N. 474 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 maggio 2000
Ordinanza emessa il 19 maggio 2000 dal tribunale di Firenze nel procedimento penale a carico di Coraci Vincenzo Processo penale - Giudizio abbreviato - Modifiche normative - Diritto del pubblico ministero di intervenire sulla richiesta di rito abbreviato formulata dall'imputato - Mancata previsione - Mancata previsione, altresi', del potere del giudice di decidere sull'ammissibilita' della richiesta medesima - Ingiustificata parita' di trattamento tra imputati - Contrasto con il principio di imparzialita' e buon andamento della pubblica amministrazione - Violazione del principio di indipendenza del giudice - Lesione del principio del contraddittorio. - D.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51 (come modificato dall'art. 56, legge 16 dicembre 1999, n. 479); art. 438 cod. proc. pen. - Costituzione, artt. 3, 97, 101 e 111.(GU n.38 del 13-9-2000 )
IL TRIBUNALE Sulla questione di legittimita' costituzionale dell'art. 438 c.p.p. per violazione degli artt. 3, 101, e 111 della Costituzione, sollevata dal p.m., sentito il difensore. O s s e r v a L'imputato Coraci Vincenzo, ha oggi richiesto, ai sensi dell'art. 223, d.lgs n. 51/1998, prima dell'inizio dell'istruzione dibattimetale, il giudizio abbreviato. Nulla eccepiva il p.m. Ritiene questo giudice di dover sollevare d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 223, d.lgs. n. 51/1998, 56, legge n. 479/1999, 438 c.p.p. per violazione degli artt. 3, 79, 101 e 111 Cost. Preliminarmente deve osservarsi che nella specie e' applicabile la norma transitoria di cui all'art. 223, d.lgs n. 51/1998, la quale ha esteso la possibilita' per l'imputato, nell'ambito dei procedimenti in corso alla data del giugno 1999, di chiedere il rito abbreviato fino all'inizio della istruzione dibattimentale. Tale norma e' stata successivamente modificata dall'art. 56 della legge n. 479/1999, che ha abrogato l'inciso "acquisito il consenso del pubblico ministero", di tal che anche secondo la suddetta disposizione transitoria, l'imputato puo' chiedere il giudizio abbreviato senza che il p.m. abbia il diritto di interloquire sulla richiesta. Del resto e' la intera materia ad essere stata modificata dalla legge n. 479/1999 citata, agli artt. 438 e ss. c.p.p., che eliminando dal rito abbreviato la necessita' del consenso del pubblico ministero, ha configurato in maniera completamente diversa rispetto alla normativa previgente l'intero istituto. Ritiene il,tribunale che la suddetta normativa introdotta dalla legge n. 479 citata e' applicabile anche ai giudizi per i quali l'abbreviato viene richiesto sulla base dell'art. 223 sopracitato, in quanto, trattandosi di norme a prevalente carattere processuale, esse sono estensibili a tutti i procedimenti pendenti, e quindi anche all'attuale processo. Sulla base di tale presupposto, deve comunque valutarsi la legittimita' costituzionale dell'impianto normativo che regola l'attuale giudizio abbreviato in relazione ad alcune norme della Costituzione. Occorre innanzitutto soffermarsi sul nuovo art. 111 della Costituzione, evidenziandone i principi fondamentali. Prevede dunque il medesimo art. 111 che la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge, e che ogni processo si svolte in contraddittorio tra le parti, in condizione di parita', davanti a un giudice terzo e imparziale. Tale disposizione, a parere del tribunale, non puo' che riguardare qualsiasi fase processuale, in quanto le norme contenute nei successivi commi 4 e 5 regolano, piu' specificamente, l'applicazione del principio del contraddittorio alle sole fasi in cui viene assunta la prova. Tale distinzione, evidente alla mera lettura della norma, implica che i principi del rispetto del contraddittorio e della parita' delle parti nel processo operano sin dall'inizio del processo medesimo, e che quindi non vi e' alcuna fase svincolata dalla loro applicazione concreta. E' quindi conseguenziale ritenere che non puo' verificarsi nel processo penale alcuna situazione giuridica che consenta il suo regolare svolgimento senza che a ciascuna delle parti sia riconosciuto il diritto ad interloquire. Tale diritto non puo' ovviamente essere inteso come mera facolta' formale ad esprimersi, ma deve manifestarsi in modo tale che ad esso possa conseguire efficacia giuridica. In caso contrario il diritto a contraddire e il principio della parita' delle parti resterebbero vuoti di contenuti giuridici concreti, con la conseguenza che la norma dell'art. 111 resterebbe del tutto disattesa e quindi priva di efficacia precettiva. Nel caso in questione, dalla applicazione dei principi sopra enunciati discendono evidenti e dirette conseguenze. Non appare infatti conforme alla Costituzione non solo privare il p.m. del diritto a contraddire le richieste dell'imputato in tema di giudizio abbreviato, ma anche non attribuire alle eventuali contrarie deduzioni dell'organo dell'accusa, una qualsiasi efficacia giuridica immediata, che nel sistema attuale della legge non e' dato riscontrare. L'impianto normativo in vigore evidenzia quindi chiari dubbi di legittimita' costituzionale, perche' impedisce sia il pieno dispiegarsi del contraddittorio anche nella attuale fase processuale, sia il rispetto del principio della parita' delle parti, con ovvia e conseguente rilevanza nel processo in corso. Un ulteriore argomento inteso a raffozare le tesi sin qui esposte si rinviene nell'insegnamento della stessa Corte costituzionale, contenuto nella ordinanza 26 febbraio 1998, n. 33, secondo cui la possibilita' di adottare il rito abbreviato sulla base delle sole richieste dell'imputato in funzione dei suoi legittimi interessi di difesa, violerebbe i principi fondamentali che regolano il processo penale, intesi essenzialmente alla realizzazione dei superiori interessi della giustizia. Occorre peraltro osservare, anche in punto di rilevanza, che la possibilita' per il p.m. di contraddire su un piano di parita' la richiesta delle parti, conferendo efficacia giuridica alle sue osservazioni eventualmente contrarie alla ammissibilita' del rito, dovrebbe comportare le seguenti conseguenze: 1) o al dissenso motivato del p.m. consegue, se fondato, la prosecuzione del processo con il rito ordinario, salva la possibilita' per il giudice di riconoscere al termine dello stesso la non congruita' delle motivazioni medesime, con conseguente attribuzione dello sconto di pena all'imputato; 2) oppure dovrebbe riconoscersi al giudice la possibilita' di pronunciarsi immediatamente, ammettendo o rigettando la richiesta dell'imputato. Cio' comporterebbe la piena attuazione del principio del contraddittorio nell'ambito di un sistema processuale, come l'attuale, improntato anche al rispetto della piena parita' tra le parti, che si svolge davanti a un giudice terzo, al quale non puo' essere negata la attribuzione del potere di deliberare sulle questioni prospettate dalle parti in contraddittorio tra loro. Una situazione normativa, come l'attuale, che esclude il giudice dall'assolvimento di indefettibili compiti istituzionali che gli sono propri, viola il principio della giurisdizione e quindi l'art. 101 della Costituzione. Occorre ancora considerare che il vigente assetto normativo sulla ammissibilita' del giudizio abbreviato, introduce un singolare diritto soggettivo assoluto dell'imputato non tanto e non solo alla mera scelta del rito, quanto addirittura al conseguimento di uno sconto di pena. Cio' in quanto la mancata previsione della possibilita' per il p.m. di esprimere il proprio dissenso motivato sulla richiesta, nonche' la mancata previsione del potere del giudice di respingere la richiesta medesima, (salvo il limitato caso dell'art. 438 comma 5), unitamente alla impossibilita' per il giudice stesso di sanzionare in qualche modo la mancanza dei naturali presupposti del rito speciale, trasformano il diritto processuale dell'imputato alla scelta del rito in un sostanziale diritto del medesimo al conseguimento automatico e irragionevole del beneficio della riduzione di pena. Peraltro, non appare incongruo rispetto alle considerazioni appena svolte, notare che ai sensi dell'art. 443 c.p.p. al p.m. non e' neppure data facolta' di impugnazione della sentenza di condanna, salva la limitata eccezione prevista in caso di modifica del titolo del reato. Appare a questo punto necessario ricordare che i presupposti logico-giuridici del predetto rito abbreviato si rinvengono, come emerge chiaramente anche dai lavori preparatori del codice di procedura vigente, nella sostanziale abbreviazione dei tempi processuali in conseguenza del mancato svolgimento della istruttoria dibattimentale (come nel caso in questione), o della intera fase dibattimentale: e' proprio al fine di realizzare tale esigenza che il legislatore ha riconosciuto uno sconto di pena al soggetto richiedente. Secondo la normativa attuale invece, tale rito rimane del tutto svincolato dai presupposti sopra indicati, in quanto qualora il giudice ritiene necessario procedere ad una qualche integrazione probatoria (ove non ritenga di poter decidere allo stato degli atti), ha comunque l'obbligo di applicare la diminuente del rito, malgrado risultino evidentemente disattese le ragioni di speditezza ed economia alla base dell'istituto. Sulla scorta di tali ultime osservazioni, deve ritenersi che la attuale normativa sul giudizio abbreviato viola anche il principio enunciato dall'art. 97 della Costituzione, dell'imparzialita' e del buon andamento della pubblica amministrazione (nella quale deve ovviamente ricomprendersi anche quella giudiziaria), poiche' comporta la attribuzione agli imputati di vantaggi significativi, ma ingiustificati, in quanto non sempre conseguenti alla realizzazione dei fini ai quali dovrebbero essere preordinati. Ne' puo' tacersi che l'attuale sistema prevede la attribuzione di tali vantaggi a tutti gli imputati che fanno richiesta del rito, senza che sia consentito distinguere tra coloro i quali hanno effettivamente contribuito alla riduzione sostanziale dei tempi processuali - quando la richiesta non sia subordinata ad integrazione probatoria, ne' il giudice ritenga d'ufficio di acquire ulteriori elementi - e coloro che invece, pur optando per tale rito, hanno dato causa alla dilatazione dei suoi naturali tempi processuali, laddove si renda necessaria ex officio una integrazione probatoria, che a seconda dei casi, puo' presentarsi complessa e quindi particolarmente laboriosa. Tutto cio' sembra essere in contrasto anche con l'art. 3 della Costituzione. Inoltre, come statuito dalla Corte nella ordinanza citata n. 33/1998, l'attuale situazione normativa determina evidenti disarmonie nel sistema processuale, posto che alla perdita del p.m. della possibilita' di interloquire sulla scelta del rito, non si accompagna neppure una nuova disciplina sull'esercizio del diritto alla prova (il p.m. non ha facolta' di chiedere integrazioni probatorie di iniziativa), e neppure una modifica estensiva delle attuali limitazioni alla facolta' di impugnare. Tutto cio' implica una nuova violazione dell'art. 111 della Costituzione, sotto il profilo del rispetto del principio del contraddittorio nonche' di quello della parita' delle parti in tutte le fasi processuali.
P. Q. M. Vista la legge 11 marzo 1953, n. 87; Ritenutane la rilevanza nel presente processo; Dichiara non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 223 d.lgs. n. 51/1998 come modificato dall'art. 56 legge n. 479/1999, nonche' dell'art. 438 c.p.p., nella parte in cui non prevedono il diritto del p.m. di intervenire sulla richiesta di rito abbreviato formulata dall'imputato, esprimendo consenso o dissenso motivato, e nella parte in cui non prevedono autonomo potere del giudice di decidere sulla ammissibilita' della richiesta medesima, per violazione degli artt. 3, 97, 101 e 111 della Costituzione; Sospende il giudizio in corso nei confronti dell'imputato indicato nella epigrafe della presente ordinanza e ordina trasmettersi gli atti alla Corte costituzionale in Roma; Manda la cancelleria per gli adempimenti conseguenti, relativi alla notifica della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Firenze, addi' 19 maggio 2000. Il giudice: Maradei 00C0939