesta ecc.ma Corte, sul
  ricorso  della  regione  Sicilia,  ha  dichiarato  l'illegittimita'
  costituzionale  di  alcune disposizioni della legge n. 662/1996, in
  relazione  alla  mancata partecipazione della regione Sicilia nella
  definizione delle modalita' di attuazione della manovra finanziaria
  1997 (sent. n. 98/2000).
    Nella  motivazione  di  tale  sentenza  si legge: "Le clausole di
  riserva  di  nuove  entrate  all'erario  costituiscono  infatti  un
  meccanismo derogatorio, consentito al legislatore statale, rispetto
  al  principio  della  attribuzione alla regione dell'intero gettito
  dei  tributi  erariali (eccettuati alcuni) riscossi nell'ambito del
  territorio   regionale;   la   loro   attuazione   incide  pertanto
  direttamente  sulla  effettiva  garanzia dell'autonomia finanziaria
  della  regione, oltre che sugli interessi attinenti alle specifiche
  finalita'  statali, alle quali sono destinate per legge le maggiori
  entrate.  Il principio di leale collaborazione fra Stato e regione,
  che  domina  le  relazioni  fra  i  livelli  di governo la' dove si
  verifichino,  come  in  queste  ipotesi accade, interferenze fra le
  rispettive  sfere  e  i  rispettivi  ambiti finanziari esige che si
  attui tale meccanismo mediante procedimenti non unilaterali, ma che
  contemplino   una   partecipazione   della   regione   direttamente
  interessata".
    1.3.  - A cio' si aggiunga che la necessita' di un coinvolgimento
  delle  regioni o, comunque, di organi rappresentativi delle stesse,
  quando  si  verta  in  materie  di  competenza  regionale, e' stata
  espressamente  prevista  di recente dal d.lgs. n. 281/1997, recante
  "Definizione  ed  ampliamento  delle  attribuzioni della Conferenza
  permanente  per  i  rapporti tra lo Stato, le regioni e le province
  autonome  di  Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i
  compiti  di  interesse  comune  delle regioni, delle province e dei
  comuni, con la Conferenza Stato-Citta' ed autonomie locali.
    L'articolo 2, comma 1, lett. f) del d.lgs. n. 281/1997 stabilisce
  in  proposito  che:  "Al  fine di garantire la partecipazione delle
  regioni  e delle province autonome di Trento e di Bolzano a tutti i
  processi  decisionali  di  interesse  regionale,  interregionale ed
  infraregionale, la Conferenza Stato-regioni:
        fermo quanto previsto dagli statuti speciali e dalle relative
  norme  di  attuazione,  determina, nei casi previsti dalla legge, i
  criteri  di  ripartizione  delle  risorse  finanziarie che la legge
  assegna  alle  regioni  e  alle  province  autonome  di Trento e di
  Bolzano, anche a fini di perequazione".
    Il successivo comma 3 stabilisce che "La Conferenza Stato-Regioni
  e'  obbligatoriamente  sentita  in ordine agli schemi di disegni di
  legge  e  di decreto legislativo o di regolamento del Governo nelle
  materie  di  competenza  delle regioni o delle province autonome di
  Trento e di Bolzano che si pronunzia entro venti giorni;
    Il  comma 4 stabilisce, inoltre, che "La Conferenza e' sentita su
  ogni oggetto di interesse regionale che il Presidente del Consiglio
  dei  Ministri  ritiene  opportuno sottoporre al suo esame, anche su
  richiesta  della  Conferenza  dei  Presidenti delle Regioni e delle
  Province autonome di Trento e di Bolzano.
    Il  comma  6  stabilisce, infine, che: "Quando il parere concerne
  provvedimenti  gia'  adottati  in  via  definitiva,  la  Conferenza
  Stato-Regioni  puo'  chiedere  che  il  Governo  lo  valuti ai fini
  dell'eventuale revoca o riforma dei provvedimenti stessi"
    Nel caso di specie, l'articolo 1, comma 9, della legge n. 62/2000
  non solo non attribuisce alla Conferenza Stato-Regioni il potere di
  determinare  i  criteri  per la ripartizione tra le Regioni di tali
  finanziamenti,  e  cio'  nonostante  che  la  fattispecie  in  esso
  prevista  -  ripartizione  delle  risorse  finanziarie che la legge
  assegna alle Regioni e alle Province autonome - coincida con quella
  delineata   dall'articolo  2,  comma  1,  del  decreto  legislativo
  n. 281/1997;  ma non prevede neppure che essa sia sentita, a fronte
  di una disposizione, quale quella dettata dal comma 3 dell'articolo
  2  del  decreto  legislativo  n. 281/1997,  che  richiede  che tale
  Conferenza    sia    "obbligatoriamente"   sentita   in   occasione
  dell'adozione di un atto, quale appunto il d.p.c.m. di cui al comma
  9,  suscettibile  di  incidere  su una materia di sicura competenza
  regionale.
    D'altra   parte,   che  il  legislatore  statale  abbia  ritenuta
  fondamentale  coinvolgere  le  Regioni nell'adozione da parte dello
  Stato  di  tutti  quegli  atti  che  comunque  incidono  sulle loro
  competenze,  si desume chiaramente da quanto disposta dell'articolo
  2 del decreto legislativo n. 281/1997, nella parte (comma 6) in cui
  attribuisce  alla  Conferenza  la  possibilita'  di chiedere che il
  Governo  valuti  il  proprio  parere  ai  fini della revoca a della
  riforma dei provvedimenti gia' adottati in via definitiva.
    Conferma  la  necessita'  di  un  coinvolgimento della Conferenza
  Stato-Regioni   in  materia  lo  stesso  articolo  27  della  legge
  n. 448/1998,  richiamato  espressamente dal comma 9 dell'articolo 1
  della legge n. 62/2000.
    Tale  disposizione,  infatti,  nell'affidare  al  Presidente  del
  Consiglio  dei  Ministri,  su  proposta del Ministro della pubblica
  istruzione,  il  potere  di individuare, con decreto, "le categorie
  degli  aventi  diritto al beneficio, applicando, per la valutazione
  della  situazione  economica  dei  beneficiari, i criteri di cui al
  decreto  legislativo  31 marzo 1998, n. 109, in quanto compatibili,
  con   le  necessarie  semplificazioni  ed  integrazioni",  richiede
  espressamente  che tale decreto venga adottato "previo parere della
  Conferenza  permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
  province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano  e  delle competenti
  Commissioni parlamentari".
    1.4.  -  In  senso  favorevole al coinvolgimento della Conferenza
  Stato-Regioni   nell'adozione   di  atti  statali  incidenti  sulle
  competenze regionali si e' piu' volte espressa anche codesta ecc.ma
  Corte costituzionale.
    In   proposito,  codesta  ecc.ma  Corte  ha  affermato  che:  "La
  Conferenza  disciplinata  dall'art. 12 legge 23 agosto 1988 n. 400,
  lungi  dall'essere  un organo appartenente all'apparato statale o a
  quello  delle  Regioni  (e  delle  Province  autonome) e deputato a
  manifestare  gli  orientamenti dell'uno e/o delle altre, e' la sede
  privilegiata  del  confronto  e  della negoziazione politica fra lo
  Stato  e  le  Regioni  (e  delle  Province  autonome), prevista dal
  predetto   art. 12   al   fine   di   favorire  il  raccordo  e  la
  collaborazione  fra l'uno e le altre: in quanto tale, la Conferenza
  e'  un'istituzione  operante  nell'ambito della comunita' nazionale
  come  strumento  per l'attuazione della cooperazione fra lo Stato e
  le Regioni (e delle Province autonome)" (sent. n. 116/1994).
    Recentemente,  con  la sentenza n. 169/1999, codesta ecc.ma Corte
  nell'accogliere  un  ricorso per conflitto di attribuzioni promosso
  dalla  regione  Lombardia  avverso  il  d.p.c.m. 27 settembre 1997,
  recante "Modalita' di esercizio delle deroghe di cui all'articolo 9
  della  Direttiva  409/1979/CEE,  concernente la conservazione degli
  uccelli  selvatici",  dopo aver premesso che "anche quando sussista
  la   possibilita'  di  coesistenza  di  fonti  statali  con  quelle
  regionali, la fonte nazionale e' legittimata ad intervenire secondo
  modalita'  procedurali  e  sulla  base  di  presupposti  prescritti
  dall'ordinamento",    ha    affermato   che   tale   d.p.c.m.   "e'
  costituzionalmente  illegittimo, tanto se si tratti di regolamento,
  quanto  se si configuri come atto di indirizzo e coordinamento, per
  il   fatto   di  essere  stato  adottato  in  assenza  di  supporto
  legislativo  e senza il rispetto del giusto procedimento richiesto,
  ivi incluso il mancato intervento della Conferenza Stato-Regioni".
    1.5.  - Ne' si ritenga di poter escludere un coinvolgimento delle
  Regioni sulla base del presupposto che le competenze amministrative
  in materia di assistenza scolastica sono state trasferite ai comuni
  dall'articolo 45 del d.P.R. n. 616/1977.
    In  proposito,  infatti,  codesta  ecc.ma  Corte  ha  piu'  volte
  ribadito  il  principio  in  base  al  quale  i  flussi  finanziari
  destinati  ai  compiti  istituzionali  degli enti locali inerenti a
  materie  regionali  debbono  essere  erogati  per  il tramite delle
  Regioni (476/1991).
    Alle  Regioni,  d'altra  parte,  il  decreto del Presidente della
  Repubblica  n. 616/1977 conserva il potere di stabilire, con legge,
  le  modalita'  di  esercizio  di tali funzioni da parte dei comuni,
  nonche' quello di coordinare l'attivita' comunale.
    2.  -  Ancora  violazione  dell'articolo  119 della Costituzione,
  sotto  il  profilo  del  mancato rispetto della riserva di legge in
  esso prevista, da parte dell'articolo 1 comma 9.
    La disposizione del comma 9 dell'articolo 1, risulta, inoltre, in
  contrasto con l'articolo 119 della Costituzione, nella parte in cui
  attribuisce  al  Presidente del Consiglio dei Ministri il potere di
  stabilire  i  criteri  di ripartizione tra le Regioni e le Province
  autonome delle somme da destinare al sostegno della spesa sostenuta
  dalle  famiglie  per  l'istruzione,  senza  porre alcun limite alla
  discrezionalita' dell'Esecutivo.
    In  proposito  l'articolo  119,  primo  comma della Costituzione,
  stabilisce che: "le Regioni hanno autonomia finanziaria nelle forme
  e  nei  limiti  stabiliti  dalle  leggi  della  Repubblica,  che la
  coordinano con la finanza dello Stato, delle Province e dei Comuni"
    E'  evidente,  dunque,  la  violazione  da parte dell'articolo 1,
  comma 9, del principio della riserva di legge fissato dall'articolo
  119, primo comma, della Costituzione.
    Anche  codesta  ecc.ma  Corte  ha  gia'  avuto modo di dichiarare
  incostituzionali quelle disposizioni legislative che demandavano ad
  atti  governativi la determinazione dei criteri di ripartizione dei
  fondi   con   esse   istituiti,  senza  porre  nessun  limite  alla
  discrezionalita' dell'Esecutivo.
    In particolare, con sentenza n. 382/1990, codesta ecc.ma Corte ha
  accolto  i  ricorsi delle Regioni Lombardia e Toscana promossi, per
  violazione del principio della riserva di legge di cui all'articolo
  119 Cost., avverso l'articolo 17 del decreto-legge n. 415/1998, che
  demandava  ad un decreto del Presidente del Consiglio la fissazione
  dei  criteri  per  la  ripartizione del "residuo importo" del fondo
  comune regionale.
    Nella motivazione di tale decisione si legge: "nel rinviare ad un
  atto  governativo  la  determinazione  di  qualsivoglia criterio di
  ripartizione  del fondo residuo senza porre in proposito il benche'
  minimo  limite alla discrezionalita' dell'Esecutivo, l'articolo 17,
  comma  3,  viola  il  principio  della  riserva  di legge stabilito
  dall'articolo 119 Cost." (cfr. anche sent. n. 307/1983).
    Con  la  successiva  sentenza  n. 123/1992  e'  stata respinta la
  questione  di  legittimita'  costituzionale  promossa,  per  motivi
  analoghi,  da  alcune Regioni avverso l'art. 8 legge 14 agosto 1991
  n. 281, con la seguente motivazione: "l'art. 8 legge 14 agosto 1991
  n. 281,  il  quale  stabilisce  che  il  Ministro delle sanita', di
  concerto  con  il  Ministro  del  tesoro  e  sentita  la Conferenza
  permanente  per i rapporti fra Stato, Regioni e Provincie autonome,
  provvede  con  decreto  alla  ripartizione  del fondo istituito per
  l'attuazione  della  legge  stessa  fra  le  Regioni e le Provincie
  autonome,  non  viola  la  riserva di legge stabilita dall'art. 119
  comma  1 Cost., poiche' non demanda all'Esecutivo la determinazione
  dei   criteri   per   la  ripartizione  del  fondo,  ma  stabilisce
  direttamente  che  il  75%  del fondo e' destinato ai comuni per il
  risanamento dei canili comunali e che il 25% del fondo stesso serva
  a  finanziare  le regioni ed affluisce al fondo comune, contemplato
  dall'art.  8  legge 14 agosto 1991 n. 281, ed e' quindi soggetto ai
  criteri di ripartizione del fondo stesso".
    Anche  con  tale  decisione,  dunque,  codesta  ecc.ma  Corte  ha
  ribadito il principio in base al quale l'attribuzione all'Esecutivo
  del  potere  di  ripartizione  di fondi statali alle Regioni e alle
  Province  autonome  richiede la previa determinazione con legge dei
  relativi criteri.
    La  disposizione  impugnata  va  quindi  censurata per violazione
  dell'articolo 119 della Costituzione.
    3.   -   Violazione  degli  articoli  3,  97,  117  e  118  della
  Costituzione  anche in relazione al decreto legislativo n. 112/1998
  (art. 138)  e al decreto legislativo n. 281/1997 (art. 2), da parte
  del comma 4 dell'art. 1.
    L'articolo   1,   comma   4,   stabilisce  che:  "La  parita'  e'
  riconosciuta  alle scuole non statali che ne fanno richiesta e che,
  in  possesso  dei  seguenti requisiti, si impegnano espressamente a
  dare attuazione a quanto previsto dai commi 2 e 3:
        a)  un  progetto  educativo  in  armonia con i principi della
  Costituzione;   un   piano  dell'offerta  formativa  conforme  agli
  ordinamenti   e   alle  disposizioni  vigenti;  attestazione  della
  titolarita' della gestione e la pubblicita' dei bilanci;
        b)   la  disponibilita'  di  locali,  arredi  e  attrezzature
  didattiche propri del tipo di scuola e conformi alle norme vigenti;
        c)  l'istituzione  e il funzionamento degli organi collegiali
  improntati alla partecipazione democratica;
        d)  l'iscrizione  alla  scuola  per  tutti gli studenti i cui
  genitori ne facciano richiesta, purche' in possesso di un titolo di
  studio  valido  per  l'iscrizione  alla  classe  che essi intendono
  frequentare;
        e)   l'applicazione   delle   norme  vigenti  in  materia  di
  inserimento di studenti con handicap o in condizioni di svantaggio;
        f) l'organica costituzione di corsi completi: non puo' essere
  riconosciuta  la  parita'  a  singole classi, tranne che in fase di
  istituzione  di  nuovi  corsi  completi,  ad  iniziare  dalla prima
  classe;
        g) personale docente fornito del titolo di abilitazione;
        h)  contratti individuali di lavoro per personale dirigente e
  insegnante  che  rispettino  i  contratti  collettivi  nazionali di
  settore.
    Tale disposizione, prevedendo criteri irragionevolmente ristretti
  e  incongruamente  vincolanti  per  il riconoscimento della parita'
  scolastica,  impinge  sulla  capacita' di programmazione della rete
  scolastica  delle Regioni, competenza delegata ex art. 138, decreto
  legislativo n. 112/1998, non permettendo un adeguato sviluppo delle
  scuole non statali.
    Si veda, ad esempio, la lett. a) che, prevedendo, quale requisito
  per il riconoscimento, "un piano dell'offerta formativa conforme ad
  ordinamenti  e  alle disposizioni vigenti", costringe le scuole non
  statali  a  ripetere  pedissequamente  la  struttura  delle  scuole
  pubbliche; ovvero la lett. c) che, richiedendo che "l'istituzione e
  il  funzionamento  degli  organi  collegiali  siano improntati alla
  partecipazione   democratica"  impedisce  lo  sviluppo  di  formule
  organizzative  diverse;  o,  infine,  la lett. h), che, richiedendo
  "contratti   individuali   di  lavoro  per  personale  dirigente  e
  insegnante  che  rispettino  i  contratti  collettivi  nazionali di
  settore",  impone  anche  alle  scuole  straniere  il  rispetto  di
  discipline  che  nascono  dal  confronto  sindacale  italiano e che
  possono essere migliori o peggiori, ma comunque non comparabili con
  quelle di scuole che dipendono da ordinamenti stranieri.
    Non  viene  qui  contestata  -  sia chiaro - l'appartenenza della
  competenza  allo  Stato,  bensi'  il  cattivo uso di questo potere,
  nella parte in cui impinge su potesta' regionali.
    Se  e'  vero,  infatti,  che  le  Regioni  non  sono  titolari di
  competenza  legislativa  in  materia  di  istruzione scolastica, e'
  anche  vero che, a seguito del processo di conferimento di funzioni
  amministrative alle Regioni e agli enti locali cui ha dato avvio la
  legge n. 59/1997, alle stesse sano state delegate numerose funzioni
  amministrative in materia.
    A tal proposito, il decreto legislativo n. 112/1998, all'articolo
  138, comma 1, stabilisce che:
        "Ai   sensi   dell'articolo   118,   secondo   comma,   della
  Costituzione,  sono  delegate  alle  regioni  le  seguenti funzioni
  amministrative:
          a)  la  programmazione dell'offerta formativa integrata tra
  istruzione e formazione professionale;
          b) la programmazione, sul piano regionale, nei limiti delle
  disponibilita'   di   risorse   umane  e  finanziarie,  della  rete
  scolastica,  sulla  base  dei  piani  provinciali,  assicurando  il
  coordinamento con la programmazione di cui alla lettera a);
          c)  la  suddivisione, sulla base anche delle proposte degli
  enti   locali  interessati,  del  territorio  regionale  in  ambiti
  funzionali al miglioramento dell'offerta formativa;
          d) la determinazione del calendario scolastico;
          e) i contributi alle scuole non statali;
          f)  le  iniziative  e  le  attivita' di promozione relative
  all'ambito delle funzioni conferite".
    Le  Regioni  hanno dunque un interesse giuridicamente qualificato
  alla creazione di una migliore offerta formativa, riverberandosi la
  qualita'  dell'offerta  sulla  generale potesta' programmatoria del
  servizio  (e  su quella competenza piu' particolare a corrispondere
  contributi   alle  scuole  non  statali).  E,  invero,  secondo  un
  principio  che  la  Regione Lombardia ritiene di dover difendere in
  ogni  campo  delle  attivita'  sociali, nell'istruzione, come nella
  sanita',  una  migliore  offerta,  in  questo  caso formativa, puo'
  sussistere  solo  se  si  creano  le  condizioni  per  una  sana, e
  regolata,  concorrenza  tra  "pubblico"  e "privato"; e, nel campo,
  dell'istruzione,  solo  se  l'attivita'  delle  scuole  private che
  aspirino  alla  parificazione non venga compressa in rigidi schemi,
  quali  quelli  contemplati  nelle  lettere  da a) ad h) del comma 4
  dell'articolo 1.
    La  disposizione  impugnata  deve  pertanto  ritenersi  posta  in
  violazione  del  combinato disposto degli articoli 3, 97, 117 e 118
  della  Costituzione,  in  relazione  alle competenze conferite alle
  Regioni in materia di istruzione scolastica dal decreto legislativo
  n. 112/1998.
    Infine,  anche  in  questo  caso  e'  mancata  -  e  se  ne sente
  l'effetto!  - nella definizione dei requisiti per il riconoscimento
  della  parita'  alle  scuole  non  statali, il coinvolgimento della
  Conferenza  Stato-Regioni,  ai  sensi dell'articolo 2, comma 3, del
  decreto legislativo n. 281/1997.
                              P. Q. M.
    La  regione  Lombardia, come sopra rappresentata e difesa, chiede
  che  codesta  ecc.ma  Corte,  in accoglimento del presente ricorso,
  voglia  dichiarare  l'illegittimita'  costituzionale,  nelle  parti
  impugnate e per i motivi esposti:
        dell'articolo  1,  commi  9 e 10, della legge n. 62/2000, per
  violazione degli articoli 117, 118 della Costituzione, in relazione
  al  decreto  del  Presidente della Repubblica n. 616/1977 (articoli
  17, 42 e 45), al decreto legislativo n. 281/1997 (articoli 2, e 8),
  alla   giurisprudenza   costituzionale   sul   principio  di  leale
  collaborazione  tra  la  Stato  e  le  Regioni,  nonche' violazione
  dell'articolo 119 della Costituzione;
        dell'articolo   1,   comma  4  della  legge  n. 62/2000,  per
  violazione  degli  articoli  3, 97, 117 e 118 della Costituzione in
  relazione  al  decreto  legislativo  n. 112/1998  (art. 138)  e  al
  decreto legislativo n. 281/1997 (art.2).
            Roma, addi' 19 aprile 2000.
              Prof. avv. Beniamino Caravita di Toritto
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