N. 585 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 luglio 2000

Ordinanza  emessa  il  5  luglio  2000  dal  tribunale  di  Pisa  nei
procedimenti  civili  riuniti  vertenti  tra  Bartelloni Giampaolo ed
altri e Consorzio pisano trasporti

Lavoro  (Controversie  in  materia  di)  -  Controversie  relative  a
sanzioni  disciplinari  (nella  specie:  destituzione)  nei confronti
degli  autoferrotranvieri  -  Attribuzione,  per il periodo anteriore
all'entrata  in  vigore del d.lgs. n. 80/1998, alla giurisdizione del
giudice  amministrativo  -  Irrazionalita'  della deroga al principio
dell'attribuzione  al  giudice  ordinario, in funzione di giudice del
lavoro,  di tutte le controversie di lavoro dei dipendenti pubblici e
privati,  comprese  quelle  in  materia  disciplinare - Disparita' di
trattamento  rispetto ai ferrovieri - Incidenza sul diritto di azione
e  di difesa per la devoluzione a un giudice in genere piu' lontano e
costoso delle predette controversie - Riferimento alla sentenza della
Corte   costituzionale  n. 62/1996,  di  non  fondatezza  di  analoga
questione, non condivisa dal giudice rimettente.
- R.D. 8 gennaio 1931, n. 148, art. 58, all. a).
- Costituzione, artt. 3 e 24.
(GU n.43 del 18-10-2000 )
                            IL TRIBUNALE

    Nel  presente  giudizio  G. Martelloni ed altri tre ex dipendenti
  del  Consorzio pisano trasporti di Pisa impugnano la "destituzione"
  (cioe' il licenziamento) loro comminato per giusta causa dal datore
  di lavoro, per tutti in data 20 ottobre 1998.
    Il  datore  di  lavoro  eccepisce  preliminarmente  il difetto di
  giurisdizione  sulla base del disposto dell'art. 58 dell'all. a) al
  r.d.  n. 148  del  1931,  secondo  cui,  nelle  ipotesi di sanzioni
  disciplinari   gravi,   la   giurisdizione  appartiene  al  giudice
  amministrativo (ancorche' si tratti di rapporto di lavoro in regime
  di diritto privato).
    Sul  punto,  il  principio di diritto in tema di giurisdizione e'
  condiviso,  senza  eccezioni, dalle magistrature supreme, ordinaria
  ed  amministrativa  (Cass.  28  agosto 1998, n. 8539 e Cons. Stato,
  sez. VI, 8 maggio 1998, n. 669).
    Ratione  temporis,  la  questione  cade  (in  astratto)  sotto la
  vigenza  del regime processuale di cui all'art. 68 del d.lgs. n. 29
  del   1993,   in   quanto   il  licenziamento  e'  stato  comminato
  nell'ottobre  del  1998:  infatti, ai sensi dell'art. 45, comma 17,
  del  d.lgs.  n. 80  del  1998, appartengono al giudice ordinario le
  controversie di lavoro privatizzato "relative a questioni attinenti
  al periodo del rapporto di lavoro successivo al 30 giugno 1998".
    Per  "questione"  deve  intendersi  la lite insorta e la lite, in
  caso   di  licenziamento,  insorge  solo  nel  momento  in  cui  il
  licenziamento  (o,  se  si vuole, la destituzione) viene comminato,
  non  quando  il  fatto  e' contestato (qui, in concreto, nel 1997),
  poiche'  la  questione  sorge  solo nel momento in cui il datore di
  lavoro  manifesta  la  volonta' di recedere unilateralmente, ne' e'
  autonomamente giustiziabile la sola contestazione.
    Ai   sensi   dell'art.   68,   comma  4,  restano  devolute  alla
  giurisdizione   amministrativa   "le  controversie  in  materia  di
  procedure   concorsuali   per  l'assunzione  dei  dipendenti  delle
  pubbliche   amministrazioni,  nonche',  in  sede  di  giurisdizione
  esclusiva,  le  controversie  relative ai rapporti di lavoro di cui
  all'art. 2, commi 4 e 5 ...".
    Se,  dunque, si fa accezione per le controversie sui concorsi (la
  cui  esclusione  dalla  giurisdizione  ordinaria  e' sorretta dagli
  artt.  97 e 98 Cost.) e per le controversie dei dipendenti pubblici
  "non privatizzati" (magistrati, militari, prefettizi, diplomatici),
  dal  30 giugno 1998 tutte le controversie in materia di rapporto di
  lavoro di dipendenti pubblici o privati, comprese quelle in materia
  disciplinare  o  di  recesso dal rapporto, sono devolute al giudice
  ordinario in funzione di giudice del lavoro.
    Se  cio'  e'  vero,  quello  del  licenziamento del dipendente di
  aziende  autoferrotranviarie, sulla base del disposto della vecchia
  disposizione  portata  dal  r.d.  del  1931,  finisce  per rimanere
  l'unico  caso  di  esclusione  dalla  giurisdizione  ordinaria, non
  sorretto   da   alcuna  giustificazione  costituzionale  ne'  dalla
  necessita'   (quale  pare  desumersi  dal  contesto  normativo)  di
  affidare   al   giudice  amministrativo  le  questioni  relative  a
  particolarissime   categorie   di  dipendenti  pubblici  (militari,
  prefettizi e diplomatici e magistrati).
    Questo giudice non condivide - seppure qui solo accademicamente -
  neppure   l'operazione   di  esclusione  dalla  privatizzazione  (e
  conseguentemente  dalla  giurisdizione  del  giudice  ordinario) di
  alcune categorie dei dipendenti pubblici, poiche' se lo scopo della
  riforma  del  1993 e' stato quello (enunciato all'art. 1 del d.lgs.
  n. 29) di accrescere efficienza della pubblica amministrazione, non
  si  vede  per  quale ragione dalla riforma debbano rimanere esclusi
  proprio  quei  dipendenti  che  appartengono  alle  amministrazioni
  "portanti"  dello  Stato,  salvo  non ipotizzare, come l'esclusione
  sembrerebbe  suggerire,  che  il  programma  di privatizzazione sia
  stato  ispirato da meri intenti punitivi nei confronti dei pubblici
  dipendenti  e dai quali si siano voluti escludere alcuni dipendenti
  pubblici piu' "vicini" all'amministrazione statale.
    Ad  ogni buon conto, pur accedendo alla tesi secondo la quale per
  i    dipendenti   non   privatizzati,   sussista   una   necessita'
  costituzionalmente   protetta   per   escluderli   dalla   riforma,
  certamente  questa  ragione  non puo' essere mutuata per supportare
  l'esclusione   dalla   giurisdizione   del  giudice  ordinario  dei
  "modesti"  dipendenti  delle aziende ferrotranviarie, che "privati"
  erano  gia'  prima  che divenisse operativa la modifica strutturale
  introdotta dal legislatore del 1993.
    Il  risultato  (in  realta'  sconcertante)  e'  che  oggi tutti i
  licenziati, da datore di lavoro pubblico o privato, hanno tutela di
  fronte  al giudice del lavoro, mentre i ferrotranvieri, addirittura
  come   i  diplomatici,  i  militari,  i  dipendenti  con  grado  di
  funzionario o piu' del Ministero dell'interno hanno come giudice il
  tribunale amministrativo.
    Avuto  riguardo,  dunque,  alla  sistematicita'  alla quale si e'
  pervenuti  con  la  riforma  dei  pubblico  impiego,  alla generale
  equiparazione  sul  piano  sostanziale  e  processuale  di  tutti i
  lavoratori  subordinati indipendentemente dalla qualita' soggettiva
  del  datore  di  lavoro  e tenuto conto che le eccezioni (questioni
  attinenti   al   concorso   ed   esclusione   di  alcune  categorie
  particolari)   appaiono   sorrette,   quantomeno  in  astratto,  da
  fondamenti  di  valenza  costituzionale,  non  vi  e' dubbio che la
  devoluzione  al  giudice amministrativo della giurisdizione in tema
  di  sanzioni disciplinari dei ferrotranvieri rappresenti, oggi, una
  sorta   di  "scheggia  impazzita"  frutto  non  certamente  di  una
  sistemazione  razionale  ma  bensi'  conseguenza  di  un meccanismo
  normativo  che poteva avere un suo significato quando (1931) questi
  dipendenti,  sul  regime  del  rapporto,  godevano  (per le ragioni
  storiche  che  tutti sappiamo) di una regolamentazione particolare,
  rispetto  alla  quale  l'eccezione  sulla  giurisdizione in tema di
  sanzioni   disciplinari   gravi   poteva   apparire   razionale   e
  giustificata.
    Oggi,  al contrario, nulla supporta questa irrazionale eccezione,
  che  finisce  per  gravare  questi lavoratori sul piano processuale
  assegnando  loro  un giudice piu' difficilmente accessibile, se non
  per  i  contenuti,  quantomeno per le differenti regole processuali
  sulla  competenza per territorio (ai nostri, infatti, dipendenti di
  una  azienda  pisana, non "toccherebbe" il giudice del tribunale di
  Pisa,  ma il tribunale amministrativo di Firenze, dunque un giudice
  piu' lontano, e dunque piu' costoso ancorche', se si vuole, fornito
  di  strumenti  di  tutela  analoghi a quelli del giudice ordinario:
  art. 24 Cost.).
    Ne'  questo  giudice  condivide  l'opinione espressa dalla stessa
  Corte  costituzionale  (4  marzo  1996, n. 62) e da Cass. 28 agosto
  1998,  n. 8539,  secondo  cui  sarebbe  manifestamente infondata la
  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 58 cit. ai sensi
  dell'art.  3 della Costituzione nel raffronto con la disciplina dei
  ferrovieri  perche'  - si dice - il datore di lavoro sarebbe dotato
  di   una  soggettivita'  diversa  ed  il  rapporto  di  lavoro  dei
  ferrotranvieri   sarebbe   connotato   da   specialita'.  La  Corte
  costituzionale,  infatti,  investita  di una diversa questione (sul
  regime  di  progressione  della  carriera) nella quale si operava -
  ancora  una  volta  - il raffronto fra ferrovieri e ferrotranvieri,
  pur  rigettando  l'incidente  -  ha  ritenuto - in motivazione - la
  razionale  equiparazione  dei  due  settori  (Corte  costituzionale
  n. 500   del   1988):   sicche'   anche  per  questa  via  si  puo'
  (ripro)porre,  seppure  subordinatamente,  una ulteriore profilo di
  legittimita' costituzionale.
    L'art.   58   cit.   e'   dunque   sospetto   di   illegittimita'
  costituzionale per la sua assoluta irrazionalita' sistematica oltre
  che  per  la  evidente  disparita'  di  trattamento con una analoga
  categoria  di  lavoratori  (ferrovieri).  Alla riproposizione della
  questione,  poi, non e' di ostacolo Corte costituzionale n. 62/1996
  cit., poiche' oggi l'irrazionalita' e' denunciata avuto riguardo al
  nuovo  assetto  sistematico  che  ha  finito per equiparare ai fini
  della  individuazione del giudice e salve alcune eccezioni motivate
  tutti i rapporti di lavoro, siano essi pubblici e privati.
    La rilevanza e' in re ipsa.
                              P. Q. M.
    Dichiara  d'ufficio  rilevante  e non manifestamente infondata la
  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 58 dell'all. a)
  al  r.d.  n. 148  del  1931  nella  parte  in cui affida al giudice
  amministrativo  la  tutela  avverso i provvedimenti disciplinari di
  cui  agli  artt. 43, 44 e 45 del r.d. n. 148 cit. ed in particolare
  avverso  la  "destituzione",  con riferimento all'art. 3 e 24 della
  Costituzione.
    Dispone la trasmissione del fascicolo alla Corte costituzionale.
    Dispone  la  comunicazione della presente ordinanza ai Presidenti
  delle due Camere e la notificazione alle parti ed al Presidente del
  Consiglio dei Ministri.
    Sospende il presente giudizio.
        Pisa, addi' 7 luglio 2000
                        Il giudice: Nistico'
00C1050