N. 334 SENTENZA 12 - 24 luglio 2000
Giudizio per conflitto di attribuzione tra Stato e Regione. Acque pubbliche e acquedotti - Ente autonomo per l'acquedotto pugliese - Trasformazione in societa' per azioni - Approvazione dello statuto e nomina di un amministratore unico, da parte del Ministro del tesoro - Lamentata estromissione della Regione Puglia dall'amministrazione e dalla gestione della societa' - Ricorso della stessa Regione per conflitto di attribuzione - Riferibilita' della doglianza alle norme di legge che costituiscono il fondamento dei "comportamenti" e delle determinazioni impugnati - Inammissibilita' del conflitto. - D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 141, artt. 2 e 3. - Costituzione, artt. 117 e 118.(GU n.32 del 2-8-2000 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: Cesare MIRABELLI; Giudici: Francesco GUIZZI, Fernando SANTOSUOSSO; Massimo VARI; Cesare RUPERTO; Riccardo CHIEPPA; Gustavo ZAGREBELSKY; Valerio ONIDA; Carlo MEZZANOTTE; Fernanda CONTRI; Guido NEPPI MODONA; Piero Alberto CAPOTOSTI; Annibale MARINI; Franco BILE; Giovanni Maria FLICK;
ha pronunciato la seguente Sentenza nel giudizio per conflitto di attribuzione sorto a seguito del "comportamento" assunto dal Governo in violazione delle attribuzioni spettanti alla regione Puglia sulle funzioni gia' esercitate dall'Ente autonomo per l'acquedotto pugliese, ed in particolare della approvazione da parte del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica dello statuto della Societa' Acquedotto pugliese e della nomina di un amministratore unico della predetta Societa', promosso con ricorso della regione Puglia, notificato il 6 agosto 1999, depositato in cancelleria il 25 successivo ed iscritto al n. 30 del registro conflitti 1999; Udito nell'udienza pubblica del 9 maggio 2000 il giudice relatore Piero Alberto Capotosti; Udito l'avvocato Vincenzo Caputi Jambrenghi per la regione Puglia; Ritenuto in fatto 1. - La regione Puglia, con ricorso notificato il 6 agosto 1999, ha promosso conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato in relazione al "comportamento" del Presidente del Consiglio dei Ministri, del Ministro del tesoro e del Ministro dei lavori pubblici, per violazione delle attribuzioni spettanti alla regione Puglia secondo gli artt. 117 e 118 della Costituzione, "sulla attivita', le funzioni e la gestione esercitate sinora dall'Ente autonomo acquedotto pugliese", e, in particolare, in relazione alla "approvazione da parte del Ministro del tesoro dello statuto" della Societa' per azioni Acquedotto pugliese e della "nomina da parte del medesimo Ministro di un amministratore unico". La Regione chiede che la Corte dichiari non spettante allo Stato ma alla regione Puglia "l'adozione dei provvedimenti necessari per organizzare e realizzare la gestione delle risorse idriche anche con riferimento specifico a quelle dell'Ente autonomo per l'acquedotto pugliese" e conseguentemente annulli "la determinazione amministrativa di approvazione da parte del Ministro del tesoro" della clausola statutaria che riserva tutte le attivita' suddette alla Societa' Acquedotto pugliese; nonche' annulli la nomina da parte del Ministro del tesoro di un amministratore unico "anziche' di un consiglio di amministrazione che avrebbe potuto ricomprendere rappresentanti della regione Puglia". 2. - La ricorrente espone che il decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 141 - avverso il quale la regione ha promosso questione di legittimita' costituzionale - ha disposto la privatizzazione dell'Ente autonomo per l'acquedotto pugliese, e che in attuazione della procedura ivi prevista il 2 luglio 1999 si e' tenuta in Roma la prima assemblea della costituenda Societa' "Acquedotto pugliese". In tale occasione il Ministro del tesoro, nella qualita' di unico azionista della societa', ha provveduto ad approvare lo statuto della societa' stessa, nonche' ha deliberato la nomina di un amministratore unico nella persona del commissario straordinario del disciolto Ente autonomo. Secondo la ricorrente, che ricorda come la struttura acquedottistica in questione sia stata gestita lungo tutto il novecento da amministratori di emanazione dello Stato e delle province originarie di Bari, Foggia e Lecce, nonche', successivamente anche di Taranto, Brindisi e Potenza, nessuna norma di legge avrebbe previsto "l'estromissione completa" della regione Puglia dall'amministrazione della nuova societa', con la conseguenza che il Ministro del tesoro, evitando di nominare un Consiglio di amministrazione al quale avrebbero potuto prendere parte anche rappresentanti delle autonomie locali, "avrebbe sorpassato i limiti imposti dall'ordinamento generale nel rapporto Stato-regioni". Ulteriore violazione delle prerogative regionali deriverebbe inoltre dalla circostanza che nella definizione statutaria dell'oggetto della nuova societa' farebbe difetto qualsiasi riferimento alla legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche), con la conseguenza che la regione resterebbe esposta ad ogni decisione unilaterale della Societa' nella gestione delle acque fuori e dentro gli ambiti ottimali, affidati invece alle regioni dal predetto testo legislativo. Inoltre la medesima clausola statutaria conterrebbe anche, ad avviso della ricorrente, una "riserva" a favore della societa' per azioni in relazione ai compiti gia' affidati al disciolto ente acquedottistico, fra i quali, in particolare, quelli relativi alla "gestione del servizio idrico integrato", e quelli riguardanti "la captazione, l'adduzione, la potabilizzazione, l'accumulo, la distribuzione e vendita di acqua ad usi civili, industriali, commerciali ed agricoli", la quale comporterebbe una ulteriore violazione delle attribuzioni regionali predette nonche' degli artt. 90.1 e 6 del trattato istitutivo della Comunita' europea e dell'art. 8 della legge 1o ottobre 1990, n. 287 (Norme per la tutela della concorrenza e del mercato). 3. - In prossimita' dell'udienza, la regione ha depositato una memoria difensiva nella quale, dopo avere ricordato il ruolo determinante delle istanze locali nella istituzione del Consorzio per l'acquedotto pugliese prima e del corrispondente Ente autonomo poi, ha sottolineato come non vi sia servizio pubblico piu' collegato al territorio di quello che abbia ad oggetto l'acqua potabile, donde deriverebbe la "ragione ultima della demanialita' dei beni acquedottistici". L'estromissione della regione Puglia dalla nuova struttura organizzatoria dell'acquedotto pugliese, ad avviso della ricorrente, si porrebbe quindi in contrasto con il principio del federalismo amministrativo e con l'affidamento alle regioni, da parte della legislazione piu' recente ed in particolare del decreto legislativo 30 marzo 1999, n. 96, della competenza in materia "di opere idrauliche di qualsiasi natura (...) e, piu' in generale, di gestione del demanio idrico". Considerato in diritto 1. - Il conflitto di attribuzione sollevato dalla regione Puglia nei confronti dello Stato ha ad oggetto il "comportamento" assunto dagli organi di governo in violazione delle attribuzioni spettanti alla regione Puglia "sulla attivita', le funzioni e la gestione esercitate sinora dall'Ente autonomo per l'acquedotto pugliese" e in particolare in relazione alla "approvazione da parte del Ministro del tesoro dello statuto della Societa' per azioni e della nomina da parte del medesimo Ministro di un amministratore unico", in occasione della prima assemblea della stessa societa', conseguente al procedimento di privatizzazione disposto dal decreto legislativo n. 141 del 1999. Secondo la Regione ricorrente sarebbe in particolare censurabile l'approvazione della clausola dello statuto della Societa' per azioni Acquedotto pugliese, che "riserva" ad essa le attivita', gia' proprie del disciolto Ente, inerenti alla "gestione del servizio idrico integrato", nonche' delle ulteriori clausole che prevedono rispettivamente la "riserva di azionariato" al Ministero del tesoro e la nomina di un amministratore unico, anziche' di un consiglio di amministrazione al quale avrebbero potuto partecipare anche rappresentanti delle autonomie locali. 2. - Il ricorso e' inammissibile. La Regione ricorrente sostanzialmente si duole della "connotazione giuridica esclusivamente statale" della S.p.a. Acquedotto pugliese e della conseguente estromissione della regione Puglia dall'amministrazione e dalla gestione della societa' stessa. E, in questa ottica, in particolare articola le proprie censure sulle clausole statutarie che rispettivamente riservano alla societa' stessa i compiti relativi alla "gestione del servizio idrico integrato", nonche' attribuiscono al Ministero del tesoro la totalita' delle azioni e la nomina di un amministratore unico. Si tratta, pero', di censure che riguardano propriamente non gia' lo statuto della Societa' Acquedotto pugliese, bensi' il decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 141, che ha appunto disciplinato la trasformazione del preesistente Ente autonomo acquedotto pugliese in societa' per azioni. Ed invero e' l'art. 2 del decreto a prevedere espressamente l'affidamento alla societa' "Acquedotto pugliese" delle finalita' gia' attribuite al disciolto Ente autonomo, nonche' dei compiti relativi alla "gestione del ciclo integrato dell'acqua e, in particolare, alla captazione, adduzione, potabilizzazione, distribuzione di acqua a usi civili". E' evidente pertanto che la censurata clausola 4.1. dello statuto della societa' non rappresenta altro che una trascrizione del contenuto normativo del predetto art. 2 del citato decreto. Allo stesso modo e' l'art. 3 dello stesso decreto legislativo che, al comma 2, stabilisce che "le azioni sono attribuite al Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, che esercita i diritti dell'azionista" e, al comma 4, prevede che l'organo gestorio della societa' possa essere un consiglio di amministrazione o un amministratore unico. La censurata clausola statutaria pertanto si mantiene rigorosamente all'interno di un'opzione gia' compiutamente prefigurata in modo esplicito dal legislatore. In definitiva, il ricorso in esame prospetta censure che, in realta', riguardano norme di legge, delle quali i "comportamenti" e le determinazioni impugnati costituiscono applicazione. Essi non hanno, dunque, di per se', autonoma attitudine lesiva della sfera di attribuzione regionale costituzionalmente garantita, dal momento che il disposto legislativo predetermina, come si e' detto, presupposti, contenuto e forme applicative di essi (sentenze n. 277 del 1998 e n. 467 del 1997). Ma secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale, si deve escludere che in sede di conflitto di attribuzioni tra regione e Stato sia possibile impugnare atti (o "comportamenti"), al solo scopo di far valere pretese violazioni della Costituzione da parte della legge, che e' a fondamento dei poteri svolti con gli atti (o i "comportamenti") impugnati (sentenze n. 467 del 1997, n. 215 del 1996, n. 472 del 1995).
Per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara inammissibile il conflitto di attribuzione promosso dalla regione Puglia nei confronti dello Stato con il ricorso indicato in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 luglio 2000. Il Presidente: Mirabelli Il redattore: Capotosti Il cancelliere: Di Paola Depositata in cancelleria il 24 luglio 2000. Il direttore della cancelleria: Di Paola 00C0840