N. 580 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 giugno 2000

Ordinanza  emessa  il  30  giugno 2000 dal g.i.p. dal tribunale per i
minorenni di L'Aquila nel procedimento a carico di D.R.

Processo  penale  -  Procedimento  a  carico  di imputato minorenne -
Sentenza  di  non  luogo  a  procedere  per  irrilevanza  del fatto -
Richiesta  da  parte  del  pubblico  ministero  e possibilita' per il
giudice per le indagini preliminari di fissare l'udienza in camera di
consiglio  per  valutare  la  ricorrenza  del beneficio - Preclusione
quando  la  fase  delle  indagini preliminari sia superata, avendo il
giudice  per  le  indagini  preliminari,  a  seguito  di richiesta di
archiviazione  non  accolta,  dato  ordine  al  pubblico ministero di
formulare  l'imputazione  -  Disparita'  di trattamento rispetto alle
ipotesi   in   cui   il   pubblico   ministero   non   abbia  chiesto
l'archiviazione  -  Contrasto  con la tutela delle esigenze educative
del minore.
- Cod.  proc.  pen.,  art.  409,  comma  5, in combinato disposto con
  l'art. 27, commi 1 e 2, d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448.
- Costituzione, artt. 3 e 31, secondo comma.
(GU n.43 del 18-10-2000 )
                    IL TRIBUNALE PER I MINORENNI

    Ha  emesso  la  seguente  ordinanza di remissione degli atti alla
  Corte  costituzionale  nel  proc. n. 66/2000 g.i.p., riguardante il
  minore  D.R.,  nato  in  Pescara  il  18 luglio 1982, elettivamente
  domiciliato  presso l'avv. Licia Di Camillo, con studio in Pescara,
  corso  Vittorio Emanuele II n. 147, indagato per la contravvenzione
  di  cui  all'art. 186  del codice della strada, per aver guidato il
  motociclo  Cagiva  Mito  tg  PE/40414  in  stato  di  ebbrezza,  in
  Catignano, contrada da Sterpara, il 6 gennaio 2000.

                           Fatto e diritto

    Con  comunicazione  datata  7  gennaio  2000  i Carabinieri della
  Compagnia  di  Penne  riferivano che la sera precedente, durante un
  controllo   della   circolazione   stradale,   avevano  fermato  un
  motociclo.  Il  conducente,  tale  D.R.,  sorpreso  alla  guida  in
  evidente  stato  d'ebbrezza,  aveva  percorso la strada a velocita'
  elevata,  con  repentini  cambi  di  corsia  e sorpassi pericolosi.
  Durante  il  controllo,  i  carabinieri  avevano  notato  che il D.
  emanava  un  pesante alito vinoso, pronunciava frasi sconnesse e si
  muoveva  in  modo  poco  coordinato.  Essi,  tuttavia,  non avevano
  compiuto  l'esame  alcoolometrico  per il categorico rifiuto da lui
  opposto  a  recarsi presso il piu' vicino presidio ospedaliero. Nel
  verbale    di    contestazione   della   contravvenzione   prevista
  dall'art. 186,  comma 2, del codice della strada, si riferiva anche
  che lo stesso D. aveva dichiarato "ho bevuto molto".
    Il  7  febbraio  2000  il  p.m.  presso questo tribunale chiedeva
  l'archiviazione,  perche'  i  carabinieri non avevano accertato con
  sicurezza  lo  stato  d'ebbrezza,  a  causa del mancato svolgimento
  degli   esami   alcoolometrici.   L'accusa   in  giudizio  non  era
  sostenibile,  non  essendo piu' possibile neanche lo svolgimento di
  nuove indagini.
    Con decreto datato 28 marzo 2000 questo g.i.p. fissava udienza ai
  sensi  dell'art. 409,  commi 2 e 3, del codice di procedura penale,
  non  avendo accolto la richiesta di archiviazione, per il 16 maggio
  2000.
    Il  16  maggio  2000  il  g.i.p.  sentiva il D., che ammetteva di
  essere  stato ebbro al momento dell'intervento dei carabinieri e di
  aver guidato il veicolo in modo pericoloso.
    All'esito  di quell'udienza il g.i.p. non accoglieva la richiesta
  di archiviazione, cosi' come formulata. Lo stato di ebbrezza poteva
  essere  provato non necessariamente con gli esami alcoolometrici ma
  anche   aliunde   come,  in  effetti,  era  avvenuto,  grazie  alle
  dichiarazioni  dell'indagato.  Si  rigettava  anche  la  richiesta,
  formulata dal difensore, di applicazione dell'art. 27 del d.P.R. 22
  settembre 1988, n. 448, non essendo quella la sede per la pronuncia
  di un siffatto provvedimento. Da parte del p.m., inoltre, non c'era
  stata  neanche  una  preventiva  richiesta. Il g.i.p. tuttavia, per
  richiesta  del  difensore,  che  aveva  chiesto un differimento per
  esaminare  la  questione, si asteneva dal pronunciare provvedimenti
  in merito e rinviava l'udienza al 25 maggio 2000.
    Il  25 maggio 2000, il g.i.p. sul presupposto che l'archiviazione
  non   poteva   disporsi   per  le  ragioni  enunciate  nell'udienza
  precedente, rigettava la relativa richiesta. Egli, allora, ordinava
  la   trasmissione   degli   atti   al   p.m.  per  la  formulazione
  dell'imputazione,  ai fini della successiva fissazione dell'udienza
  preliminare, come disposto dall'art. 409, quinto comma, c.p.p.
    Il   7   giugno   2000,   il   p.m.,  rinunciando  implicitamente
  all'archiviazione,  chiedeva  a  questo  g.i.p.  di  pronunciare la
  sentenza di irrilevanza del fatto, ai sensi dell'art. 27, commi 1 e
  2   del   d.P.R.  22  settembre  1988,  n. 448.  Nel  caso  di  non
  praticabilita'  di  quella  soluzione,  essendo  il  p.m. vincolato
  all'esercizio  dell'azione penale, si chiedeva sollevarsi eccezione
  di costituzionalita'.
    Ad  avviso  di  questo  g.i.p.  non  e'  possibile  accogliere la
  richiesta   principale  avanzata  dal  p.m.,  ossia  la  fissazione
  dell'udienza  in  camera  di consiglio per discutere l'applicazione
  dell'art. 27 del d.P.R. citato. In seguito all'ordine del g.i.p. di
  formulare  l'imputazione,  il  p.m.  e'  tenuto  esclusivamente  ad
  eseguire  quanto  ordinatogli.  Il  g.i.p.,  con  quell'ordine, da'
  impulso  ex  officio  alla  procedura che condurra' alla fissazione
  dell'udienza  preliminare  (C. cass.,  sez. I,  sent. n. 4525 del 5
  marzo   1991).  In  questi  casi  si  ha  una  forma  di  esercizio
  dell'azione  penale,  con  eccezione  al  principio ne eat judex ex
  officio,  e  la  fase  delle indagini preliminari e', in ogni caso,
  gia'  terminata. Ai sensi dell'art. 405 c.p.p. gia' la richiesta di
  archiviazione  presuppone la chiusura delle indagini preliminari e,
  quindi,  a  maggior  ragione la sottintende l'ordinanza del g.i.p.,
  emessa ai sensi dell'art. 409, comma 5. Soltanto nel caso di ordine
  rivolto  dal  g.i.p.  al p.m., di svolgere nuove indagini, ai sensi
  dell'art. 409,  comma 4,  c.p.p., per alcuni si potrebbe ipotizzare
  una riapertura delle indagini preliminari. In quell'ipotesi sarebbe
  forse   possibile   per  il  p.m.  richiedere  l'udienza  ai  sensi
  dell'art. 27,  primo  e  secondo  comma,  d.P.R. citato. L'art. 27,
  comma 1, del d.P.R. n. 448/1988 prevede esplicitamente che "durante
  le  indagini  preliminari"  il p.m. richiede al giudice sentenza di
  non  luogo  a  procedere  per  irrilevanza  del  fatto. Nel caso in
  questione  quella  fase  e'  stata  superata,  per  i motivi appena
  esposti,  e  quindi  la  richiesta e' preclusa al p.m. La norma non
  consente  interpretazioni  diverse  e  piu'  favorevoli,  a meno di
  forzature,  data la sua formulazione inequivocabile. L'appello alla
  prevalenza   della   norma  speciale  su  quella  generale  non  e'
  possibile, perche' ognuna di loro agisce su piani indipendenti e su
  fasi  diverse,  specialmente riguardo al momento dell'applicazione.
  In  seguito  all'ordine  di  formulare  l'imputazione coatta, il D.
  dovra'   essere   rinviato   a  giudizio  ed  affrontare  l'udienza
  preliminare.  In  quella  sede egli potra' avere quel beneficio, ma
  dopo  aver  assunto  la  qualita'  di imputato. A causa del mancato
  coordinamento  fra  l'art. 409,  comma 5,  c.p.p.,  e l'art. 27 del
  d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, si ha, pertanto, l'impossibilita'
  assoluta  per il D. di avere quel beneficio nella veste di indagato
  e di definire il procedimento a suo carico in modo anticipato.
    A questo punto emergono diversi aspetti di incostituzionalita'.
    La  questione  e'  rilevante,  perche' dall'accoglimento da parte
  della Corte costituzionale dipende la rimozione di quell'ostacolo e
  quindi  la  possibilita' per il g.i.p. di decidere sulla ricorrenza
  dei  requisiti previsti dall'art. 27 cit. Allo stato, il g.i.p. non
  puo', invece, neanche fissare l'udienza in camera di consiglio.
    La  questione e' non manifestamente infondata, perche' e' violato
  il   principio   di   uguaglianza,   previsto   dall'art. 3   della
  Costituzione.  Il  D.  non  puo'  avere  quel beneficio, al pari di
  soggetti che si trovano nella sua stessa condizione sostanziale, ma
  nei  confronti dei quali il p.m. non ha chiesto l'archiviazione, in
  seguito  rigettata  dal g.i.p. L'attivita', svolta inizialmente dal
  p.m.  in  favore  del minorenne, si trasforma, in modo automatico e
  senza  alcuna  colpa, in una situazione altamente pregiudizievole a
  causa  di  meccanismi  iniqui.  Secondo gli intendimenti di codesta
  Corte,  il  sacrificio  del  principio  di uguaglianza formale puo'
  aversi   solo   in  presenza  della  necessita'  di  tutela  di  un
  concorrente diritto, di pari forza costituzionale, o per permettere
  l'attuazione  del principio di uguaglianza sostanziale. Entrambe le
  esigenze  citate non ricorrono assolutamente nel caso di specie. Il
  diverso  trattamento  di due indagati che si trovano nella medesima
  condizione,  perche' per entrambi sussistono le condizioni previste
  dall'art. 27,   comma 1,   dipenderebbe   da   fattori  causali  ed
  accidentali  a loro estranei e non imputabili. La discrezionalita',
  accordata  al  legislatore,  nel  considerare  autonomamente i vari
  fatti  giuridici,  attribuendovi  diversi  o  uguali  effetti,  che
  derivano  da  un  medesimo  evento,  si  arresta  di  fronte ad una
  violazione  di  un  principio fondamentale come quello della tutela
  del minore. La rimozione dell'ostacolo in questione, implicitamente
  insito  nell'art. 409,  comma 5,  c.p.p.,  da  parte  della  Corte,
  impedirebbe la produzione di effetti ingiusti per il minore, lesivi
  delle esigenze di recupero e di massima limitazione dell'intervento
  penale in questa materia.
    Il  processo minorile, in effetti, contempla anche casi in cui un
  soggetto  minorenne  assume immediatamente la qualita' di imputato,
  come  nel  giudizio immediato o direttissimo. In quei casi egli non
  potra'   mai   beneficiare  dello  speciale  procedimento  previsto
  dall'art. 27,  commi  1  e  2, d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448. In
  tali  ipotesi,  tuttavia, soccorre l'art. 27, comma 4 citato, e non
  c'e'  privazione  di  alcun  diritto  nel  corso  del procedimento,
  perche'  sia  gli  eventi produttori degli effetti giuridici sia in
  momenti  di  partenza sono uguali per tutti. Nel caso in questione,
  invece,  l'indagato minorenne passa da una situazione favorevole ad
  una  sfavorevole  nel corso della medesima vicenda processuale, con
  suo  serio  pregiudizio  e differente trattamento rispetto a coloro
  che si trovano o possono trovarsi nella stessa condizione.
    L'altra  violazione  che  emerge  e' quella dell'art. 31, secondo
  comma,  della  Costituzione,  perche'  viene  meno  la tutela delle
  esigenze  educative  del  minore,  preminenti,  nel processo penale
  minorile,  su  quelle retributive, appena esposte. La privazione di
  una fase del procedimento, l'impossibilita' di avere un particolare
  beneficio,  l'assunzione della qualita' di imputato, la conseguente
  iscrizione  nei  c.d.  carichi  pendenti, l'impatto con il processo
  (non  piu'  con  il procedimento) penale, costituiscono elementi di
  pregiudizio   per  il  minorenne.  La  giurisprudenza  della  Corte
  costituzionale  ha  posto, negli ultimi decenni, sempre piu' la sua
  attenzione  sulla  necessita' di tutela del minore. Importanti sono
  state,  fra  le altre, le sentenze n. 46 del 1978, n. 222 del 1983,
  n. 78  del 1989, n. 188 del 1990, n. 125 del 1992, n. 168 del 1994,
  n. 227 del 1995, n. 504 del 1995, n. 235 del 1996, n. 109 del 1997,
  n. 296  del 1997, n. 403 del 1997, n. 16 del 1998, n. 324 del 1998,
  n. 450 del 1998.
    La pronuncia della Corte sul punto si reputa ammissibile, perche'
  non  comporta scelte riservate al legislatore o interventi additivi
  e  lascia  integra  la  portata  generale  della norma sottoposta a
  giudizio di costituzionalita'.
                              P. Q. M.
    Letti  gli  artt. 134  Cost.;  1  della  legge  costituzionale  9
  febbraio  1948,  n. 1;  23  della legge 11 marzo 1953, n. 87, e gli
  altri articoli di legge;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
  legittimita' costituzionale del combinato disposto degli artt. 409,
  comma 5,  c.p.p., e 27, commi 1 e 2, del d.P.R. 22 settembre1988, n
  448,  nella  parte  in cui non si consente al p.m. di richiedere al
  giudice  per  le  indagini  preliminari  presso  il tribunale per i
  minorenni  la sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del
  fatto  e  al giudice per le indagini preliminari di fissare udienza
  in  camera  di  consiglio  per  valutare la ricorrenza o no di quel
  beneficio, nel caso di archiviazione non accolta;
    Dispone  la  sospensione del procedimento e la trasmissione degli
  atti alla Corte costituzionale;
    Ordina  la  notifica  della  presente  ordinanza  a  D.R., al suo
  difensore,  al  p.m.  in  sede  e  al  Presidente del Consiglio dei
  Ministri e la comunicazione della stessa al Presidente della Camera
  dei deputati e al Presidente del Senato della Repubblica.
        L'Aquila, addi' 30 giugno 2000.
            Il giudice per le indagini preliminari: Eramo
00C1045