N. 590 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 marzo 2000
Ordinanza emessa il 10 marzo 2000 dalla Commissione tributaria provinciale di Chieti sul ricorso proposto da Michetti Pasqualina contro Ufficio II.DD. di Chieti Imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) - Redditi di partecipazione a societa' semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice - Imputazione al socio "indipendentemente dalla percezione" - Impossibilita' per il socio stesso di dimostrare giudizialmente di non aver conseguito alcun reddito, in presenza di un fittizio utile societario frutto di illeciti imputabili esclusivamente agli amministratori - Ingiustificata disparita' di trattamento rispetto agli altri contribuenti non percettori di redditi - Violazione del diritto di difesa e del principio di capacita' contributiva. - D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5, comma 1. - Costituzione, artt. 3, 24 e 53.(GU n.43 del 18-10-2000 )
LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso iscritto al n. 209 dell'anno 1998 del r.g.r. vertente tra Michetti Pasqualina, residente in Spoltore, elettivamente domiciliata in Francavilla al Mare al viale Nettuno n. 216 presso lo studio della dott.ssa Maria Gabriella Vichi dalla quale e' rappresentata e difesa in virtu' di procura in calce al ricorso; ricorrente e ufficio distrettuale delle imposte dirette di Chieti; resistente. Oggetto, impugnazione avviso di accertamento n. 3082000279 (I.L.O.R.; 1991); conclusioni per la ricorrente chiede: 1) che codesta on.le commissione voglia annullare l'avviso di accertamento per la parte di reddito attribuita ai soci; 2) che la discussione della controversia avvenga in pubblica udienza a norma dell'art. 33, comma 1, d.lgs. n. 546/1992; 3) la sospensione dell'atto impugnato ai sensi dell'art. 47, d.lgs. n. 546/1992, fino alla conclusione del giudizio pendente presso il tribunale di Chieti tenuto conto che la societa', in liquidazione, non e' oggi in grado di produrre liquidita' necessaria per pagare qualunque tipo di imposta, anche minima, poiche' le passivita' sono considerevoli, gli scoperti di conto corrente molto elevati ed i beni mobili ed immobili tutti pignorati od ipotecati. Per resistente: "rigettare il ricorso e condannare la ricorrente alle spese di giudizio, ai sensi dell'art. 15 del d.lgs. n. 546/1992". F a t t o Con ricorso notificato il 23 febbraio 1998 e depositato il successivo giorno 26, Michetti Pasqualina, quale socio accomodante dalla Steel Concrete S.a.s. di Vicentino Michetti & c. in liquidazione, impugnava l'avviso di accertamento descritto in oggetto, notificatole il 24 dicembre 1977, con il quale l'ufficio distrettuale delle imposte dirette di Chieti - in relazione all'anno d'imposta 1991 - accertava "il reddito di impresa [n.d.r.: di detta societa'] nella misura di L. 168.610.000 in conseguenza del recupero fiscale di costi indeducibili per L. 120.000.000 per violazione dell'art. 75 d.P.R. n. 917/1986". Deduceva che: 1) l'art. 2320 c.c. inibiva ai soci accomandati il compimento degli atti di amministrazione; 2) non era stata posta nella condizione di esercitare alcuna forma di controllo gestionale e finanziario della societa'; 3) non poteva esserle imputata alcuna responsabilita' derivante dalla presentazione di dichiarazioni infedeli relative ai redditi sociali; 4) non potevano esserle comminate le sanzioni previste dall'art. 46 del d.P.R. n. 600/1973 atteso che non era affatto configurabile l'infedelta' contemplata da detta disposizione; 5) le era stato impedito l'accesso alle scritture contabili; 6) non era stata minimamente informata circa le vicende sociali; 7) le conseguenze di eventuali atti e/o fatti illeciti erano ascrivibili esclusivamente "all'accomandatario o alle persone che di fatto amministravano la societa'". Spiegava, pertanto, le conclusioni trascritte in epigrafe. Costituitosi in giudizio, l'ufficio distrettuale delle imposte dirette di Chieti eccepiva l'inammissibilita' del ricorso siccome questo era stato proposto il 23 febbraio 1998 quanto il termine di cui all'art. 21 del d.lgs. n. 546/1992 era scaduto tenutosi conto che l'atto impugnato era stato notificato il 24 dicembre 1997; obiettava altresi' la mancanza di legittimazione attiva all'impugnativa in capo alla contribuente siccome essa era riservata, in via esclusiva, al liquidatore della societa' nominato il 27 marzo 1996; nel merito, contestava la fondatezza del gravame. Pare resistente concludeva, pertanto, nei suindicati termini. All'odierna udienza (tenutasi in camera di consiglio), la causa veniva posta in deliberazione. D i r i t t o Va in limine disattesa l'eccezione pregiudiziale di inammissibilita' del gravame per decorso del termine di sessanta giorni previsto dall'art. 21 citato. Esso spirava il 22 febbraio 1998, che pero' ricadeva di domenica. Ne consegue, in applicazione dell'art. 155, u.c., c.p.c. - operante nel processo tributario in virtu' del richiamo contenuto nell'art. 1, comma 2, d.lgs. n. 546/1992 - secondo il quale il termine che viene a scadere in giorno festivo e' prorogato di diritto al primo giorno seguente non festivo, che l'azione giudiziale poteva essere utilmente intrapresa anche il 23 febbraio 1998, com'e' avvenuto nel caso di specie. Eguale sorte deve riservarsi all'eccezione di difetto di legittimazione attiva. Al riguardo, va preliminarmente operata la ricostruzione del quadro normativo in materia di notificazione - alle persone giuridiche, alle societa' prive di personalita' giuridica ed ai loro soci - degli accertamenti in rettifica delle dichiarazioni presentate da tali enti. L'art. 40 del d.P.R. n. 600/1973, al primo comma, primo periodo, dispone, quanto alle persone giuridiche, che "alla rettifica delle dichiarazioni presentate dai soggetti all'imposta sul reddito delle persone giuridiche si procede con unico atto agli effetti di tale imposta e dell'imposta locale sui redditi, con riferimento unitario al reddito complessivo imponibile ma tenendo distinti i redditi fondiari"; il secondo comma, primo periodo, prevede, con riferimento alle societa' non aventi personalita' giuridica, che: "alla rettifica delle dichiarazioni presentate dalle societa' e associazioni indicate nell'art. 5 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597" (n.d.r.: ora art. 5 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917), "si procede con unico atto ai fini dell'imposta locale sui redditi dovuta dalle stesse societa' e ai fini delle imposte sul reddito delle persone fisiche o delle persone giuridiche dovute dai singoli soci o associati". La disposizione di cui al comma 2 citato, appena trascrittasi, prescrive, sostanzialmente, la unitarieta' dell'accertamento al precipuo fine di evitare che si proceda ad accertamenti distinti dallo stesso reddito, ancorche' su di esso devono essere applicate diverse imposte, e cioe' l'I.L.O.R. nei confronti della societa' oppure della associazione e l'I.R.P.E.F. o l'I.R.P.E.G. nei confronti dei soci ovvero degli associati; tale identita' del reddito e' contemplata (1) dal succitato art. 5, comma 1, d.P.R. n. 917/1986 (e in precedenza era previsto dall'art. 5 del d.P.R. n. 597/1973, anteriormente vigente), laddove si dispone che "i redditi delle societa' semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice residenti nel territorio dello Stato sono imputati a ciascun socio, indipendentemente dalla percezione, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili", nonche', in ordine alla dichiarazione d'imposta, (2) dall'art. 6 del d.P.R. n. 600/1973 citato, ove, al comma 1, si sancisce che: "Le societa' semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice ... e le societa' ed associazioni ad esse equiparate a norma dello stesso articolo devono presentare la dichiarazione agli effetti dell'imposta locale sui redditi da essa dovuta e agli effetti dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e dell'imposta sul reddito delle persone giuridiche dovute dai soci o associati". Acclaratosi quanto precede, appare opportuno richiamare, in ordine all'analisi del rapporto tra l'utile di impresa della societa' di persone (quale presupposto della I.L.O.R. sociale) ed il presupposto di imposta (reddito da partecipazione del socio) ai fini I.R.P.E.F., il contenuto di una pregevole sentenza della s.c. che, in relazione all'analisi stessa, ha distinto un aspetto di diritto sostanziale, un altro di carattere procedurale ed un terzo di natura processuale. Al riguardo, nella stessa si e' osservato: sotto il profilo sostanziale l'art. 5 del d.P.R. n. 597/1973, in riferimento all'art. 1, individua la relazione tra il presupposto della I.L.O.R. gravante sulla societa' e quello della I.R.P.E.F. gravame sul socio (limitatamente alla voce "reddito da partecipazione"), in una situazione di "identita'". Se e' vero, infatti, che per l'art. 1 del d.P.R. n. 597/1973 citato il presupposto dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e' il "possesso di reddito" secondo uno dei tipi indicati nel successivo art. 6, detto possesso, relativamente agli utili delle societa' di persone partecipate, e' individuato dall'art. 5 nella pura e semplice "imputazione", indipendentemente da qualsiasi ipotesi di distribuzione da parte della societa' e di percezione da parte del socio. La mera partecipazione ad una compagine sociale del tipo, quindi, implica da parte del socio, e proporzionalmente alla partecipazione, "possesso" dell'utile sociale che, in quanto tale, diviene componente del reddito personale del socio ai fini della I.R.P.E.F. Non solo, quindi, vi e' identita' oggettiva tra utile sociale e reddito del socio in proporzione ma perche' l'utile sociale divenga reddito posseduto dal socio, non occorre alcun movimento patrimoniale o finanziario poiche', quand'anche l'utile rimanesse impiegato nell'azienda quale componente o entita' del patrimonio sociale, il rapporto societario individuerebbe di per se' il possesso di reddito sociale per il socio quale proprio reddito, "indipendentemente dalla percezione", come precisa espressamente l'articolo citato. L'identita' di presupposto si riflette sulle modalita' operative del contribuente, tanto che (art. 6, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600) la dichiarazione dei redditi sociali viene fatta dalla societa' "agli effetti dell'imposta sui redditi" dovuta dalla stessa societa', e "agli effetti dell'imposta sul reddito delle persone fisiche ... dovuta dai soci ed associati". Poiche', peraltro, i soci ai fini della I.R.P.E.F. non sono esonerati dalla propria e personale dichiarazione, l'effetto estensivo della dichiarazione sociale ai fini del presupposto della I.R.P.E.F. dei soci, non puo' avere che un'unico significato, e cioe': i soci sono tenuti ad esporre nelle loro personali dichiarazioni un reddito da partecipazione identico a quello esposto dalla societa', imputandolo pro-quota al proprio reddito. Si individua, pertanto, sul piano dell'applicazione dell'imposta personale, cui il socio e' chiamato con la propria dichiarazione, una situazione di subordinazione alla posizione ed alla dichiarazione della societa', in virtu' dell'effetto estensivo che la legge attribuisce alla dichiarazione di quest'ultima, come conseguenza della situazione di identita' di presupposto che la I.L.O.R. della societa' e la I.R.P.E.F. del socio (quanto meno pro-quota) hanno". Sotto il profilo procedurale: "la richiamata unita' sostanziale, inoltre, si riflette sul piano procedurale, in base alla disciplina dell'art. 40, secondo comma, del d.P.R. n. 600/1973 citato. Come, infatti, alla dichiarazione della societa' la legge conferisce effetto estensivo sull'oggetto della dichiarazione personale del socio, cosi' l'art. 40, secondo comma, citato dispone che alla rettifica della dichiarazione della societa' si procede "con unico atto ai fini dell'imposta locale sui redditi dovuta dalla societa' stessa "e ai fini delle imposte sul reddito delle persone fisiche ... dovute dai singoli soci o associati . L'accertamento unico, quindi, (disposto con terminologia identica a quella del primo comma dell'art. 40 per le societa' di capitali ai fini della I.L.O.R. e della I.R.P.E.G. dalle stesse dovute), con effetto duplice sia sull'imposta sociale sia su quella personale del socio, delinea ancora sul piano procedura la subordinazione della posizione del socio rispetto a quella della societa', nel senso che non puo' esservi una revisione dell'utile sociale che non debba riflettersi proporzionalmente sul reddito da partecipazione del socio, ne' possa esservi una revisione del reddito da partecipazione se non in coerenza con analoga revisione del reddito sociale nei confronti della societa' stessa. L'identita' di presupposto delle sue imposte, gravanti su soggetti di imposta diversi, ma maturato nell'ambito della organizzazione societaria, comporta sia sul piano sostanziale, sia su quello operativo dei contribuenti, sia su quello delle procedure devolute all'amministrazione finanziaria, una derivazione della posizione del socio rispetto a quella espressa dalla societa', nel senso che nelle varie fasi indicate, non possa individuarsi un reddito da partecipazione del socio se non rapportato al reddito realizzato, dichiarato o accertato per la societa'". Sotto il profilo processuale: "si tratta ora, di valutare se la predetta identita' di presupposto, e l'individuata derivazione di situazioni, debba esprimersi anche sul piano processuale, nel senso che non possa esservi un ricorso alle commissioni tributarie del socio che intenda porre in controversia l'entita' del suo reddito da partecipazione, quando non sia stato proposto ricorso contro l'accertamento nei confronti della societa' partecipata e che sia divenuto, per cio' stesso definitivo, ovvero, proposti entrambi i ricorsi, quando quello della societa' abbia un esito diverso da quello auspicato dal socio, a sua volta ricorrente in proprio. Il quesito, se limitato alla societa' di fatto e dei soci (...), merita una risposta affermativa. Ed invero, nella societa' che nasca dal semplice fatto della gestione in comune dell'impresa da parte di piu' persone fisiche (e con distinzione anche rispetto alla collettiva irregolare, in cui possa distinguersi tra soci amministratori e non, soci con rappresentanza e non), vige il principio legale dell'amministrazione disgiuntiva (art. 2257 c.c.) e la conseguente rappresentanza della societa', anche in giudizio, ad opera di tutti, e di ciascuno dei soci (art. 2266 c.c.), per cui ad una situazione di non distinzione tra i soci nei rapporti esterni, consegue, da un punto di vista tributario, una situazione di indistinzione tra societa' e soci, non solo sul piano sostanziale e procedurale, ma anche su quello processuale" (cosi' Cass., sez. I, 6 agosto 1992, n. 9313). Cio' postosi, deve ulteriormente rilevarsi che, in relazione alle seguenti questioni (indubbiamente attinenti alla problematica in esame o comunque ad essa connesse): 1) doverosita' o meno di notificare anche ai singoli soci o associati l'"unico atto" con il quale si procede alla rettifica delle dichiarazioni presentate dalle societa' o associazioni; 2) possibilita' o meno di considerare definitivi gli accertamenti dei redditi di partecipazione dei soci o associati nel caso in cui questi ultimi non abbiano proposto tempestivamente ricorso avverso gli avvisi di accertamento notificati nei loro confronti ai fini dell'imposta personale sul loro reddito complessivo, quando la societa' o associazione ha, invece, prodotto ricorso avverso l'accertamento nei suoi confronti notificato; 3) possibilita' o meno di considerare definitivamente accertato il reddito di partecipazione dei soci ed associati nel caso in cui questi ultimi abbiano proposto tempestivo ricorso avverso gli avvisi di accertamento notificati nei loro confronti ai fini dell'imposta personale sul loro reddito complessivo, quando la societa' o associazione non ha prodotto ricorso avverso l'accertamento ad esso notificato", il Consiglio di Stato, sez. III, con parere n. 68 reso il 17 gennaio 1984, ha ineccepibilmente ritenuto che: a) pur non essendo espressamente prescritto un obbligo specifico in tal senso, dal principio di unitarieta' affermato nella legge delega discende che l'Amministrazione finanziaria deve notificare l'avviso di accertamento unitario anche ai singoli soci o associati, e tale estensione della notifica e' nell'interesse della medesima amministrazione, in quanto semplifica il contenuto e le successive procedure di accertamento; b) l'amministrazione puo' considerare definitivi gli accertamenti solo quando questi siano decisi nell'ambito di un procedimento contenzioso in cui sia intervenuto il singolo socio, ovvero quando sia decorso nei confronti dello stesso il termine per impugnare. In caso di notifica al socio o associato dell'avviso di accertamento unitario, il termine per impugnare decorre da tale notifica, e l'omessa impugnazione preclude al socio o associato la possibilita' di contestare l'accertamento unitario in sede di impugnazione dell'avviso di accertamento del reddito personale. In caso di omessa notifica, invece, tale possibilita' di contestazione non gli puo' essere negata, e l'accertamento non diviene definitivo nei suoi confronti; c) l'amministrazione puo' considerare definitivo il reddito della societa', solo quando questo sia stato definito a seguito di un procedimento contenzioso cui abbia preso parte anche al societa' stessa, ovvero quando sia decorso per la societa' il termine per impugnare. Gli effetti delle decisioni adottate in giudizio, cui la societa' non abbia partecipato, non possono esserle estesi. Tanto premessosi, esaminando la fattispecie in esame, deve notarsi che la Michetti Pasqualina e' destinataria della notificazione dell'avviso di accertamento diretto alla Steel Concrete S.a.s. Ne consegue che ella era abilitata alla proposizione dell'impugnativa; anzi, dall'omessa interposizione di questa sarebbero derivate, in suo pregiudizio, le preclusioni innanzi evidenziate (cfr. le suritrascritte, puntuali ed efficaci, osservazioni di Consiglio di Stato n. 68/1984). Puo' pertanto utilmente passarsi allo scrutinio del meritum causae. Va preliminarmente rilevato che merita positiva considerazione la deduzione attorea secondo cui ai soci accomandati non sarebbe attribuibile il reddito d'impresa scaturente da atti illeciti e/o fraudolenti compiuti dagli accomandatari e/o da amministratori di fatto della societa' da loro designati e quindi dai medesimi posti nella condizione di commettere atti contrari alla legge ovvero allo statuto sociale. Ed e' l'evenienza nel caso di specie. In effetti, l'anzidetta allegazione ha avuto adeguato riscontro documentale (cfr. atti allegati al ricorso) e quindi la stessa risulta probatoriamente suffragata. Ne discende che e' meramente fittizio il profitto societario da cui sarebbe derivata la quota di partecipazione agli utili della ricorrente e quindi - in definitiva - sarebbe scaturito il reddito sottoposto ad imposizione con l'avviso di accertamento impugnato in questa sede. A cio' aggiungasi che, nel caso in esame, ai soci accomandanti non e' stato neppure consentito di esercitare il controllo sulla gestione societaria. Sul punto, va - tra l'altro - osservato, in generale, che agli accomandanti non sono conferiti i diritti-poteri di cui all'art. 2261 del codice civile tra i quali quelli di avere dagli amministratori notizia dello svolgimento degli affari sociali e di consultare i documenti relativi all'amministrazione, in quanto tale norma, in virtu' del richiamato operato dall'art. 2293, si applica unicamente ai soci non amministratori della societa' in nome collettivo; nell'ambito della S.a.s., i soci accomandati, per effetto della esplicita previsione di cui all'art. 2320, comma 2 del codice civile, hanno soltanto la facolta' di "compiere atti di ispezione e sorveglianza" a patto che l'atto costitutivo lo consenta. Alla luce delle considerazioni svoltesi il gravame meriterebbe accoglimento, con conseguenziale inibizione degli effetti che l'atto gravato esplicherebbe nei confronti della ricorrente. Sennonche' tale statuizione trova un insuperabile ostacolo nella previsione del comma 1 della legge 5 t.u.i.r. secondo cui: "i redditi delle societa' semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice residente nel territorio dello Stato sono imputati a ciascun socio, indipendentemente dalla percezione, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili". Difatti, la norma, all'evidenza, in primis sancisce l'automatismo nell'assegnazione del reddito al socio, sulla base della quota posseduta dal medesimo, e in secundis esclude esplicitamente che possa essere influente il mancato conseguimento, da parte dell'interessato, del reddito stesso. Trattasi, sostanzialmente, di una presunzione assoluta - e quindi incontrovertibile - di effettiva percezione. La ratio e la finalita' della norma stessa sono senz'altro quelle di rendere certi i rapporti tributari tra l'Amministrazione finanziaria, da una parte, e la societa' ed i soci, dall'altra, nonche' di evitare collusione e/o accordi fraudolenti a danno dell'erario. Apprezzabilmente comm. trib. prov. Pescara, sez. I, sent. 9 novembre 1998, n. 577 (Pres. Calfapietra - Rel. Del Rosario), ha ritenuto, con riferimento ad una societa' in nome collettivo, l'illegittimita' dell'accertamento operato nei confronti del socio risultato estraneo ai fatti delittuosi (afferenti fatturazioni per operazioni inesistenti), unicamente imputabili agli amministratori, "dovendo le conseguenze dell'accertamento stesso ricadere esclusivamente sui due soci amministratori, effettivi percettori dei proventi illeciti". Detta pronuncia, pero', ad avviso della sezione, non tiene conto del rigido disposto dell'art. 5 citato, secondo cui l'attribuzione del reddito al socio avviene "indipendentemente dalla percezione" della quota di partecipazione agli utili. Il collegio ritiene l'art. 5 ultimo citato, fondamentalmente sospettabile di illegittimita' costituzionale. In effetti, al socio rimasto del tutto estraneo all'amministrazione della societa', a cui - tra l'altro - non e' stato consentito l'esercizio del potere di controllo sulla gestione societaria, il che avrebbe potuto comportare la tempestiva denuncia degli abusi perpretati dagli amministratori e quindi evitargli il pregiudizio derivato da tali abusi, va necessariamente riconosciuta la facolta' di provare tali circostanze di fatto al fine di essere sottratto all'adempimento di un'obbligazione tributaria ingiustificata ed irragionevole, oltreche' sommamente ingiusta. Ne deriva la compromissione del diritto del medesimo anzitutto - sul piano sostanziale - a non essere assoggettato ad un'imposizione fiscale priva di causa per essere egli soltanto titolare apparente di un reddito mai conseguito e in secondo luogo - su quello processuale - di agire in giudizio per dimostrare siffatta situazione al fine di essere affrancato da detta imposizione. Cio' si appalesa, all'evidenza, contrastante con i principi di rango costituzionale espressi dagli artt. 3, 34 e 53 della Carta fondamentale. Quando ai parametri di cui agli artt. 3 e 24 citati, non possono non ritenersi sussitenti: a) la disparita' di trattamento fra i contribuenti, poiche' coloro i quali si trovano nella condizione della ricorrente - nel senso che, pur essendolo apparentemente, nella realta' non sono titolari di reddito - subiscono una ingiustificata ed illogica penalizzazione rispetto agli altri, anch'essi privi di proventi; b) la compromissione del diritto di difesa - al quale, naturalmente, e' intimamente connesso quello alla prova - del contribuente, per essere questi impossibilitato a dimostrare le circostanze di fatto escludenti la nascita dell'obbligazione tributaria. In via conseguenziale, appare vulnerato anche il principio della capacita' contributiva di cui all'art. 53 Cost. (Corte costituzionale 30 luglio 1997, n. 291), in quanto il contribuente non percettore di reddito verrebbe sottoposto ad imposizione in dispregio di detto principio. Ne' varrebbe obiettare che nella specie trattasi di una scelta insindacabile del legislatore, il quale, nel bilanciamento degli interessi in giuoco, avrebbe operato una valutazione di netto disfavorevole in ordine alla previsione di una presunzione relativa (e quindi contrastabile) della titolarita' del reddito di partecipazione, sul presupposto che in tal modo potrebbero determinarsi, mediante concertazioni preordinate e/o fraudolente, fenomeni di evasione e/o di elusione fiscale. In effetti, nelle situazioni come quella de qua precludere sic et sempliciter all'interessato di dimostrare l'insussistenza del provento si traduce, in concreto, nella lesione dei suindicati principi. E' peraltro ovvio, attesa la estrema rilevanza dell'interesse pubblicistico coinvolto nel giudizio tributario, che le risultanze probatorie, scaturenti dai mezzi istruttori addotti dal contribuente per avvalorare la mancata percezione del reddito di partecipazione, dovranno essere vagliata con particolare prudenza e con la necessaria cautela. Le considerazioni svoltesi danno conto della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale del comma 1, dell'art. 5, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 - per contrasto con gli artt. 3, 24 e 53 Cost. - nella parte in cui (1) prevede l'imputazione al socio del reddito di partecipazione societaria "indipendentemente dalla percezione" dello stesso e (2) non consente al medesimo di dimostrare giudizialmente di non aver conseguito detto reddito, in presenza di un fittizio utile societario - frutto di abusi ed illeciti commessi dagli amministratori, ai quali il socio sia rimasto completamente estraneo e che il medesimo non abbia potuto ne' impedire ne' denunziare tempestivamente - da cui dovrebbe derivare il provento associativo.
P. Q. M. Visti gli artt. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, 23 e seguenti della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale del comma 1 dell'art. 5 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 - per contrasto con gli artt. 3, 24 e 53 Cost. - nella parte in cui: 1) prevede l'imputazione al socio del reddito di partecipazione societaria "indipendentemente dalla percezione" dello stesso; 2) non consente al medesimo di dimostrare giudizialmente di non aver conseguito detto reddito, in presenza di un fittizio utile societario - frutto di abusi ed illeciti commessi dagli amministratori, ai quali il socio sia rimasto completamente estraneo e che egli non abbia ne' potuto ne' impedire ne' denunziare tempestivamente - da cui dovrebbe derivare il provento associativo; Dispone la sospensione del presente giudizio e la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che la presente ordinanza sia notificata, a cura della segreteria, alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonche' comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Cosi' deciso in Chieti, nella camera di consiglio del 10 marzo 2000. Il Presidente: Quinzio Il giudice-estensore: Gialloreto 00C1055