N. 344 ORDINANZA 12 - 24 luglio 2000

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Processo  penale  -  Segreto  di Stato - Opponibilita' del segreto in
relazione  ad  atti  privi  del connotato della segretezza, in quanto
gia'    contenuti   ed   acquisiti   al   fascicolo   processuale   o
contestualmente  trasmessi  all'autorita' giudiziaria, ovvero mancata
previsione  di  inefficacia  del segreto nel caso di atti che abbiano
perduto  il  carattere  della  segretezza - Denuncia di irragionevole
disciplina, con lesione dei principî di indipendenza del giudice e di
obbligatorieta' dell'azione penale - Inutilizzabilita' degli atti nel
processo  a  quo  sulla base delle precedenti sentenze (nn. 110 e 410
del   1998)   -   Difetto   assoluto   di   rilevanza   -   Manifesta
inammissibilita' della questione.
- Cod. proc. pen., art. 256.
- Costituzione,  artt. 3, [secondo, recte:] primo comma, 101, secondo
  comma, 112 e 137, ultimo comma.
(GU n.32 del 2-8-2000 )
Ordinanza 12-24 luglio 2000
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Cesare MIRABELLI;
  Giudici:   Fernando  SANTOSUOSSO,  Massimo  VARI,  Cesare  RUPERTO,
Riccardo   CHIEPPA,   Gustavo   ZAGREBELSKY,   Valerio  ONIDA,  Carlo
MEZZANOTTE,  Fernanda  CONTRI,  Guido  NEPPI  MODONA,  Piero  Alberto
CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK;
ha pronunciato la seguente


                              Ordinanza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 256 del codice
di  procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 16 luglio 1999
dal  giudice  per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna in
un  procedimento  penale,  iscritta  al n. 633 del registro ordinanze
1999  e  pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47,
prima serie speciale, dell'anno 1999.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
Ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 21 giugno 2000 il giudice
relatore Fernanda Contri.
    Ritenuto  che  nel  corso  di  un procedimento instaurato a norma
dell'art. 409,  comma  2,  del codice di procedura penale, il giudice
per  le  indagini  preliminari  del Tribunale di Bologna - chiamato a
provvedere  sulla  richiesta  di  archiviazione avanzata dal pubblico
ministero,  in  data  3  maggio  1999, a seguito della sentenza della
Corte  costituzionale  n. 410 del 1998 - ha sollevato, in riferimento
agli artt. 3, secondo (recte: primo) comma, 101, secondo comma, e 112
della   Costituzione,   questione   di   legittimita'  costituzionale
dell'art. 256  cod.  proc.  pen.,  "nella  parte  in  cui consente di
opporre  il  segreto  di  Stato  anche in relazione ad atti privi del
connotato  della  segretezza in quanto gia' contenuti ed acquisiti al
fascicolo    processuale,   o   comunque   ad   atti   che,   venendo
contestualmente  trasmessi alla A.G., perdono le loro caratteristiche
di   segretezza,  ovvero  laddove  non  prevede  che  il  segreto  in
precedenza ritualmente e correttamente opposto diventi inefficace nel
caso  in  cui  l'atto da esso coperto abbia perso il suo carattere di
segretezza";
        che nell'ordinanza di rimessione vengono riassunte le vicende
dalle  quali hanno tratto origine i due conflitti di attribuzione tra
poteri  dello  Stato,  sollevati  dal  Presidente  del  Consiglio dei
Ministri  nei  confronti  della Procura della Repubblica di Bologna e
definiti  da  questa Corte, rispettivamente, con le sentenze n. 110 e
n. 410 del 1998;
        che  dopo aver riportato o sintetizzato alcuni passaggi della
motivazione  delle  menzionate sentenze, il giudice rimettente motiva
sulla  non  manifesta  infondatezza  della  prospettata  questione di
legittimita' costituzionale e ne afferma la rilevanza;
        che,    quanto   alla   prima   delle   due   condizioni   di
proponibilita',  il  giudice  a  quo  ritiene  "non  conforme  ne' al
principio  di  ragionevolezza  di  cui  all'art. 3,  comma  2 (recte:
primo),  Cost.,  ne'  conforme  alle  norme  a tutela della attivita'
giudiziaria  (in  primis  art. 101,  comma 2, e 112 Cost.) l'art. 256
c.p.p.  laddove  consente  di  opporre  il  segreto di Stato anche in
relazione ad atti privi del connotato della segretezza in quanto gia'
contenuti  ed  acquisiti al fascicolo processuale, o comunque ad atti
che,  venendo  contestualmente  trasmessi  alla  A.G. perdono le loro
caratteristiche  di  segretezza,  ovvero  laddove  non prevede che il
segreto  in  precedenza  ritualmente  e correttamente opposto diventi
inefficace  nel caso in cui l'atto da esso coperto abbia perso il suo
carattere di segretezza";
        che  la motivazione della rilevanza della sollevata questione
e'  affidata  alla  considerazione  che, nel caso di specie, "si sono
ritenuti  coperti  dal  segreto  di  Stato atti (quelli trasmessi dal
Questore   di   Bologna)   che  contestualmente  venivano  portati  a
conoscenza  della  A.G.,  e  che  anzi  in  buona parte gia' erano in
possesso  della  stessa  ...  atti  tutti  che  allo  stato  non sono
utilizzabili  stante  le  citate  pronunce  della Corte, e che invece
potrebbero  esserlo laddove la questione ... che qui si solleva fosse
ritenuta fondata";
        che  nel  presente  giudizio  costituzionale, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  generale dello Stato, ha spiegato intervento
il  Presidente  del Consiglio dei Ministri, chiedendo la declaratoria
di  inammissibilita'  o di infondatezza della questione sollevata dal
giudice  per  le  indagini  preliminari  del  Tribunale di Bologna, e
riservandosi   di  svolgere  deduzioni  con  una  successiva  memoria
illustrativa;
        che  in  prossimita'  della  data  fissata  per  la camera di
consiglio, il Presidente del Consiglio dei Ministri ha depositato una
memoria  nella  quale  si  chiede che venga dichiarata l'infondatezza
della questione;
        che  nella  stessa  memoria si afferma la natura "funzionale"
del  segreto di Stato, che "non cessa di essere tale per essere stato
rivelato  a  soggetti  non  legittimati  a conoscerlo", e si contesta
l'assunto  secondo  il  quale  la conoscenza, da parte di un pubblico
funzionario  non  abilitato,  di  un  documento coperto da segreto di
Stato  farebbe venir meno il carattere della segretezza, ritenendo la
difesa  erariale  tale  assunto  inconciliabile  con il principio che
impone  di  evitare  che  un  fatto illecito sia portato a piu' gravi
conseguenze;
        che   anzi   secondo   l'Avvocatura   presenterebbe  "estremi
oggettivi  di  rilevanza penale" lo stesso comportamento del pubblico
ministero,  il  quale,  "venuto  a conoscenza di documenti coperti da
segreto  di  Stato, invece di restituirli immediatamente al legittimo
detentore,   informare  il  Presidente  del  Consiglio  ed  astenersi
dall'utilizzarli  ex artt. 191 e 526 c.p.p. li ha ... posti a base di
indagini  strumentali  all'azione penale cosi' [a]vviando un processo
destinato alla progressiva diffusione del segreto".
    Considerato  che  il  giudice  per  le  indagini  preliminari del
Tribunale  di  Bologna  dubita,  in  riferimento  agli  artt. 3, 101,
secondo   comma,   e   112  della  Costituzione,  della  legittimita'
costituzionale  dell'art. 256  cod.  proc  .pen., "nella parte in cui
consente  di  opporre  il segreto di Stato anche in relazione ad atti
privi  del  connotato  della  segretezza  in quanto gia' contenuti ed
acquisiti  al  fascicolo processuale, o comunque ad atti che, venendo
contestualmente  trasmessi alla A.G., perdono le loro caratteristiche
di   segretezza,  ovvero  laddove  non  prevede  che  il  segreto  in
precedenza ritualmente e correttamente opposto diventi inefficace nel
caso  in  cui  l'atto da esso coperto abbia perso il suo carattere di
segretezza";
        che il giudice a quo ritiene rilevante la sollevata questione
in  quanto, nel caso di specie, "si sono ritenuti coperti dal segreto
di  Stato  atti  (quelli  trasmessi  dal  Questore  di  Bologna)  che
contestualmente  venivano portati a conoscenza della A.G., e che anzi
in buona parte gia' erano in possesso della stessa ... atti tutti che
allo  stato  non  sono  utilizzabili  stante le citate pronunce della
Corte,  e  che invece potrebbero esserlo laddove la questione ... che
qui si solleva fosse ritenuta fondata";
        che,   nel   motivare   sulla   rilevanza  della  prospettata
questione, il rimettente fa riferimento, innanzi tutto, alla sentenza
n. 110  del 1998, con la quale la Corte ha dichiarato non spettare al
pubblico  ministero,  in  persona  del  Procuratore  della Repubblica
presso  il Tribunale di Bologna, ne' acquisire, ne' utilizzare, sotto
alcun  profilo,  direttamente  o indirettamente, atti o documenti sui
quali  era  stato  legalmente opposto e confermato dal Presidente del
Consiglio  dei  Ministri  il  segreto  di  Stato, ne' trarne comunque
occasione  di  indagine  ai fini del promovimento dell'azione penale,
annullando  conseguentemente gli atti di indagine compiuti sulla base
di   fonti  di  prova  coperte  dal  segreto  di  Stato,  nonche'  la
sopravvenuta richiesta di rinvio a giudizio;
        che,  a  se'guito  di  tale  sentenza,  il  Procuratore della
Repubblica  presso  il  Tribunale di Bologna, al quale gli atti erano
stati  restituiti  dal giudice per le indagini preliminari, reiterava
la richiesta di rinvio a giudizio, eliminando da questa i riferimenti
ai documenti trasmessi dalla Questura di Bologna;
        che  con  ricorso del 10 luglio 1998, depositato il 14 luglio
1998,  il  Presidente  del  Consiglio dei Ministri sollevava un nuovo
conflitto  di  attribuzione  nei confronti del pubblico ministero, in
persona  del  Procuratore  della  Repubblica  presso  il Tribunale di
Bologna,  in  relazione alla richiesta di rinvio a giudizio formulata
in  data  5  maggio  1998  nei confronti di funzionari del SISDE e di
funzionari  di  polizia che con i primi avevano collaborato, e che si
assumeva  nuovamente  basata  su fonti di prova incise dal segreto di
Stato  opposto  dal  Presidente del Consiglio dei Ministri ex art. 12
della legge 24 ottobre 1977, n. 801;
        che,  in  accoglimento del secondo ricorso del Presidente del
Consiglio,  la Corte costituzionale ha pronunciato la sentenza n. 410
del 1998 - anch'essa richiamata dal rimettente in sede di motivazione
sulla rilevanza - con la quale ha dichiarato non spettare al pubblico
ministero,  in  persona  del  Procuratore  della Repubblica presso il
Tribunale  di  Bologna,  rinnovare  la richiesta di rinvio a giudizio
utilizzando  fonti  di  prova  acquisite in violazione del segreto di
Stato   gia'   accertata  con  la  precedente  sentenza  della  Corte
costituzionale  n. 110 dello stesso anno ed ha annullato la richiesta
di rinvio a giudizio in data 5 maggio 1998;
        che,  con  le sentenze n. 110 e 410 del 1998, questa Corte ha
gia'  disposto  l'inutilizzabilita' nel processo degli atti di cui si
tratta,  non in applicazione dell'impugnato art. 256 cod. proc. pen.,
bensi'  in  ragione  dei  princi'pi costituzionali posti a tutela del
segreto  di  Stato  e del principio di correttezza e lealta' che deve
ispirare  i  rapporti  tra  autorita'  giudiziaria  e  Presidente del
Consiglio  dei  Ministri,  assunti a parametro per la risoluzione dei
conflitti  di  attribuzione  sollevati da quest'ultimo, non potendo i
conflitti  di  attribuzione tra poteri dello Stato essere definiti in
applicazione  di  scelte  rimesse  al legislatore ordinario (sentenza
n. 385 del 1996);
        che,  in particolare, con la sentenza n. 410 del 1998, questa
Corte  ha  gia'  inoppugnabilmente definito la controversia in merito
all'utilizzabilita'  degli  stessi atti, sui quali e' stato opposto e
confermato  il  segreto di Stato, cui fa riferimento il giudice a quo
statuendo in via definitiva sulla non spettanza al pubblico ministero
del  potere  di  utilizzarli  ed  annullando la richiesta di rinvio a
giudizio basata sugli stessi;
        che,  derivando  inequivocabilmente,  e in via definitiva, la
sanzione dell'inutilizzabilita' degli atti di cui si tratta, non gia'
dall'art. 256 cod. proc. pen., bensi' dalle due citate sentenze della
Corte  costituzionale,  sottratte  dall'art. 137, ultimo comma, della
Costituzione,  a  qualsiasi  forma,  anche  indiretta o impropria, di
impugnazione,  il  giudice a quo avrebbe dovuto rilevarla d'ufficio a
norma dell'art. 191, comma 2, cod. proc. pen.;
        che,   per   le   ragioni   su  esposte,  non  residuava  nel
procedimento  penale  a  quo  alcuno spazio per fare applicazione, ai
fini  dell'identificazione degli atti non utilizzabili, dell'art. 256
cod.  proc.  pen.,  ne'  quindi  per  dubitare della sua legittimita'
costituzionale;
        che,   pertanto,   la  sollevata  questione  di  legittimita'
costituzionale  si  appalesa  ictu  oculi  irrilevante  e deve essere
dichiarata manifestamente inammissibile.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi

                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta  inammissibilita'  della  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 256  del  codice di procedura
penale,  sollevata,  in  riferimento  agli artt. 3, primo comma, 101,
secondo  comma, e 112 della Costituzione, dal giudice per le indagini
preliminari  del  Tribunale  di  Bologna  con l'ordinanza indicata in
epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 luglio 2000.
                      Il Presidente: Mirabelli
                        Il redattore: Contri
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 24 luglio 2000.
                      Il cancelliere: Di Paola
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