N. 563 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 giugno 2000
Ordinanza emessa il 20 giugno 2000 dal tribunale di Milano nel procedimento penale a carico di Spiaggi Gianni Processo penale - Dibattimento - Acquisizione delle prove - Esame di persona coimputata o imputata in procedimento connesso, nei confronti della quale si sia pronunciata sentenza di condanna divenuta irrevocabile - Prevista facolta' di non rispondere - Contrasto con i doveri inderogabili di solidarieta' sociale - Disparita' di trattamento rispetto al testimone - Lesione del principio del contraddittorio e del diritto alla tutela giurisdizionale - Violazione del principio di obbligatorieta' dell'azione penale. - Cod. proc. pen., art. 210. - Costituzione, artt. 2, 3, 24, 111 e 112. Processo penale - Incompatibilita' con l'ufficio di testimone - Persona coimputata o imputata in procedimento connesso nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di condanna divenuta irrevocabile - Prevista incompatibilita' - Disparita' di trattamento tra imputati e condannati con sentenza irrevocabile - Lesione del principio del contraddittorio - Violazione del principio di obbligatorieta' dell'azione penale. - Cod. proc. pen., art. 197. - Costituzione, artt. 2, 3, 24, 111 e 112.(GU n.42 del 11-10-2000 )
IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza. Con decreto in data 7 febbraio 1996 il g.i.p. presso il tribunale di Milano disponeva il giudizio a carico di Piaggi Gianni con l'imputazione di cui agli artt. 110, 81 capoverso e 319 cp. perche', nella sua qualita' di vigile accertatore presso il comune di Milano in concorso tra l'altro con Rossi Emilio, accettava denaro ed altre utilita' per se' per compiere atti contrari ai suoi doveri di ufficio per favorire il Iocale "Puerto Seguro", in Milano nell'aprile-maggio 1995; nonche' fino al 1995 accettava la promessa di denaro e successivamente riceveva importi variabili tra L. 300.000 e 700.000 ed in particolare L. 500.000 da Rossi Emilio per sistemare la vicenda relativa ai lavori eseguiti in assenza di concessione edilizia dal negozio "Italia Style" ed ulteriori somme per favorire i gestori del "club Cleopatra". A tenore della formulata imputazione, fondamentale per la decisione del presente giudizio risultano essere le dichiarazioni, - indicate come fonte di prova nel decreto stesso che dispone il giudizio - rese dal corruttore-correo Rossi Emilio il quale, all'udienza del 14 aprile 2000 si e' avvalso della facolta' di non rispondere, dopo aver precisato che la sua posizione era stata definita con sentenza di patteggiamento. Attesa la sopraddetta rilevanza della fonte accusatoria in questione, il p.m. chiedeva al tribunale di dichiarare non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art 210 c.p.p. con riferimento agli artt. 111, 3, 25 e 112 della Costituzione. Valuta il tribunale che sussista il requisito della non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale, non solo dell'art. 210 c.p.p. ma altresi' dell'art. 197 c.p.p. con riferimento agli artt. 3, 24, 111 e 112 Cost. L'art. 210 c.p.p. al comma 4 assegna la facolta' di non rispondere ai soggetti imputati in procedimento connesso: facolta' che riposa sulla considerazione del principio universalmente osservato del nemo tenetur se' detegere ma che ove disancorato dal diritto effettivo di difesa comprime illegittimamente altre garanzie costituzionalmente protette ed in particolare: 1. - Il principio dell'obbligatorieta' dell'azione penale ex art. 112 Cost. il quale postula la necessita' che la pubblica accusa sia messa in condizioni di esercitare validamente l'azione promossa sulla base degli elementi acquisiti nelle indagini preliminari, ed in base ad una valutazione oggettiva degli elementi di prova acquisiti. Ma quando gli elementi di prova acquisiti nelle indagini preliminari consistono in tutto o in parte in dichiarazioni di soggetti ex art. 110 c.p.p., di fatto e' rimessa ad una mera scelta potestativa di tali soggetti la possibilita' di un valido esercizio dell'azione penale, giacche' il silenzio dibattimentale di costoro, gia' "loquaci" nella diversa sede, paralizza ex post l'azione penale stessa. E cio' anche quando, come nel caso di specie, il diritto al silenzio non puo' avere giustificazione autodifensiva, perche' la posizione del dichiarante e' gia' stata definita con sentenza irrevocabile. 2. - Il diritto alla tutela giurisdizionale ex art. 24 Cost. L'effettivita' della tutela giurisdizionale si specifica, come e' noto, nel processo penale come diritto alla prova che, se per l'inquisito si atteggia come diritto di difendersi provando, per le parti private e' riconducibile alle garanzie di azione e di difesa sancite dall'art. 24, primo comma: garanzie che spettano anche all'accusa in condizioni di parita' con l'imputato (sent. Corte cost. 241/92). In particolare il diritto alla prova implica, per chi ne e' titolare, non solo iI diritto all'ammissibilita' di un esperimento probatorio rilevante su un oggetto di prova verosimile e pertinente, ma anche quello di una sua effettiva assunzione in contradditorio: implica inoltre il diritto alla discussione circa l'efficacia della stessa ed altresi' alla valutazione degli esiti da parte del giudice. Il diritto deI dichiarante ex art. 210 c.p.p. di astenersi dal deporre su dichiarazioni precedentemente rese, pare dunque porsi comunque in evidente contraddizione con il menzionato principio, come anche elaborato dalla giurisprudenza costituzionale, che coerentemente ha affermato anche il principio della non dispersione delle prove acquisite - ribadito con sentenza 255/1992 - inteso come impossibilita' di tollerare che vadano dispersi elementi raccolti nel corso delle indagini preliminari per non sacrificare o scopo essenziale del processo penale che consiste nela ricerca della verita' ed in una decisione giusta. L'ingresso dei dati probatori precedentemente acquisiti, anche se necessita del passaggio attraverso il filtro del contradditorio e se trova un limite invalicabile nel privilegio contro l'autoincriminazione, deve essere in ogni altro caso tutelato. Ne deriverebbe che deve considerarsi incostituzionale la previsione del diritto al silenzio di cui al quarto comma dell'art. 210 c.p.p. a favore del dichiarante sulla responsabilita' di altri soggetti, qualora tale privilegio non trovi stretto fondamento nel diritto di difesa, come nel presente procedimento, dove il dichiarante Rossi ha patteggiato la pena con sentenza irrevocabile. 3. - Il principio del giusto processo ex art. 111 della Costituzione che ha esplicitato in chiave costituzionale il principio del contradditorio nella formazione della prova (art. 111, commi 3 e 4) posto a garanzia non solo dell'imputato ma anche della collettivita' e quindi anche della pubblica accusa e dello stesso giudice. Le nuove regole fissate da tale norma postulano una diversa e nuova valutazione del rapporto tra diritto alla formazione della prova in contradditorio, e diritto al silenzio del chiamante in correita', disciplinato dall'art. 210 c.p.p.: alla maggior tutela del primo, accordata con il nuovo dettato costituzionale, non puo' non corrispondere ragionevolmente una compressione del secondo. In particolare, quando l'imputato abbia scelto liberamente di dare prova contro un altro soggetto il suo diritto al silenzio deve soccombere nel bilanciamento con il pari diritto di difesa dell'accusato, che contiene altresi' il diritto all'assunzione della prova "in contradditorio". L'obbligo dell'accusatore di rispondere pare peraltro trovare fondamento - oltre che in principi ed esigenze processuali - nell'art. 2 della Costituzione in quanto si concreta in uno dei doveri inderogabili di "solidarieta' sociale" previsti da tale norma Costituzionale. 4. - Violazione dell'art. 3 della Costituzione in quanto si profila una irragionevole disparita' di trattamento tra l'ufficio di testimone e quello di dichiarante erga alios ex art. 210 c.p.p. Entrambi infatti sono chiamati a deporre sulla responsabilita' di terzi, come attesta il fatto che il regime giuridico dell'imputato in procedimento connesso chiamato a deporre sulla responsabilita' altrui e', dallo stesso art. 210 c.p.p., tendenzialmente assimilato a quello del teste, in specifico per quanto attiene all'obbligo di presentarsi al giudice. Ma manca per iI dichiarante ex art. 210 qualsivoglia forma di responsabilizzazione al fine di evitare che costui - immotivatamente - dopo aver reso dichiarazioni accusatorie a danno di terzi si sottragga al controesame dell'imputato, diventando arbitro del processo. Parimenti, ad avviso dei collegio, si appalesa la non manifesta infondatezza della questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 197 cp.p, nella parte in cui stabilisce l'incompatibilita' all'assunzione dell'ufficio di testimone deI coimputato del medesimo reato o di persone imputate in procedimento connesso, nei cui confronti sia comunque intervenuta sentenza irrevocabile, anche, come nella specie, ex art. 442 c.p.p. Un primo profilo di illegittimita' e' rappresentato proprio dalla manifesta irragionevolezza di una norma, quale quella impugnata, che ponga sullo stesso piano, quanto alla garanzia del diritto al silenzio, soggetti che si trovano in situazioni processuali profondamente differenti, quali, da un lato, quelli tuttora imputati e, dall'altro, quelli condannati con sentenza irrevocabile, o che abbiano concordato una pena in relazione ad un determinato fatto: la posizione di questi ultimi infatti e' giuridicamente insuscettibile di qualsivoglia modificazione in loro danno. Il vizio qui denunciato appare ancora piu' evidente laddove il mutato art. 111 della Costituzione impone il contradditorio come principio processuale cardine, principio evidentemente compromesso laddove si consenta irragionevolmente ad un soggetto di non rispondere in giudizio alle domande delle parti, in funzione di un diritto di difesa in realta' gia' completamente esercitato. Si puo' dunque concludere, con le parole della stessa Corte costituzionale, che "ad un ordinamento costituzionale che sancisce il principio di obbligatorieta' dell'azione penale, ma e' prima di tutto improntato alla tutela dei diritti inviolabili dell'uomo ed al principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, non sono consone norme di metodologia processuale che ostacolino in modo irragionevole il processo di accertamento del fatto storico necessario per pervenire ad una giusta decisione" (cfr. Corte cost. n. 241/1994 e nello stesso senso gia' Corte cost. n. 111/1993)
P. Q. M. Visti gli artt. 134 Cost., 23 e seguenti legge 11 marzo 1953, n. 87; Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 2, 3, 24, 111, 112 della Costituzione la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 210 c.p.p e 197 c.pp. nella parte in cui stabiliscono la facolta' di non rispondere e la incompatibilita' con l'ufficio di testimone delle persone coimputate del medesimo reato, o imputate in un procedimento connesso, nei cui confronti si sia pronunziata sentenza di condanna divenuta irrevocabile; Dispone la trasmissione degli atti del procedimento alla Corte costituzionale; Manda alla cancelleria per la notifica della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonche' per la comunicazione ai Presidenti delle Camere del Parlamento della Repubblica. Sospende il presente dibattimento fino all'esito del giudizio incidentale di legittimita' costituzionale. Milano, addi' 20 giugno 2000. Il Presidente: Ponti 00C1027