N. 460 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 maggio 2000

Ordinanza  emessa il 2 maggio 2000 dal tribunale di Reggio-Emilia nel
procedimento  civile  vertente  tra  Carpanoni  Francesco e Khalikane
Miloudi

Notificazioni  e  comunicazioni - Notificazione a mezzo posta di atti
giudiziari   -   Assenza   del   destinatario  e  rifiuto,  mancanza,
inidoneita' o assenza delle altre persone abilitate a ricevere l'atto
-  Deposito del piego presso l'ufficio postale e avviso dell'avvenuto
deposito  a  mezzo raccomandata con avviso di ricevimento - Ulteriori
condizioni  perche'  la  notificazione  possa  ritenersi  validamente
effettuata   in   base   alla   sentenza   n. 346/1998   della  Corte
costituzionale  -  Decorrenza  di  un  termine  congruamente lungo di
giacenza  del piego presso l'ufficio postale - Mancata determinazione
di tale termine da parte del legislatore - Ritenuta impossibilita' di
far  riferimento al decorso di "dieci giorni dalla data del deposito"
(di  cui  all'art. 8,  quarto comma, legge n. 890/1982) - Conseguente
esistenza  di  un  vuoto  normativo  idoneo  a ledere il principio di
eguaglianza  (stante  la possibilita' di interpretazioni diverse e di
conseguenti  provvedimenti  difformi da parte dei giudici) - Virtuale
disparita'  di  trattamento di casi identici - Violazione del diritto
di difesa del notificatario.
- Legge 20 novembre 1982, n. 890, art. 8, quarto comma.
- Costituzione, artt. 3 e 24.
(GU n.36 del 30-8-2000 )
                            IL TRIBUNALE

    Sciogliendo la riserva formulata all'udienza del 23 marzo 2000 ed
  esaminati  gli  atti  del  procedimento  iscritto  al  n. 2443/1999
  r.g.a.c., osserva.
    Con  atto  di  intimazione di sfratto per morosita' e contestuale
  citazione  per  la  convalida  dello  stesso,  Carpanoni Francesco,
  rappresentato  e  difeso  dall'avv.  Paolo  Coli,  giusta procura a
  margine   dell'atto   introduttivo,  conveniva  in  giudizio  certo
  Khalikane  Miloudi.  La  notificazione  veniva eseguita a mezzo del
  servizio  postale  e  -  dopo  una prima rinnovazione - avveniva in
  conformita'  con  le  previsioni  dell'art.  8  legge  n. 890/1982.
  All'udienza   di   comparizione,   non  costituitosi  ne'  comparso
  personalmente  l'intimato,  parte attrice dichiarava la persistenza
  della morosita' e chiedeva convalidarsi lo sfratto.
    La  mancata comparizione dell'intimato impone, in primo luogo, di
  esaminare la ritualita' della notificazione dell'atto di citazione.
    Tale   notificazione   e'   stata   eseguita,   come  detto,  con
  raccomandata postale. In particolare, risulta dall'esame degli atti
  che  l'ufficiale  postale,  recatosi  presso  il luogo indicato sul
  piego  da  recapitare  e non avendovi rinvenuto ne' il destinatario
  dello stesso ne' alcuno cui consegnarlo, ha provveduto a depositano
  presso l'ufficio postale ed ha dato avviso di tale deposito a mezzo
  di  altra  raccomandata,  secondo  le  previsioni del citato art. 8
  legge   n. 890/1982  come  integrato  dall'intervento  della  Corte
  costituzionale.
    Con  sentenza n. 346 del 23 settembre 1998 la Consulta ha infatti
  dichiarato  l'incostituzionalita'  della  norma  in questione nella
  parte  in  cui non prevede che, in caso di assenza del destinatario
  di  una notificazione effettuata mediante il servizio postale (e di
  rifiuto,  mancanza,  inidoneita'  o  assenza  delle  altre  persone
  abilitate a ricevere l'atto), al destinatario sia data notizia, con
  raccomandata  con  avviso  di  ricevimento,  del  compimento  delle
  formalita'  prescritte  e  del  deposito del piego presso l'ufficio
  postale, in analogia con quanto previsto all'art. 140 c.p.c.
    Ancora  in  analogia  con  quanto disposto dalla citata norma del
  codice  di  rito  ed  in  ossequio ad altra statuizione della Corte
  contenuta  nella  sentenza  appena  citata,  il  piego in parola e'
  rimasto giacente presso l'ufficio postale ed al mittente sono stati
  restituiti, dopo il decorso del termine di dieci giorni di giacenza
  di  cui  al  quarto  comma della norma in esame, solo gli avvisi ex
  art. 8,  terzo  comma,  come  novellato  ed  ex  art.  660,  ultimo
  comma c.p.c.
    A fronte dell'apparente regolarita' dell'iter di notifica, questo
  giudice  ritiene  di  dovere  verificare  se il citato quarto comma
  dell'art.  8  legge n. 890/1982, dopo l'intervenuta declaratoria di
  incostituzionalita'  della  norma  nella parte sopra ricordata, sia
  ancora costituzionalmente legittimo.
    Le  brevi  considerazioni  di cui infra possono essere sin da ora
  riassunte  nel quesito se il termine di "dieci giorni dalla data di
  deposito"   del   piego  presso  l'ufficio  postale  possa  tuttora
  rappresentare   lasso   di   tempo   necessario  e  sufficiente  al
  perfezionamento della notifica. La domanda trova ragione, ad avviso
  di  questo  giudice, sia nella gia' dichiarata illegittimita' della
  norma  nella  parte  in cui disponeva che, decorsi dieci giorni dal
  deposito del piego senza che dello stesso venisse curato il ritiro,
  ne venisse fatta restituzione al mittente, sia nelle stesse ragioni
  che hanno a suo tempo indotto il giudice delle leggi a censurare la
  norma.
    Appare  opportuno  premettere  che  non si ignora l'obiter dictum
  della  sentenza  n. 346/1998  citato,  secondo  cui la pronunzia di
  incostituzionalita'  del  terzo  comma  "non concerne in alcun modo
  l'individuazione del termine perfezionativo della notificazione (in
  relazione  al  quale  dispone  il  quarto  comma del citato art. 8)
  bensi'  la  legittimita' della norma che dispone la restituzione al
  mittente  del  piego  non  ritirato  dal destinatario entro i dieci
  giorni  dal  deposito  presso  l'ufficio postale" (part. 5.2, sent.
  cit.).
    La  sede  dall'affermazione  (nella  parte motiva della sentenza)
  consente   al   giudice   di   non  uniformarsi  al  principio,  ma
  l'autorevolezza  della  fonte  impone, in tal caso, di procedere ad
  un'analisi quanto piu' puntuale e scrupolosa della questione.

    I. - Una  prima  osservazione  e' di carattere "pratico" e sembra
  potersi articolare sotto i due profili che seguono.
        I.a - In  mancanza,  allo  stato, della previsione di altro e
  maggiore  termine  di giacenza del piego presso l'ufficio postale -
  temine  la  cui  eventuale  fissazione e' demandata al legislatore,
  come  sottolineato  dalla  stessa  Consulta,  secondo cui il limite
  della     discrezionalita'     normativa    "sara'    rappresentato
  esclusivamente dal diritto di difesa del destinatario, in relazione
  al  quale  deve  ritenersi  illegittima  qualsiasi  disciplina che,
  prevedendo la restituzione del piego al mittente dopo un termine di
  deposito eccessivamente breve, pregiudichi la concreta possibilita'
  di conoscenza del contenuto dell'atto da parte del destinatario del
  medesimo"  (par.  5.2  cit.) - qual e' il lasso di tempo decorso il
  quale la notifica puo' intendersi validamente effettuata?

    Sembra  infatti  che  validita' ed efficacia della notifica siano
  due  aspetti che, nell'impianto attuale della norma, non coincidono
  temporalmente. Posto, cioe', che gli effetti della notifica inizino
  ad  esplicarsi "decorsi dieci giorni dalla data del deposito" (come
  dispone  il  quarto comma della norma in esame, se ritenuto tuttora
  legittimo),  occorrera'  tuttavia e comunque che la notifica sia in
  se'  valida,  abbia  cioe' rispettato quanto necessario alla tutela
  del  diritto  di  difesa  del  destinatario dell'atto. E' la stessa
  Corte   a  sottolineare  l'importanza  e  l'autonomia  di  siffatto
  requisito proprio nel censurare la parte della norma gia' ricordata
  e  nell'affermare  che  l'atto da notificare deve rimanere giacente
  presso   l'ufficio   postale  per  un  lasso  di  tempo  idoneo  ad
  assicurarne  la conoscibilita' - e certamente superiore a quello di
  dieci  giorni, ritenuto "del tutto inidoneo, per la sua brevita', a
  garantire l'effettiva possibilita' di conoscenza" (par. 5.2 cit.).
    Quando potra' dunque ritenersi verificato il raggiungimento dello
  scopo  della  notifica  (eventuale  nella realta', necessario nella
  finzione  legale):  quello  di  portare  l'atto  a  conoscenza  del
  destinatario?  Solo  allo  scadere  del  termine di giacenza che il
  legislatore  intendesse  fissare - e, ripetersi, certo superiore ai
  dieci  giorni  pure  ipoteticamente  sufficienti  per "l'efficacia"
  della  notifica - il giudice potrebbe ritenere validamente compiuta
  la  notifica  stessa, ferma la retroattivita' dei suoi effetti allo
  scadere  del  decimo giorno dal deposito dell'atto presso l'ufficio
  postale.
  Ne'   alla   mancanza  di  un  tale  termine  puo'  sopperirsi  con
  l'estensione all'art. 8 cit. dell'interpretazione data all'art. 140
  c.p.c.,   che   vuole  il  compimento  della  notifica  al  momento
  dell'esecuzione,   da   parte   dell'ufficiale  giudiziario,  della
  formalita'  previste  dalla  norma.  Vi  osta,  qui, sia l'espressa
  previsione  di  un  termine  maggiore  per il perfezionamento della
  notifica - o meglio, per l'individuazione della sua efficacia (che,
  ripetesi,  si ha solo dopo che sono decorsi dieci giorni dalla data
  del  deposito  del  piego)  -  sia  il  fatto che la diversita' del
  soggetto  notificante  (l'agente  postale  in  luogo dell'ufficiale
  giudiziario)  non  consente  di  estendere  de  plano la disciplina
  particolare   del   codice  di  rito  in  mancanza  di  un'espressa
  indicazione  normativa  in  tal  senso.  E'  vero  che la ravvisata
  analogia  dell'ipotesi  considerata dell'art. 8, legge n. 890/1982,
  con  quella  dell'art.  140  cit.,  oltre ad essere stata strumento
  ermeneutico per pervenire alla dichiarazione di incostituzionalita'
  piu'  volte  citata,  ha indotto la Corte a richiamare l'attenzione
  del  legislatore  sulla possibilita' di farvi ricorso nel prevedere
  una  "nuova"  disciplina delle notifiche a mezzo posta per la parte
  che  qui  interessa,  ma tale analogia non puo' certo essere sin da
  ora    sufficiente    per    consentire   al   singolo   interprete
  un'integrazione diretta della norma.
    Al  contrario,  proprio  il  fatto  che  la  Consulta  rimetta al
  legislatore l'adozione di regole anche diverse (par. 5.2 cit.), con
  il  solo  "limite  ...  del  diritto  di  difesa  del destinatario"
  (ibidem),  gia'  menzionato, denota la mancanza, allo stato, di una
  previsione  relativa  al  termine di giacenza dell'atto e dunque di
  (verifica della) "validita'" della notifica.
    Non  potendo  pertanto l'interpete evincere dalla norma quale sia
  il  termine  "congruamente  lungo"  di giacenza del piego e dovendo
  esso  interprete tuttavia attendere che un tale termine sia decorso
  per  ritenere la notifica validamente compiuta - cioe' compiuta con
  modalita'   idonee  a  consentire  al  destinatario  la  conoscenza
  virtuale  dell'atto - sembra doversi pervenire alla conclusione che
  la  disposizione  in  parola,  dopo  l'intervento  della  Consulta,
  presenta  un  voto normativo in se' idoneo a ledere il principio di
  eguaglianza   di   cui   all'art.  3  Cost.  Tale  vuoto,  infatti,
  ipoteticamente  suscettibile  di  essere colmato da interpretazioni
  diverse  da  parte  dei  diversi  giudici  cui  la  questione fosse
  sottoposta,  comporterebbe  virtuali  disparita'  di trattamento in
  casi evidentemente identici.

        I.b - Altro  profilo  pratico che sembra costituire possibile
  causa   di  provvedimenti  difformi  in  casi  identici  e'  quello
  riguardante  l'applicazione dei commi quinto e sesto della norma in
  esame  (tuttora  vigenti  nell'originaria  formulazione),  i  quali
  prevedono  espressamente  che  se  "durante la permanenza del piego
  presso  l'ufficio  postale  il  destinatario o un suo incaricato ne
  curi  il  ritiro ... (quinto) [la] notificazione si ha per eseguita
  alla data di ritiro del piego (sesto)". Il combinato disposto dalle
  norme  fa  riferimento generico al periodo di "permanenza del piego
  presso  l'ufficio postale" e non si rinvengono ragioni per limitare
  a  dieci  giorni  il lasso di tempo nell'ambito del quale il ritiro
  del   piego   da   parte   del   suo   destinatario   determini  il
  perfezionamento   della   notifica.   Qid   iuris,  dunque,  se  il
  destinatario ritiri il piego l'undicesimo giorno (o qualsiasi altro
  successivo  al  decimo)  dal deposito dello stesso presso l'ufficio
  postale?  In quale momento dovra' il giudice ritenere verificato il
  compimento  della  notifica?  Anche  in  questo  caso, la possibile
  eterogeneita'  delle  determinazioni,  non  confortate  da  un dato
  normativo  positivo, induce a temere la violazione del principio di
  uguaglianza gia' richiamato.

    II. - Una seconda considerazione e' di carattere teorico.

    Nella ridetta sentenza n. 346/1998 la Consulta si preoccupa, come
  visto, della necessita' di consentire al destinatario dell'atto "la
  concreta  possibilita'  di conoscenza del [suo] contenuto". E' tale
  preoccupazione  che  induce  la  Corte a valutare la congruita' del
  termine di dieci giorni per la giacenza del piego contenente l'atto
  ed  a concludere per la sua inadeguatezza, per non essere lo stesso
  sufficiente  a  consentire  al suo destinatario il relativo diritto
  di difesa.
    In  primo luogo, sembra doversi ritenere che il diritto di difesa
  cui  la sentenza citata ha avuto attenzione sia quello attinente al
  contraddittorio alla cui instaurazione la notifica e' preposta. Non
  avrebbe senso, infatti, concepire un "diritto di difesa" diverso da
  quello  che  si  contrappone  alla  pretesa  contenuta nell'atto da
  notificare  ed  avulso  dal  relativo  procedimento,  a meno di non
  prevedere  la  tutela  di  un  generico  interesse  del  soggetto a
  conoscere   quali   domande  vengano  da  altri  "agite"  nei  suoi
  confronti.  Non  sembra questo lo scopo della notifica, trattandosi
  invece,  proprio nelle chiare parole della Consulta, di adempimento
  volto   a   "consentire   l'instaurazione   del  contraddittorio  e
  l'effettivo   diritto   di  difesa"  (par.  5.1,  sent.  cit.).  La
  correlazione,   nel   passo  citato,  tra  il  "contraddittorio"  e
  l'esercizio del "diritto di difesa", prima ancora che sintattica e'
  correlazione   logica:  e'  interesse  del  legislatore  a  fissare
  condizioni  che  assicurino il diritto di un "soggetto A" ad agire,
  bilanciando  le  esigenze di questi con quelle del "soggetto B" che
  deve difendersi.
    Per  raggiungere  lo  scopo processuale appena ricordato si rende
  necessaria  la  finzione  legale,  la  costruzione  di un paradigma
  normativo  rispettato  il  quale  puo' e deve ritenersi validamente
  instaurato  il  contraddittorio. E' evidente, infatti, che non puo'
  rimettersi alla verificazione degli effetti concreti (la conoscenza
  dell'atto  da  parte  di B,  suo  destinatario) la possibilita' del
  soggetto  A  di  procedere  all'esercizio  dell'azione: non solo si
  imporrebbe  cosi'  ad  A  di  soggiacere  ad  accadimenti del tutto
  indipendenti  dalla  di  lui  volonta' e diligenza, ma si finirebbe
  paradossalmente  per  condizionare  la  possibilita'  di  agire nei
  confronti  di  B  alla  "disponibilita'"  dello stesso soggetto B a
  rendersi destinatario dell'azione.
    La  creazione  del  paradigma  legale  in tanto si giustifica, in
  quanto sia in grado di bilanciare i contrapposti interessi, ed ecco
  che  sembra  potersi  concludere  per  la necessaria "specularita'"
  della  definizione:  si  potra'  ritenere validamente instaurato il
  contraddittorio  anche  laddove  uno  dei  soggetti non abbia avuto
  effettiva conoscenza dell'atto, che tale contraddittorio introduce,
  solo  laddove  sara'  stato  rispettato  quel minimum di tutela nei
  confronti  del  destinatario  dell'atto  che consiste nel creare le
  condizioni   per   la  conoscibilita'  dell'atto  medesimo,  si' da
  trasferire   in   capo  ad  esso  destinatario  la  responsabilita'
  dell'ignoranza.  Nella fattispecie che qui interessa, il minimum di
  tutela  consiste  proprio nella previsione di un termine decorso il
  quale  il giudice, preso atto del rispetto del paradigma normativo,
  accerta  la  valida  instaurazione  del  contraddittorio  e procede
  all'esame  della domanda ancorche' la stessa possa non essere stata
  conosciuta dal suo destinatario. E' la "congruita'" di tale termine
  a  fare  si'  che  non sia "ingiusto" procedere nei confronti di un
  soggetto  (virtualmente)  ignaro  dell'azione  che  viene  spiegata
  contro  di  lui.  E'  la  congruita' di tale termine a fare si' che
  possa  operarsi  la  finzione  legale che rende esistente in ambito
  processuale un contraddittorio assente nella realta' fattuale.
    Ebbene,   tale   termine  non  puo'  che  essere  uguale  per  il
  notificante  ed  il notificatario: solo nel momento in cui viene ad
  esaurirsi  il  lasso  di  tempo  consentito  al  notificatario  per
  prendere  eventuale  conoscenza  dell'atto,  nel  rispetto  del suo
  diritto  di  difesa,  si  potra' considerare raggiunto lo scopo del
  notificante,  di convenire ritualmente in giudizio altro soggetto e
  di  renderlo  parte  di  tale  giudizio,  ancorche'  questi  ne sia
  sostanzialmente ignaro.
    L'inosservanza del termine in parola, nel privare il destinatario
  della  domanda  della  tutela  necessaria al suo diritto di difesa,
  svuota  di  contenuto  la  finzione  legale  anche  nella parte che
  riguarda  il  notificante,  che  non  potra'  ritenersi parte di un
  contaddittorio rituale.
    E'  bensi' vero che, proprio con riferimento alla norma in esame,
  si  sono operati, dalla giurisprudenza di legittimita', opportuni e
  sottili  "distinguo"  tra  gli  effetti  della notificazione per il
  notificante  e  quelli  per  il destinatario (cfr. Cass. s.u. civ.,
  5 marzo  1996,  n. 1729), tuttavia cio' non sembra avere inciso sul
  concetto  di "perfezionamento della notifica in se'", ma solo sulla
  valutazione  dei  diversi  effetti  che l'attivita' del notificante
  puo' avere nell'ambito del proprio rapporto con l'ufficio avanti il
  quale  si  procede  e  che  devono essere tenuti distinti da quelli
  relativi   al   destinatario.   E'  la  stessa  Suprema  Corte  che
  puntualmente   afferma:  "allorquando  la  notificazione  viene  in
  rilievo come compimento di attivita' da parte del notificante, alla
  quale  si collega il rispetto di un termine posto dalla legge a suo
  carico  ...  appare  razionale  che  la  tempestivita' dell'atto si
  consideri    verificata    con    il    compimento,   appunto,   di
  quell'attivita',    restando   indifferente   l'ulteriore   vacatio
  temporale  prevista  della  legge  (art.  8,  quarto  comma,  legge
  n. 890/1982  ...).  Tale  ulteriore  vacatio e' invece rilevante ai
  fini del perfezionamento della notificazione allorche' questa viene
  in  considerazione  non  come  attivita'  del  notificante  ma come
  effetto  di conoscenza per il notificato, essendo evidente che quel
  decorso   temporale   e'   appunto   preordinato  a  favorire  tale
  possibilita'   di  presa  di  conoscenza  dell'atto  da  parte  del
  destinatario  o  comunque  a  tenere  indenne  quest'ultimo, per la
  durata del decorso stesso, dagli effetti sfavorevoli (decorrenza di
  termini e simili) dell'attivita' del notificante.
    Piu'  sinteticamente,  nel primo caso il notum facere rileva come
  attivita'  e  con il compimento di questa e' realizzato, mentre nel
  secondo  rileva  come  risultato,  che  in  tanto puo' considerarsi
  raggiunto  in quanto la conoscenza effettivamente si produca con il
  ritiro  dell'atto  (art.  8, sesto comma) ovvero tutti gli elementi
  per  consentirla  o  per  propiziarla,  ivi compreso il decorso del
  tempo,  si  siano  verificati  (art.  8, quarto comma)" (Cass. s.u.
  civ., 5 marzo 1996, n. 1729, citato).
    Le  argomentazioni  che  precedono  sono  state  elaborate  dalla
  Suprema  Corte  allorche' la norma in esame non era stata censurata
  dalla  Corte costituzionale e non prendono dunque in considerazione
  il  problema  della  congruita'  del termine di dieci giorni per il
  raggiungimento dello scopo della notifica; l'assunto e' tuttavia di
  limpida  chiarezza  e  conforta  questo giudice nel ritenere che il
  risultato rilevante della notifica puo' considerarsi raggiunto solo
  quando  si  sia  verificato,  tra  gli altri elementi necessari, il
  decorso  del  tempo  idoneo  a favorire la possibilita' di presa di
  conoscenza  dell'atto  da parte del destinatario e durante il quale
  quest'ultimo   viene   tenuto  indenne  dagli  effetti  sfavorevoli
  (decorrenza  di  termini  e simili) dell'attivita' del notificante.
  Tale  tempo  e'  proprio  quello  la  cui  durata  non  puo' essere
  eccessivamente   breve,   cosi'   da   pregiudicare   "la  concreta
  possibilita'  di  conoscenza  del  contenuto dell'atto da parte del
  destinatario  medesimo"  (Corte  costituzionale citata, par. 5.2 in
  fine)  e  che  la  Corte  costituzionale  ha ritenuto dovere essere
  maggiore di dieci giorni.
    Non  sembra  dunque piu' possibile ritenere che "la notificazione
  si  ha  per  eseguita decorsi dieci giorni dalla data del deposito"
  (art. 8, quarto comma), se non mettendo a repentaglio quello stesso
  diritto  di  difesa  che la Consulta ha inteso tutelare con la piu'
  volte  ricordata  sentenza  n. 346/1998, nel rispetto del principio
  fondamentale sancito dall'art. 24 della Carta costituzionale.
    La  necessaria pregiudizialita' della questione in esame rispetto
  alla  pronunzia  sul  caso  concreto  sottoposto alla cognizione di
  questo giudice impone la sospensione del processo e la trasmissione
  degli  atti  alla  Corte  costituzionale  per  le determinazioni di
  competenza.
                              P. Q. M.
    Vista  la  legge  11  marzo 1953, n. 87, nonche' gli artt. 3 e 24
  Cost.  e  l'art.  8,  quarto  comma  della  legge 20 novembre 1982,
  n. 890;
    Ordina   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
  costituzionale;
    Sospende il giudizio in corso;
    Dispone  che  la  cancelleria  provveda  a notificare la presente
  ordinanza  alle  parti  in causa ed al Presidente del Consiglio dei
  Ministri  nonche'  a comunicarla ai Presidenti delle due Camere del
  Parlamento.
      Reggio Emilia, addi' 2 maggio 2000.
                     Il giudice: Angelini Chesi
00C0925