N. 590 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 marzo 2000

Ordinanza  emessa  il  10  marzo  2000  dalla  Commissione tributaria
provinciale  di  Chieti  sul  ricorso proposto da Michetti Pasqualina
contro Ufficio II.DD. di Chieti

Imposta  sul  reddito  delle  persone  fisiche  (IRPEF)  - Redditi di
partecipazione   a   societa'  semplici,  in  nome  collettivo  e  in
accomandita  semplice - Imputazione al socio "indipendentemente dalla
percezione"  -  Impossibilita'  per  il  socio  stesso  di dimostrare
giudizialmente  di  non aver conseguito alcun reddito, in presenza di
un   fittizio   utile   societario   frutto  di  illeciti  imputabili
esclusivamente  agli  amministratori  -  Ingiustificata disparita' di
trattamento  rispetto  agli  altri  contribuenti  non  percettori  di
redditi  -  Violazione  del  diritto  di  difesa  e  del principio di
capacita' contributiva.
- D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5, comma 1.
- Costituzione, artt. 3, 24 e 53.
(GU n.43 del 18-10-2000 )
                LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul ricorso iscritto al
  n. 209  dell'anno 1998 del r.g.r. vertente tra Michetti Pasqualina,
  residente  in Spoltore, elettivamente domiciliata in Francavilla al
  Mare  al viale Nettuno n. 216 presso lo studio della dott.ssa Maria
  Gabriella  Vichi dalla quale e' rappresentata e difesa in virtu' di
  procura  in  calce  al  ricorso;  ricorrente e ufficio distrettuale
  delle imposte dirette di Chieti; resistente.
    Oggetto,   impugnazione   avviso  di  accertamento  n. 3082000279
  (I.L.O.R.; 1991); conclusioni per la ricorrente chiede:
        1) che codesta on.le commissione voglia annullare l'avviso di
  accertamento per la parte di reddito attribuita ai soci;
        2) che  la discussione della controversia avvenga in pubblica
  udienza a norma dell'art. 33, comma 1, d.lgs. n. 546/1992;
        3) la  sospensione dell'atto impugnato ai sensi dell'art. 47,
  d.lgs.  n. 546/1992,  fino  alla  conclusione del giudizio pendente
  presso  il  tribunale  di  Chieti  tenuto conto che la societa', in
  liquidazione,   non   e'  oggi  in  grado  di  produrre  liquidita'
  necessaria  per  pagare  qualunque  tipo  di imposta, anche minima,
  poiche'  le  passivita'  sono  considerevoli, gli scoperti di conto
  corrente molto elevati ed i beni mobili ed immobili tutti pignorati
  od ipotecati.

    Per  resistente: "rigettare il ricorso e condannare la ricorrente
  alle   spese   di  giudizio,  ai  sensi  dell'art.  15  del  d.lgs.
  n. 546/1992".

                              F a t t o

    Con  ricorso  notificato  il  23  febbraio  1998  e depositato il
  successivo  giorno 26, Michetti Pasqualina, quale socio accomodante
  dalla   Steel  Concrete  S.a.s.  di  Vicentino  Michetti  &  c.  in
  liquidazione,  impugnava  l'avviso  di  accertamento  descritto  in
  oggetto,  notificatole  il 24 dicembre 1977, con il quale l'ufficio
  distrettuale  delle  imposte  dirette  di  Chieti  -  in  relazione
  all'anno d'imposta 1991 - accertava "il reddito di impresa [n.d.r.:
  di  detta  societa']  nella misura di L. 168.610.000 in conseguenza
  del  recupero  fiscale di costi indeducibili per L. 120.000.000 per
  violazione dell'art. 75 d.P.R. n. 917/1986".
    Deduceva che:
        1) l'art. 2320 c.c. inibiva ai soci accomandati il compimento
  degli atti di amministrazione;
        2) non  era stata posta nella condizione di esercitare alcuna
  forma di controllo gestionale e finanziario della societa';
        3) non   poteva   esserle   imputata  alcuna  responsabilita'
  derivante dalla presentazione di dichiarazioni infedeli relative ai
  redditi sociali;
        4) non   potevano  esserle  comminate  le  sanzioni  previste
  dall'art.  46  del  d.P.R.  n. 600/1973  atteso che non era affatto
  configurabile l'infedelta' contemplata da detta disposizione;
        5) le era stato impedito l'accesso alle scritture contabili;
        6) non  era  stata  minimamente  informata  circa  le vicende
  sociali;
        7) le  conseguenze di eventuali atti e/o fatti illeciti erano
  ascrivibili  esclusivamente  "all'accomandatario o alle persone che
  di fatto amministravano la societa'".

    Spiegava,   pertanto,  le  conclusioni  trascritte  in  epigrafe.
  Costituitosi  in  giudizio,  l'ufficio  distrettuale  delle imposte
  dirette  di  Chieti eccepiva l'inammissibilita' del ricorso siccome
  questo  era stato proposto il 23 febbraio 1998 quanto il termine di
  cui  all'art.  21 del d.lgs. n. 546/1992 era scaduto tenutosi conto
  che  l'atto  impugnato  era  stato  notificato il 24 dicembre 1997;
  obiettava   altresi'   la   mancanza   di   legittimazione   attiva
  all'impugnativa   in   capo  alla  contribuente  siccome  essa  era
  riservata, in via esclusiva, al liquidatore della societa' nominato
  il 27 marzo 1996; nel merito, contestava la fondatezza del gravame.
    Pare  resistente  concludeva,  pertanto,  nei suindicati termini.
  All'odierna  udienza  (tenutasi  in  camera di consiglio), la causa
  veniva posta in deliberazione.

                            D i r i t t o

    Va    in    limine   disattesa   l'eccezione   pregiudiziale   di
  inammissibilita'  del  gravame  per decorso del termine di sessanta
  giorni previsto dall'art. 21 citato.
    Esso spirava il 22 febbraio 1998, che pero' ricadeva di domenica.
  Ne consegue, in applicazione dell'art. 155, u.c., c.p.c. - operante
  nel  processo tributario in virtu' del richiamo contenuto nell'art.
  1,  comma  2,  d.lgs. n. 546/1992 - secondo il quale il termine che
  viene  a scadere in giorno festivo e' prorogato di diritto al primo
  giorno  seguente non festivo, che l'azione giudiziale poteva essere
  utilmente intrapresa anche il 23 febbraio 1998, com'e' avvenuto nel
  caso di specie.
    Eguale   sorte   deve  riservarsi  all'eccezione  di  difetto  di
  legittimazione attiva.
    Al  riguardo,  va  preliminarmente  operata  la ricostruzione del
  quadro  normativo  in  materia  di  notificazione  -  alle  persone
  giuridiche,  alle  societa'  prive  di personalita' giuridica ed ai
  loro  soci  -  degli  accertamenti in rettifica delle dichiarazioni
  presentate da tali enti.
    L'art.  40 del d.P.R. n. 600/1973, al primo comma, primo periodo,
  dispone,  quanto alle persone giuridiche, che "alla rettifica delle
  dichiarazioni presentate dai soggetti all'imposta sul reddito delle
  persone  giuridiche  si procede con unico atto agli effetti di tale
  imposta e dell'imposta locale sui redditi, con riferimento unitario
  al  reddito  complessivo  imponibile  ma tenendo distinti i redditi
  fondiari";   il   secondo   comma,   primo  periodo,  prevede,  con
  riferimento  alle  societa' non aventi personalita' giuridica, che:
  "alla  rettifica  delle  dichiarazioni  presentate dalle societa' e
  associazioni  indicate  nell'art.  5  del d.P.R. 29 settembre 1973,
  n. 597"  (n.d.r.:  ora art. 5 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917),
  "si  procede con unico atto ai fini dell'imposta locale sui redditi
  dovuta  dalle  stesse  societa' e ai fini delle imposte sul reddito
  delle persone fisiche o delle persone giuridiche dovute dai singoli
  soci o associati".
    La  disposizione  di  cui al comma 2 citato, appena trascrittasi,
  prescrive,  sostanzialmente,  la  unitarieta'  dell'accertamento al
  precipuo  fine  di  evitare che si proceda ad accertamenti distinti
  dallo  stesso reddito, ancorche' su di esso devono essere applicate
  diverse  imposte,  e  cioe' l'I.L.O.R. nei confronti della societa'
  oppure   della  associazione  e  l'I.R.P.E.F.  o  l'I.R.P.E.G.  nei
  confronti  dei  soci  ovvero  degli  associati;  tale identita' del
  reddito  e'  contemplata  (1) dal succitato art. 5, comma 1, d.P.R.
  n. 917/1986  (e  in  precedenza era previsto dall'art. 5 del d.P.R.
  n. 597/1973,  anteriormente  vigente),  laddove  si  dispone che "i
  redditi   delle   societa'   semplici,  in  nome  collettivo  e  in
  accomandita  semplice  residenti  nel  territorio  dello Stato sono
  imputati  a  ciascun  socio,  indipendentemente  dalla  percezione,
  proporzionalmente  alla  sua  quota  di partecipazione agli utili",
  nonche',  in  ordine  alla dichiarazione d'imposta, (2) dall'art. 6
  del  d.P.R.  n. 600/1973  citato, ove, al comma 1, si sancisce che:
  "Le societa' semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice
  ...  e le societa' ed associazioni ad esse equiparate a norma dello
  stesso  articolo  devono  presentare  la dichiarazione agli effetti
  dell'imposta  locale  sui  redditi  da  essa  dovuta e agli effetti
  dell'imposta  sul  reddito delle persone fisiche e dell'imposta sul
  reddito delle persone giuridiche dovute dai soci o associati".
    Acclaratosi  quanto  precede,  appare  opportuno  richiamare,  in
  ordine  all'analisi  del  rapporto  tra  l'utile  di  impresa della
  societa'  di  persone (quale presupposto della I.L.O.R. sociale) ed
  il  presupposto di imposta (reddito da partecipazione del socio) ai
  fini  I.R.P.E.F., il contenuto di una pregevole sentenza della s.c.
  che,  in  relazione  all'analisi  stessa, ha distinto un aspetto di
  diritto  sostanziale, un altro di carattere procedurale ed un terzo
  di natura processuale.
    Al  riguardo,  nella  stessa  si  e'  osservato: sotto il profilo
  sostanziale   l'art.  5  del  d.P.R.  n. 597/1973,  in  riferimento
  all'art.  1,  individua  la  relazione  tra  il  presupposto  della
  I.L.O.R.  gravante sulla societa' e quello della I.R.P.E.F. gravame
  sul socio (limitatamente alla voce "reddito da partecipazione"), in
  una  situazione di "identita'". Se e' vero, infatti, che per l'art.
  1  del  d.P.R.  n. 597/1973  citato il presupposto dell'imposta sul
  reddito  delle  persone fisiche e' il "possesso di reddito" secondo
  uno  dei  tipi  indicati  nel  successivo  art.  6, detto possesso,
  relativamente  agli utili delle societa' di persone partecipate, e'
  individuato  dall'art.  5  nella  pura  e  semplice  "imputazione",
  indipendentemente  da  qualsiasi  ipotesi di distribuzione da parte
  della societa' e di percezione da parte del socio.
    La mera partecipazione ad una compagine sociale del tipo, quindi,
  implica    da   parte   del   socio,   e   proporzionalmente   alla
  partecipazione,  "possesso" dell'utile sociale che, in quanto tale,
  diviene  componente  del  reddito personale del socio ai fini della
  I.R.P.E.F.
    Non  solo,  quindi, vi e' identita' oggettiva tra utile sociale e
  reddito del socio in proporzione ma perche' l'utile sociale divenga
  reddito   posseduto   dal   socio,   non  occorre  alcun  movimento
  patrimoniale  o  finanziario poiche', quand'anche l'utile rimanesse
  impiegato  nell'azienda  quale  componente o entita' del patrimonio
  sociale,  il  rapporto  societario  individuerebbe  di  per  se' il
  possesso  di  reddito  sociale  per il socio quale proprio reddito,
  "indipendentemente  dalla  percezione",  come precisa espressamente
  l'articolo citato.
    L'identita'  di presupposto si riflette sulle modalita' operative
  del  contribuente,  tanto  che  (art.  6, d.P.R. 29 settembre 1973,
  n. 600)  la  dichiarazione  dei  redditi  sociali viene fatta dalla
  societa'  "agli  effetti  dell'imposta  sui  redditi"  dovuta dalla
  stessa  societa',  e  "agli  effetti dell'imposta sul reddito delle
  persone fisiche ... dovuta dai soci ed associati".
    Poiche',  peraltro,  i  soci  ai  fini  della I.R.P.E.F. non sono
  esonerati   dalla  propria  e  personale  dichiarazione,  l'effetto
  estensivo della dichiarazione sociale ai fini del presupposto della
  I.R.P.E.F.  dei  soci,  non  puo' avere che un'unico significato, e
  cioe':   i  soci  sono  tenuti  ad  esporre  nelle  loro  personali
  dichiarazioni  un  reddito  da  partecipazione  identico  a  quello
  esposto dalla societa', imputandolo pro-quota al proprio reddito.
    Si  individua, pertanto, sul piano dell'applicazione dell'imposta
  personale,  cui  il socio e' chiamato con la propria dichiarazione,
  una   situazione   di   subordinazione   alla   posizione  ed  alla
  dichiarazione  della societa', in virtu' dell'effetto estensivo che
  la  legge  attribuisce  alla  dichiarazione  di  quest'ultima, come
  conseguenza  della  situazione  di  identita' di presupposto che la
  I.L.O.R.  della  societa'  e  la  I.R.P.E.F. del socio (quanto meno
  pro-quota) hanno".
    Sotto  il profilo procedurale: "la richiamata unita' sostanziale,
  inoltre, si riflette sul piano procedurale, in base alla disciplina
  dell'art.  40,  secondo comma, del d.P.R. n. 600/1973 citato. Come,
  infatti,  alla  dichiarazione  della  societa'  la legge conferisce
  effetto  estensivo  sull'oggetto  della dichiarazione personale del
  socio,  cosi'  l'art.  40,  secondo  comma, citato dispone che alla
  rettifica  della dichiarazione della societa' si procede "con unico
  atto  ai fini dell'imposta locale sui redditi dovuta dalla societa'
  stessa  "e  ai fini delle imposte sul reddito delle persone fisiche
  ... dovute dai singoli soci o associati .
    L'accertamento unico, quindi, (disposto con terminologia identica
  a  quella  del primo comma dell'art. 40 per le societa' di capitali
  ai fini della I.L.O.R. e della I.R.P.E.G. dalle stesse dovute), con
  effetto  duplice  sia  sull'imposta sociale sia su quella personale
  del  socio,  delinea  ancora  sul piano procedura la subordinazione
  della  posizione  del  socio  rispetto a quella della societa', nel
  senso che non puo' esservi una revisione dell'utile sociale che non
  debba  riflettersi  proporzionalmente sul reddito da partecipazione
  del   socio,  ne'  possa  esservi  una  revisione  del  reddito  da
  partecipazione se non in coerenza con analoga revisione del reddito
  sociale nei confronti della societa' stessa.
    L'identita'   di  presupposto  delle  sue  imposte,  gravanti  su
  soggetti   di   imposta  diversi,  ma  maturato  nell'ambito  della
  organizzazione  societaria, comporta sia sul piano sostanziale, sia
  su quello operativo dei contribuenti, sia su quello delle procedure
  devolute  all'amministrazione  finanziaria,  una  derivazione della
  posizione  del socio rispetto a quella espressa dalla societa', nel
  senso  che  nelle  varie  fasi  indicate, non possa individuarsi un
  reddito  da  partecipazione  del socio se non rapportato al reddito
  realizzato, dichiarato o accertato per la societa'".
    Sotto  il  profilo processuale: "si tratta ora, di valutare se la
  predetta  identita'  di presupposto, e l'individuata derivazione di
  situazioni, debba esprimersi anche sul piano processuale, nel senso
  che  non  possa  esservi un ricorso alle commissioni tributarie del
  socio  che  intenda porre in controversia l'entita' del suo reddito
  da  partecipazione,  quando  non  sia stato proposto ricorso contro
  l'accertamento  nei  confronti della societa' partecipata e che sia
  divenuto,  per  cio' stesso definitivo, ovvero, proposti entrambi i
  ricorsi,  quando  quello  della  societa' abbia un esito diverso da
  quello auspicato dal socio, a sua volta ricorrente in proprio.
    Il  quesito, se limitato alla societa' di fatto e dei soci (...),
  merita  una  risposta  affermativa.  Ed  invero, nella societa' che
  nasca  dal  semplice fatto della gestione in comune dell'impresa da
  parte  di  piu'  persone  fisiche (e con distinzione anche rispetto
  alla  collettiva  irregolare,  in  cui  possa distinguersi tra soci
  amministratori  e  non,  soci  con  rappresentanza  e non), vige il
  principio  legale dell'amministrazione disgiuntiva (art. 2257 c.c.)
  e  la conseguente rappresentanza della societa', anche in giudizio,
  ad opera di tutti, e di ciascuno dei soci (art. 2266 c.c.), per cui
  ad  una  situazione  di  non  distinzione  tra  i soci nei rapporti
  esterni,  consegue, da un punto di vista tributario, una situazione
  di   indistinzione   tra  societa'  e  soci,  non  solo  sul  piano
  sostanziale  e  procedurale, ma anche su quello processuale" (cosi'
  Cass., sez. I, 6 agosto 1992, n. 9313).
    Cio' postosi, deve ulteriormente rilevarsi che, in relazione alle
  seguenti  questioni  (indubbiamente  attinenti alla problematica in
  esame o comunque ad essa connesse):
        1) doverosita'  o  meno di notificare anche ai singoli soci o
  associati  l'"unico  atto"  con  il quale si procede alla rettifica
  delle dichiarazioni presentate dalle societa' o associazioni;
        2) possibilita'   o   meno   di  considerare  definitivi  gli
  accertamenti dei redditi di partecipazione dei soci o associati nel
  caso  in  cui  questi  ultimi  non abbiano proposto tempestivamente
  ricorso  avverso  gli  avvisi  di  accertamento notificati nei loro
  confronti   ai   fini   dell'imposta  personale  sul  loro  reddito
  complessivo, quando la societa' o associazione ha, invece, prodotto
  ricorso avverso l'accertamento nei suoi confronti notificato;
        3) possibilita'   o   meno   di  considerare  definitivamente
  accertato  il  reddito  di partecipazione dei soci ed associati nel
  caso  in  cui  questi  ultimi  abbiano  proposto tempestivo ricorso
  avverso gli avvisi di accertamento notificati nei loro confronti ai
  fini dell'imposta personale sul loro reddito complessivo, quando la
  societa'   o   associazione   non   ha   prodotto  ricorso  avverso
  l'accertamento   ad   esso  notificato",  il  Consiglio  di  Stato,
  sez. III,   con   parere   n. 68   reso  il  17  gennaio  1984,  ha
  ineccepibilmente ritenuto che:
          a) pur  non  essendo  espressamente  prescritto  un obbligo
  specifico  in  tal  senso,  dal  principio di unitarieta' affermato
  nella  legge delega discende che l'Amministrazione finanziaria deve
  notificare  l'avviso di accertamento unitario anche ai singoli soci
  o  associati,  e  tale  estensione della notifica e' nell'interesse
  della medesima amministrazione, in quanto semplifica il contenuto e
  le successive procedure di accertamento;
          b) l'amministrazione   puo'   considerare   definitivi  gli
  accertamenti  solo  quando  questi  siano  decisi nell'ambito di un
  procedimento  contenzioso  in cui sia intervenuto il singolo socio,
  ovvero quando sia decorso nei confronti dello stesso il termine per
  impugnare.  In caso di notifica al socio o associato dell'avviso di
  accertamento  unitario,  il  termine  per impugnare decorre da tale
  notifica,  e l'omessa impugnazione preclude al socio o associato la
  possibilita'  di  contestare  l'accertamento  unitario  in  sede di
  impugnazione  dell'avviso di accertamento del reddito personale. In
  caso di omessa notifica, invece, tale possibilita' di contestazione
  non gli puo' essere negata, e l'accertamento non diviene definitivo
  nei suoi confronti;
          c) l'amministrazione puo' considerare definitivo il reddito
  della  societa', solo quando questo sia stato definito a seguito di
  un procedimento contenzioso cui abbia preso parte anche al societa'
  stessa,  ovvero  quando  sia decorso per la societa' il termine per
  impugnare. Gli effetti delle decisioni adottate in giudizio, cui la
  societa' non abbia partecipato, non possono esserle estesi.

    Tanto  premessosi,  esaminando  la  fattispecie  in  esame,  deve
  notarsi   che   la   Michetti   Pasqualina  e'  destinataria  della
  notificazione   dell'avviso  di  accertamento  diretto  alla  Steel
  Concrete S.a.s.
    Ne   consegue   che   ella   era   abilitata   alla  proposizione
  dell'impugnativa;   anzi,   dall'omessa  interposizione  di  questa
  sarebbero  derivate,  in  suo  pregiudizio,  le preclusioni innanzi
  evidenziate   (cfr.   le   suritrascritte,  puntuali  ed  efficaci,
  osservazioni di Consiglio di Stato n. 68/1984).
    Puo'  pertanto  utilmente  passarsi  allo  scrutinio  del meritum
  causae.
    Va preliminarmente rilevato che merita positiva considerazione la
  deduzione  attorea  secondo  cui  ai  soci  accomandati non sarebbe
  attribuibile  il  reddito d'impresa scaturente da atti illeciti e/o
  fraudolenti  compiuti  dagli accomandatari e/o da amministratori di
  fatto  della societa' da loro designati e quindi dai medesimi posti
  nella condizione di commettere atti contrari alla legge ovvero allo
  statuto sociale.
    Ed  e'  l'evenienza  nel  caso di specie. In effetti, l'anzidetta
  allegazione  ha  avuto  adeguato  riscontro  documentale (cfr. atti
  allegati  al  ricorso)  e  quindi la stessa risulta probatoriamente
  suffragata.
    Ne  discende  che e' meramente fittizio il profitto societario da
  cui  sarebbe  derivata  la quota di partecipazione agli utili della
  ricorrente  e quindi - in definitiva - sarebbe scaturito il reddito
  sottoposto ad imposizione con l'avviso di accertamento impugnato in
  questa sede.
    A  cio'  aggiungasi  che, nel caso in esame, ai soci accomandanti
  non  e'  stato  neppure consentito di esercitare il controllo sulla
  gestione societaria.
    Sul  punto,  va  - tra l'altro - osservato, in generale, che agli
  accomandanti  non  sono  conferiti i diritti-poteri di cui all'art.
  2261   del  codice  civile  tra  i  quali  quelli  di  avere  dagli
  amministratori  notizia dello svolgimento degli affari sociali e di
  consultare i documenti relativi all'amministrazione, in quanto tale
  norma,  in virtu' del richiamato operato dall'art. 2293, si applica
  unicamente  ai  soci  non  amministratori  della  societa'  in nome
  collettivo;  nell'ambito  della  S.a.s.,  i  soci  accomandati, per
  effetto  della  esplicita  previsione di cui all'art. 2320, comma 2
  del  codice civile, hanno soltanto la facolta' di "compiere atti di
  ispezione  e  sorveglianza"  a  patto  che  l'atto  costitutivo  lo
  consenta.
    Alla  luce  delle  considerazioni svoltesi il gravame meriterebbe
  accoglimento,  con  conseguenziale  inibizione  degli  effetti  che
  l'atto gravato esplicherebbe nei confronti della ricorrente.
    Sennonche'  tale statuizione trova un insuperabile ostacolo nella
  previsione  del  comma  1  della  legge  5 t.u.i.r. secondo cui: "i
  redditi   delle   societa'   semplici,  in  nome  collettivo  e  in
  accomandita  semplice  residente  nel  territorio  dello Stato sono
  imputati  a  ciascun  socio,  indipendentemente  dalla  percezione,
  proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili".
    Difatti, la norma, all'evidenza, in primis sancisce l'automatismo
  nell'assegnazione  del  reddito  al  socio,  sulla base della quota
  posseduta  dal  medesimo,  e in secundis esclude esplicitamente che
  possa   essere   influente   il  mancato  conseguimento,  da  parte
  dell'interessato, del reddito stesso.
    Trattasi, sostanzialmente, di una presunzione assoluta - e quindi
  incontrovertibile - di effettiva percezione.
    La ratio e la finalita' della norma stessa sono senz'altro quelle
  di   rendere  certi  i  rapporti  tributari  tra  l'Amministrazione
  finanziaria,  da  una  parte,  e la societa' ed i soci, dall'altra,
  nonche'  di  evitare  collusione  e/o  accordi  fraudolenti a danno
  dell'erario.
    Apprezzabilmente  comm.  trib.  prov.  Pescara,  sez.  I, sent. 9
  novembre  1998,  n. 577  (Pres. Calfapietra - Rel. Del Rosario), ha
  ritenuto,  con  riferimento  ad  una  societa'  in nome collettivo,
  l'illegittimita'  dell'accertamento operato nei confronti del socio
  risultato  estraneo ai fatti delittuosi (afferenti fatturazioni per
  operazioni inesistenti), unicamente imputabili agli amministratori,
  "dovendo   le   conseguenze   dell'accertamento   stesso   ricadere
  esclusivamente  sui  due  soci amministratori, effettivi percettori
  dei proventi illeciti".
    Detta  pronuncia, pero', ad avviso della sezione, non tiene conto
  del  rigido disposto dell'art. 5 citato, secondo cui l'attribuzione
  del  reddito  al socio avviene "indipendentemente dalla percezione"
  della quota di partecipazione agli utili.
    Il  collegio  ritiene  l'art.  5  ultimo citato, fondamentalmente
  sospettabile di illegittimita' costituzionale.
    In    effetti,    al    socio    rimasto   del   tutto   estraneo
  all'amministrazione  della  societa',  a cui - tra l'altro - non e'
  stato consentito l'esercizio del potere di controllo sulla gestione
  societaria, il che avrebbe potuto comportare la tempestiva denuncia
  degli  abusi  perpretati dagli amministratori e quindi evitargli il
  pregiudizio derivato da tali abusi, va necessariamente riconosciuta
  la  facolta' di provare tali circostanze di fatto al fine di essere
  sottratto    all'adempimento    di    un'obbligazione    tributaria
  ingiustificata ed irragionevole, oltreche' sommamente ingiusta.
    Ne  deriva la compromissione del diritto del medesimo anzitutto -
  sul piano sostanziale - a non essere assoggettato ad un'imposizione
  fiscale  priva di causa per essere egli soltanto titolare apparente
  di  un  reddito  mai  conseguito  e  in  secondo  luogo - su quello
  processuale   -  di  agire  in  giudizio  per  dimostrare  siffatta
  situazione al fine di essere affrancato da detta imposizione.
    Cio'  si  appalesa,  all'evidenza, contrastante con i principi di
  rango  costituzionale  espressi  dagli artt. 3, 34 e 53 della Carta
  fondamentale.
    Quando  ai parametri di cui agli artt. 3 e 24 citati, non possono
  non ritenersi sussitenti:
        a) la  disparita'  di trattamento fra i contribuenti, poiche'
  coloro  i  quali si trovano nella condizione della ricorrente - nel
  senso  che,  pur  essendolo  apparentemente, nella realta' non sono
  titolari  di  reddito  -  subiscono  una ingiustificata ed illogica
  penalizzazione rispetto agli altri, anch'essi privi di proventi;
        b) la  compromissione  del  diritto  di  difesa  -  al quale,
  naturalmente,  e'  intimamente  connesso  quello  alla  prova - del
  contribuente,  per  essere  questi  impossibilitato a dimostrare le
  circostanze   di  fatto  escludenti  la  nascita  dell'obbligazione
  tributaria.

    In  via conseguenziale, appare vulnerato anche il principio della
  capacita'   contributiva   di   cui   all'art.   53   Cost.  (Corte
  costituzionale  30  luglio 1997, n. 291), in quanto il contribuente
  non  percettore  di  reddito  verrebbe sottoposto ad imposizione in
  dispregio di detto principio.
    Ne'  varrebbe  obiettare  che nella specie trattasi di una scelta
  insindacabile  del  legislatore,  il quale, nel bilanciamento degli
  interessi  in  giuoco,  avrebbe  operato  una  valutazione di netto
  disfavorevole in ordine alla previsione di una presunzione relativa
  (e   quindi   contrastabile)   della  titolarita'  del  reddito  di
  partecipazione,   sul   presupposto  che  in  tal  modo  potrebbero
  determinarsi,  mediante  concertazioni preordinate e/o fraudolente,
  fenomeni di evasione e/o di elusione fiscale.
    In effetti, nelle situazioni come quella de qua precludere sic et
  sempliciter   all'interessato  di  dimostrare  l'insussistenza  del
  provento  si  traduce,  in  concreto,  nella lesione dei suindicati
  principi.
    E'  peraltro  ovvio,  attesa  la estrema rilevanza dell'interesse
  pubblicistico  coinvolto nel giudizio tributario, che le risultanze
  probatorie,   scaturenti   dai   mezzi   istruttori   addotti   dal
  contribuente  per  avvalorare  la mancata percezione del reddito di
  partecipazione, dovranno essere vagliata con particolare prudenza e
  con la necessaria cautela.
    Le  considerazioni  svoltesi  danno conto della rilevanza e della
  non   manifesta   infondatezza   della  questione  di  legittimita'
  costituzionale  del  comma  1,  dell'art. 5, del d.P.R. 22 dicembre
  1986, n. 917 - per contrasto con gli artt. 3, 24 e 53 Cost. - nella
  parte  in  cui  (1)  prevede  l'imputazione al socio del reddito di
  partecipazione   societaria  "indipendentemente  dalla  percezione"
  dello   stesso  e  (2)  non  consente  al  medesimo  di  dimostrare
  giudizialmente di non aver conseguito detto reddito, in presenza di
  un fittizio utile societario - frutto di abusi ed illeciti commessi
  dagli  amministratori,  ai quali il socio sia rimasto completamente
  estraneo  e  che  il  medesimo  non  abbia  potuto ne' impedire ne'
  denunziare  tempestivamente  - da cui dovrebbe derivare il provento
  associativo.
                              P. Q. M.
    Visti  gli  artt.  1  della legge costituzionale 9 febbraio 1948,
  n. 1, 23 e seguenti della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
  legittimita'  costituzionale  del comma 1 dell'art. 5 del d.P.R. 22
  dicembre  1986,  n. 917  -  per  contrasto con gli artt. 3, 24 e 53
  Cost. - nella parte in cui:
        1) prevede    l'imputazione   al   socio   del   reddito   di
  partecipazione   societaria  "indipendentemente  dalla  percezione"
  dello stesso;
        2) non  consente  al medesimo di dimostrare giudizialmente di
  non aver conseguito detto reddito, in presenza di un fittizio utile
  societario   -   frutto   di   abusi  ed  illeciti  commessi  dagli
  amministratori,   ai  quali  il  socio  sia  rimasto  completamente
  estraneo  e  che  egli  non  abbia  ne'  potuto  ne'  impedire  ne'
  denunziare  tempestivamente  - da cui dovrebbe derivare il provento
  associativo;

    Dispone  la  sospensione  del  presente  giudizio  e la immediata
  trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    Ordina  che  la  presente  ordinanza sia notificata, a cura della
  segreteria,  alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei
  Ministri,   nonche'  comunicata  ai  Presidenti  della  Camera  dei
  deputati e del Senato della Repubblica.

    Cosi'  deciso  in  Chieti, nella camera di consiglio del 10 marzo
  2000.
                       Il Presidente: Quinzio
Il giudice-estensore: Gialloreto
00C1055