N. 13 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 28 aprile 2000
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 28 aprile 2000 (della regione Lombardia) Istruzione pubblica - Norme sulla parita' scolastica e sul diritto all'istruzione - Piano straordinario di finanziamento a sostegno delle spese sostenute dalle famiglie per l'istruzione - Criteri per la ripartizione dei fondi tra le Regioni e le Province autonome e per l'individuazione dei beneficiari, nonche' modalita' di fruizione dei benefici - Prevista determinazione con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, senza partecipazione alcuna delle Regioni - Denunciata violazione delle competenze regionali in materia di assistenza scolastica - Mancato coinvolgimento della Conferenza Stato-Regioni - Lesione del principio di leale collaborazione. - Legge 10 marzo 2000, n. 62, art. 1, commi 9 e 10. - Costituzione, artt. 117, 118 e 119; d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, artt. 17, 42 e 45; d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281, artt. 2 e 8. Istruzione pubblica - Norme sulla parita' scolastica e sul diritto all'istruzione - Piano straordinario di finanziamento a sostegno delle spese sostenute dalle famiglie per l'istruzione - Criteri per la ripartizione dei fondi tra le Regioni e le Province autonome - Prevista determinazione con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri - Denunciata mancanza di limiti alla discrezionalita' dell'Esecutivo - Violazione della riserva di legge posta dall'art. 119, primo comma, Cost., in materia di finanza regionale. - Legge 10 marzo 2000, n. 62, art. 1, comma 9. - Costituzione, art. 119. Istruzione pubblica - Norme sulla parita' scolastica e sul diritto all'istruzione - Requisiti per il riconoscimento della parita' alle scuole non statali - Denunciata previsione di "criteri irragionevolmente ristretti e incongruamente vincolanti" - Incidenza sulla capacita' di programmazione della rete scolastica delle Regioni e sulle funzioni ad esse delegate in materia di istruzione scolastica - Mancato coinvolgimento della Conferenza Stato-Regioni. - Legge 10 marzo 2000, n. 62, art. 1, comma 4. - Costituzione, artt. 3, 97, 117 e 118; d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, art. 138; d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281, art. 2.(GU n.32 del 2-8-2000 )
Ricorso della regione Lombardia, in persona del presidente della Giunta regionale pro-tempore, on. Roberto Formigoni, autorizzato con delibera di giunta regionale n. 49549 del 18 aprile 2000, rappresentato e difeso, come da mandato a margine del presente atto, dal prof. avv. Beniamino Caravita di Toritto e presso il suo studio elettivamente domiciliato in Roma, via di Porta Pinciana, n. 6; Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 9, 10 e 4 della legge 10 marzo 2000, n. 62, recante "Norme per la parita' scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all'istruzione", pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, n. 67 del 21 marzo 2000. F a t t o La legge 10 marzo 2000, n. 62 detta, in unico articolo, norme per la parita' scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all'istruzione, in relazione all'obiettivo prioritario, enunciato al comma 1, dell' "espansione dell'offerta formativa" e della "conseguente generalizzazione della domanda di istruzione dall'infanzia lungo tutto l'arco della vita". Il primo comma dell'art. 1 configura il sistema nazionale di istruzione quale sistema "costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali". Il comma 2 individua il concetto di scuole paritarie, quali scuole abilitate a rilasciare titoli di studio aventi valore legale. Il comma 3, premessa la piena liberta' delle scuole paritarie private per quanto concerne l'orientamento culturale e l'indirizzo pedagogico didattico, impone alle stesse il rispetto di alcuni principi, prevedendo, inoltre, la possibilita' che il piano educativo indichi l'eventuale ispirazione culturale o religiosa. Il comma 4 indica, alle lettere da a) ad h), i requisiti il cui possesso risulta indispensabile affinche' possa essere riconosciuta la parita' alle scuole non statali che ne facciano richiesta. I successivi commi 5 e 6 prevedono la sottoposizione, delle scuole paritarie, rispettivamente, alla valutazione dei processi e degli esiti da parte del sistema nazionale di valutazione e all'accertamento, da parte del Ministero della pubblica istruzione, del possesso originario e della permanenza dei requisiti per il riconoscimento della parita'. Con riguardo alle scuole non statali che non intendano richiedere il riconoscimento della parita', il comma 7 stabilisce che ad esse si applica la disciplina dettata dalla parte seconda, titolo VIII, del decreto legislativo n. 297/1994. Tale disposizione, inoltre, affida al Ministro della pubblica istruzione il potere di proporre, con decreto, il definitivo superamento delle citate disposizioni del decreto legislativo n. 297/1994 "anche al fine di ricondurre tutte le scuole non statali nelle due tipologie delle scuole paritarie e delle scuole non paritarie". Il successivo comma 8 prevede l'applicazione alle scuole non statali, senza fini di lucro, in possesso dei requisiti di cui al decreto legislativo n. 460/1997, del trattamento fiscale previsto dallo stesso decreto. I commi 9 e 10 dettano disposizioni finalizzate "a rendere effettivo il diritto allo studio e all'istruzione a tutti gli alunni delle scuole statali e paritarie...". In particolare, il comma 9 prevede "un piano straordinario di finanziamento alle regioni e alle province autonome da utilizzare a sostegno della spesa sostenuta e documentata dalle famiglie per l'istruzione, mediante l'assegnazione di borse di studio di pari importo eventualmente differenziate per ordine e grado di istruzione". Tale disposizione, inoltre, attribuisce al Presidente del Consiglio dei Ministri, senza prevedere alcuna forma di coinvolgimento delle regioni, il potere di fissare i criteri per la ripartizione delle somme cosi' stanziate tra le regioni e le province autonome, di individuare i beneficiari "in relazione alle condizioni reddituali delle famiglie da determinare ai sensi dell'art. 27 della legge n. 448/1998", nonche' di definire le modalita' per la fruizione dei benefici e per l'indicazione del loro utilizzo. Il successivo comma 10 prevede la possibilita' per i beneficiari di utilizzare le borse di studio di cui al comma 9 "mediante detrazione di una somma equivalente dall'imposta lorda riferita all'anno in cui la spesa e' stata sostenuta", e assegna alle regioni e alle province autonome il compito di disciplinare le modalita' di comunicazione al Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica dei dati relativi ai soggetti che intendono avvalersi della detrazione fiscale. Al comma 11, la legge n. 62/2000, dopo aver stabilito che la realizzazione degli interventi di cui ai commi 9 e 10, deve avvenire prioritariamente a favore delle famiglie in condizioni svantaggiate, fa espressamente salvi gli interventi di competenza di ciascuna regione e delle province autonome in materia di diritto allo studio. I successivi commi da 12 a 17 individuano i mezzi finanziari a carico del bilancio dello Stato con i quali perseguire gli obiettivi indicati nella legge. Tra le disposizioni contenute nella legge n. 62, la regione Lombardia ha individuato nei commi 9, 10 e 4, dell'articolo 1 alcune previsioni direttamente e immediatamente lesive della propria autonomia, che qui di seguito vengono impugnate. 1. - Violazione degli articoli 117, 118 della Costituzione, in relazione al d.P.R. n. 616/1977 (artt. 17, 42 e 45), al d.lgs. n. 281/1997 (artt. 2, 8), alla giurisprudenza costituzionale sul principio di leale collaborazione tra lo Stato e le regioni, nonche' violazione dell'articolo 119 della Costituzione, da parte dell'articolo 1, commi 9 e 10. 1.1. - L'articolo 1, comma 9, esordisce stabilendo che, al fine di rendere effettivo il diritto allo studio e all'istruzione a tutti gli alunni delle scuole statali e paritarie, "lo Stato adotta un piano straordinario di finanziamento alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano da utilizzare a sostegno della spesa sostenuta e documentata dalle famiglie per l'istruzione mediante l'assegnazione di borse di studio di pari importo eventualmente differenziate e per ordine e grado di istruzione". Il secondo periodo del comma 9 affida al Presidente del Consiglio dei Ministri il potere di stabilire con decreto: i criteri per la ripartizione di tali somme tra le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano; i criteri per l'individuazione dei beneficiari, in relazione alle condizioni reddituali delle famiglie da determinare ai sensi dell'articolo 27 della legge 23 dicembre 1998, n. 448; le modalita' per la fruizione dei benefici e per la indicazione del loro utilizzo. Il successivo comma 10, inoltre, individua direttamente una delle modalita' di fruizione dei benefici, stabilendo che "i soggetti aventi i requisiti individuati dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui al comma 9 possono fruire della borsa di studio mediante detrazione di una somma equivalente dall'imposta lorda riferita all'anno in cui la spesa e' stata sostenuta". Alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano, il comma 10 affida il compito meramente esecutivo di disciplinare "le modalita' con le quali sono annualmente comunicati al Ministero delle finanze e al Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica i dati relativi ai soggetti che intendono avvalersi della detrazione fiscale". Le norme in esame prevedono sostanzialmente un intervento statale in un settore - "sostegno della spesa sostenuta e documentata dalle famiglie per l'istruzione" - di sicura competenza regionale. L'articolo 117 della Costituzione, infatti, contempla tra le materie rientranti nella competenza legislativa regionale "l'assistenza scolastica". A sua volta il d.P.R. n. 616/1977, all'articolo 17, ha trasferito espressamente alle regioni le funzioni amministrative dello Stato nella materia dell'assistenza scolastica. All'articolo 42, inoltre, il d.P.R. n. 616/1977 ha precisato il concetto di "assistenza scolastica", stabilendo che: "le funzioni amministrative relative alla materia dell'"assistenza scolastica concernono tutte le strutture, i servizi e le attivita' destinate a facilitare mediante erogazioni e provvidenze in denaro o mediante servizi individuali e collettivi, a favore degli alunni di istituzioni pubbliche o private, anche se adulti, l'assolvimento dell'obbligo scolastico nonche', per gli studenti capaci e meritevoli ancorche' privi di mezzi, la prosecuzione degli studi. Le funzioni suddette concernono fra l'altro: gli interventi di assistenza medico psichica, l'assistenza ai minorati psico-fisici l'erogazione gratuita di libri di testo agli alunni delle scuole elementari. Il successivo articolo 45 ha, inoltre, stabilito, rispettivamente, al primo comma, che "le funzioni amministrative indicate all'articolo 42 sono attribuite ai comuni che le svolgono secondo le modalita' previste dalla legge regionale"; e, al quarto comma, che "la Regione promuove le opportune forme di collaborazione tra i comuni interessati". Questa stessa ecc.ma Corte, inoltre, ha piu' volte, riconosciuto, l'afferenza della materia in oggetto alle competenze legislative e amministrative regionali (cfr., in particolare, le sentt. nn. 56/1983 e 454/1994). 1.2. - Una volta fugato ogni dubbio circa la titolarita' in capo alle regioni delle competenze legislative e amministrative nella materia dell'assistenza scolastica, risulta del tutto evidente la ripetuta lesione dell'autonomia regionale perpetuata dalle disposizioni in esame. Tali norme, infatti, nel prevedere un piano straordinario di finanziamento delle regioni e delle province autonome a "sostegno della spesa sostenuta e documentata dalle famiglie per l'istruzione", non hanno contemplato alcun coinvolgimento delle regioni, ne' nella fase della ripartizione dei finanziamenti tra le regioni e le province autonome, ne' in quella della individuazione dei beneficiari, ne' infine in quella della determinazione delle modalita' per la fruizione dei benefici e per la indicazione del loro utilizzo. Trattandosi di destinazione di risorse statali alle regioni per l'esercizio di un'attivita' rientrante nella competenza legislativa e amministrativa regionale, le fattispecie in esame non possono invero essere ricondotte all'esercizio da parte dello Stato della funzione di indirizzo e coordinamento. Le norme impugnate, tuttavia, pur non potendosi ritenere censurabili per il mancato rispetto del procedimento delineato dall'articolo 8 legge n. 59/1997 risultano tuttavia illegittime in relazione al principio costituzionale di "leale collaborazione" tra lo Stato e le regioni. Va a tal proposito ricordato come i rapporti tra la Stato e le regioni nelle materie di competenza di queste ultime e, comunque, nelle materie nelle quali competenze statali e regionali si intrecciano tra loro, siano regolati dal surrichiamato principio costituzionale, il quale impone la necessita' di adottare quelle forme di coordinamento tra lo Stato e le regioni, che siano idonee a salvaguardare gli interessi pubblici affidati alle cure dei vari livelli di governo (cfr. Corte costituzionale nn. 483/1991; 366/1992; 109/1993; 289/1993; 334/1998). Recentemente, proprio in nome del principio di leale collaborazione tra la Stato e le regioni, codesta ecc.ma Corte, sul ricorso della regione Sicilia, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale di alcune disposizioni della legge n. 662/1996, in relazione alla mancata partecipazione della regione Sicilia nella definizione delle modalita' di attuazione della manovra finanziaria 1997 (sent. n. 98/2000). Nella motivazione di tale sentenza si legge: "Le clausole di riserva di nuove entrate all'erario costituiscono infatti un meccanismo derogatorio, consentito al legislatore statale, rispetto al principio della attribuzione alla regione dell'intero gettito dei tributi erariali (eccettuati alcuni) riscossi nell'ambito del territorio regionale; la loro attuazione incide pertanto direttamente sulla effettiva garanzia dell'autonomia finanziaria della regione, oltre che sugli interessi attinenti alle specifiche finalita' statali, alle quali sono destinate per legge le maggiori entrate. Il principio di leale collaborazione fra Stato e regione, che domina le relazioni fra i livelli di governo la' dove si verifichino, come in queste ipotesi accade, interferenze fra le rispettive sfere e i rispettivi ambiti finanziari esige che si attui tale meccanismo mediante procedimenti non unilaterali, ma che contemplino una partecipazione della regione direttamente interessata". 1.3. - A cio' si aggiunga che la necessita' di un coinvolgimento delle regioni o, comunque, di organi rappresentativi delle stesse, quando si verta in materie di competenza regionale, e' stata espressamente prevista di recente dal d.lgs. n. 281/1997, recante "Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-Citta' ed autonomie locali. L'articolo 2, comma 1, lett. f) del d.lgs. n. 281/1997 stabilisce in proposito che: "Al fine di garantire la partecipazione delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano a tutti i processi decisionali di interesse regionale, interregionale ed infraregionale, la Conferenza Stato-regioni: fermo quanto previsto dagli statuti speciali e dalle relative norme di attuazione, determina, nei casi previsti dalla legge, i criteri di ripartizione delle risorse finanziarie che la legge assegna alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano, anche a fini di perequazione". Il successivo comma 3 stabilisce che "La Conferenza Stato-Regioni e' obbligatoriamente sentita in ordine agli schemi di disegni di legge e di decreto legislativo o di regolamento del Governo nelle materie di competenza delle regioni o delle province autonome di Trento e di Bolzano che si pronunzia entro venti giorni; Il comma 4 stabilisce, inoltre, che "La Conferenza e' sentita su ogni oggetto di interesse regionale che il Presidente del Consiglio dei Ministri ritiene opportuno sottoporre al suo esame, anche su richiesta della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano. Il comma 6 stabilisce, infine, che: "Quando il parere concerne provvedimenti gia' adottati in via definitiva, la Conferenza Stato-Regioni puo' chiedere che il Governo lo valuti ai fini dell'eventuale revoca o riforma dei provvedimenti stessi" Nel caso di specie, l'articolo 1, comma 9, della legge n. 62/2000 non solo non attribuisce alla Conferenza Stato-Regioni il potere di determinare i criteri per la ripartizione tra le Regioni di tali finanziamenti, e cio' nonostante che la fattispecie in esso prevista - ripartizione delle risorse finanziarie che la legge assegna alle Regioni e alle Province autonome - coincida con quella delineata dall'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo n. 281/1997; ma non prevede neppure che essa sia sentita, a fronte di una disposizione, quale quella dettata dal comma 3 dell'articolo 2 del decreto legislativo n. 281/1997, che richiede che tale Conferenza sia "obbligatoriamente" sentita in occasione dell'adozione di un atto, quale appunto il d.p.c.m. di cui al comma 9, suscettibile di incidere su una materia di sicura competenza regionale. D'altra parte, che il legislatore statale abbia ritenuta fondamentale coinvolgere le Regioni nell'adozione da parte dello Stato di tutti quegli atti che comunque incidono sulle loro competenze, si desume chiaramente da quanto disposta dell'articolo 2 del decreto legislativo n. 281/1997, nella parte (comma 6) in cui attribuisce alla Conferenza la possibilita' di chiedere che il Governo valuti il proprio parere ai fini della revoca a della riforma dei provvedimenti gia' adottati in via definitiva. Conferma la necessita' di un coinvolgimento della Conferenza Stato-Regioni in materia lo stesso articolo 27 della legge n. 448/1998, richiamato espressamente dal comma 9 dell'articolo 1 della legge n. 62/2000. Tale disposizione, infatti, nell'affidare al Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della pubblica istruzione, il potere di individuare, con decreto, "le categorie degli aventi diritto al beneficio, applicando, per la valutazione della situazione economica dei beneficiari, i criteri di cui al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, in quanto compatibili, con le necessarie semplificazioni ed integrazioni", richiede espressamente che tale decreto venga adottato "previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e delle competenti Commissioni parlamentari". 1.4. - In senso favorevole al coinvolgimento della Conferenza Stato-Regioni nell'adozione di atti statali incidenti sulle competenze regionali si e' piu' volte espressa anche codesta ecc.ma Corte costituzionale. In proposito, codesta ecc.ma Corte ha affermato che: "La Conferenza disciplinata dall'art. 12 legge 23 agosto 1988 n. 400, lungi dall'essere un organo appartenente all'apparato statale o a quello delle Regioni (e delle Province autonome) e deputato a manifestare gli orientamenti dell'uno e/o delle altre, e' la sede privilegiata del confronto e della negoziazione politica fra lo Stato e le Regioni (e delle Province autonome), prevista dal predetto art. 12 al fine di favorire il raccordo e la collaborazione fra l'uno e le altre: in quanto tale, la Conferenza e' un'istituzione operante nell'ambito della comunita' nazionale come strumento per l'attuazione della cooperazione fra lo Stato e le Regioni (e delle Province autonome)" (sent. n. 116/1994). Recentemente, con la sentenza n. 169/1999, codesta ecc.ma Corte nell'accogliere un ricorso per conflitto di attribuzioni promosso dalla regione Lombardia avverso il d.p.c.m. 27 settembre 1997, recante "Modalita' di esercizio delle deroghe di cui all'articolo 9 della Direttiva 409/1979/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici", dopo aver premesso che "anche quando sussista la possibilita' di coesistenza di fonti statali con quelle regionali, la fonte nazionale e' legittimata ad intervenire secondo modalita' procedurali e sulla base di presupposti prescritti dall'ordinamento", ha affermato che tale d.p.c.m. "e' costituzionalmente illegittimo, tanto se si tratti di regolamento, quanto se si configuri come atto di indirizzo e coordinamento, per il fatto di essere stato adottato in assenza di supporto legislativo e senza il rispetto del giusto procedimento richiesto, ivi incluso il mancato intervento della Conferenza Stato-Regioni". 1.5. - Ne' si ritenga di poter escludere un coinvolgimento delle Regioni sulla base del presupposto che le competenze amministrative in materia di assistenza scolastica sono state trasferite ai comuni dall'articolo 45 del d.P.R. n. 616/1977. In proposito, infatti, codesta ecc.ma Corte ha piu' volte ribadito il principio in base al quale i flussi finanziari destinati ai compiti istituzionali degli enti locali inerenti a materie regionali debbono essere erogati per il tramite delle Regioni (476/1991). Alle Regioni, d'altra parte, il decreto del Presidente della Repubblica n. 616/1977 conserva il potere di stabilire, con legge, le modalita' di esercizio di tali funzioni da parte dei comuni, nonche' quello di coordinare l'attivita' comunale. 2. - Ancora violazione dell'articolo 119 della Costituzione, sotto il profilo del mancato rispetto della riserva di legge in esso prevista, da parte dell'articolo 1 comma 9. La disposizione del comma 9 dell'articolo 1, risulta, inoltre, in contrasto con l'articolo 119 della Costituzione, nella parte in cui attribuisce al Presidente del Consiglio dei Ministri il potere di stabilire i criteri di ripartizione tra le Regioni e le Province autonome delle somme da destinare al sostegno della spesa sostenuta dalle famiglie per l'istruzione, senza porre alcun limite alla discrezionalita' dell'Esecutivo. In proposito l'articolo 119, primo comma della Costituzione, stabilisce che: "le Regioni hanno autonomia finanziaria nelle forme e nei limiti stabiliti dalle leggi della Repubblica, che la coordinano con la finanza dello Stato, delle Province e dei Comuni" E' evidente, dunque, la violazione da parte dell'articolo 1, comma 9, del principio della riserva di legge fissato dall'articolo 119, primo comma, della Costituzione. Anche codesta ecc.ma Corte ha gia' avuto modo di dichiarare incostituzionali quelle disposizioni legislative che demandavano ad atti governativi la determinazione dei criteri di ripartizione dei fondi con esse istituiti, senza porre nessun limite alla discrezionalita' dell'Esecutivo. In particolare, con sentenza n. 382/1990, codesta ecc.ma Corte ha accolto i ricorsi delle Regioni Lombardia e Toscana promossi, per violazione del principio della riserva di legge di cui all'articolo 119 Cost., avverso l'articolo 17 del decreto-legge n. 415/1998, che demandava ad un decreto del Presidente del Consiglio la fissazione dei criteri per la ripartizione del "residuo importo" del fondo comune regionale. Nella motivazione di tale decisione si legge: "nel rinviare ad un atto governativo la determinazione di qualsivoglia criterio di ripartizione del fondo residuo senza porre in proposito il benche' minimo limite alla discrezionalita' dell'Esecutivo, l'articolo 17, comma 3, viola il principio della riserva di legge stabilito dall'articolo 119 Cost." (cfr. anche sent. n. 307/1983). Con la successiva sentenza n. 123/1992 e' stata respinta la questione di legittimita' costituzionale promossa, per motivi analoghi, da alcune Regioni avverso l'art. 8 legge 14 agosto 1991 n. 281, con la seguente motivazione: "l'art. 8 legge 14 agosto 1991 n. 281, il quale stabilisce che il Ministro delle sanita', di concerto con il Ministro del tesoro e sentita la Conferenza permanente per i rapporti fra Stato, Regioni e Provincie autonome, provvede con decreto alla ripartizione del fondo istituito per l'attuazione della legge stessa fra le Regioni e le Provincie autonome, non viola la riserva di legge stabilita dall'art. 119 comma 1 Cost., poiche' non demanda all'Esecutivo la determinazione dei criteri per la ripartizione del fondo, ma stabilisce direttamente che il 75% del fondo e' destinato ai comuni per il risanamento dei canili comunali e che il 25% del fondo stesso serva a finanziare le regioni ed affluisce al fondo comune, contemplato dall'art. 8 legge 14 agosto 1991 n. 281, ed e' quindi soggetto ai criteri di ripartizione del fondo stesso". Anche con tale decisione, dunque, codesta ecc.ma Corte ha ribadito il principio in base al quale l'attribuzione all'Esecutivo del potere di ripartizione di fondi statali alle Regioni e alle Province autonome richiede la previa determinazione con legge dei relativi criteri. La disposizione impugnata va quindi censurata per violazione dell'articolo 119 della Costituzione. 3. - Violazione degli articoli 3, 97, 117 e 118 della Costituzione anche in relazione al decreto legislativo n. 112/1998 (art. 138) e al decreto legislativo n. 281/1997 (art. 2), da parte del comma 4 dell'art. 1. L'articolo 1, comma 4, stabilisce che: "La parita' e' riconosciuta alle scuole non statali che ne fanno richiesta e che, in possesso dei seguenti requisiti, si impegnano espressamente a dare attuazione a quanto previsto dai commi 2 e 3: a) un progetto educativo in armonia con i principi della Costituzione; un piano dell'offerta formativa conforme agli ordinamenti e alle disposizioni vigenti; attestazione della titolarita' della gestione e la pubblicita' dei bilanci; b) la disponibilita' di locali, arredi e attrezzature didattiche propri del tipo di scuola e conformi alle norme vigenti; c) l'istituzione e il funzionamento degli organi collegiali improntati alla partecipazione democratica; d) l'iscrizione alla scuola per tutti gli studenti i cui genitori ne facciano richiesta, purche' in possesso di un titolo di studio valido per l'iscrizione alla classe che essi intendono frequentare; e) l'applicazione delle norme vigenti in materia di inserimento di studenti con handicap o in condizioni di svantaggio; f) l'organica costituzione di corsi completi: non puo' essere riconosciuta la parita' a singole classi, tranne che in fase di istituzione di nuovi corsi completi, ad iniziare dalla prima classe; g) personale docente fornito del titolo di abilitazione; h) contratti individuali di lavoro per personale dirigente e insegnante che rispettino i contratti collettivi nazionali di settore. Tale disposizione, prevedendo criteri irragionevolmente ristretti e incongruamente vincolanti per il riconoscimento della parita' scolastica, impinge sulla capacita' di programmazione della rete scolastica delle Regioni, competenza delegata ex art. 138, decreto legislativo n. 112/1998, non permettendo un adeguato sviluppo delle scuole non statali. Si veda, ad esempio, la lett. a) che, prevedendo, quale requisito per il riconoscimento, "un piano dell'offerta formativa conforme ad ordinamenti e alle disposizioni vigenti", costringe le scuole non statali a ripetere pedissequamente la struttura delle scuole pubbliche; ovvero la lett. c) che, richiedendo che "l'istituzione e il funzionamento degli organi collegiali siano improntati alla partecipazione democratica" impedisce lo sviluppo di formule organizzative diverse; o, infine, la lett. h), che, richiedendo "contratti individuali di lavoro per personale dirigente e insegnante che rispettino i contratti collettivi nazionali di settore", impone anche alle scuole straniere il rispetto di discipline che nascono dal confronto sindacale italiano e che possono essere migliori o peggiori, ma comunque non comparabili con quelle di scuole che dipendono da ordinamenti stranieri. Non viene qui contestata - sia chiaro - l'appartenenza della competenza allo Stato, bensi' il cattivo uso di questo potere, nella parte in cui impinge su potesta' regionali. Se e' vero, infatti, che le Regioni non sono titolari di competenza legislativa in materia di istruzione scolastica, e' anche vero che, a seguito del processo di conferimento di funzioni amministrative alle Regioni e agli enti locali cui ha dato avvio la legge n. 59/1997, alle stesse sano state delegate numerose funzioni amministrative in materia. A tal proposito, il decreto legislativo n. 112/1998, all'articolo 138, comma 1, stabilisce che: "Ai sensi dell'articolo 118, secondo comma, della Costituzione, sono delegate alle regioni le seguenti funzioni amministrative: a) la programmazione dell'offerta formativa integrata tra istruzione e formazione professionale; b) la programmazione, sul piano regionale, nei limiti delle disponibilita' di risorse umane e finanziarie, della rete scolastica, sulla base dei piani provinciali, assicurando il coordinamento con la programmazione di cui alla lettera a); c) la suddivisione, sulla base anche delle proposte degli enti locali interessati, del territorio regionale in ambiti funzionali al miglioramento dell'offerta formativa; d) la determinazione del calendario scolastico; e) i contributi alle scuole non statali; f) le iniziative e le attivita' di promozione relative all'ambito delle funzioni conferite". Le Regioni hanno dunque un interesse giuridicamente qualificato alla creazione di una migliore offerta formativa, riverberandosi la qualita' dell'offerta sulla generale potesta' programmatoria del servizio (e su quella competenza piu' particolare a corrispondere contributi alle scuole non statali). E, invero, secondo un principio che la Regione Lombardia ritiene di dover difendere in ogni campo delle attivita' sociali, nell'istruzione, come nella sanita', una migliore offerta, in questo caso formativa, puo' sussistere solo se si creano le condizioni per una sana, e regolata, concorrenza tra "pubblico" e "privato"; e, nel campo, dell'istruzione, solo se l'attivita' delle scuole private che aspirino alla parificazione non venga compressa in rigidi schemi, quali quelli contemplati nelle lettere da a) ad h) del comma 4 dell'articolo 1. La disposizione impugnata deve pertanto ritenersi posta in violazione del combinato disposto degli articoli 3, 97, 117 e 118 della Costituzione, in relazione alle competenze conferite alle Regioni in materia di istruzione scolastica dal decreto legislativo n. 112/1998. Infine, anche in questo caso e' mancata - e se ne sente l'effetto! - nella definizione dei requisiti per il riconoscimento della parita' alle scuole non statali, il coinvolgimento della Conferenza Stato-Regioni, ai sensi dell'articolo 2, comma 3, del decreto legislativo n. 281/1997.
P. Q. M. La regione Lombardia, come sopra rappresentata e difesa, chiede che codesta ecc.ma Corte, in accoglimento del presente ricorso, voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale, nelle parti impugnate e per i motivi esposti: dell'articolo 1, commi 9 e 10, della legge n. 62/2000, per violazione degli articoli 117, 118 della Costituzione, in relazione al decreto del Presidente della Repubblica n. 616/1977 (articoli 17, 42 e 45), al decreto legislativo n. 281/1997 (articoli 2, e 8), alla giurisprudenza costituzionale sul principio di leale collaborazione tra la Stato e le Regioni, nonche' violazione dell'articolo 119 della Costituzione; dell'articolo 1, comma 4 della legge n. 62/2000, per violazione degli articoli 3, 97, 117 e 118 della Costituzione in relazione al decreto legislativo n. 112/1998 (art. 138) e al decreto legislativo n. 281/1997 (art.2). Roma, addi' 19 aprile 2000. Prof. avv. Beniamino Caravita di Toritto 00C0400