N. 393 SENTENZA 13 - 28 luglio 2000

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Previdenza  e  assistenza  -  Previdenza  complementare - Prestazioni
aggiuntive e integrative del trattamento pensionistico obbligatorio -
Conseguimento,  dal  1o gennaio 1998, in presenza dei requisiti e con
la  decorrenza  previsti  dalla  disciplina  generale obbligatoria di
appartenenza  - Asserita lesione della liberta' sindacale, del libero
esercizio  dell'attivita'  economica  e del principio di eguaglianza,
per  irragionevole  compromissione,  in contrasto con il principio di
affidamento,   di  situazioni  consolidate  -  Non  fondatezza  della
questione.
- Legge 27 dicembre 1997, n. 449, art. 59, comma 3.
- Costituzione, artt. 3, 38, secondo comma, 39 e 41.
Sindacati  e  liberta'  sindacale - Limiti all'autonomia collettiva -
  Configurabilita'.
- Costituzione, art. 39.
Iniziativa economica - Tutela costituzionale - Contenuto.
- Costituzione, art. 41.
(GU n.32 del 2-8-2000 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Cesare MIRABELLI;
  Giudici:   Fernando  SANTOSUOSSO,  Massimo  VARI,  Cesare  RUPERTO,
Riccardo   CHIEPPA,   Gustavo   ZAGREBELSKY,   Valerio  ONIDA,  Carlo
MEZZANOTTE,  Fernanda  CONTRI,  Guido  NEPPI  MODONA,  Piero  Alberto
CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK;
ha pronunciato la seguente


                              Sentenza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 59, comma 3,
della  legge  27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione
della  finanza  pubblica),  promosso,  con  ordinanza  emessa  il  29
dicembre  1998, dal pretore di Milano nei procedimenti civili riuniti
vertenti tra Ripamonti Maria Rosa ed altra e il Fondo pensioni per il
personale Cariplo ed altra, iscritta al n. 158 del registro ordinanze
1999  e  pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12,
prima serie speciale, dell'anno 1999.
    Visti gli atti di costituzione di Ripamonti Maria Rosa ed altra e
della Cariplo S.p.a., nonche' l'atto di intervento del Presidente del
Consiglio dei Ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  dell'11  aprile  2000  il  giudice
relatore Massimo Vari;
    Uditi  gli avvocati Guido Alpa per Ripamonti Maria Rosa ed altra,
Paolo  Tosi per la Cariplo S.p.a. e l'Avvocato dello Stato Gian Paolo
Polizzi per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

                          Ritenuto in fatto


    1. - Nel  corso dei giudizi, successivamente riuniti, promossi da
due  dipendenti  della  Cassa  di  Risparmio  delle Province Lombarde
(Cariplo S.p.a.), onde ottenere l'accertamento del proprio diritto al
conseguimento   della  "pensione  diretta  di  anzianita'",  erogata,
"previa  rassegnazione  delle  dimissioni", dal Fondo pensioni per il
personale  di  detta  Cassa  in  base  ai  requisiti  di  30  anni di
anzianita'  contributiva e 50 anni di eta', il pretore di Milano, con
ordinanza  del  29  dicembre  1998, ha sollevato, in riferimento agli
artt. 3,  39  e  41  della  Costituzione,  questione  di legittimita'
costituzionale  dell'art. 59,  comma 3, della legge 27 dicembre 1997,
n. 449  (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica), nella
parte  in  cui stabilisce che, con decorrenza dal 1 gennaio 1998, per
tutti  i  soggetti  nei  cui  confronti trovino applicazione le forme
pensionistiche che garantiscono prestazioni definite in aggiunta o ad
integrazione del trattamento pensionistico obbligatorio, ivi comprese
quelle  di  cui  al decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 357, "il
trattamento  si  consegue  esclusivamente in presenza dei requisiti e
con  la decorrenza previsti dalla disciplina generale obbligatoria di
appartenenza".
    1.1. - Premette l'ordinanza, in punto di fatto, che le ricorrenti
hanno dedotto, a sostegno della pretesa azionata, l'esistenza di "una
situazione  di  incertezza  sulla  possibilita'  di  beneficiare  del
trattamento  in  questione", insorta a seguito dell'entrata in vigore
della  legge  n. 449  del  1997,  la  quale,  proprio  in  forza  del
menzionato  comma  3  dell'art. 59, ha determinato l'innalzamento dei
requisiti  di  eta'  per  il  diritto  alla  pensione  di  anzianita'
stabiliti  dallo  statuto  del  Fondo pensioni; pertanto, le medesime
istanti  hanno  eccepito,  in via pregiudiziale all'esame del merito,
l'incostituzionalita' della predetta disposizione.
    Tanto  premesso, il giudice a quo sostiene che la rilevanza della
questione  e' da ravvisarsi nel fatto che il diritto alla prestazione
pensionistica  complementare  vantato dalle ricorrenti nel giudizio a
quo  "e'  direttamente  condizionato ...  dalla rimozione della norma
sospettata di illegittimita'".
    1.2. - Quanto  alla  non  manifesta  infondatezza,  il rimettente
osserva, anzitutto, che la disposizione censurata "si inserisce nelle
linee  di  intervento  in  materia previdenziale, dirette, secondo le
indicazioni  dei  lavori  preparatori,  ad  un  generale obiettivo di
riduzione della spesa sociale", nonche' di armonizzazione delle forme
previdenziali   sostitutive,   esonerative   ed  integrative  con  la
disciplina dell'assicurazione generale obbligatoria, si' da stabilire
"un  legame  funzionale  diretto  tra  la  previdenza  pubblica  e la
previdenza  privata,  fino  ad  uniformarne  il livello di tutela, di
fronte  alla  riduzione del grado di copertura offerta dal sistema di
base".
    Del  resto,  si  argomenta  ancora nell'ordinanza, una previsione
analoga  a  quella  contemplata dalla norma denunciata era stata gia'
introdotta dall'art. 18, comma 8-quinquies del decreto legislativo 21
aprile  1993,  n. 124,  aggiunto dall'art. 15, comma 5, della legge 8
agosto   1995,   n. 335.  Si  trattava,  peraltro,  di  una  modifica
(concernente solo i vecchi fondi gia' esistenti all'entrata in vigore
della  legge  n. 421  del  1992)  che  faceva  espressamente "salvi i
diritti  acquisiti  dai  lavoratori subordinati che erano iscritti ai
fondi pensione complementari prima dell'entrata in vigore del decreto
legislativo  n. 124  del  1993,  ai quali continuava ad applicarsi il
precedente regime statutario".
    Il  giudice  a  quo rammentato che, avverso il menzionato art. 15
della  legge  n. 335  del  1995, sono stati prospettati, a suo tempo,
dubbi di legittimita' costituzionale con riferimento all'art. 3 della
Costituzione  e,  "per  i  pesanti  limiti alla liberta' contrattuale
delle  parti  sociali,  all'art. 39  ed  all'art. 41", ritiene che "i
medesimi   sospetti   di   illegittimita'  sono  ravvisabili  per  la
disposizione  dell'art. 59,  comma  3,  della  legge n. 449 del 1997,
laddove l'intervento legislativo ha limitato, in via assoluta e senza
alcuna  deroga, i requisiti di accesso alle prestazioni previdenziali
private".
    Quanto  all'art. 39  della Costituzione, il rimettente assume che
"la contrattazione collettiva ha rappresentato un ineludibile momento
di  definizione  delle  contribuzioni  e  delle prestazioni del Fondo
pensioni,   come   elemento  rilevante  del  complessivo  trattamento
economico  e normativo dei dipendenti Cariplo" (accordo aziendale del
19  aprile 1994); un ruolo, questo, riconosciuto dallo stesso decreto
legislativo n. 124 del 1993 (art. 3), tanto da potersi affermare "che
spetta alle parti sociali, attraverso lo strumento della negoziazione
contrattuale,  la  valutazione  della  opportunita'  di una revisione
delle prestazioni previdenziali a carico del Fondo".
    In  tale  contesto, l'intervento del legislatore avrebbe alterato
"la  disciplina e gli equilibri realizzati dall'autonomia collettiva,
invalidando  il  contenuto  delle clausole in vigore, e pregiudicando
per  il  futuro  la  libera  determinazione dell'autonomia collettiva
riguardo  all'aspetto fondamentale della misura e dei requisiti delle
prestazioni".
    Donde  la  "lesione della iniziativa sindacale", non giustificata
da  "esigenze  eccezionali  e  temporanee  o  dalla  salvaguardia  di
superiori  interessi  generali",  fattori  costituenti  "il limite di
ammissibilita' della compressione legale della liberta' sindacale".
    Le  medesime  valutazioni fondano, ad avviso del giudice a quo il
contrasto  anche  con  l'art. 41  della  Costituzione, "che tutela il
libero    esercizio    dell'attivita'    economica",    giacche'   la
"partecipazione   della   previdenza   complementare  al  sistema  di
sicurezza  sociale"  non  e'  tale  da  giustificare  "la perdita dei
connotati  di  autonomia organizzativa e gestionale che consentono la
incentivazione ed espansione dei fondi, rese necessarie proprio dalla
riduzione del trattamento pubblico".
    Quanto  poi  all'art. 3  della Costituzione, l'ordinanza sostiene
che  la disposizione denunciata, "a differenza del precedente regime,
non  prevede  alcun  esonero  dal  divieto di anticipata prestazione,
incide sui diritti maturati e sulle aspettative degli iscritti per il
conseguimento  dei  trattamenti  previdenziali  secondo le regole del
fondo di appartenenza".
    Di  qui  l'irragionevolezza  dell'art. 59,  comma  3, della legge
n. 449  del  1997,  che  compromette,  in  violazione  del  principio
dell'affidamento,  "situazioni  consolidate", senza che il sacrificio
imposto  determini  benefici per la finanza pubblica, "trattandosi di
prestazioni a finanziamento privato".
    1.3. - Il giudice a quo ritiene, invece, manifestamente infondata
l'eccezione   di   illegittimita'   costituzionale   della   medesima
disposizione  ulteriormente prospettata dalle ricorrenti nel giudizio
principale,  sia  per  violazione  dell'art. 3 della Costituzione, in
ragione  della  disparita'  di  trattamento tra gli iscritti ai fondi
pensione  prima  e  dopo  l'entrata in vigore del decreto legislativo
n. 124  del 1993, sia per contrasto con gli artt. 38, quinto comma, e
47 della Costituzione, sotto il profilo della "illegittimita' di ogni
forma  di  intrusione da parte del legislatore che non sia dettata da
ragioni di tutela del lavoratore-risparmiatore".
    Quanto   alla   prima  censura,  il  rimettente  osserva  che  le
situazioni  poste  in comparazione non sono omogenee, considerato che
soltanto    "le   forme   complementari   preesistenti   stabiliscono
prestazioni definite".
    In  riferimento  alle  altre censure, l'ordinanza sostiene che la
"rigida  separazione  delle  funzioni  della  previdenza  pubblica  e
privata"  e'  concezione oramai superata secondo il modello delineato
dalla  normativa  vigente,  avendo il legislatore del 1993 e del 1995
"mostrato di coltivare l'intento di una collocazione della previdenza
complementare  all'interno  della  complessiva  struttura  diretta ad
attuare   la  garanzia  di  cui  all'art. 38,  secondo  comma,  della
Costituzione".
    In  tal  senso, la "funzione di concorso della previdenza privata
alla  realizzazione del principio di adeguatezza della prestazione ed
il  principio  solidaristico  che  ad essa inerisce", hanno mutato il
"modello   organizzativo   della   sicurezza   sociale",  laddove  il
potenziamento  e  l'incentivazione  della  previdenza  complementare,
"anche con vantaggi fiscali e contributivi, vengono visti come misure
necessarie per far fronte alla crisi del welfare state".
    Di  qui  la  conclusione  che  "la  disciplina  limitativa  e  di
coordinamento, che persegua gli obiettivi previsti dall'art. 38 della
Costituzione",  non  costituisce  "di  per  se' diretta lesione della
liberta'  della  previdenza  privata,  fatta  salva  la  valutazione,
affidata  alla  Corte  costituzionale,  e  nei  termini espressi, dei
limiti della discrezionalita' del legislatore".

    2. - Si  sono costituite in giudizio le ricorrenti nel giudizio a
quo per sentir dichiarare l'illegittimita' costituzionale della norma
denunciata,  assumendone  il  contrasto  con gli artt. 3, 38, 39 e 41
della Costituzione.
    2.1.- Nella  memoria congiuntamente depositata, le predette parti
private,  muovendo  dalla  ricostruzione  del  sistema  di previdenza
sociale,  evidenziano il ruolo della "previdenza privata", alla quale
e'  attribuita  "la funzione di soddisfare bisogni diversi rispetto a
quelli  di  pertinenza  dell'ordinamento  pubblicistico"  (ad es. "il
mantenimento   del  tenore  di  vita  raggiunto  durante  l'attivita'
lavorativa").
    Essa,   pertanto,   e'  riconosciuta  e  tutelata  come  "libera"
dall'art. 38,   quinto   comma,   della   Costituzione,  secondo  una
formulazione  "volutamente  perentoria", tale da doversi ritenere che
"il  diritto  che  ne scaturisce, a differenza di altre liberta', non
soffre di limitazione alcuna".
    Senonche',    una    siffatta    "lettura"   dell'art. 38   della
Costituzione,    che    caratterizza    un   "sistema   previdenziale
pluralistico",  e'  stata  messa  in  "crisi" dal decreto legislativo
n. 124  del  1993 il quale, nel dichiarato obiettivo - ribadito dalla
legge  n. 335  del  1995  -  di  agevolare  le  "forme pensionistiche
complementari   allo   scopo  di  consentire  livelli  aggiuntivi  di
copertura previdenziale", ha imposto rilevanti vincoli all'erogazione
delle  prestazioni,  cosi'  stabilendo  "un  nesso  funzionale tra la
previdenza pubblica e quella privata".
    L'anzidetto    sistema    pluralistico    sarebbe    "stato   poi
definitivamente  cancellato"  dalla  disposizione denunciata, "che ha
accomunato   di  fatto  la  previdenza  pubblica  a  quella  privata,
mortificando     la    garanzia    delle    liberta'    previdenziali
costituzionalmente protette".
    Richiamato  quell'orientamento  secondo il quale tale complessivo
disegno  legislativo  sarebbe volto alla "attrazione della previdenza
complementare  all'interno  della  sfera  di applicazione del secondo
comma  dell'art. 38  della Costituzione", per la "necessita' di porre
rimedio   alla  crisi  finanziaria  del  sistema  della  solidarieta'
pubblica",   la  memoria  osserva  che  la  "nuova  disciplina  della
previdenza  complementare  svuota  di  contenuto  l'autonomia  che e'
sempre  stata  riconosciuta  alle fonti istitutive", contrastando con
l'art. 38,  quinto  comma, della Costituzione e con il "principio del
pluralismo previdenziale ivi disegnato".
    2.2. - Nel sostenere, altresi', l'irragionevolezza della medesima
disposizione,  le parti private osservano che la stessa ha ricondotto
tutti  i  fondi a prestazioni definite sotto la regola restrittiva di
cui all'art. 18, comma 8-quinquies del decreto legislativo n. 124 del
1993,  introdotto dall'art. 15, comma 5, della legge n. 335 del 1995;
regola  alla quale i fondi integrativi del settore creditizio (di cui
alla  legge  n. 218  del  1990  ed  al decreto legislativo n. 357 del
1990),  e  tra  questi  il  Fondo  Cariplo,  erano  rimasti estranei,
giacche'  l'art. 3,  comma  19, della citata legge n. 335 consentiva,
comunque,   di  mantenere  inalterato  quanto  disposto  in  sede  di
contrattazione collettiva e, dunque, l'intera disciplina statutaria.
    Invero,   si  sostiene  nella  memoria,  nell'ottica  perequativa
perseguita  dal legislatore, i predetti fondi integrativi "sono stati
ingiustamente  e  immotivatamente  valutati  dal  legislatore come un
privilegio  accordato ad un ristretto numero di dipendenti", laddove,
invece,  le prestazioni da essi erogate derivano dalla corresponsione
di  contributi  ben  piu' elevati rispetto alla generalita' dei fondi
privati  "ed  aggiuntivi  rispetto a quelli versati all'assicurazione
generale obbligatoria".
    Assumono  ancora  le  parti  private che il suddetto obiettivo di
perequazione  "non puo' essere qualificato come interesse pubblico di
natura    superiore    rispetto    ai    diritti    dei    lavoratori
costituzionalmente   tutelati  dagli  articoli  38,  39  e  41  della
Costituzione":  detta  misura,  infatti,  non arreca vantaggio alcuno
all'"equilibrio  della finanza pubblica", incidendo esclusivamente su
un "regolamento di interessi di natura prettamente privata".
    Ne',  del  resto,  risulta  condivisibile  il  rilievo per cui la
misura  restrittiva  alle  prestazioni pensionistiche private sarebbe
dettata  dalla necessita' di garantire l'equilibrio dei fondi, atteso
che  l'ordinamento  previdenziale  gia'  dispone  "di  una  serie  di
controlli  per garantire l'effettivita' delle prestazioni erogate dai
fondi di previdenza privati".
    2.3. - Le parti private, nel ricostruire le vicende relative alla
disciplina  dei  fondi di cui al decreto legislativo n. 357 del 1990,
della cui natura privata non sarebbe dato dubitare, sostengono che la
disposizione  censurata  ha  "mortificato"  la  liberta'  delle parti
sociali  di  determinare  il trattamento previdenziale ed i requisiti
per  il  suo  conseguimento, ponendo le rappresentanze dei lavoratori
"su  un  piano  di oggettiva debolezza contrattuale nei confronti dei
datori  di  lavoro che ... hanno goduto di un considerevole risparmio
sui  contributi  versati  ai fondi pensione", mentre i lavoratori "si
sono  visti  limitare  le  prestazioni senza ricavare alcun beneficio
compensativo".
    E  questo - si osserva ancora nella memoria - senza che sussista,
come  gia'  detto,  "un  interesse pubblico che possa giustificare il
pregiudizio   causato   alla   liberta'   sindacale",   in  presenza,
oltretutto,  di  una  norma  che "ha riflessi neutri sul contenimento
della spesa pubblica o comunque di impossibile quantificazione".
    Con particolare riferimento, poi, all'art. 41 della Costituzione,
le  parti  costituite  ritengono  che il denunciato art. 59, comma 3,
limiti  fortemente  la  "possibilita'  per  il  datore  di  lavoro di
determinare   la   configurazione   delle  prestazioni  previdenziali
aziendali,  impedendo di dar attuazione agli obblighi gia' assunti in
sede sindacale".
    La  memoria  svolge,  infine,  argomentazioni  analoghe  a quelle
addotte   dal   rimettente  in  ordine  alla  prospettata  violazione
dell'art. 3  della Costituzione, sotto il profilo della vanificazione
delle  aspettative  dei  lavoratori  per  il  tempo  successivo  alla
cessazione della attivita'.

    3. - Si  e' costituita, altresi', la Cariplo - Cassa di Risparmio
delle  Province Lombarde S.p.a., parte intervenuta nel giudizio a quo
la quale ha concluso per l'infondatezza della sollevata questione.
    Ad  avviso  della Cassa, gli argomenti utilizzati dal rimettente,
per  fugare  i  dubbi  di legittimita' costituzionale sollevati dalle
parti ricorrenti in riferimento all'art. 38 della Costituzione, "sono
proprio,  succintamente,  quelli che segnano la giustificabilita' non
solo alla stregua dell'art. 38, ma anche alla stregua degli artt. 39,
41 e 3 della Carta costituzionale, di una ... disciplina limitativa e
di  coordinamento,  al  servizio degli obiettivi generali di un nuovo
welfare".

    4. - E'  intervenuto  il  Presidente  del Consiglio dei Ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato, il
quale,  nel  riservarsi  "di  illustrare  con  successiva  memoria la
questione",  ha  chiesto che la stessa sia dichiarata inammissibile o
comunque infondata.

    5. - In   prossimita'   dell'udienza   hanno  depositato  memorie
illustrative  sia  le  parti  private  costituite,  sia l'intervenuto
Presidente del Consiglio dei Ministri.
    5.1. - Le  ricorrenti  nel giudizio a quo nel ribadire, con ampie
argomentazioni,   le   conclusioni   gia'   rassegnate  nell'atto  di
costituzione,  osservano che, con la denunciata disposizione, essendo
stato  subordinato,  "senza  distinzioni  di  sorta,  l'accesso  alle
prestazioni   per  vecchiaia  e  anzianita'  assicurate  dalle  forme
pensionistiche    private    alla    liquidazione   del   trattamento
pensionistico   obbligatorio",   si   e'  venuti  a  pregiudicare  le
situazioni  giuridiche  "di coloro che sono in possesso dei requisiti
previsti  dallo  statuto per il trattamento di anzianita' e di coloro
che,  prossimi  alla  maturazione  dei  suddetti requisiti, nutrivano
l'aspettativa  del  tutto  legittima  di  usufruire  del  trattamento
integrativo".
    Ne'  puo' ritenersi, ad avviso delle medesime parti, che la ratio
della   norma   sia  rinvenibile  nella  necessita'  di  salvaguardia
dell'equilibrio   dei   fondi   pensione  integrativi  a  prestazione
definita,    giacche'   un   siffatto   postulato   prescinde   dalla
considerazione  che  non tutti i predetti fondi sono "strutturati con
un  meccanismo  di  ripartizione  del finanziamento tra lavoratori in
attivo  e  pensionati",  come, appunto, il Fondo pensioni Cariplo, il
quale  "e'  dotato  di  un  patrimonio adeguato all'adempimento degli
obblighi statutari".
    E', comunque, "inammissibile che le parti interessate siano state
private  della  possibilita'  di valutare l'esistenza o la potenziale
minaccia  dello  squilibrio  finanziario,  in  relazione  al concreto
meccanismo    di    alimentazione   finanziaria   e   di   erogazioni
pensionistiche di ogni singolo fondo".
    La  memoria  contesta,  inoltre,  la  tesi che valorizza il nesso
funzionale  tra  previdenza  complementare  e  previdenza pubblica in
vista  della realizzazione dell'obiettivo posto dall'art. 38, secondo
comma,  della  Costituzione  e  che  interpreta il quinto comma dello
stesso  art. 38  come  volto alla tutela costituzionale del risparmio
privato ("he ha il suo emblema nella classica polizza vita").
    Si  tratta, infatti, di tesi che porta, oltretutto, a concludere,
contrariamente  a  quanto  risulta  dalla  disciplina attuale, per la
necessaria  "obbligatorieta'  della  partecipazione dei lavoratori ai
piani di previdenza complementare".
    Quanto  al  contrasto  con l'art. 39 della Costituzione, le parti
private  -  dopo  aver  rammentato  che  la norma denunciata, laddove
riconosce  alla contrattazione collettiva "il potere di derogare agli
ordinamenti     dei    regimi    aziendali"    nelle    ipotesi    di
ristrutturazione-riorganizzazione  aziendale  che determinino esuberi
di   personale,  suscita  dubbi  di  legittimita'  costituzionale  se
interpretata  nel  senso  che detto potere di deroga abbia "efficacia
erga   omnes   pregiudicando  situazioni  soggettive  consolidate"  -
evidenziano  che  "la  necessita' astratta (e tutta da dimostrare) di
salvaguardia  dei  patrimoni,  anziche'  essere  il  fondamento  e la
giustificazione   delle   limitazioni   ai   requisiti   di  accesso,
rappresenta  proprio  la  violazione della liberta' e della autonomia
delle  parti  sociali,  private  della possibilita' di verificare nel
concreto  la  necessita'  di  procedere  alla  rideterminazione della
disciplina  delle  prestazioni  e  del  finanziamento in presenza, ad
esempio, di innovazioni del regime di base".
    In  riferimento, poi, all'art. 41 della Costituzione, la memoria,
nel   ritenere   i  fondi  pensione  espressione  della  liberta'  di
iniziativa  economica  delle  imprese,  esclude che siffatta liberta'
possa  soggiacere  a  limiti  per  effetto della previsione di cui al
secondo comma del medesimo art. 41, atteso che "la collettivita' trae
un  beneficio  rilevante dall'esistenza dei fondi pensione, in quanto
gli stessi hanno lo scopo di garantire un maggior benessere materiale
per gli iscritti"; ne', del resto, puo' invocarsi la riserva di legge
prevista   dal   terzo  comma  dello  stesso  articolo,  giacche'  le
restrizioni  al conseguimento delle prestazioni previdenziali private
contrastano,  "in  realta',  con  le  finalita'  sociali della stessa
previdenza privata, il cui scopo e' quello di assicurare piu' elevati
livelli di copertura previdenziale".
    Infine,  quanto  all'art. 3  della Costituzione, le parti private
ribadiscono   "l'inammissibilita'   della   lesione   di   situazioni
giuridiche  soggettive consolidate" e cioe' sia quelle di coloro "che
alla  data  di  entrata  in  vigore  della  norma  avevano maturato i
requisiti  biologici,  contributivi e di anzianita' considerati dalla
disciplina del Fondo ma che non hanno presentato domanda di pensione"
(o  meglio,  "non  hanno  avuto  il  tempo materiale per farlo"), sia
quelle  di  coloro  che  vantano  "aspettative  prossime  a diventare
diritti".
    5.2. - La Cariplo S.p.a., nell'insistere per l'infondatezza della
sollevata  questione,  sostiene,  anzitutto,  che la norma denunciata
"costituisce    un   tassello   qualificante   nella   evoluzione   e
nell'assestamento   complessivo   del   sistema   pensionistico,  ove
previdenza  pubblica e previdenza privata sono andate componendosi in
un quadro unitario diretto ad assicurare ai lavoratori mezzi adeguati
alle loro esigenze di vita quando termina il loro tempo lavorativo".
    In  questo  quadro,  osserva la memoria, il legislatore ha dovuto
contenere  i  costi  della  previdenza  pubblica, corrispondentemente
favorendo  l'espansione  delle  prestazioni della previdenza privata,
"ma  in  correlazione/  combinazione  di queste con quelle": sicche',
nella  prospettiva  dell'art. 38,  secondo comma, della Costituzione,
trovano  giustificazione  sia  le  misure di sostegno alla previdenza
complementare,  "sia  il  suo  assoggettamento  a  vincoli  di  varia
natura".
    Ad  avviso  della  Cassa,  l'importanza  qualificante della norma
censurata e' da rinvenirsi, per tutte le forme pensionistiche che non
siano   a   contribuzione  definita,  proprio  nell'"aggancio"  delle
prestazioni   della   previdenza   complementare   all'accesso   alle
prestazioni  del  regime  dell'assicurazione  generale  obbligatoria,
quale   espressione   "paradigmatica   della   complementarieta'   di
previdenza pubblica e privata".
    Del  resto,  soggiunge  la  memoria,  a riprova di cio' rileva il
fatto  che  il  legislatore  "ha  statuito  anche  per le nuove forme
previdenziali   a   contribuzione  definita"  delle  "limitazioni  di
identica  valenza";  e questo conferma che la disposizione denunciata
deve   essere  considerata  "nel  contesto  complessivo  del  sistema
previdenziale  e  delle  politiche  legislative  di  attuazione degli
obiettivi costituzionali".
    Proprio  per  questo,  secondo  quanto  "rimarcato"  anche  dalla
sentenza  della  Corte costituzionale n. 421 del 1995, il legislatore
avrebbe,   da   un   lato,   agevolato   fiscalmente   la  previdenza
complementare   (tanto   che   tali  agevolazioni  costituiscono  "il
presupposto  stesso  della  convenienza e praticabilita' della scelta
istitutiva  di un fondo di previdenza complementare"), e, dall'altro,
avrebbe  "prefigurato  un  programma  di  ingerenze di vario genere",
sulle  quali non e' dato porre questioni di ordine costituzionale "in
se'  per  se'",  ma  soltanto  sotto l'"angolazione della coerenza di
siffatte ingerenze con la ratio della legislazione di sostegno".
    Secondo  la  memoria,  nel  ricordato  "aggancio"  al trattamento
pensionistico  di base, "la previdenza complementare vede esaltata la
sua  stessa funzione propriamente integrativa" che, nella prospettiva
della  riforma  pensionistica, e' quella "che consente al lavoratore,
quando  giunge  al  pensionamento,  di  conservare  una  apprezzabile
continuita'   di   livello  di  reddito ...  malgrado  l'ineluttabile
progressivo   smagrimento   delle   prestazioni"   dell'assicurazione
generale obbligatoria.
    Ad  avviso  della  Cariplo,  i  dubbi  sul  contrasto della norma
denunciata  con  gli artt. 39 e 41 della Costituzione sono, pertanto,
destinati  a  dissolversi,  collocandosi  "al  di  la'  della  tutela
apprestata  da  tali  articoli  la  pretesa  che la autonomia privata
(individuale  e collettiva) fruisca di vantaggi e al tempo stesso sia
avulsa  da  vincoli". Sicche', dalle menzionate norme costituzionali,
"si  puo'  estrarre solo la garanzia che contrattazione individuale e
contrattazione  collettiva  rimangano  libere  di  prevedere forme di
assicurazione,  anche  finanziate  dal  datore di lavoro (sul modello
delle c.d. polizze vita), sottratte ai vincoli stabiliti per le forme
di  previdenza  complementare,  ma  anche prive dei vantaggi per esse
previsti".
    5.3. - L'intervenuto   Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,
nell'insistere   per   l'infondatezza   della   sollevata  questione,
sostiene,  anzitutto,  che  la  disposizione  denunciata si inserisce
coerentemente  in  quell'articolato  intervento  normativo  che,  nel
ridefinire  "l'assetto della complessiva copertura previdenziale", ha
attribuito  alla  previdenza  complementare  un "ruolo fondamentale",
accordando alla stessa "benefici fiscali e contributivi per favorirne
lo  sviluppo"  e ponendola, al tempo stesso, in "stretta correlazione
alla struttura del regime obbligatorio".
    Quanto  alle  specifiche censure mosse dal rimettente, la memoria
osserva   che   la   liberta'   e   l'autonomia  sindacale,  tutelate
dall'art. 39  della  Costituzione,  trovano  preminente rilievo nella
fase di costituzione del fondo complementare, "aspetto questo che non
viene  minimamente  riguardato  dalla norma impugnata" e che, in ogni
caso,  non  investe  "i  soggetti iscritti a gestioni integrative del
trattamento  obbligatorio  istituite  per  legge  o  atto normativo e
caratterizzate dall'obbligatorieta' dell'iscrizione".
    Nel  dubitare,  poi,  di  una competenza esclusiva delle parti in
relazione  all'eventuale riequilibrio finanziario dei fondi, la parte
pubblica   intervenuta   respinge   la   tesi  secondo  la  quale  la
disposizione    denunciata   comprometterebbe   gli   equilibri   che
l'autonomia  sindacale  ha  contribuito  a determinare nel concordare
"misura  e requisiti della prestazione", giacche', cosi' opinando, si
verrebbe  a  configurare  una garanzia costituzionale di ogni accordo
sindacale,   "non   suscettibile   di   limitazioni   ad   opera  del
legislatore".
    Quanto  all'art. 41 della Costituzione, la difesa erariale rileva
che  la  stessa  norma  costituzionale stabilisce "che sia la legge a
determinare  programmi  e  controlli  opportuni  perche'  l'attivita'
economica  pubblica (e privata) possa essere indirizzata e coordinata
a fini sociali".
    La norma denunciata, lungi dal limitare l'autonomia organizzativa
e  gestionale  che  consente  l'incentivazione  dei  fondi,  risulta,
quindi,  "funzionale  proprio  alla realizzazione di quell'equilibrio
tra  trattamento  pubblico e privato cui e' ispirato l'intero sistema
previdenziale".
    Infine, con riferimento all'art. 3 della Costituzione, la memoria
rileva   che   l'art. 59,   comma  3,  si  sottrae  alla  censura  di
irragionevolezza,  tutelando,  piuttosto,  il  lavoratore, attraverso
misure   che   assicurano   l'equilibrio   non  solo  delle  gestioni
previdenziali  integrative,  ma anche della finanza pubblica, "la cui
stabilita' potrebbe essere compromessa dagli effetti di induzione che
una  previdenza  complementare  non  delimitata in ordine all'accesso
alle prestazioni comporterebbe".
    Pertanto, la temporanea limitazione delle "aspettative" di alcuni
lavoratori  ("non ancora assurte a diritti quesiti") avviene soltanto
"a  tutela  del superiore interesse di tutta la categoria al corretto
funzionamento  del  sistema previdenziale nella sua articolazione tra
assicurazione generale obbligatoria e fondi complementari".
    Inoltre,  argomenta  ancora l'Avvocatura, le agevolazioni fiscali
di  cui godono le forme di previdenza complementare non costituiscono
"una mera forma di incentivazione", ma un vero e proprio "spostamento
di  risorse  economiche  dalla  finanza  pubblica  ai fondi, che sono
dunque  uno  strumento  previdenziale  da  inserire nel sistema misto
pubblico-privato",   soggetto   alle   modificazioni   dettate  dalle
"esigenze  di  assestamento  che  si  vanno  delineando  in materia".
Talche'  non risulta irragionevole che il legislatore, nel ridurre il
fenomeno   del   pensionamento  anticipato  "in  relazione  ai  costi
intollerabili  che  esso comporta per la collettivita'", agisca anche
sui   fondi   privati,   "adeguando   la  loro  decorrenza  a  quella
dell'assicurazione  generale  obbligatoria"  ed  estendendo  anche ai
relativi  iscritti  "l'indirizzo generale di slittamento dei tempi di
fruizione" del trattamento pensionistico obbligatorio.
    Si  osserva,  poi, nella memoria che l'anticipata maturazione del
diritto  alla  prestazione  complementare  rispetto  al  "trattamento
previdenziale ordinario" determina il venir meno delle contribuzioni,
alterando,  quindi,  l'equilibrio  della  spesa previdenziale, che si
fonda "sulle previsioni di durata delle contribuzioni rapportata alla
vita lavorativa".
    Sicche',   conclude  la  parte  pubblica  intervenuta,  non  puo'
condividersi  la  tesi  "suggestiva",  sostenuta dalle parti private,
"secondo  cui  la  normativa  censurata  avrebbe  riflessi neutri sul
contenimento  della  spesa pubblica", atteso che "essa va considerata
in  relazione agli effetti indiretti della manovra che non si possono
agevolmente prevedere ne' tanto meno quantificare".

                       Considerato in diritto


    1. - Il  pretore  di  Milano dubita, con l'ordinanza in epigrafe,
della  legittimita' costituzionale dell'art. 59, comma 3, della legge
27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza
pubblica),  nella  parte in cui tale disposizione stabilisce che, con
decorrenza  dal  1o  gennaio  1998,  per  tutti  i  soggetti  nei cui
confronti   trovino   applicazione   le   forme   pensionistiche  che
garantiscono  prestazioni  definite in aggiunta o ad integrazione del
trattamento pensionistico obbligatorio, ivi comprese quelle di cui al
decreto  legislativo  20  novembre  1990,  n. 357, "il trattamento si
consegue esclusivamente in presenza dei requisiti e con la decorrenza
previsti dalla disciplina generale obbligatoria di appartenenza".
    Nel   denunciare  il  contrasto  della  menzionata  disposizione,
anzitutto,  con  l'art. 39 della Costituzione, sotto il profilo della
"lesione   della  iniziativa  e ...  della  liberta'  sindacale",  il
rimettente  sostiene  che  la  stessa  altera  "la  disciplina  e gli
equilibri   realizzati   dall'autonomia  collettiva,  invalidando  il
contenuto  delle clausole in vigore, e pregiudicando per il futuro la
libera  determinazione dell'autonomia collettiva riguardo all'aspetto
fondamentale della misura e dei requisiti delle prestazioni".
    Secondo  l'ordinanza,  sussiste,  inoltre,  lesione  dell'art. 41
della  Costituzione,  "che  tutela il libero esercizio dell'attivita'
economica",    giacche'    la    "partecipazione   della   previdenza
complementare  al  sistema  di sicurezza sociale" non sarebbe tale da
giustificare  "la  perdita dei connotati di autonomia organizzativa e
gestionale  che consentono la incentivazione ed espansione dei fondi,
rese necessarie proprio dalla riduzione del trattamento pubblico".
    Il  giudice  a  quo  ravvisa,  infine, un vulnus anche all'art. 3
della  Costituzione, in quanto, "a differenza del precedente regime",
non   e'   previsto   "alcun   esonero   dal  divieto  di  anticipata
prestazione",  venendosi  ad incidere, in difetto di "benefici per la
finanza   pubblica,   trattandosi   di  prestazioni  a  finanziamento
privato",  "sui  diritti  maturati e sulle aspettative degli iscritti
per  il conseguimento dei trattamenti previdenziali secondo le regole
del   fondo   di   appartenenza",  si'  da  essere  irragionevolmente
compromesse,   "in   violazione   del   principio  dell'affidamento",
situazioni ormai consolidate.

    2. - La questione non e' fondata.
    L'art. 59,  comma  3,  della  legge  n. 449  del 1997, denunciato
nell'ambito  di  una  controversia  avente  ad oggetto il trattamento
integrativo  assicurato  da  un  fondo  pensionistico (Fondo Cariplo)
rientrante   fra  quelli  disciplinati  dal  decreto  legislativo  20
novembre  1990,  n. 357,  non  puo' essere letto disgiuntamente dalla
complessa  opera  riformatrice  del  sistema  previdenziale, a cui il
legislatore  ha  posto  mano  sin dalla legge delega 23 ottobre 1992,
n. 421,  con la quale (art. 3), avendo di mira la stabilizzazione del
rapporto  tra  la  spesa  previdenziale ed il prodotto interno lordo,
unitamente  alla  garanzia, ai sensi dell'art. 38 della Costituzione,
di trattamenti pensionistici obbligatori omogenei, ha inteso favorire
anche  la  costituzione  di  forme  di previdenza per l'erogazione di
trattamenti  complementari del sistema obbligatorio pubblico, volti a
realizzare  in  conformita'  delle indicazioni contenute nell'art. 3,
comma 1, lettera v), della stessa legge n. 421 del 1992 "piu' elevati
livelli di copertura previdenziali".
    In  vista  del  riordino del sistema previdenziale dei lavoratori
privati  e  pubblici  cosi' perseguito, veniva emanato, anzitutto, il
decreto  legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, il quale, tra le varie
misure  adottate,  rendeva piu' rigorosi, elevando i relativi minimi,
gli   allora  vigenti  requisiti  di  eta'  e  contribuzione  per  il
conseguimento  delle pensioni di vecchiaia ed anzianita', secondo una
scelta   confermata,   dapprima,   con   l'art.  11  della  legge  23
dicembre 1994, n. 724, e poi definitivamente affermata con la riforma
generale  del  sistema pensionistico (art. 1, commi da 25 a 28, della
legge  8  agosto  1995,  n. 335  e,  da  ultimo, comma 6 dello stesso
art. 59  della legge n. 449 del 1997); scelta alla quale si ricollega
anche  la  sospensione,  a  suo  tempo  prevista,  dei  pensionamenti
anticipati  (decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, convertito, con
modificazioni,  nella  legge  14 novembre 1992, n. 438; art. 13 della
citata legge n. 724 del 1994).
    2.1. - Il  disposto  innalzamento,  seppur  graduale  e modulato,
dell'eta'  pensionabile  e  della  contribuzione  utile  ai  fini del
pensionamento  nel  regime  di  assicurazione generale obbligatoria e
delle  forme  sostitutive  ed  esclusive  della  stessa, e' venuto ad
investire, giusta quanto previsto dall'art. 9 del decreto legislativo
n. 503  del  1992,  anche  le  posizioni degli iscritti alla gestione
speciale  di  cui  al decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 357, e
cioe'   alla  gestione  costituita  presso  l'INPS  a  seguito  della
soppressione  dei  regimi c.d. esclusivi o esonerativi degli istituti
di  credito pubblici soggetti alla privatizzazione in base alla legge
30 luglio 1990, n. 218.
    A  questo  proposito  giova  rammentare  che, in base alla delega
conferita  al  Governo  da  quest'ultima  legge (art. 3, comma 3) per
l'emanazione di disposizioni dirette a disciplinare, secondo le norme
dell'assicurazione     generale    obbligatoria,    il    trattamento
previdenziale   dei  dipendenti  in  servizio  e  in  quiescenza  dei
menzionati  enti  pubblici  creditizi  il  citato decreto legislativo
n. 357  del  1990  aveva,  a  suo  tempo,  stabilito,  per  un verso,
l'iscrizione all'INPS, con decorrenza dal periodo di paga in corso al
1o  gennaio  1991,  dei  dipendenti  dei  medesimi  enti  (art. 1)  e
previsto, per altro verso, la contestuale trasformazione (art. 5) dei
relativi  fondi  pensionistici  (tra  i  quali va annoverato anche il
Fondo  Cariplo)  in  fondi  integrativi  dell'assicurazione  generale
obbligatoria,  restando  affidata  a  questi  ultimi  la  funzione di
garantire  il trattamento previdenziale complessivo di miglior favore
gia'   goduto   (art. 4,  comma  1),  attraverso  l'erogazione  della
differenza  rispetto  alla  pensione,  o  quota di pensione, a carico
della gestione speciale (art. 4, comma 2).
    Il  criterio,  desumibile  dalla  normativa  teste' ricordata, di
ricondurre  il  personale  in  parola  nell'ambito delle disposizioni
dell'assicurazione   generale   obbligatoria,   sia  pure  attraverso
l'iscrizione  ad  una  gestione  speciale,  e' stato, poi, confermato
dalle  successive  norme  intervenute in materia (artt. 9 del decreto
legislativo  n. 503  del  1992  e 3, comma 19, della legge n. 335 del
1995), le quali hanno anche provveduto ad individuare le disposizioni
della disciplina generale applicabili ai fondi aziendali integrativi,
con riflessi sul trattamento complessivo di cui all'art. 4 del citato
decreto  legislativo  n. 357  del  1990,  facendo,  pero',  salva  la
facolta',  per la contrattazione collettiva, di disporre diversamente
e  cioe', in definitiva, la facolta' di rinegoziare e ripristinare il
regime di miglior favore.
    2.2. - Nel  delineato  contesto  ha  trovato  attuazione,  con il
decreto  legislativo  21  aprile  1993,  n. 124  (e  le "disposizioni
correttive"  ad esso immediatamente apportate dal decreto legislativo
30  dicembre  1993,  n. 585), anche il disposto dell'art. 3, comma 1,
lettera  v),  della  citata  legge n. 421 del 1992, dettandosi, da un
lato,  la  complessiva  disciplina  delle  nuove forme pensionistiche
complementari e, segnatamente, le regole per la scelta del regime dei
fondi  (a  contribuzione  definita o a prestazione definita: art. 2),
per  l'istituzione  dei  fondi  medesimi (art. 3), per i requisiti di
accesso    alle   prestazioni   pensionistiche   (art. 7),   per   il
finanziamento  dei  fondi  (art. 8)  e  per il regime di agevolazioni
tributarie  (artt. 13  e  14) e, dall'altro, provvedendosi a regolare
(art. 18)  quelle  stesse  forme  pensionistiche che risultavano gia'
istituite  alla  data  di entrata in vigore della legge delega n. 421
del 1992.
    In occasione delle ulteriori disposizioni modificatrici contenute
nella  legge  8 agosto 1995, n. 335 (artt. 3, comma 25, e da 4 a 16),
il  legislatore  ha  introdotto  anche  la  norma  che,  per le forme
complementari  gia'  istituite  alla  data di entrata in vigore della
legge  n. 421 del 1992, le quali garantiscono prestazioni definite ad
integrazione  del  trattamento  pensionistico obbligatorio, subordina
l'accesso   alle   prestazioni   integrative  alla  liquidazione  del
trattamento  obbligatorio (art. 15, comma 5, che ha aggiunto il comma
8-quinquies  al  citato  art. 18  del  decreto legislativo n. 124 del
1993).
    2.3. - In  linea  con  tale  tendenza  limitativa  si e' venuto a
porre, infine, il denunciato art. 59, comma 3, della legge n. 449 del
1997, nel prevedere che "a decorrere dal 1o gennaio 1998, per tutti i
soggetti   nei   cui   confronti   trovino   applicazione   le  forme
pensionistiche definite in aggiunta o ad integrazione del trattamento
pensionistico    obbligatorio...    il    trattamento   si   consegue
esclusivamente in presenza dei requisiti e con la decorrenza previsti
dalla disciplina dell'assicurazione obbligatoria di appartenenza".
    Giova,  peraltro, precisare che l'enunciato divieto di conseguire
il  trattamento  integrativo, prima della maturazione dei requisiti e
della  decorrenza  della pensione in regime obbligatorio, non riveste
carattere assoluto, giacche' lo stesso comma 3 dell'art. 59 consente,
proprio  in  riferimento  ai  regimi  aziendali integrativi di cui al
decreto  legislativo n. 357 del 1990, di discostarsene, abilitando la
contrattazione   collettiva,   nei   casi   di   ristrutturazione   o
riorganizzazione  aziendale  che  determinano esuberi di personale, a
"diversamente   disporre,   anche  in  deroga  agli  ordinamenti  dei
menzionati regimi aziendali".
    Cosi'  come  ad  accordi  sindacali  e'  rimessa,  da parte della
medesima  disposizione  in esame, la determinazione di trasformare le
forme pensionistiche a prestazione definita in forme pensionistiche a
contribuzione definita.

    3. - Alla  stregua  dell'evidenziato  quadro  normativo  non puo'
essere posta in dubbio la scelta del legislatore, enunciata sin dalla
legge  23 ottobre 1992, n. 421, e, via via, confermata nei successivi
interventi,  di  istituire  -  cosi' come, del resto, non sfugge allo
stesso   rimettente  -  un  collegamento  funzionale  tra  previdenza
obbligatoria  e previdenza complementare, collocando quest'ultima nel
sistema dell'art. 38, secondo comma, della Costituzione.
    E  cio' secondo una tendenza riformatrice la cui portata e' stata
gia'  colta,  anche per quanto attiene alle implicazioni di carattere
costituzionale, dalla giurisprudenza di questa Corte, quando, proprio
in  virtu'  dell'accennato  collegamento funzionale, ha avuto modo di
affermare  che,  a  seguito della legge delega n. 421 del 1992, cosi'
come  attuata dal decreto legislativo n. 124 del 1993, la definizione
legislativa dei fondi complementari, come "fondi di previdenza ... al
fine  di assicurare piu' elevati livelli di copertura previdenziale",
ha  inserito  gli  stessi  nel  sistema dell'art. 38, tanto che, dopo
queste   leggi,   le   contribuzioni   degli   imprenditori  al  loro
finanziamento  non possono piu' definirsi "emolumenti retributivi con
funzione    previdenziale",    ma   costituiscono,   strutturalmente,
contributi  di  natura previdenziale, come tali estranei alla nozione
di  retribuzione  imponibile  agli  effetti  dell'assicurazione  INPS
(sentenza n. 421 del 1995).
    Ne' a tale conclusione contraddice il contributo di solidarieta',
imposto dalla legge, sulle somme versate dai datori di lavoro a detti
fondi,  trattandosi,  come  la  Corte  stessa  ha  precisato,  di una
contropartita  necessaria  di  tale  estraneita', in esplicazione del
"principio   di   razionalita'-equita'  (art. 3  della  Costituzione)
coordinato   col   principio  di  solidarieta',  con  il  quale  deve
integrarsi   l'interpretazione  dell'art. 38,  secondo  comma,  della
Costituzione".  E  questo  onde  far si' che la tutela dell'interesse
individuale  dei  lavoratori  ad  usufruire  di  forme  di previdenza
complementare  non  vada  disgiunta,  in  misura proporzionata, da un
"dovere  specifico  di  cura  dell'interesse  pubblico a integrare le
prestazioni   previdenziali,   altrimenti  inadeguate,  spettanti  ai
soggetti  economicamente  piu'  deboli"  (sentenze  n. 421  del 1995,
n. 292 del 1997, n. 178 del 2000).
    3.1. - Alla    luce   anche   dei   chiarimenti   addotti   dalla
giurisprudenza   costituzionale,  e'  da  ritenere,  dunque,  che  la
disposizione  denunciata si collochi nel delineato disegno normativo,
quale   coerente  espressione,  essa  stessa,  del  ricordato  legame
funzionale.  E cio', con l'intento, per un verso, di accomunare sotto
la  medesima disciplina fondi integrativi e aggiuntivi, quale che sia
la  loro  fonte  istitutiva  (legale  o  contrattuale, obbligatoria o
facoltativa)   ed  il  settore  interessato  (dipendenti  pubblici  o
privati),  si'  da  conferire omogeneita' al complessivo ambito della
previdenza   complementare,  e,  per  altro  verso,  di  precisare  e
generalizzare, per quanto potesse occorrere, il divieto di conseguire
il  relativo  trattamento  a  prescindere  dalle  regole  vigenti per
l'assicurazione  generale  obbligatoria,  secondo un criterio, per il
vero, al quale si rifa' anche la gia' ricordata precedente previsione
del comma 5 dell'art. 15 della legge n. 335 del 1995.
    Nell'accennata ottica di armonizzazione, resa ancor piu' evidente
dalla uniforme disciplina dettata, per tutte le forme pensionistiche,
in tema di capitalizzazione (art. 59, comma 2, della legge n. 449 del
1997)  e  perequazione  delle relative prestazioni (art. 59, comma 4,
della  citata  legge),  nonche'  di  regime di cumulo tra prestazioni
stesse  e  redditi  da  lavoro  dipendente  ed  autonomo  (ancora  il
menzionato comma 4), il censurato comma 3 dell'art. 59 opera, dunque,
in   funzione   riequilibratrice   del   sensibile  scostamento  che,
altrimenti,   si   sarebbe   determinato  tra  disciplina  dei  fondi
integrativi  e disciplina del regime obbligatorio, dopo quelle scelte
legislative  di  riforma  che hanno reso piu' restrittivo, attraverso
l'innalzamento  dell'eta'  pensionabile e del requisito contributivo,
l'accesso  al pensionamento di vecchiaia e di anzianita' previsto nel
regime generale.
    Uno  scostamento,  quello  appena  ricordato,  che, in proiezione
futura,  avrebbe,  da un lato, sensibilmente inciso sul gettito della
contribuzione   al  sistema  obbligatorio  di  base,  e,  dall'altro,
determinato  un  onere  insostenibile  a carico dei fondi integrativi
erogatori di prestazioni definite, in quanto tenuti a sopportare, per
un  piu'  lungo  periodo,  l'obbligo di erogazione del trattamento di
integrazione  rispetto a quello dell'assicurazione generale. E cio' a
tacere  della ben piu' gravosa eventualita' dell'assunzione, da parte
dei  medesimi, di detto onere in via definitiva, nelle ipotesi in cui
a  fronte di prestazioni integrative destinate ad assolvere anche una
funzione  sosti  tutiva  - per essere le medesime comunque assicurate
nel caso di accesso anticipato rispetto al trattamento di base (cosi'
come  previsto per i regimi integrativi di cui al decreto legislativo
n. 357  del  1990,  e  tra  questi  il  Fondo  Cariplo)  -  si  fosse
determinata  l'impossibilita' per l'iscritto di accedere, per difetto
del   requisito   di   contribuzione,   al   trattamento  del  regime
obbligatorio.
    Si  puo',  pertanto,  concludere  nel  senso  che, nel rammentato
contesto  normativo,  in  cui  il  nesso  strutturale  tra previdenza
obbligatoria   e   previdenza   complementare  e'  stato  voluto  dal
legislatore  quale momento essenziale della complessiva riforma della
materia, la disciplina censurata concorre ad assicurare funzionalita'
ed  equilibrio  all'intero  sistema  pensionistico, in corrispondenza
dell'obiettivo  perseguito  dal  legislatore  di  coniugare l'entita'
della spesa pensionistica, da ricondurre a parametri sostenibili, con
un   piu'   adeguato   livello   di  copertura  previdenziale.  Giova
considerare,  per  altro  verso,  che  la disciplina di cui trattasi,
benche'  non incida in via diretta ed immediata sulla spesa pubblica,
non   risulta,   contrariamente   a   quanto   sembrerebbe   assumere
l'ordinanza,  del  tutto  indifferente per quest'ultima, se non altro
perche' concorre ad escludere quelle distonie tra previdenza pubblica
e  previdenza  complementare,  entrambe  ormai componenti del sistema
stesso, che potrebbero indurre ripercussioni negative, anche d'ordine
finanziario,  sui  rispettivi  ambiti  (come,  ad  esempio, la minore
contribuzione  all'INPS,  da un lato, e i maggiori oneri a carico dei
fondi   integrativi,  dall'altro)  e,  in  definitiva,  sulla  tenuta
complessiva del sistema delle assicurazioni sociali.

    4. - Tanto   premesso,   deve   reputarsi  privo  di  fondamento,
anzitutto,  il  dubbio di costituzionalita' che il rimettente solleva
nei  confronti  del  censurato art. 59, comma 3, sotto il profilo del
contrasto con l'art. 39 della Costituzione, a causa della lesione che
esso recherebbe alla iniziativa e alla liberta' sindacale.
    Come  la  Corte  ha piu' volte rammentato, l'autonomia collettiva
non esclude la configurabilita' di limiti legali, potendo essa venire
compressa o, addirittura, annullata nei suoi esiti concreti, non solo
quando  introduca un trattamento deteriore rispetto a quanto previsto
dalla  legge,  ma anche quando sussista l'esigenza di salvaguardia di
superiori  interessi  generali  (sentenze n. 143 del 1998, n. 124 del
1991  e  n. 34  del  1985).  E  cio'  tanto  piu'  se  la  cura  e la
regolamentazione   di  tali  interessi  costituiscano  attuazione  di
precetti costituzionali (sentenze n. 697 del 1988 e n. 120 del 1963).
    Talche',  una  volta riconosciuto - come, del resto, non manca di
ammettere  lo  stesso giudice a quo - che la norma denunciata si pone
come  espressione della tendenza, ormai radicata nell'ordinamento, ad
assegnare  alla  previdenza  integrativa il compito di concorrere, in
collegamento  con quella obbligatoria, alla realizzazione degli scopi
enunciati   dall'art. 38,  secondo  comma,  della  Costituzione,  non
possono  non  trovare  giustificazione  i limiti ed i vincoli addotti
all'autonomia  collettiva,  per  quanto  attiene,  segnatamente, alla
disciplina dell'accesso ai relativi trattamenti.
    Va,  del  resto, aggiunto che la peculiare conformazione data dal
legislatore  agli  assetti  pensionistici integrativi non e' priva di
contropartite,  rinvenibili segnatamente nella normativa di favore di
cui  i fondi godono dal punto di vista tributario, in virtu' di ampie
agevolazioni,  volte  a  sostenere e favorire la crescita dell'intero
sistema della previdenza complementare (tra le varie disposizioni, si
rammentano:  artt. 13  e  14 del decreto legislativo n. 124 del 1993,
come  modificati  dagli  artt. 11  e  12 della legge n. 335 del 1995;
art. 18,  commi  1  e  7, del medesimo decreto legislativo n. 124 del
1993,  come  modificato  dall'art. 15  della  citata legge n. 335 del
1995; art. 3, comma 2, lettera a), del decreto legislativo n. 314 del
1997; art. 8 del decreto legislativo n. 299 del 1999 e, da ultimo, il
decreto  legislativo  18 febbraio 2000, n. 47, recante la riforma, in
vigore  dal  prossimo  1o giugno 2001, della disciplina fiscale della
previdenza   complementare,   emanato   in  attuazione  della  delega
conferita al Governo dall'art. 3 della legge 13 maggio 1999, n. 133).
Agevolazioni  che,  risolvendosi,  tra  l'altro,  in  un onere per la
fiscalita'  generale,  in  tanto  si  giustificano in quanto si tenga
conto   anche   dei  limiti  apportati  all'esercizio  dell'autonomia
collettiva.
    E questo a tacere, comunque, del fatto che non risulta trascurato
dal  legislatore  un  opportuno  contemperamento  degli interessi che
vengono  in  rilievo  nello  specifico  ambito, ove si consideri che,
proprio  con  riferimento  ai  regimi aziendali integrativi di cui al
decreto  legislativo  n. 357  del  1990,  i  vincoli introdotti dalla
denunciata disposizione - quanto ai modi e tempi di conseguimento del
relativo  trattamento  pensionistico (e comunque non gia' alla misura
dello  stesso,  contrariamente  a quanto ipotizzato dal rimettente) -
sono   suscettibili   di   deroga,   ad  opera  della  contrattazione
collettiva,  nei  casi  in  cui emerga la necessita' di interventi di
ristrutturazione  o  riorganizzazione  aziendale, dai quali derivi un
esubero di personale (art. 59, comma 3).
    Una  circostanza,  questa,  che  evidenzia  - in contrasto con la
assolutezza del postulato dal quale sembra muovere il giudice a quo -
il   recupero   della   piena   competenza  sulla  materia  da  parte
dell'autonomia  collettiva in momenti in cui si pone l'esigenza della
concreta  ponderazione  degli  effetti complessivi, non ultimi quelli
finanziari,  dell'esubero  di  personale  sul fondo pensionistico che
dovra' sopportare i relativi costi.
    Sullo  stesso  piano  non  puo',  del  pari, ignorarsi la riserva
all'iniziativa  sindacale della facolta', prevista dalla stessa norma
denunciata, di operare la trasformazione delle forme pensionistiche a
prestazione   definita   in   forme  pensionistiche  a  contribuzione
definita.

    5. - Non  sussiste  neppure  la  dedotta  violazione dell'art. 41
della Costituzione, parametro evocato dal giudice a quo per lamentare
la  compromissione  che  il  principio di libera iniziativa economica
subirebbe   a   causa   dei   condizionamenti  recati,  all'autonomia
organizzativa e gestionale dei fondi di previdenza complementare, dai
vincoli di allineamento alle prestazioni pensionistiche del regime di
base.
    A  questo  proposito, e' da ricordare, in linea di principio, che
la  liberta'  di iniziativa economica, cui il precetto costituzionale
si  riferisce, e' quella che, come questa Corte ha avuto occasione di
chiarire,   trova   il   suo   normale   svolgimento   nell'esercizio
dell'impresa  (sentenza  n. 268  del  1994), giovandosi di una tutela
assicurata, indirettamente, anche all'autonomia negoziale, nei limiti
in cui questa costituisca strumento, per l'appunto, di tale esercizio
(vedi la gia' citata sentenza n. 268 del 1994, nonche', tra le altre,
sentenze n. 241 del 1990 e n. 159 del 1988).
    Cio'   posto,  pur  ammettendo  che  un  fondo  pensionistico  di
previsione  legale,  quale  quello  Cariplo,  destinato, in forza del
decreto  legislativo  n. 357  del 1990, alla garanzia del trattamento
previdenziale  di miglior favore degli iscritti (art. 5, comma 2, del
citato  decreto  legislativo),  possa rientrare nell'ambito di tutela
del  menzionato  art. 41 della Costituzione, resterebbe pur sempre da
considerare    che    la    lamentata   compressione   dell'autonomia
organizzativa  e  gestionale  dei  fondi  null'altro  sarebbe  che un
effetto riflesso della sostituzione della fonte eteronoma a quella di
matrice  collettiva;  sostituzione nella quale il rimettente ravvisa,
come   gia'   detto,   un  attentato  all'autonomia  sindacale  quale
"ineludibile  momento  di  definizione  delle  contribuzioni  e delle
prestazioni"  del  Fondo  Cariplo  (come, in effetti, si e' avuto per
tramite,  in  particolare,  dell'accordo  aziendale dell'aprile 1994,
richiamato dall'ordinanza di rimessione).
    In  questi  termini  e'  evidente  che  la  doglianza  non assume
autonomo  rilievo rispetto all'altra di violazione dell'art. 39 della
Costituzione, nella quale resta, pertanto, assorbita.
    In  ogni  caso, pur a prescindere da quanto teste' osservato, non
potrebbe  qui  non  valere  l'orientamento gia' altre volte da questa
Corte  espresso,  nel  senso  che  anche  l'autonomia  negoziale e la
liberta'  di  iniziativa  privata  devono comunque cedere di fronte a
interessi  di  ordine  superiore,  economici  e sociali, che assumono
rilievo a livello costituzionale.

    6. - Le  finalita'  ed  i  criteri ai quali, secondo quanto sopra
detto,  si ispira la norma denunciata consentono di superare anche la
residua censura concernente la lamentata violazione dell'art. 3 della
Costituzione,  dovuta, secondo l'ordinanza, ad una disciplina che non
contemplerebbe,  diversamente  dal  regime precedente, "alcun esonero
dal divieto di anticipata prestazione", e che, violando il "principio
dell'affidamento",  comprometterebbe  situazioni  ormai  consolidate,
senza  che  il  sacrificio  imposto  comporti benefici per la finanza
pubblica.
    Proprio  sul  piano della verifica di quella congrua ponderazione
dei  vari  interessi  che  l'ordinanza parrebbe sollecitare, occorre,
anzitutto,  ricordare che l'affidamento del cittadino nella sicurezza
giuridica non impedisce al legislatore di emanare norme modificatrici
della  disciplina  dei  rapporti di durata in senso sfavorevole per i
beneficiari,   quando   tali   disposizioni   non  trasmodino  in  un
regolamento  irragionevole di situazioni sostanziali fondate su leggi
precedenti.
    Nel  caso  oggetto  di  scrutinio, la censurata disposizione, nel
fissare  al  1o  gennaio  1998  il  momento dal quale viene a trovare
applicazione  (anche  per le prestazioni che qui interessano, e cioe'
quelle  dei  fondi  disciplinati  dal  decreto legislativo n. 357 del
1990)  la  regola che non consente il conseguimento delle prestazioni
dei  fondi  se non in concomitanza con quelle proprie del trattamento
obbligatorio,  non  puo'  non  riguardare,  come e' ovvio, che quelle
fattispecie  pensionistiche, afferenti alla previdenza complementare,
che, all'epoca, non erano ancora giunte a compimento.
    Cio'  posto,  le  finalita'  di  raccordo  delle  varie  forme di
previdenza  complementare  con  il trattamento pensionistico di base,
sulle  quali  si e' gia' avuta occasione di indugiare, dimostrano non
solo che la norma non si puo' reputare irragionevole, ma che essa non
prescinde, nemmeno, contrariamente a quanto assunto dal giudice a quo
da  considerazioni  relative  alle  esigenze di equilibrio del quadro
complessivo della finanza pubblica. Al tempo stesso, non puo' neppure
dirsi  che  la  disciplina introdotta escluda ogni ipotesi di esonero
dal  divieto  di  anticipata  prestazione,  trovando  cio'  smentita,
infatti,  nella  circostanza  che,  seppure a fronte di significative
congiunture,  il  vincolo  imposto al conseguimento delle prestazioni
integrative   del   trattamento   di   base  risulta,  per  le  forme
pensionistiche  di  cui  al  decreto legislativo n. 357 del 1990, non
solo   sensibilmente  attenuato,  ma,  in  definitiva,  rimesso  alla
disponibilita'   delle   parti   sociali,   con   adeguato  opportuno
apprezzamento,   dunque,  delle  aspettative  dei  destinatari  delle
prestazioni.
                          Per questi motivi

                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  non fondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 59,  comma  3, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure
per   la  stabilizzazione  della  finanza  pubblica),  sollevata,  in
riferimento  agli artt. 3, 39 e 41 della Costituzione, dal pretore di
Milano con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta il 13 luglio 2000.
                      Il Presidente: Mirabelli
                         Il redattore: Vari
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 28 luglio 2000.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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