N. 419 SENTENZA 9 - 13 ottobre 2000

Sentenza 9-13 ottobre 2000
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Poste  e  telecomunicazioni - Ente Poste italiane - Personale assunto
con  contratto  di lavoro a tempo determinato, non oltre il 30 giugno
1997  -  Divieto di trasformazione deI rapporto di lavoro in rapporto
di  lavoro  a  tempo  indeterminato  -  Difetto  di  rilevanza  della
sollevata questione - Manifesta inammissibilita'.
- D.L.   1o ottobre   1996,   n. 510   (convertito   in   legge,  con
  modificazioni,  dall'art. 1, comma 1, della legge 28 novembre 1996,
  n. 608), art. 9, comma 21, ultimo periodo.
- Costituzione,  art. 3.  Poste  e  telecomunicazioni  -  Ente  Poste
  italiane  -  Personale  assunto  con  contratto  di  lavoro a tempo
  determinato,   non   oltre   il   30 giugno   1997   -  Divieto  di
  trasformazione del rapporto di lavoro in rapporto di lavoro a tempo
  indeterminato  -  Difetto  di  motivazione  sulla  rilevanza  della
  sollevata questione - Manifesta inammissibilita'.
- D.L.   1o ottobre   1996,   n. 510   (convertito   in   legge,  con
  modificazioni,  dall'art. 1, comma 1, della legge 28 novembre 1996,
  n. 608), art. 9, comma 21, ultimo periodo.
- Costituzione,    artt. 3    e   39.   Questione   di   legittimita'
  costituzionale    -   Eccezione   di   inammissibilita'   sollevata
  dall'Avvocatura  dello  Stato  -  Asserita inidoneita' del giudizio
  incidentale   per   censurare   l'esercizio   distorto  del  potere
  legislativo - Rigetto dell'eccezione.
Rilevanza  della  questione  -  Eccepito  difetto  -  Insussistenza -
  Motivazione non implausibile del giudice rimettente - Rigetto della
  eccezione.
Poste  e  telecomunicazioni - Ente Poste italiane - Personale assunto
  con contratto di lavoro a tempo determinato, non oltre il 30 giugno
  1997 - Divieto di trasformazione del rapporto di lavoro in rapporto
  di lavoro a tempo indeterminato - Asserita mancanza dei presupposti
  di  necessita'  ed  urgenza  per l'emanazione delle norme censurate
  nonche'  lamentata  reiterazione  di  precedente  decreto-legge non
  convertito - Non fondatezza delle questioni.
- D.L.   1o ottobre   1996,   n. 510   (convertito   in   legge,  con
  modificazioni,  dall'art. 1, comma 1, della legge 28 novembre 1996,
  n. 608), art. 9, comma 21, ultimo periodo.
- Costituzione,  art. 77. Retroattivita' e irretroattivita' - Divieto
  di  retroattivita'  della  legge  -  Operativita'  del  divieto con
  esclusivo  riferimento  alla  materia  penale - Possibilita' per il
  legislatore  di  adottare  norme  retroattive entro il limite della
  ragionevolezza.
Poste  e  telecomunicazioni - Ente Poste italiane - Personale assunto
  con contratto di lavoro a tempo determinato, non oltre il 30 giugno
  1997 - Divieto di trasformazione del rapporto di lavoro in rapporto
  di lavoro a tempo indeterminato - Efficacia retroattiva della norma
  -   Lamentata   lesione   del   principio   di  indipendenza  e  di
  imparzialita'   della   magistratura   e  dei  principî  posti  per
  l'esercizio  della  funzione giurisdizionale - Non fondatezza delle
  questioni.
- D.L.   1o ottobre   1996,   n. 510   (convertito   in   legge,  con
  modificazioni,  dall'art. 1, comma 1, della legge 28 novembre 1996,
  n. 608), art. 9, comma 21, ultimo periodo.
- Costituzione, art. 101, 102 e 104. Poste e telecomunicazioni - Ente
  Poste  italiane - Personale assunto con contratto di lavoro a tempo
  determinato,   non   oltre   il   30 giugno   1997   -  Divieto  di
  trasformazione del rapporto di lavoro in rapporto di lavoro a tempo
  indeterminato  -  Deroga  al  principio  della retroattivita' delle
  norme - Lamentata lesione del diritto alla tutela giurisdizionale -
  Non fondatezza delle questioni.
- D.L.   1o ottobre   1996,   n. 510   (convertito   in   legge,  con
  modificazioni,  dall'art. 1, comma 1, della legge 28 novembre 1996,
  n. 608), art. 9, comma 21, ultimo periodo.
- Costituzione,  art. 24.  Poste  e  telecomunicazioni  -  Ente Poste
  italiane  -  Personale  assunto  con  contratto  di  lavoro a tempo
  determinato,   non   oltre   il   30 giugno   1997   -  Divieto  di
  trasformazione del rapporto di lavoro in rapporto di lavoro a tempo
  indeterminato  -  Lamentate  lesione del principio di eguaglianza e
  del principio di ragionevolezza - Non fondatezza delle questioni.
- D.L.   1o ottobre   1996,   n. 510   (convertito   in   legge,  con
  modificazioni,  dall'art. 1, comma 1, della legge 28 novembre 1996,
  n. 608), art. 9, comma 21, ultimo periodo.
- Costituzione,  artt. 3.  Poste  e  telecomunicazioni  -  Ente Poste
  italiane  -  Personale  assunto  con  contratto  di  lavoro a tempo
  determinato,   non   oltre   il   30 giugno   1997   -  Divieto  di
  trasformazione del rapporto di lavoro in rapporto di lavoro a tempo
  indeterminato  -  Lamentata violazione della liberta' di iniziativa
  economica e asserito contrasto con la dignita' umana dei lavoratori
  - Non fondatezza delle questioni.
- D.L.   1o ottobre   1996,   n. 510   (convertito   in   legge,  con
  modificazioni,  dall'art. 1, comma 1, della legge 28 novembre 1996,
  n. 608), art. 9, comma 21, ultimo periodo.
- Costituzione,  art. 41.  Poste  e  telecomunicazioni  -  Ente Poste
  italiane  -  Personale  assunto  con  contratto  di  lavoro a tempo
  determinato,   non   oltre   il   30 giugno   1997   -  Divieto  di
  trasformazione del rapporto di lavoro in rapporto di lavoro a tempo
  indeterminato  -  Lamentata  lesione  del  diritto  al lavoro - Non
  fondatezza delle questioni.
- D.L.   1o ottobre   1996,   n. 510   (convertito   in   legge,  con
  modificazioni,  dall'art. 1, comma 1, della legge 28 novembre 1996,
  n. 608), art. 9, comma 21, ultimo periodo.
- Costituzione,  art. 4  e 35. Poste e telecomunicazioni - Ente Poste
  italiane  -  Personale  assunto  con  contratto  di  lavoro a tempo
  determinato,   non   oltre   il   30 giugno   1997   -  Divieto  di
  trasformazione del rapporto di lavoro in rapporto di lavoro a tempo
  indeterminato  -  Lamentata  lesione  del  principio della liberta'
  sindacale - Non fondatezza delle questioni.
- D.L.   1o ottobre   1996,   n. 510   (convertito   in   legge,  con
  modificazioni,  dall'art. 1, comma 1, della legge 28 novembre 1996,
  n. 608), art. 9, comma 21, ultimo periodo.
- Costituzione, art. 39.
(GU n.43 del 18-10-2000 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Cesare MIRABELLI;
Giudici: Francesco GUIZZI, Fernando SANTOSUOSSO, Massimo VARI, Cesare
RUPERTO,  Riccardo CHIEPPA, Gustavo ZAGREBELSKY, Valerio ONIDA, Carlo
MEZZANOTTE,  Fernanda  CONTRI,  Guido  NEPPI  MODONA,  Piero  Alberto
CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK;
ha pronunciato la seguente


                              Sentenza

nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 9, comma 21,
ultimo   periodo,   del   decreto-legge   1o   ottobre  1996,  n. 510
(Disposizioni  urgenti  in  materia  di  lavori socialmente utili, di
interventi  a  sostegno  del  reddito  e  nel settore previdenziale),
convertito  nella  legge  28  novembre  1996,  n. 608,  promossi  con
ordinanze  emesse  il  16  ottobre  1996 dal pretore di Genova, il 22
ottobre 1996 dal pretore di Fermo, il 16 dicembre 1996 dal pretore di
Torino,  il 3 febbraio 1997 dal pretore di Milano, il 5 febbraio 1997
dal pretore di Salerno, il 17 dicembre 1996 dal pretore di Padova, il
5  febbraio  1997 dal pretore di Lecco, il 5 marzo 1997 (3 ordinanze)
dal  pretore  di Ferrara, l'8 aprile 1997 dal pretore di Fermo, il 24
febbraio  1997  dal pretore di Parma, il 1o marzo 1997 dal pretore di
Saluzzo,  il 18 marzo 1997 dal pretore di Livorno, l'8 marzo 1997 dal
pretore  di  Gorizia,  il  27 maggio 1997 dal pretore di Latina, il 6
marzo 1997 dal Tribunale di Venezia, il 13 gennaio 1997 (2 ordinanze)
dal  pretore  di Camerino, il 18 marzo 1997 (3 ordinanze) dal pretore
di Livorno, il 7, il 14 ed il 20 ottobre 1997 dal pretore di Bologna,
il  18  novembre 1997 dal pretore di Nicosia, il 19 febbraio 1998 dal
pretore di Macerata, il 26 novembre 1997 dal pretore di Latina, il 30
novembre 1998 (5 ordinanze) dal pretore di Trento e il 23 aprile 1997
dal pretore di Pordenone, rispettivamente iscritte ai nn. 1299 e 1379
del  registro  ordinanze 1996, 53, 136, 172, 188, 227, 284, 285, 306,
337, 339, 418, 510, 548, 563, 664, 671, 672, 725, 726, 727, 909 e 910
del  registro  ordinanze  1997,  39,  210,  334  e  377  del registro
ordinanze  1998, 86, 87, 88, 89, 90 e 445 del registro ordinanze 1999
e  pubblicate  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 49, prima
serie speciale, dell'anno 1996, nn. 4, 9, 14, 15, 16, 19, 23, 24, 25,
28,  36,  37,  38,  41,  42, 43 e 44, prima serie speciale, dell'anno
1997,  nn. 3,  6,  14, 20 e 22, prima serie speciale, dell'anno 1998,
nn. 9 e 37, prima serie speciale, dell'anno 1999;
    Visti  gli  atti  di  costituzione  di  Luciani  Sandro ed altri,
Ferrari  Antonella,  Gatti  Federica,  Mazzini Marina ed altra, Nalon
Tommaso,  La  Falce  Mina,  Ciccale'  Romina,  Rossi Monica ed altri,
Ticciati   Claudia  ed  altre,  Papi  Alessandra  e  dell'ente  Poste
Italiane, nonche' gli atti di intervento del Presidente del Consiglio
dei Ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica del 4 aprile 2000 e nella camera di
consiglio del 5 aprile 2000 il giudice relatore Annibale Marini;
    Uditi  gli  avvocati  Sergio  Vacirca per Gatti Federica, Alberto
Medina  per  Mazzini Marina ed altra, Carlo Cester per Nalon Tommaso,
Sergio  Galleano  per  La  Falce Mina, Alberto Lucchetti per Ciccale'
Romina,  Giorgio  Bellotti  per  Rossi Monica ed altri e per Ticciati
Claudia ed altre, Luigi Fiorillo, Roberto Pessi e Giampaolo Rossi per
la  S.p.a. Poste Italiane e l'Avvocato dello Stato Michele Dipace per
il Presidente del Consiglio dei Ministri.

                          Ritenuto in fatto


    1. - Il  pretore di Genova, nel corso di un giudizio promosso nei
confronti  dell'ente  Poste  Italiane  da  un  lavoratore assunto con
contratto   a   tempo   determinato,  diretto  alla  declaratoria  di
illegittimita'  del  contratto  stesso, per difetto di forma scritta,
con  la  conseguente  conversione del relativo rapporto in rapporto a
tempo  indeterminato,  con  ordinanza  emessa  il  16 ottobre 1996 ha
sollevato,  in  riferimento  agli  artt. 77,  101, 102, 104 e 3 della
Costituzione,  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 9,
comma  21,  del  decreto-legge  1o ottobre 1996, n. 510 (Disposizioni
urgenti  in  materia  di  lavori  socialmente  utili, di interventi a
sostegno del reddito e nel settore previdenziale).
    Il  giudice  a quo premessa la rilevanza della questione, osserva
che la norma denunciata - secondo cui "le assunzioni di personale con
contratto  di  lavoro  a tempo determinato effettuate dall'ente Poste
Italiane,  a  decorrere  dalla data della sua costituzione e comunque
non  oltre  il  30  giugno  1997, non possono dar luogo a rapporti di
lavoro  a  tempo  indeterminato  e  decadono allo scadere del termine
finale  di  ciascun  contratto"  -  violerebbe innanzitutto l'art. 77
della Costituzione, sia in quanto la materia disciplinata non sarebbe
caratterizzata  da  alcuna  straordinaria  necessita' ed urgenza, sia
perche'  il  decreto-legge  n. 510  del  1996,  per  la parte che qui
interessa,  sarebbe  sostanzialmente  riproduttivo  del decreto-legge
n. 404 del 1996, decaduto per mancata conversione nel termine fissato
dalla norma costituzionale.
    Ad  avviso  del rimettente, la norma impugnata violerebbe poi gli
artt. 101,  102  e  104  della  Costituzione,  trattandosi  di  norma
retroattiva intenzionalmente diretta ad incidere sui numerosi giudizi
in  corso  - promossi da dipendenti dell'ente Poste Italiane, assunti
con   contratto   di   lavoro   a   tempo  determinato,  per  dedurre
l'illegittimita'   dell'apposizione   del   termine  con  conseguente
conversione  del rapporto di lavoro in rapporto a tempo indeterminato
-  ed  emanata  dopo  la pronuncia delle prime sentenze che, in primo
grado, hanno accolto le domande attrici.
    La norma sarebbe, infine, lesiva del principio di eguaglianza, in
quanto  per  effetto  di  essa  i dipendenti dell'ente Poste Italiane
(avente   natura   di   soggetto   di   diritto   privato)  sarebbero
assoggettati,  in  tema  di  rapporto  di lavoro a tempo determinato,
senza  alcuna  ragionevole giustificazione, ad una disciplina diversa
da  quella  degli  altri  lavoratori privati, specie considerando che
detta  norma  attribuisce  sic  et simpliciter validita' ed efficacia
alla  clausola  appositiva  di  termine,  pur  se affetta, secondo la
legislazione  previgente,  da  cause  di  nullita',  quale ad esempio
l'illiceita' del motivo.
    1.1. - L'Avvocatura  generale  dello  Stato  ha depositato, fuori
termine,  atto  di  intervento  per  il  Presidente del Consiglio dei
Ministri,  concludendo  per  l'inammissibilita' ed infondatezza della
questione di legittimita'.

    2. - Nel  corso di giudizi promossi nei confronti dell'ente Poste
Italiane   da   alcuni  lavoratori  assunti  con  contratto  a  tempo
determinato,  diretti  alla declaratoria di conversione in rapporti a
tempo  indeterminato ai sensi dell'art. 2 della legge 18 aprile 1962,
n. 230  (Disciplina  del contratto di lavoro a tempo determinato), il
pretore  di  Fermo,  con  due  ordinanze di identico contenuto del 22
ottobre  1996 e dell'8 aprile 1997, ha sollevato, in riferimento agli
artt. 3,  35  e  41  della  Costituzione,  questione  di legittimita'
costituzionale  della stessa norma, nel frattempo convertita in legge
dall'art. 1, comma 1, della legge 28 novembre 1996, n. 608.
    Ad   avviso   del   rimettente,   la  norma  denunciata,  per  la
ingiustificata  disparita'  di  trattamento  che determinerebbe tra i
dipendenti  dell'ente  Poste  Italiane  e  tutti gli altri lavoratori
dipendenti, sarebbe infatti lesiva sia della parita' tra i lavoratori
sia della liberta' di iniziativa economica.
    2.1. - E' intervenuto nel primo dei due giudizi il Presidente del
Consiglio  dei  Ministri  per  mezzo  dell'Avvocatura  generale dello
Stato, concludendo per l'infondatezza della questione.
    Assume  in  buona  sostanza  la  parte  pubblica che, pur dopo la
privatizzazione,  l'ente Poste Italiane ha continuato a svolgere - in
ossequio  agli  obblighi  imposti dal decreto-legge 1o dicembre 1993,
n. 487  (Trasformazione  dell'Amministrazione  delle  poste  e  delle
telecomunicazioni  in  ente pubblico economico e riorganizzazione del
Ministero),  convertito  in  legge  con  modificazioni dalla legge 29
gennaio    1994,   n. 71   -   determinate   funzioni   eminentemente
pubblicistiche,  genericamente definite in dottrina come "servizi non
oggettivamente  postali"  e che "il ricorso ai contratti a termine e'
stato  ed  e' determinato dalla necessita' di mantenere inalterato il
flusso  dei  servizi in questione, anche durante i periodi di ferie o
di  assenza a qualsiasi titolo del personale, come avveniva nel corso
del  previgente  regime  pubblicistico",  senza  pero' determinare un
permanente  appesantimento  di bilancio. Le peculiari condizioni, non
comparabili  con  quelle  di  un normale imprenditore privato, in cui
l'ente  Poste  e'  chiamato  ad  operare,  sia per quanto riguarda il
contenuto  dei servizi sia per quanto riguarda l'autonomia e l'ambito
delle  scelte, giustificherebbero dunque la normativa sottoposta allo
scrutinio  di  legittimita'  costituzionale, in quanto rispondente ad
obiettive esigenze di interesse pubblico e sociale, e porterebbero ad
escludere   tanto   la   asserita   violazione   dell'art. 41   della
Costituzione   quanto   la   denunciata   lesione  del  principio  di
eguaglianza,  con  riguardo alla diversita' di trattamento introdotta
sia  tra  i  lavoratori  dell'ente  Poste  e gli altri lavoratori del
settore  privato,  sia  tra  i  lavoratori  dell'ente assunti prima e
quelli assunti dopo la scadenza del 30 giugno 1997.
    Nemmeno  sussisterebbe  -  ad avviso dell'Avvocatura - violazione
alcuna dell'art. 35 della Costituzione, considerato che, con la norma
denunciata,  "non  e'  stata  negata la tutela del lavoro, ma si sono
precisati  i  termini  in  cui essa poteva aver luogo, in primo tempo
consentendo  le assunzioni temporanee con procedure semplificate, poi
conciliando  le esigenze dell'Ente con le aspirazioni dei lavoratori,
ai   quali   e'   stata   concessa  la  precedenza  nelle  assunzioni
definitive".
    2.2. - Si  sono  costituiti nel medesimo giudizio Sandro Luciani,
Paola  Simonelli,  Oscar  Trasarti  e Albano Trasarti, ricorrenti nel
procedimento a quo, concludendo per l'accoglimento della questione.
    Nella  memoria  di  costituzione  si rileva in particolare che la
norma  denunciata  -  contrastante con la normativa di cui alla legge
n. 230   del  1962,  espressamente  definita  come  "inderogabile"  -
violerebbe  non  solo  il  principio  di  eguaglianza formale, di cui
all'art. 3, primo comma, della Costituzione, ma anche il principio di
eguaglianza  sostanziale  di cui al secondo comma dello stesso art. 3
Cost.,  in  quanto  rivolta "ad impedire la realizzazione dei diritti
gia'  formatisi  in capo ai lavoratori a termine dell'ente Poste e in
particolare   di  quello  alla  conversione  del  contratto  a  tempo
indeterminato,  gia'  maturato  ed  entrato  a  far parte della sfera
giuridica  del  singolo  lavoratore fin dal momento della stipula del
contratto".  La  norma  stessa  -  ad  avviso  delle  parti - sarebbe
altresi'  in palese contrasto con il principio generale di tutela del
lavoro  e  dei  lavoratori  di  cui  all'art. 35 della Costituzione e
violerebbe  inoltre  l'art. 41 della Costituzione, sia perche' lesiva
della  dignita'  umana  dei  lavoratori sia perche' attributiva di un
ingiustificato  privilegio  all'ente  Poste rispetto alla generalita'
degli imprenditori.
    2.3. - Nel  secondo  dei due giudizi dinanzi a questa Corte si e'
costituita  Romina  Ciccale',  ricorrente  nel procedimento a quo, la
quale  ha concluso per l'accoglimento della questione di legittimita'
costituzionale, sia con riguardo ai profili denunciati nell'ordinanza
di  rimessione sia in relazione ad ulteriori ipotesi di contrasto con
gli artt. 4, 11 e 24 della Costituzione.
    Ad  avviso  della parte privata, la norma impugnata violerebbe il
principio  di  eguaglianza  sotto  quattro  differenti  profili:  per
l'irragionevole  ed  ingiustificata  disparita'  di  trattamento  tra
prestatori  di  lavoro  a  tempo  determinato; per l'irragionevole ed
ingiustificata  disparita'  di  trattamento  tra datori di lavoro che
siano  parti  di  contratti  di  lavoro  a  tempo determinato; per la
violazione  dei  principi  di  generalita'  ed astrattezza che devono
essere  propri  della  legge; per l'efficacia retroattiva della norma
stessa.
    La   norma   impugnata   sarebbe  altresi'  lesiva  dei  principi
costituzionali  in  materia  di  tutela  del  lavoro - per le ragioni
esposte  nell'ordinanza  di  rimessione - e determinerebbe inoltre un
effetto  distorsivo  della  concorrenza sia sul piano interno che sul
piano  comunitario, cosi' violando, sotto il primo aspetto, l'art. 41
della  Costituzione, mentre sotto il secondo aspetto, oltre a violare
l'art. 11  della  Costituzione,  integrerebbe  altresi' un'ipotesi di
aiuto  statale  illegittimo  ex art. 92 del trattato istitutivo della
Comunita'  europea  cosi' come modificato dal titolo II (Art. G.) del
trattato sull'Unione europea.
    La disposizione censurata violerebbe l'art. 41 della Costituzione
anche sotto un ulteriore profilo, per il fatto di incidere su assetti
negoziali  gia'  definiti dalle parti, cosi' ledendo l'autonomia e la
liberta' negoziale dei soggetti privati.
    L'efficacia retroattiva della norma, infine, sarebbe in contrasto
con  l'art. 24 della Costituzione, in quanto, vanificando un giudizio
gia'    instaurato,    limiterebbe    le   possibilita'   di   tutela
giurisdizionale  e  frustrerebbe  "l'affidamento  del cittadino nella
sicurezza giuridica".
    3. - Nel  corso  di  un giudizio promosso nei confronti dell'ente
Poste   Italiane   da   lavoratori  assunti  con  contratto  a  tempo
determinato,  per  la  declaratoria  di  illegittima  apposizione dei
termini, il pretore di Torino, con ordinanza del 16 dicembre 1996, ha
sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale  della  stessa
norma, in riferimento agli artt. 3, 39 e 4 della Costituzione.
    La  lesione  del  principio di eguaglianza si sostanzierebbe - ad
avviso   del   rimettente   -   nella  violazione  del  principio  di
irretroattivita'  della legge operata, in difetto di ragioni valide e
meritevoli  di  apprezzamento,  mediante un intervento legislativo ad
personam  (nei  confronti  cioe'  di uno specifico datore di lavoro),
destinato  ad  incidere  su  situazioni  gia' consolidate e definite,
elidendo  l'obbligo  del  datore di lavoro, pattiziamente assunto con
l'art. 8  del  C.C.N.L. per i dipendenti dell'ente Poste Italiane del
26  novembre  1994,  di rispettare le prescrizioni inderogabili della
legge n. 230 del 1962. Proprio in quanto operante su materia definita
convenzionalmente  dalle parti sociali, mediante il citato art. 8 del
C.C.N.L.,  la  norma  denunciata  violerebbe altresi' l'art. 39 della
Costituzione,  mentre  la  lesione  del  diritto  al lavoro, tutelato
dall'art. 4  della Costituzione, discenderebbe - secondo il giudice a
quo  -  dalla  considerazione  che  la  norma  in esame "si muove ...
secondo  una  logica  e  con  un  orientamento rovesciati rispetto al
disegno  emergente  dal  dettato  costituzionale"  a tutela cioe' del
contraente piu' forte.
    3.1. - E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
Ministri  per mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, concludendo
per   la  declaratoria  di  inammissibilita'  ed  infondatezza  della
questione.
    Sostiene,   nell'atto   di   intervento,   l'Avvocatura  che  non
sussisterebbe   nella   fattispecie   violazione   del  principio  di
eguaglianza  in  quanto  la  norma  denunciata  non  e'  destinata ad
incidere  su un singolo rapporto o procedimento, essendosi inteso con
essa  confermare  una  disciplina di ordine generale, precedentemente
oggetto di controversa interpretazione ed applicazione. Riguardo alla
prospettata  violazione dell'art. 39, l'Avvocatura dello Stato rileva
che  sarebbero  indimostrate  sia  l'applicabilita'  della disciplina
collettiva,  richiamata  nell'ordinanza di rimessione, allo specifico
settore sia la sua inderogabilita', ed infine, per quanto concerne la
asserita  lesione  del  diritto  al  lavoro  di  cui all'art. 4 della
Costituzione,  osserva  che  l'ente  Poste  Italiane  non puo' essere
equiparato, per la sua specificita', ad un qualsiasi datore di lavoro
privato  e  che  la  stipulazione  di  contratti  di  lavoro  a tempo
determinato  risponde  ad  esigenze  funzionali  oggettive  dell'ente
stesso  e  d'altro canto consente di dare occupazione a personale che
altrimenti  non  avrebbe potuto essere impiegato e di cui comunque e'
previsto  l'accesso  in  via  privilegiata  alle  assunzioni  a tempo
indeterminato.
    3.2. - Si   sono  costituite  in  giudizio  Antonella  Ferrari  e
Federica  Gatti,  ricorrenti  nel  giudizio  a  quo  concludendo  per
l'accoglimento    della   questione   sulla   base   delle   medesime
argomentazioni svolte nell'ordinanza di rimessione.

    4.  -  Il  pretore  di Milano, con ordinanza emessa il 3 febbraio
1997,   ha   sollevato   questione   di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 9,  comma  21,  della legge n. 608 del 1996 (recte: art. 9,
comma 21, del decreto-legge 1o ottobre 1996, n. 510, convertito nella
legge  28  novembre  1996,  n. 608),  "in quanto in contrasto con gli
artt. 3,  4,  35,  39  della  Costituzione e - per riflesso - con gli
artt. 24, 101 e 104 Cost.".
    Precisata  la rilevanza della questione e richiamate le ordinanze
di  rimessione  dei  pretori  di  Genova,  Fermo, Torino e Padova, il
rimettente  sottolinea  come la norma impugnata sia stata emanata per
far   fronte  ad  un  problema  (quello  rappresentato  dall'asserita
sproporzione  tra  il  numero  degli  aventi diritto all'accertamento
della nullita' del termine ed alla prosecuzione del rapporto rispetto
alle  effettive  ed  attuali  esigenze  di organico dell'ente) cui lo
stesso  ente Poste ha dato causa, attraverso la successiva assunzione
a   termine  di  persone  sempre  diverse.  In  siffatta  situazione,
l'atteggiamento   di   protezione   riservato  dal  legislatore  agli
interessi   dell'ente   Poste   rispetto   a  quelli  dei  lavoratori
risulterebbe in palese contrasto sia con il principio di eguaglianza,
sia  con  la  tutela  del  diritto al lavoro di cui agli artt. 4 e 35
della  Costituzione,  mentre  d'altro  canto  la retroattivita' della
norma,   priva   di   adeguata   giustificazione   sul   piano  della
ragionevolezza  e  pertanto  a  sua volta lesiva del principio di non
discriminazione,   comprometterebbe  l'esercizio  della  funzione  di
neutrale  ed  indipendente  controllo  attribuita  alla giurisdizione
dagli artt. 24, 101 e 104 Cost.
    Il  rimettente  osserva  poi  come  l'ordinamento  preveda rimedi
specifici  -  anch'essi  traumatici  ma  non  eccezionali  -  che pur
consentono  al  datore  di lavoro di ridurre l'organico asseritamente
esuberante,  con  l'onere  pero'  di  osservare  l'apposita procedura
dettata dalla legge 23 luglio 1991, n. 223 (Norme in materia di cassa
integrazione, mobilita', trattamenti di disoccupazione, attuazione di
direttive  della  Comunita'  europea,  avviamento  al lavoro ed altre
disposizioni  in  materia  di  mercato del lavoro), che garantisce il
controllo  sindacale  sulle  cause  dell'addotto  esubero.  La  norma
impugnata,  sottraendo  alle  organizzazioni sindacali dei lavoratori
ogni   possibilita'   di   controllo  sull'operato  dell'ente  Poste,
determinerebbe  percio'  una  grave lesione alla loro credibilita' ed
immagine   e,  di  riflesso,  al  bene  tutelato  dall'art. 39  della
Costituzione.
    4.1. - E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
Ministri  per mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, concludendo
per   la  declaratoria  di  inammissibilita'  ed  infondatezza  della
questione  sulla  scorta di considerazioni sostanzialmente analoghe a
quelle svolte nel giudizio promosso dal pretore di Torino (r.o. n. 53
del 1997).
    4.2. - Si  sono  costituite  in  giudizio  Marina Mazzini e Clara
Fiorentin, ricorrenti nel giudizio a quo, le quali hanno concluso per
l'accoglimento della questione.
    5. - Il  pretore  di  Salerno, con ordinanza emessa il 5 febbraio
1997,  ha  sollevato,  in  riferimento all'art. 3 della Costituzione,
questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 21, ultima parte,
della  legge  n. 608 del 1996 (recte: art. 9, comma 21, ultima parte,
del  decreto-legge 1o ottobre 1996, n. 510, convertito nella legge 28
novembre 1996, n. 608).
    Il  rimettente, premessa la rilevanza della questione rispetto al
giudizio  in corso, avente ad oggetto la declaratoria di nullita' del
licenziamento   per  nullita'  del  contratto  di  lavoro  a  termine
intercorso  con  l'ente  Poste, rileva la violazione del principio di
eguaglianza  nella  ingiustificata  disparita'  di  trattamento tra i
lavoratori  a  termine dipendenti dall'ente Poste e quelli dipendenti
da altri datori di lavori.
    5.1. - Intervenendo  in  giudizio per il Presidente del Consiglio
dei  Ministri,  l'Avvocatura  generale  dello  Stato  ha innanzitutto
eccepito l'inammissibilita' della questione per difetto di rilevanza,
in  quanto  l'assunzione  di cui si tratta nel giudizio a quo sarebbe
avvenuta  -  come  si  legge nell'ordinanza di rimessione - prima del
26 novembre  1994,  data  a  decorrere dalla quale, secondo lo stesso
giudice  rimettente,  la legge n. 230 del 1962 avrebbe dovuto trovare
applicazione  anche  alle  assunzioni temporanee effettuate dall'ente
Poste Italiane.
    Nel   merito,   la  difesa  erariale  ha  comunque  concluso  per
l'infondatezza  della questione sulla base di argomentazioni analoghe
a quelle svolte nei giudizi gia' pendenti.

    6. - Il  pretore  di  Padova, con ordinanza emessa il 17 dicembre
1996,   ha   sollevato,  in  riferimento  agli  artt. 3  e  39  della
Costituzione,  questione  di legittimita' costituzionale della stessa
norma,  nel  corso  di  un  giudizio promosso nei confronti dell'ente
Poste  Italiane,  il  cui  oggetto  non  risulta tuttavia specificato
dall'ordinanza di rimessione.
    Il  giudice  rimettente,  affermata la rilevanza della questione,
prospetta  la violazione del principio di eguaglianza, in primo luogo
sotto  il  profilo della disparita' di trattamento tra i lavoratori a
termine  dell'ente  Poste  Italiane  e  tutti  gli altri lavoratori a
termine,  in  quanto  a  questi ultimi continuerebbe ad applicarsi la
normativa  prevista  dalla legge n. 230 del 1962 e successive, mentre
ai  primi  tornerebbe ad applicarsi la disciplina pubblicistica, meno
favorevole,   prevista   dalla   legge   14  dicembre  1965,  n. 1376
(Provvidenze     concernenti    il    personale    non    di    ruolo
dell'Amministrazione  delle poste e telegrafi e dell'Azienda di Stato
per  i  servizi  telefonici),  e  dal  decreto  del  Presidente della
Repubblica  31 marzo 1971, n. 276 (Assunzioni temporanee di personale
presso  le  amministrazioni  dello  Stato).  Siffatta  disparita'  di
trattamento  sarebbe  infatti,  ad  avviso del giudice a quo priva di
giustificazione, riferendosi ad un ente i cui rapporti di lavoro, per
effetto della legge n. 71 del 1994, sono regolati da norme di diritto
privato  e  dalla  contrattazione  collettiva  e  che  gia' opera, in
rilevanti  settori  della  sua  attivita', in concorrenza con imprese
private  i  cui  dipendenti  a termine possono invocare la disciplina
piu' rigorosa e garantista delle norme di diritto privato.
    Il   principio  di  eguaglianza  risulterebbe  poi  ulteriormente
violato    sia    con    riferimento    al   differente   trattamento
ingiustificatamente  riservato  ai  lavoratori  a  termine  dell'ente
Poste, a seconda che essi abbiano stipulato il contratto prima o dopo
il  30 giugno 1997, sia avuto riguardo alla portata retroattiva della
norma,  in  difetto  di  una adeguata giustificazione sul piano della
ragionevolezza.
    L'irragionevolezza  delle  denunciate  disparita'  di trattamento
appare,  ad  avviso  del  rimettente,  tanto  piu'  evidente  ove  si
consideri  che  la norma impugnata conferisce validita' alle clausole
appositive  del  termine,  senza  attribuire  rilievo  alla eventuale
sussistenza   delle   cause  di  nullita'  previste  dalla  normativa
previgente.
    Sovrapponendosi  alla  disciplina  stabilita dalla contrattazione
collettiva  intervenuta  sulla  base  della  espressa delega prevista
dalla  legge  n. 71  del  1994,  la  norma  impugnata violerebbe poi,
secondo  il  giudice  a  quo,  l'art. 39 della Costituzione in quanto
occuperebbe  spazi  riservati alla autonomia collettiva in assenza di
ragioni eccezionali o di problemi di compatibilita' con gli obiettivi
di politica economica individuati ai sensi dell'art. 41, terzo comma,
della Costituzione.
    6.1. - E'   intervenuta   in  giudizio,  per  il  Presidente  del
Consiglio  dei Ministri, l'Avvocatura generale dello Stato, eccependo
innanzitutto  l'inammissibilita'  della  questione,  per  difetto  di
motivazione in punto di rilevanza.
    Nel merito la parte pubblica deduce comunque l'infondatezza della
questione   riguardo   ad   entrambi   i  profili  di  illegittimita'
denunciati,  sulla  scorta  delle  medesime argomentazioni svolte, su
tali punti, negli atti di intervento depositati nei giudizi pendenti.
    6.2. - Si  e'  altresi'  costituito  in  giudizio  Tommaso Nalon,
ricorrente  nel procedimento a quo il quale, premesso di essere stato
assunto  dall'ente  Poste  Italiane  con  due successivi contratti di
lavoro   a   tempo   determinato   e  di  avere  proposto,  assumendo
l'illegittimita'  dei termini, domanda di conversione del rapporto in
rapporto   di   lavoro   a   tempo  indeterminato,  ha  concluso  per
l'accoglimento della questione sollevata dal pretore di Padova, sulla
base  di  considerazioni  sostanzialmente  analoghe  a  quelle svolte
nell'ordinanza di rimessione.
    7. - Il  pretore  di Lecco, con ordinanza del 5 febbraio 1997, ha
sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale  della  stessa
norma, in riferimento agli artt. 3, 4, 35 e 41 della Costituzione.
    Precisata  la  rilevanza  della  questione nei giudizi riuniti in
corso,  aventi  ad  oggetto  domande  di declaratoria di nullita' del
termine  apposto  a  contratti  di  lavoro stipulati con l'ente Poste
Italiane,  con  conseguente conversione in rapporti di lavoro a tempo
indeterminato,  il giudice rimettente osserva che la norma denunciata
ha introdotto una evidente disparita' di trattamento tra i lavoratori
assunti  a tempo determinato dall'ente Poste Italiane ed i lavoratori
assunti  con  lo  stesso tipo di contratto da altro datore di lavoro,
con cio' violando sia il principio di eguaglianza, in senso formale e
sostanziale, sia il diritto al lavoro. Ad avviso del giudice a quo la
norma   violerebbe   altresi'   l'art. 41,   secondo   comma,   della
Costituzione  secondo  il  quale l'iniziativa economica (e le norme a
tutela della stessa) trova un limite nella dignita' umana.
    7.1. - E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
Ministri, per mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, concludendo
per  l'infondatezza  della  questione  sulla  base  di argomentazioni
sostanzialmente analoghe a quelle svolte nei giudizi pendenti.
    7.2. - Si  e'  altresi'  costituita  in  giudizio  Mina La Falce,
ricorrente   in   uno   dei  procedimenti  riuniti,  concludendo  per
l'accoglimento della questione di legittimita' costituzionale.

    8. - Il  pretore  di  Ferrara,  con  tre  ordinanze  di  identico
contenuto   emesse  il  5  marzo  1997,  ha  sollevato  questione  di
legittimita'  costituzionale  della stessa norma, in riferimento agli
artt. 3, 101, 102 e 104 della Costituzione.
    Premessa  la rilevanza della questione, il rimettente osserva che
la  norma  in  questione  appare innanzitutto lesiva del principio di
parita'  di  trattamento sia per il suo carattere ingiustificatamente
discriminatorio nei confronti dei dipendenti dell'ente Poste rispetto
agli   altri   lavoratori   a  termine,  sia  per  la  sua  efficacia
retroattiva.  L'incidenza  della  normativa sulle cause gia' pendenti
giustificherebbe  altresi'  il  dubbio di legittimita' costituzionale
della  norma  stessa  con riferimento agli artt. 101, 102 e 104 della
Costituzione.
    8.1. - E' intervenuto nei tre giudizi il Presidente del Consiglio
dei   Ministri,  per  mezzo  dell'Avvocatura  generale  dello  Stato,
concludendo  per  la declaratoria di inammissibilita' ed infondatezza
della questione.
    Riguardo  alla  asserita  lesione del principio di eguaglianza la
difesa  erariale  ripropone  le  argomentazioni, svolte negli atti di
intervento   depositati   nei   giudizi   pendenti,   riguardo   alla
specificita'  dell'ente  Poste  ed alla sua non equiparabilita' ad un
qualsiasi datore di lavoro privato.
    Per  cio'  che  concerne  invece  la  denunciata  violazione  dei
principi    costituzionali    posti   a   tutela   dell'autonomia   e
dell'indipendenza  dell'ordine giudiziario, si rileva preliminarmente
nell'atto di intervento che la questione sollevata dal giudice a quo,
in  quanto  attinente in realta' all'esercizio asseritamente distorto
del potere legislativo, avrebbe dovuto semmai essere denunziata nelle
forme  del conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato, previsto
dall'art. 134,   secondo  comma,  della  Costituzione,  cosicche'  la
questione   stessa   dovrebbe   in   questa  sede  essere  dichiarata
inammissibile.  Nel  merito  se ne deduce comunque l'infondatezza, in
quanto  la norma impugnata non verte in materia penale, non e' lesiva
del  giudicato  e  non e' univocamente ed intenzionalmente diretta ad
interferire su giudizi in corso.
    9. - Il  pretore  di  Parma,  con ordinanza emessa il 24 febbraio
1997,  ha  sollevato  questione  di legittimita' costituzionale della
stessa   norma,   in   riferimento   agli  artt. 3,  24  e  35  della
Costituzione.
    Illustrata  la  rilevanza  della questione, il rimettente osserva
che  la  norma  impugnata  e'  evidentemente  lesiva del principio di
eguaglianza per la discriminazione che introduce sia tra l'ente Poste
e  gli  altri datori di lavoro sia tra i lavoratori a termine assunti
dall'ente Poste e quelli assunti dagli altri datori di lavoro.
    La  norma  - ad avviso del giudice a quo - contrasterebbe inoltre
con  i principi costituzionali in materia di lavoro ed in particolare
con  l'art. 35 della Costituzione, apparendo ispirata a finalita' che
certamente non sono di tutela del lavoro.
    Essa violerebbe da ultimo l'art. 24 della Costituzione in quanto,
per  la  sua  efficacia  retroattiva,  limiterebbe la possibilita' di
tutela  giurisdizionale,  spiegando  i  suoi  effetti  sui giudizi in
corso.
    9.1. - E'  intervenuto anche in questo giudizio il Presidente del
Consiglio  dei  Ministri,  per  mezzo  dell'Avvocatura generale dello
Stato,   concludendo  per  la  declaratoria  di  inammissibilita'  ed
infondatezza   della   questione   sulla   base   di   argomentazioni
sostanzialmente  analoghe  a  quelle  svolte  nei  precedenti atti di
intervento.
    10. - Il  pretore  di  Saluzzo,  con ordinanza emessa il 1o marzo
1997,  ha  sollevato  questione  di legittimita' costituzionale della
stessa  norma,  in  riferimento  agli  artt. 3, 4, 39, 101, 102 e 104
della Costituzione.
    Nell'ordinanza  di  rimessione  -  precisata  la  rilevanza della
questione  - si assume che la norma impugnata violerebbe il principio
di  eguaglianza  per la disparita' di trattamento che introduce tra i
dipendenti  dell'ente Poste ed i dipendenti degli altri enti pubblici
economici  il  cui  rapporto di lavoro e' parimenti retto dal diritto
privato,  senza  che  tale  disparita'  di  trattamento possa trovare
adeguata   giustificazione  nella  rilevanza  pubblica  del  servizio
gestito dallo stesso ente Poste in regime di monopolio.
    La  norma  denunciata,  negando un diritto gia' perfezionatosi in
capo  al  lavoratore, sarebbe altresi' in contrasto con il diritto al
lavoro,  tutelato  dall'art. 4 della Costituzione, e, sovrapponendosi
alla  disciplina  pattizia di cui all'art. 8 del C.C.N.L., violerebbe
inoltre l'art. 39 della Costituzione.
    Essa,  infine,  sarebbe  lesiva  delle  attribuzioni  del  potere
giudiziario  trovando la sua evidente ratio nell'intento di risolvere
in  senso  favorevole  all'ente  Poste i numerosi giudizi promossi da
dipendenti  dell'ente  assunti con contratto a termine e rivendicanti
la conversione in contratto a tempo indeterminato.
    10.1. - Anche in questo giudizio e' intervenuto il Presidente del
Consiglio   dei  Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale  dello  Stato,  che  ha  concluso  per  la  declaratoria  di
inammissibilita'  e  infondatezza  della questione sulla scorta delle
medesime difese gia' svolte nei precedenti giudizi.
    11. - Il  pretore  di Livorno, con quattro ordinanze di contenuto
analogo   emesse   il  18  marzo  1997,  ha  sollevato  questione  di
legittimita'   costituzionale  della  stessa  norma,  in  riferimento
all'art. 3 della Costituzione.
    Il   rimettente   individua   la   violazione  del  principio  di
eguaglianza  nella irragionevole disparita' di trattamento introdotta
dalla  norma,  in  caso  di  contratto  di lavoro a tempo determinato
illegittimo,  sia  tra  i  dipendenti  dell'ente  Poste  e  gli altri
lavoratori  privati, sia tra i dipendenti dell'ente Poste assunti con
contratto  a  termine  prima  del  30  giugno  1997  e quelli assunti
successivamente a tale data.
    11.1. - Il  Presidente del Consiglio dei Ministri, intervenuto in
tre  dei  quattro  giudizi  per  mezzo dell'Avvocatura generale dello
Stato,  ha  concluso per l'infondatezza della questione replicando le
difese gia' svolte nei precedenti atti di intervento.
    11.2. - Con   distinti   atti   di  identico  contenuto  si  sono
costituiti,  nel  giudizio  iscritto  al  n. 726  del  r.o. del 1997,
Francesco  Rossi, Maria Adele Picerno, Monica Rossi e Alessandra Papi
e,  nel  giudizio  iscritto  al  n. 727  del  r.o.  del 1997, Claudia
Ticciati, Vincenza Formisano e Silvia Panicucci, tutti ricorrenti nei
giudizi a quibus.
    Le    parti    private   concludono   in   via   principale   per
l'inammissibilita'   della   questione,  per  difetto  di  rilevanza,
assumendo  l'inapplicabilita'  della  norma denunciata alle ipotesi -
asseritamente  ricorrenti  nella  specie  - di contratto a termine ab
origine  nullo  in  quanto stipulato in violazione della legge n. 230
del  1962,  prima dell'entrata in vigore del decreto-legge n. 510 del
1996.   In  subordine  chiedono,  nel  merito,  l'accoglimento  della
questione di legittimita' costituzionale per le ragioni esposte nelle
ordinanze di rimessione.
    12. - Il pretore di Gorizia, con Ordinanza emessa l'8 marzo 1997,
ha  sollevato  questione  di legittimita' costituzionale della stessa
norma,  in  riferimento  agli  artt. 3, primo comma, 35, primo comma,
101, 102 e 104 della Costituzione.
    Precisata  la rilevanza della questione, il rimettente deduce che
la  norma  impugnata  - autorizzando le assunzioni a termine da parte
dell'ente Poste senza alcun limite, in contrasto con quanto stabilito
anche  per il settore pubblico e per lo stesso ente Poste prima della
trasformazione  in  ente  pubblico  economico, ed inoltre dichiarando
inapplicabile  l'art. 2  della legge n. 230 del 1962 anche in ipotesi
nelle quali gli elementi costitutivi della fattispecie di conversione
del  rapporto  in  rapporto  a  tempo  indeterminato  si  erano  gia'
perfezionati   -   sarebbe   lesiva  del  principio  di  eguaglianza,
frustrerebbe l'affidamento nella sicurezza giuridica e contrasterebbe
con il principio di tutela del lavoro.
    La  concomitanza con l'instaurazione di controversie "seriali" in
materia  giustificherebbe  inoltre - ad avviso del giudice a quo - il
sospetto  che  l'intervento  legislativo  sia  stato intenzionalmente
diretto  ad  incidere  sui  giudizi  in  corso,  ledendo  la funzione
giurisdizionale.
    12.1. - L'atto  di  intervento  del  Presidente del Consiglio dei
Ministri,  rappresentato  e difeso dall'Avvocatura dello Stato, e' di
contenuto analogo a quelli depositati nei precedenti giudizi.

    13. - Il  pretore  di  Latina,  con ordinanza emessa il 27 maggio
1997,  ha  sollevato  questione  di legittimita' costituzionale della
stessa norma, in riferimento agli artt. 3 e 41 della Costituzione.
    Illustrata  la rilevanza della questione, il giudice a quo rileva
-  a  sostegno  del  dubbio  di legittimita' - che la norma impugnata
introduce un regime di particolare favore per l'ente Poste rispetto a
tutti  gli  altri  datori di lavoro e, correlativamente, un regime di
particolare  sfavore  nei  confronti dei lavoratori assunti dall'ente
Poste, con contratto affetto dai vizi previsti dalla legge n. 230 del
1962,  rispetto  ai  lavoratori  nelle  stesse condizioni, assunti da
altri datori di lavoro.
    13.1. - L'Avvocatura   generale   dello   Stato,  intervenuta  in
giudizio  per  il  Presidente del Consiglio dei Ministri, ha concluso
per   la  declaratoria  di  inammissibilita'  ed  infondatezza  della
questione,  sulla  base  delle  medesime  argomentazioni  svolte  nei
precedenti atti di intervento.
    14. - Il  tribunale  di  Venezia, con ordinanza emessa il 6 marzo
1997,  ha  sollevato  questione  di legittimita' costituzionale della
stessa   norma,   in   riferimento   agli  artt. 3,  39  e  41  della
Costituzione.
    Il  rimettente osserva che la norma denunciata - avente efficacia
retroattiva pur in difetto di cause giustificatrici apprezzabili - ha
determinato   una   irragionevole  ed  ingiustificata  disparita'  di
trattamento  tra  i  lavoratori a termine dell'ente Poste e tutti gli
altri  lavoratori  a  termine,  nonche'  tra  gli stessi lavoratori a
termine dell'ente, a seconda che abbiano stipulato il contratto prima
o  dopo  la scadenza temporale indicata. La norma stessa - secondo il
giudice  a  quo  -  sarebbe  poi  lesiva  del  principio  di liberta'
sindacale   in   quanto,  superando  la  disciplina  stabilita  dalla
contrattazione  collettiva,  frutto della espressa delega di cui alla
legge  n. 71  del 1994, restringe la sfera di autonomia collettiva in
assenza  di  circostanze eccezionali o di questioni di compatibilita'
con  gli  obiettivi  di  politica economica di cui all'art. 41, terzo
comma,  della  Costituzione.  Esentando  un  singolo datore di lavoro
dall'osservanza  della  disciplina  in  tema di contratto di lavoro a
termine,   la  norma  denunciata  avrebbe  infine  dato  vita  ad  un
ingiustificato  privilegio,  in  grado di alterare la concorrenza con
gli altri imprenditori del settore.
    14.1. - Il  Presidente  del Consiglio dei Ministri e' intervenuto
anche  in  questo  giudizio,  mediante  atto  di contenuto analogo ai
precedenti.
    15. - Il  pretore  di  Camerino,  con  due  ordinanze di identico
tenore   emesse  il  13  gennaio  1997,  ha  sollevato  questione  di
legittimita'  costituzionale  della stessa norma, in riferimento agli
artt. 3, 35 e 41 della Costituzione.
    Precisata  la  rilevanza  della  questione  nei  giudizi a quibus
aventi  ad  oggetto  domande  di  conversione di rapporti di lavoro a
tempo  determinato  in  rapporti  a  tempo  indeterminato,  ai  sensi
dell'art. 2 della legge n. 230 del 1962, il rimettente osserva che la
norma  denunciata  appare lesiva del principio di eguaglianza e della
tutela  del  lavoro,  per  la  discriminazione  che  introduce  tra i
lavoratori  dell'ente  Poste  e  tutti  gli altri lavoratori, nonche'
della  liberta'  di  impresa,  per  la  disparita' di trattamento che
determina  tra  una  singola  impresa  e  tutte le altre operanti nel
medesimo settore.
    16. - Il  pretore  di  Bologna,  con  tre  ordinanze  di identico
contenuto  emesse in altrettanti giudizi il 7, il 14 ed il 20 ottobre
1997,  ha  sollevato  questione  di legittimita' costituzionale della
stessa norma, in riferimento agli artt. 3, 4 e 35 della Costituzione.
    Illustrata la rilevanza della questione e richiamate, quanto alla
non  manifesta infondatezza, le numerose ordinanze di rimessione gia'
emesse  da  altre  autorita'  giudiziarie,  il  rimettente  deduce in
particolare  che la norma impugnata contrasterebbe con l'art. 3 della
Costituzione  per  la violazione sia del principio di ragionevolezza,
con  riguardo  alla retroattivita' della normativa, sia del principio
di  eguaglianza  e  parita'  di  trattamento. La norma stessa sarebbe
inoltre  in  contrasto con gli artt. 4 e 35 Cost., per la lesione del
diritto  al lavoro che ne discenderebbe, nonche' con l'art. 39, primo
comma, della Costituzione per la violazione del principio di liberta'
sindacale,  in ragione dell'abrogazione della disciplina dettata, sul
punto, dalla contrattazione collettiva.
    16.1. - Il  Presidente  del Consiglio dei Ministri e' intervenuto
nei  tre  giudizi,  per  mezzo  dell'Avvocatura generale dello Stato,
mediante  atti di contenuto analogo agli altri depositati nei giudizi
gia' instaurati.
    16.2. - Nel  giudizio  promosso con ordinanza del 20 ottobre 1997
si   e'   costituito   l'ente  Poste  Italiane,  concludendo  per  la
declaratoria   di   infondatezza  della  questione,  con  riserva  di
sviluppare nel prosieguo le proprie argomentazioni difensive.
    17. - Nell'imminenza  dell'udienza pubblica del 24 novembre 1998,
alcune delle parti private hanno depositato memorie illustrative.
    17.1. - Antonella Ferrari e Mina La Falce con memorie di identico
contenuto   hanno   ribadito   la   richiesta   di   declaratoria  di
illegittimita'  costituzionale  della  norma, quanto meno a decorrere
dal 26 novembre 1994.
    Le  predette  parti  private, premesso che l'art. 6, comma 2, del
decreto-legge 1o dicembre 1993 n. 487, convertito in legge 29 gennaio
1994,    n. 71,    espressamente    prevedeva    che   il   personale
dell'Amministrazione  delle  poste e delle telecomunicazioni restasse
alle  dipendenze  dell'ente  Poste "con rapporto di diritto privato",
rilevano tuttavia che il successivo sesto comma dello stesso articolo
disponeva  che  ai dipendenti dell'ente continuassero ad applicarsi i
trattamenti  vigenti  alla data di entrata in vigore del decreto fino
alla  stipulazione  di  un nuovo contratto e che tale norma era stata
interpretata  dalla  giurisprudenza prevalente (Cass., Sezioni unite,
n. 8587  del  1997)  nel senso che la materia dei contratti a termine
dovesse  restare  regolata  dalla  precedente  disciplina  di diritto
pubblico  e  precisamente dalle norme dettate dall'art. 3 della legge
14 dicembre 1965, n. 1376, e dal d.P.R. 31 marzo 1971, n. 276.
    Il  dies  a  quo  della  applicabilita' ai rapporti di lavoro dei
dipendenti  dell'ente Poste Italiane delle norme privatistiche (e, di
conseguenza,   il  limite  temporale  iniziale  della  illegittimita'
costituzionale)  potrebbe  dunque  essere  fissato,  ad  avviso delle
suddette  parti, non al momento della costituzione dell'ente Poste ma
al  successivo  26  novembre  1994,  data  del  primo  C.C.N.L. per i
dipendenti dell'ente medesimo.
    Cio'   premesso,  le  menzionate  parti  private  ribadiscono  la
fondatezza  delle  censure  di  incostituzionalita'  mosse alla norma
impugnata   dai   numerosi   giudici   rimettenti,  richiamandone  le
argomentazioni  secondo  tre  ordini gradati: a) quelle relative alla
retroattivita'  della norma, a loro volta collegate alla tematica dei
diritti  quesiti  (art. 24  Cost.)  e  della  tutela  giurisdizionale
(artt. 101,  102  e  104  Cost.),  anche  in  riferimento  al rilievo
costituzionale dei diritti stessi (artt. 4, 35 e 41 Cost.); b) quelle
relative alla violazione del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.);
c)  quelle  riguardanti  la  lesione  del  ruolo delle organizzazioni
sindacali e della contrattazione collettiva (art. 39 Cost.).
    17.2. - Marina Mazzini e Clara Fiorentin, argomentando dal tenore
letterale  della  norma  ed  in  particolare dall'uso dell'indicativo
presente   ("non  possono  dar  luogo"),  sostengono  preliminarmente
l'applicabilita'  della  norma impugnata ai soli rapporti di lavoro a
termine  ancora  in essere alla data di entrata in vigore della norma
stessa  e,  di conseguenza, eccepiscono l'irrilevanza della questione
di  legittimita'  costituzionale rispetto al giudizio a quo avente ad
oggetto  domande  di  accertamento  della  nullita'  (originaria) del
termine  apposto  a  contratti che, pertanto, devono considerarsi, in
base  all'art. 1  della  legge n. 230 del 1962, a tempo indeterminato
fin  dalla  loro  origine.  Ad  avviso  delle  parti private la norma
impugnata opererebbe dunque soltanto con riferimento alla fattispecie
di  conversione  di  cui all'art. 2 della legge n. 230 del 1962, come
del   resto   ritenuto   anche  da  taluni  giudici  di  merito,  con
interpretazione  che,  in quanto conforme ai principi costituzionali,
deve  ritenersi preferibile a quella in base alla quale il rimettente
ha sollevato la questione di legittimita' costituzionale.
    In  via subordinata, nel merito, le predette parti concludono per
l'accoglimento  della  questione  sollevata dal pretore di Milano. La
norma impugnata, come interpretata dal giudice a quo, sarebbe infatti
lesiva  del  principio  di  eguaglianza,  in quanto irragionevolmente
discriminatoria per i lavoratori dell'ente Poste; inoltre, per la sua
efficacia  retroattiva, diretta a sanare le inadempienze dell'ente in
danno   dei  diritti  costituzionalmente  garantiti  dei  lavoratori,
violerebbe  ulteriormente  gli  artt. 3,  4,  24,  101  e  104 Cost.;
traducendosi  in  una  inammissibile  compressione di quella sfera di
autonomia  collettiva  alla  quale  il  legislatore  del  1994  aveva
espressamente  delegato  la  disciplina  del  rapporto  di lavoro dei
dipendenti  dell'ente  Poste,  sarebbe  infine  in  contrasto  con il
principio di liberta' sindacale di cui all'art. 39 Cost.
    17.3. - Tommaso    Nalon    ha    sostanzialmente   ribadito   le
argomentazioni  gia'  svolte  nell'atto di costituzione riguardo alla
violazione degli artt. 3 e 39 Cost.
    17.4. - Romina  Ciccale'  sottolinea  come  la  "vera  e  propria
ablazione  normativa"  operata  dal legislatore del 1996 in danno dei
lavoratori  a  termine  dell'ente  Poste non possa ritenersi in alcun
modo compensata "dall'evanescente diritto di precedenza in ipotesi di
assunzione"  previsto  dalla  prima  parte  della  norma sottoposta a
scrutinio.  Richiamando la giurisprudenza costituzionale formatasi in
materia  previdenziale - i cui principi sono a suo avviso estensibili
alla  fattispecie  in  esame  - contesta quindi la legittimita' di un
intervento legislativo che, per il suo carattere retroattivo, lede il
principio  dell'affidamento,  "inteso  come affidamento del cittadino
nella  sicurezza  giuridica,  per  situazioni  sostanziali fondate su
leggi  precedenti,  in  quanto  elemento  fondamentale dello Stato di
diritto".  Alla  norma impugnata, infatti, non puo' essere attribuito
valore interpretativo, in quanto nessun margine di dubbio residuava -
stante   l'espresso   richiamo  operato  in  sede  di  contrattazione
collettiva - riguardo all'applicabilita' della normativa privatistica
in tema di rapporti di lavoro subordinato a tempo determinato.
    Per  quanto  riguarda, infine, la prospettata lesione delle norme
costituzionali  ispirate  al  principio lavoristico, la parte ricorda
come  la  Corte  costituzionale abbia in piu' occasioni affermato che
l'art. 4  della  Costituzione  ha  una  propria efficacia precettiva,
suscettibile  di  essere  violata dal legislatore ordinario, "proprio
perche'  impone  a  quest'ultimo  dei fini fondamentali per la stessa
forma di Stato vigente".
    17.5. - La   S.p.a.  Poste  Italiane,  succeduta  all'ente  Poste
Italiane,  costituitasi  in  uno  dei giudizi promossi dal pretore di
Bologna,  nella  propria  memoria difensiva osserva innanzitutto come
numerosi giudici di merito abbiano respinto le domande di conversione
proposte   da   lavoratori   a   termine  dell'ente  Poste  Italiane,
dichiarando   inoltre   manifestamente   infondata   l'eccezione   di
incostituzionalita'.  Rileva  altresi'  che  la  norma  impugnata  ha
costituito oggetto di una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta
alla  Corte di giustizia europea nell'assunto che essa concretizzasse
un aiuto di Stato ai sensi dell'art. 92 n. 1 del trattato CE e che la
Corte,  con  sentenza  del  7  maggio  1998,  ha  dichiarato che "una
disposizione  nazionale  che esoneri una sola impresa dall'obbligo di
osservare   la  normativa  di  applicazione  generale  riguardante  i
contratti  di  lavoro a tempo determinato non costituisce un aiuto di
Stato ai sensi dell'art. 92 n. 1 del Trattato CE".
    La S.p.a. Poste Italiane - anche richiamando le motivazioni delle
citate  sentenze  di merito - deduce quindi che "la formula dell'ente
Poste  Italiane ha costituito la fase transitoria del passaggio dalla
precedente  azienda  autonoma  all'attuale  assetto  di  societa' per
azioni"   e   proprio   nel   suo  carattere  transitorio  troverebbe
giustificazione,  in  base agli ordinari canoni di ragionevolezza, la
norma  impugnata,  efficace  per  un ben preciso periodo storico, con
riguardo  ad  un  limitato  numero  di  contratti,  in  vista  di una
impellente  necessita'  di  riduzione  dei costi della struttura e di
economicita'  di  gestione. La necessita' di un regime transitorio e'
stata  d'altro  canto avvertita dal legislatore, in termini generali,
nell'intero  processo  di  privatizzazione del pubblico impiego tanto
che  esplicitamente  l'art. 2  della  legge  23  ottobre 1992, n. 421
(Delega  al  Governo  per  la  razionalizzazione e la revisione delle
discipline  in materia di sanita', di pubblico impiego, di previdenza
e  di  finanza territoriale), nell'autorizzare il Governo a prevedere
la   riconduzione   dei   rapporti   di   lavoro   con  le  pubbliche
amministrazioni  sotto la disciplina del diritto civile, lo impegnava
nello  stesso tempo a dettare "una disciplina del diritto transitorio
idonea  ad assicurare la graduale sostituzione del regime attualmente
in vigore".
    L'evoluzione  normativa sui rapporti di lavoro, in Italia come in
tutta Europa, e' del resto nel senso - ad avviso della suddetta parte
-  di una dilatazione, rispetto alla legge del 1962, delle ipotesi di
ammissibilita'   dei  contratti  di  lavoro  a  termine,  visti  come
strumenti   versatili  per  sopperire  alle  temporanee  esigenze  di
personale  e  garantire  l'assunzione  di  forza  lavoro,  altrimenti
disoccupata.  La  Corte,  chiamata  a  pronunciarsi  su  questioni di
legittimita'  costituzionale  riguardanti norme che ponevano limitate
deroghe  ai  principi  della  legge n. 230 del 1962, ha affermato che
"rientra nella discrezionalita' del legislatore, insindacabile se non
risulti  esercitata  in  modo irrazionale ed arbitrario, la scelta di
quei  settori  relativamente  ai  quali,  stanti  le  loro  peculiari
caratteristiche  ed  esigenze  nonche' la necessita' di soddisfazione
delle  piu'  impellenti  e  pressanti  finalita' occupazionali specie
giovanili,  possa  ragionevolmente  disporsi  una deroga al principio
sancito dalla legge n. 230 del 1962" (ordinanza n. 347 del 1988).
    La  stessa  Corte,  con  la  sentenza  n. 40  del  1986, ha anche
respinto   le   eccezioni  di  incostituzionalita'  che  erano  state
sollevate  riguardo  al  d.P.R.  31  marzo  1971, n. 276, proprio con
riferimento  alla  disparita'  di  trattamento  che  detta  normativa
introduceva  tra impiego pubblico e privato in materia di contratti a
termine.
    Con altre pronunce, sotto diverso aspetto, la Corte ha piu' volte
sottolineato  che  il  carattere privatistico del rapporto di impiego
dei  dipendenti  degli  enti  pubblici  economici  non esclude che il
legislatore  possa  adottare,  per  specifici  profili, una normativa
derogatoria  che  puo'  essere piu' favorevole o meno al dipendente e
che  trova  giustificazione nelle finalita' pubbliche che l'ente deve
perseguire.  E  non vi e' dubbio - secondo la S.p.a. Poste Italiane -
che  l'opzione  legislativa  in  esame  sia  posta  a salvaguardia di
interessi   costituzionalmente   rilevanti,  quali  l'attuazione  del
diritto  al  lavoro,  mediante  il  consolidamento  di sane strutture
aziendali  (artt. 4,  35  e  36 Cost.), l'adeguamento del sistema dei
servizi   pubblici  agli  standard  comunitari  (art. 10  Cost.),  la
realizzazione  di  un  sistema  infrastruttrale  di servizi che renda
effettivamente   libera   l'iniziativa   economica  (art. 41  Cost.),
l'assicurazione  del  buon  andamento  dell'amministrazione  (art. 97
Cost.) di cui e' condizione essenziale l'equilibrio finanziario delle
strutture  amministrative,  la  realizzazione di opportune discipline
dei servizi pubblici essenziali (art. 43 Cost.).
    Quanto  alle  censure  connesse  all'efficacia  retroattiva della
norma,   la   parte   osserva  che  -  secondo  quanto  emerge  dalla
giurisprudenza   stessa   della   Corte   -  l'irretroattivita',  pur
costituendo  un  principio  generale  del  nostro ordinamento, non e'
elevato,   fuori   della   materia   penale,   al   rango  di  canone
costituzionale,  cosicche'  e' possibile incidere negativamente anche
su  posizioni  di  diritto  soggettivo  perfetto  sempre  che non sia
violato  il  criterio della ragionevolezza. E' pur vero che un limite
alla  retroattivita'  e'  stato  individuato  nell'affidamento di una
vasta   categoria   di   cittadini  nella  sicurezza  giuridica,  che
costituisce  l'elemento  fondamentale dello Stato di diritto, ma deve
ritenersi   che  nessun  problema  di  affidamento  si  ponga  per  i
lavoratori  assunti  con  contratto a termine dall'allora ente Poste,
essendo a costoro ben noto il carattere temporaneo dell'assunzione.
    18. - All'esito  della  discussione svoltasi all'udienza pubblica
del  24 novembre 1998, questa Corte, con ordinanza istruttoria del 18
dicembre 1998, riuniti i procedimenti, ha richiesto al Ministro delle
poste  e delle telecomunicazioni ed al Ministro del tesoro di fornire
"i seguenti dati ed elementi:
        1) numero   dei  lavoratori  assunti  con  rapporto  a  tempo
determinato  dall'Amministrazione  autonoma  delle  Poste  negli anni
1991, 1992 e 1993;
        2) numero e qualifiche dei lavoratori assunti dall'ente Poste
Italiane  con  contratto  di lavoro a tempo determinato, in qualsiasi
modo  concluso, nei periodi intercorrenti tra la data di costituzione
dell'ente  Poste  Italiane  ed il 26 novembre 1994 e tra quest'ultima
data  ed il 30 giugno 1997 (indipendentemente dal numero di contratti
stipulati con ciascun lavoratore);
        3) numero  dei  lavoratori  assunti  con  contratto  a  tempo
determinato,  tra  quelli di cui sub 2), che potrebbero astrattamente
rivendicare   l'esistenza   di   un   rapporto   di  lavoro  a  tempo
indeterminato,  ai  sensi  dell'art. 1  della  legge  18 aprile 1962,
n. 230,   per   l'asserita  nullita'  o  inefficacia  della  clausola
concernente  il termine, in relazione alla forma del contratto o alla
sussistenza delle circostanze che, a norma della predetta legge e del
contratto  collettivo  stipulato il 26 novembre 1994, consentivano la
stipulazione di contratti a tempo determinato;
        4) numero  dei  lavoratori  assunti  con  contratto  a  tempo
determinato,  tra  quelli di cui sub 2), che potrebbero astrattamente
invocare  la  conversione  del rapporto di lavoro in rapporto a tempo
indeterminato,  ai  sensi  dell'art. 2  della  legge  18 aprile 1962,
n. 230,  a  causa di proroghe o riassunzioni indipendenti dal periodo
di intervallo;
        5) procedure  seguite per le assunzioni del personale a tempo
determinato  con l'indicazione degli organi dell'ente Poste che hanno
in concreto proceduto alle assunzioni medesime;
        6) costo   annuo   medio   di   ciascun  lavoratore  a  tempo
indeterminato rapportato alle qualifiche per le quali si e' proceduto
alle assunzioni a tempo determinato;
        7) numero   degli   attuali  dipendenti  della  S.p.a.  Poste
Italiane, dei quali e' previsto il pensionamento per raggiunti limiti
d'eta'  nell'arco  dei  prossimi  35 anni con indicazione per ciascun
anno;
        8) esistenza   di   eventuali   accordi  sindacali  stipulati
dall'ente  Poste  Italiane  o  dalla S.p.a. Poste Italiane relativi a
piani  di assunzioni del personale con rapporto a tempo indeterminato
e,  in  caso  affermativo,  misura  in  cui  detti  accordi abbiano a
tutt'oggi trovato concreta attuazione".
    Entrambe le amministrazioni hanno evaso la richiesta trasmettendo
elementi conoscitivi provenienti dalla S.p.a. Poste Italiane.
    19. - Nell'imminenza  della  nuova  udienza pubblica l'Avvocatura
generale dello Stato ha depositato una memoria illustrativa.
    Osserva  innanzitutto  la  parte  pubblica che le amministrazioni
interpellate  hanno  legittimamente fatto ricorso - per rispondere ai
quesiti  formulati dalla Corte - a relazioni provenienti dalla S.p.a.
Poste  Italiane,  non  essendo esse in possesso dei dati necessari ed
appartenendo  del  resto  detta  societa',  per  intero,  allo  Stato
italiano proprio attraverso il Ministero del tesoro.
    Nel  merito,  l'Avvocatura  rileva  che  le  risposte  ai quesiti
evidenziano   la   gravita'   delle   conseguenze   che,   sul  piano
economico-finanziario,  deriverebbero  per  la  S.p.a. Poste Italiane
dall'accoglimento della questione di legittimita' costituzionale.
    Lo  scenario risultante dalle risposte ai quesiti formulati dalla
Corte  offrirebbe dunque conferma - ad avviso dell'Avvocatura - della
ragionevolezza  della  deroga  apportata alla disciplina del lavoro a
termine  dalla  norma  denunciata,  che  non  va considerata norma di
favore   per   le   Poste   ma  necessaria  e  ragionevole  norma  di
organizzazione  del  lavoro  nella  delicata  fase di privatizzazione
dell'ente.
    La  stessa norma, del resto, prevede il diritto di precedenza dei
lavoratori  a  termine in caso di assunzioni a tempo indeterminato da
parte  dell'ente  Poste  fino  alla  data del 31 dicembre 1996 e tale
diritto  -  come  risulta  dalle  risposte ai quesiti formulati dalla
Corte - e' stato in larga parte esercitato.
    L'Avvocatura richiama a questo punto le argomentazioni tutte gia'
svolte  nelle  memorie  di  intervento  a sostegno della infondatezza
delle  questioni,  soffermandosi  poi,  in particolare, sulla censura
riferita  all'asserita violazione dell'art. 3 della Costituzione che,
secondo la gran parte dei rimettenti, deriverebbe dalla disparita' di
trattamento  tra i lavoratori assunti dall'ente Poste con contratti a
termine e tutti gli altri dipendenti del settore privato.
    A   tale   proposito  ricorda  innanzi  tutto  che,  prima  della
costituzione  dell'ente Poste Italiane, i rapporti di lavoro precario
con l'amministrazione delle Poste e telecomunicazioni non potevano in
nessun  caso  dar  luogo,  in  base  alle leggi vigenti in materia di
costituzione del rapporto di pubblico impiego, a rapporti di lavoro a
tempo   indeterminato.   Era   dunque   evidente   che   un'immediata
applicazione  della legge n. 230 del 1962 avrebbe comportato deleteri
effetti   organizzativi   e   pertanto   la   norma  scrutinata  deve
considerarsi  come  una  norma  transitoria, non solo giustificata da
finalita'  di  interesse  pubblico  ma  ragionevolmente imposta dalla
vicenda stessa di privatizzazione.
    Va  in ogni caso considerato - ad avviso ancora dell'Avvocatura -
che la legge n. 230 del 1962 non ha rilevanza costituzionale ne' puo'
dirsi  attuativa di principi costituzionali per la tutela del diritto
al   lavoro.  Essa,  inoltre,  non  puo'  essere  assunta  a  tertium
comparationis,  sia  perche' non ha valenza di principio generale del
nostro   ordinamento  ma  costituisce  anzi  deroga  alla  disciplina
generale del codice civile - alla stregua della quale il contratto di
lavoro  a  tempo determinato, nel caso di illegittima apposizione del
termine,  dovrebbe  considerarsi  nullo  e non gia' convertirsi in un
diverso tipo di contratto - sia perche' e' stata a sua volta derogata
o  modificata  da  leggi  successive  (ad  es.: art. 36, comma 7, del
d.lgs. n. 29 del 1993; art. 23 della legge 28 febbraio 1987, n. 53).
    La  stessa Corte costituzionale del resto, in sede di giudizio di
ammissibilita'  della  richiesta di referendum abrogativo della legge
in questione (sentenza n. 41 del 2000), ha ammesso che il legislatore
possa  disciplinare discrezionalmente il contratto di lavoro precario
"prevedendo i casi in cui tali contratti si convertono in contratti a
tempo indeterminato".
    Analogo riconoscimento della discrezionalita' del legislatore, in
tema di modalita' di attuazione del diritto al lavoro garantito dagli
artt. 4  e  35  Cost.,  e'  contenuto  nella sentenza n. 46 del 2000,
relativa  alla  richiesta di referendum abrogativo dell'art. 18 della
legge n. 300 del 1970.
    Anche la disciplina transitoria dei contratti a termine dell'ente
Poste,  contenuta nell'art. 9, comma 21, del decreto-legge 1o ottobre
1996,  n. 510, rappresenta pertanto una modalita' di attuazione della
tutela del lavoro, rimessa alla discrezionalita' del legislatore, con
la   conseguente   infondatezza   della   questione  di  legittimita'
costituzionale della norma sollevata in riferimento all'art. 3 Cost.
    20.  -  Anche  la S.p.a. Poste Italiane ha depositato una memoria
nell'imminenza  dell'udienza  pubblica,  svolgendo argomentazioni non
dissimili da quelle contenute nella memoria dell'Avvocatura.
    Ad avviso di tale parte, la norma censurata rientra nel novero di
quegli  interventi  di  "aggiustamento"  progressivo  che  si rendono
spesso necessari nel corso del processo di privatizzazione di settori
dell'apparato  pubblico,  al  fine  di  agevolare  il passaggio dalla
disciplina pubblicistica a quella privatistica. Sempre in riferimento
alla  privatizzazione dell'ex Amministrazione postale, il legislatore
ha  del  resto  dettato  discipline  transitorie  anche in materia di
assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro, in materia di distacco
dei  dipendenti  presso altre amministrazioni pubbliche ed in materia
di  strumenti di riduzione degli esuberi, ed analoghi interventi sono
stati effettuati in numerose altre vicende di privatizzazione.
    Con particolare riferimento alle censure riferite alla violazione
del principio di eguaglianza, la difesa della S.p.a. Poste Italiane -
cosi'  come  l'Avvocatura dello Stato ritiene che la legge n. 230 del
1962  non  possa assumersi a tertium comparationis in quanto essa non
risponderebbe  ad  un  principio  di  carattere generale, avendo anzi
carattere derogatorio rispetto alla disciplina codicistica in materia
contrattuale,  ne'  sarebbe  applicativa di un qualsivoglia principio
costituzionale,  non  rientrando  la  stabilita' del posto di lavoro,
secondo  la  stessa  giurisprudenza  della Corte, tra i beni tutelati
dall'art. 4  della  Costituzione Tanto cio' e' vero che numerosissime
sono  state, nel tempo, le modifiche e le deroghe alla legge, tali da
renderla  ormai  legge speciale nell'ambito della stessa legislazione
del lavoro.
    I  rimettenti  non  avrebbero  colto,  in  definitiva, un aspetto
fondamentale  della  norma denunciata: l'avere essa ripristinato, sia
pure in via transitoria, la regola generale del codice civile secondo
cui   il  contratto  nullo,  per  la  nullita'  di  un  suo  elemento
essenziale, non produce effetti tra le parti.
    La stessa Corte del resto, nella recente sentenza n. 41 del 2000,
ha  ritenuto  inammissibile  il  referendum abrogativo della legge in
questione  non  perche' essa debba considerarsi attuativa di principi
costituzionali,   ma  solo  in  quanto  l'eliminazione  totale  della
disciplina   in   materia  di  lavoro  a  termine  costituirebbe  una
violazione  degli  obblighi  imposti  all'Italia  dalla direttiva del
Consiglio dell'Unione europea n. 70 del 28 giugno 1999. Analogamente,
nella  sentenza  n. 46  del  2000,  la  Corte ha sottolineato come la
predisposizione  di  garanzie  a  tutela del lavoratore sia affidata,
quanto  ai  tempi ed ai modi di attuazione, alla discrezionalita' del
legislatore.
    In  conclusione,  la  S.p.a.  Poste Italiane ritiene che la norma
censurata  costituisca legittimo esercizio della discrezionalita' del
legislatore nella disciplina del rapporto di lavoro a termine e trovi
la  sua  giustificazione  nell'interesse  pubblico al risanamento del
gestore dei servizi postali ed al contenimento dei costi.
    La  non  omogeneita'  tra  l'ente  Poste  Italiane ed i datori di
lavoro  privati  e,  parallelamente, tra i dipendenti dell'ente Poste
Italiane  ed  i  dipendenti  privati  costituirebbe  poi, sotto altro
aspetto,   ulteriore   motivo   di   infondatezza  della  censura  di
illegittimita' costituzionale riferita all'art. 3 Cost.
    In  riferimento  agli ulteriori parametri evocati dai rimettenti,
la  S.p.a.  Poste  Italiane  ribadisce infine le argomentazioni, gia'
svolte  nelle  precedenti  memorie,  a sostegno della declaratoria di
infondatezza delle questioni.
    21. - Le  parti  private  Maria Mazzini e Clara Fiorentin hanno a
loro  volta depositato una memoria, nella quale innanzitutto rilevano
che  la  provenienza  delle  risposte  ai  quesiti dalla S.p.a. Poste
Italiane  -  parte  dei giudizi a quibus - invece che dalle Pubbliche
amministrazioni effettivamente interpellate dalla Corte e' di per se'
sufficiente a rendere le risposte stesse scarsamente attendibili.
    Le  informazioni  stesse  apparirebbero comunque, ad avviso delle
predette   parti   private,  poco  significative,  cosi'  da  imporre
ulteriori approfondimenti istruttori.
    22. - Le  medesime parti private Maria Mazzini e Clara Fiorentin,
unitamente  a  Mina  La  Falce,  hanno successivamente depositato una
memoria integrativa.
    Ad  avviso  delle  suddette parti private, diversamente da quanto
sostenuto  dalla  S.p.a.  Poste Italiane, i lavoratori aventi diritto
all'assunzione  sarebbero  non  piu'  di 12.500, la meta' dei quali -
secondo  valutazioni di comune esperienza - deve presumersi abbia nel
frattempo  perso  interesse  a  perseguire  in  concreto l'assunzione
stessa.  Il  numero delle assunzioni, a seguito della declaratoria di
illegittimita' costituzionale della norma denunciata, sarebbe percio'
verosimilmente prossimo al numero medio (6.000 unita') dei lavoratori
a  termine  costantemente  utilizzati dalla S.p.a. Poste Italiane nel
corso  dell'anno. Il che porterebbe ad escludere i dirompenti effetti
economici prospettati dalla medesima societa'.
    23. - Questioni  di legittimita' costituzionale analoghe a quelle
riassuntivamente   esposte   sono  state  sollevate  anche  da  altre
autorita' giudiziarie.
    24. - Il  pretore di Nicosia, con ordinanza emessa il 18 novembre
1997,  ha  sollevato  questione  di legittimita' costituzionale della
stessa norma, in riferimento all'art. 3 Cost.
    Deduce  il  rimettente,  in punto di rilevanza, che il giudizio a
quo  ha ad oggetto la domanda, proposta nei confronti dell'ente Poste
Italiane  da  una  lavoratrice assunta nell'anno 1996 con contratto a
tempo  determinato,  successivamente  prorogato, diretta a far valere
l'illegittima  apposizione del termine per difetto dei presupposti di
cui all'art. 1 della legge n. 230 del 1962.
    L'assunto    della    lavoratrice   e'   risultato   fondato   ma
l'accoglimento  della  domanda  sarebbe  appunto precluso dalla norma
denunciata.
    Detta  norma sarebbe ad avviso del rimettente in palese contrasto
con  l'art. 3 della Costituzione in quanto introdurrebbe, a vantaggio
dell'ente  Poste,  una  irragionevole disparita' di trattamento tra i
lavoratori  assunti  dall'ente  stesso  con  contratto a termine ed i
lavoratori a termine di tutte le altre imprese pubbliche e private.
    24.1. - E'  intervenuto  in  giudizio il Presidente del Consiglio
dei   Ministri,  per  mezzo  dell'Avvocatura  generale  dello  Stato,
concludendo  per l'inammissibilita' e l'infondatezza della questione,
sulla  scorta  di argomentazioni identiche a quelle gia' svolte negli
altri giudizi.
    25. - Il   pretore   di   Macerata   ha  sollevato  questione  di
legittimita'  costituzionale  della stessa norma, in riferimento agli
artt. 3,  35  e  41  della  Costituzione,  con ordinanza emessa il 19
febbraio  1998  nel corso di un giudizio avente ad oggetto la domanda
di conversione di un rapporto di lavoro a termine in rapporto a tempo
indeterminato, ai sensi dell'art. 2 della legge n. 230 del 1962.
    Ad avviso del rimettente la norma denunciata sarebbe in contrasto
non  solo  con il principio di eguaglianza - sotto i medesimi profili
considerati  nell'ordinanza  del pretore di Nicosia - ma anche con la
tutela del diritto al lavoro, assicurata dall'art. 35 Cost., e con la
liberta'  di  iniziativa  economica  di  cui  all'art. 41  Cost.,  in
considerazione   dell'effetto   distorsivo   della   concorrenza  che
deriverebbe  dal  trattamento  di  favore  accordato  all'ente  Poste
Italiane rispetto alle altre imprese operanti nel medesimo settore.
    25.1. - E'  intervenuto anche in questo giudizio, concludendo per
l'infondatezza  della  questione,  il  Presidente  del  Consiglio dei
Ministri  per  mezzo  dell'Avvocatura  generale dello Stato, anche in
questo caso replicando le difese gia' svolte negli altri giudizi.
    26. - Il  pretore  di Latina, con ordinanza emessa il 26 novembre
1997,  ha  sollevato  questione  di legittimita' costituzionale della
stessa  norma,  in  riferimento  agli  artt. 3 e 41 Cost., in base ad
argomenti   non   dissimili   da  quelli  contenuti  nelle  ordinanze
precedentemente considerate.
    26.1. - L'Avvocatura  generale  dello  Stato  e' intervenuta, per
conto  del Presidente del Consiglio dei Ministri, depositando atto di
contenuto analogo ai precedenti.
    27. - Il  pretore di Trento ha sollevato, con cinque ordinanze di
identico   contenuto   emesse   il  30  novembre 1998,  questione  di
legittimita'  costituzionale  della  stessa norma in riferimento agli
artt. 3  e  41 Cost., sulla base delle medesime argomentazioni svolte
nelle ordinanze di rimessione gia' esaminate.
    27.1. - L'Avvocatura  generale  dello  Stato  e'  intervenuta nei
cinque giudizi con atti di contenuto analogo ai precedenti.
    28. - Il  pretore di Pordenone ha sollevato, con ordinanza emessa
il  23  aprile  1997,  questione di legittimita' costituzionale della
stessa norma, in riferimento agli artt. 101 e 104 Cost.
    Ad  avviso  del  rimettente  la  norma  violerebbe  "il principio
costituzionale    dell'indipendente    esercizio    della    funzione
giurisdizionale  (...) da parte del giudice ordinario (principio gia'
affermato  da codesta Corte con decisione 121 del 1993) sottraendogli
il  potere  di interpretare autonomamente non gia' le disposizioni di
legge,  ma  gli  stessi  fatti  rilevanti  per  la qualificazione del
rapporto".
    28.1. - L'Avvocatura   dello   Stato  e'  intervenuta  in  questo
giudizio  concludendo  per  la  declaratoria  di  inammissibilita'  o
infondatezza    della    questione,   con   riserva   di   illustrare
successivamente le proprie ragioni.

                       Considerato in diritto


    1. - Le numerose autorita' giudiziarie indicate in epigrafe hanno
sollevato,  con  riferimento  a differenti parametri (artt. 3, 4, 24,
35,  39, 41, 77, 101, 102 e 104 della Costituzione) e sotto i profili
analiticamente   esposti  in  narrativa,  questione  di  legittimita'
costituzionale   dell'art. 9,   comma   21,   ultimo   periodo,   del
decreto-legge   1o ottobre  1996,  n. 510  (Disposizioni  urgenti  in
materia  di  lavori  socialmente  utili, di interventi a sostegno del
reddito  e  nel  settore  previdenziale),  convertito  in  legge, con
modificazioni,  dall'art. 1,  comma  1, della legge 28 novembre 1996,
n. 608,  che  cosi' recita: "Le assunzioni di personale con contratto
di  lavoro a tempo determinato effettuate dall'ente Poste Italiane, a
decorrere  dalla  data della sua costituzione e comunque non oltre il
30  giugno  1997,  non possono dar luogo a rapporti di lavoro a tempo
indeterminato  e  decadono allo scadere del termine finale di ciascun
contratto".
    2. - Stante  dunque  l'identita' dell'oggetto, i giudizi promossi
dai  Pretori  di  Nicosia,  di  Macerata,  di  Latina, di Trento e di
Pordenone,  fissati  per  la  camera  di consiglio del 5 aprile 2000,
vanno  riuniti,  per  essere  unitariamente  decisi,  a  quelli, gia'
precedentemente  riuniti,  chiamati all'udienza pubblica del 4 aprile
2000.
    3. - L'Avvocatura    dello    Stato   eccepisce   preliminarmente
l'inammissibilita',   per   difetto  di  rilevanza,  della  questione
sollevata dal pretore di Salerno.
    L'eccezione e' fondata.
    Il giudizio a quo come si evince dall'ordinanza di rimessione, ha
ad  oggetto  la declaratoria di nullita' - ai sensi dell'art. 1 della
legge  18  aprile  1962, n. 230 (Disciplina del contratto di lavoro a
tempo determinato) - di un contratto di lavoro a termine stipulato il
16  agosto 1994. Il rimettente assume peraltro, non implausibilmente,
che le norme di natura privatistica di cui alla legge n. 230 del 1962
trovino  applicazione  ai rapporti di lavoro dei dipendenti dell'ente
Poste  Italiane  solamente  dal  26  novembre  1994,  data  del primo
C.C.N.L.  per  i dipendenti dell'ente. Ne discende, pertanto, secondo
la  prospettazione  dello stesso rimettente, l'inapplicabilita' della
suddetta  disciplina  privatistica  al  rapporto di lavoro dedotto in
giudizio, in quanto stipulato anteriormente al 26 novembre 1994, e la
conseguente  irrilevanza  della  sollevata  questione di legittimita'
costituzionale.
    4. - L'Avvocatura     dello     Stato     eccepisce,    altresi',
l'inammissibilita'  della  questione sollevata dal pretore di Padova,
per difetto di motivazione in punto di rilevanza.
    Anche tale eccezione e' fondata.
    Il  giudice  rimettente,  nel  sollevare  la  questione,  omette,
infatti,   qualsiasi   indicazione   riguardo   agli  elementi  della
fattispecie  oggetto  del  giudizio cui egli e' chiamato, cosicche' a
questa   Corte   risulta   precluso   il   controllo   sull'effettivo
apprezzamento   da   parte  dello  stesso  rimettente  del  requisito
preliminare della rilevanza. Ne', d'altro canto, l'omessa descrizione
della  fattispecie puo' ritenersi sanata dalle indicazioni fornite al
riguardo   dalla   parte   privata  nella  memoria  di  costituzione,
trattandosi  di allegazioni di parte inidonee a sostituire, in quanto
tali, quelle demandate in via esclusiva al giudice rimettente.
    5. - L'Avvocatura     dello     Stato     eccepisce,     inoltre,
l'inammissibilita'  della questione sollevata dal pretore di Ferrara,
quanto alla denunciata violazione dei principi costituzionali posti a
tutela  dell'autonomia  e  dell'indipendenza dell'ordine giudiziario,
sull'assunto  che  il  rimettente,  lamentando in realta' l'esercizio
asseritamente  distorto del potere legislativo, avrebbe dovuto semmai
sollevare  un  conflitto  di  attribuzione tra poteri dello Stato, ai
sensi dell'art. 134 Cost.
    L'eccezione  e'  priva  di fondamento. Seppure, infatti, non puo'
radicalmente   escludersi  l'esperibilita'  -  da  parte  del  potere
giudiziario - del conflitto di attribuzione avverso atti aventi forza
di  legge,  tuttavia  non  vi  e'  dubbio che il giudizio incidentale
costituisca  -  allorche',  come nella fattispecie, sia concretamente
utilizzabile - lo strumento tipico per pervenire alla declaratoria di
illegittimita'  costituzionale  di  una norma di legge della quale il
giudice  sia  chiamato a fare applicazione (sentenza n. 457 del 1999;
ordinanze n. 144 del 2000 e n. 398 del 1999).
    6. - Le  parti  private  Marina  Mazzini e Clara Fiorentin, nella
memoria   depositata  nell'imminenza  dell'udienza  pubblica  del  24
novembre   1998,   eccepiscono  l'inammissibilita',  per  difetto  di
rilevanza, della questione sollevata dal pretore di Milano, assumendo
che la norma denunciata debba trovare applicazione con riferimento ai
soli  rapporti  di lavoro a termine ancora in corso - diversamente da
quelli  dedotti  nel  giudizio a quo - alla data di entrata in vigore
della norma stessa.
    L'eccezione va disattesa.
    Il  rimettente motiva, infatti, specificamente sul punto relativo
alla  applicabilita' della norma in questione ai rapporti di lavoro a
termine  gia'  esauriti,  concludendo  non  implausibilmente  per  la
soluzione  affermativa  sulla  scorta  di  argomenti  ermeneutici  di
carattere sia logico che letterale.
    Argomenti  rappresentati,  da  un  lato, dalla considerazione che
l'impegno,  assunto  dal  Governo contestualmente alla conversione in
legge  del  decreto,  di  "garantire  comunque l'assunzione di quanti
hanno  proposto  e vinto ricorso in prima istanza o inoltrato ricorso
prima  della  emanazione del decreto 404 del 1996" (ordine del giorno
Borghetta  e  Strambi,  n. 9/2698/1),  si  giustifica  solamente  sul
presupposto  che  anche  i  rapporti  a  termine  gia' esauriti siano
assoggettati alla disciplina impugnata; dall'altro, dalla circostanza
che  gli effetti della norma vengano fatti espressamente decorrere da
una  data,  quella  di  costituzione dell'ente, risalente a quasi tre
anni  addietro,  cosi'  da  rendere  assolutamente improbabile tenuto
conto   della  breve  durata  dei  contratti  a  termine  normalmente
stipulati dall'ente Poste Italiane - che l'intenzione del legislatore
fosse quella di rimuovere solamente i contratti in corso alla data di
entrata in vigore della norma stessa.
    7. - Del pari infondate sono le eccezioni di inammissibilita' per
difetto  di rilevanza sollevate, in riferimento a due delle ordinanze
del  pretore  di  Livorno, dalle parti private Francesco Rossi, Maria
Adele  Picerno, Monica Rossi e Alessandra Papi, nel giudizio iscritto
al  n. 726 del r.o. del 1997, e dalle parti private Claudia Ticciati,
Vincenza  Formisano  e  Silvia  Panicucci,  nel  giudizio iscritto al
n. 727  del  r.o.  del  1997,  tutte basate sull'assunto che la norma
denunciata  debba  trovare  applicazione  con  riferimento  alle sole
ipotesi  di  conversione del contratto a termine ai sensi dell'art. 2
della  legge n. 230 del 1962, con esclusione quindi dei casi, dedotti
nei  giudizi  a  quibus  di  contratti  ab  origine  nulli,  ai sensi
dell'art. 1  della  stessa  legge,  per  illegittima  apposizione del
termine.
    L'assunto   del  rimettente,  secondo  il  quale  debbono  invece
ricomprendersi  nell'ambito  applicativo della norma anche le ipotesi
di  illegittima  apposizione  del termine, viene infatti giustificato
sulla  base  della  ratio della norma, individuata nella finalita' di
limitare  le  assunzioni dell'ente Poste Italiane, comunque derivanti
dalla  conversione  di contratti a termine, senza distinzione percio'
tra  le ipotesi previste dall'art. 1 e quelle di cui all'art. 2 della
legge n. 230 del 1962.
    Motivazione,  quella ora riferita, di per se' non implausibile e,
pertanto, sottratta al sindacato di questa Corte.
    8. - Nel  merito,  la  questione  non e' fondata sotto alcuno dei
profili evocati.
    9. - Va  in  primo  luogo  disattesa  la  censura  sollevata, con
riferimento  all'art. 77  Cost.,  dal  solo  pretore  di  Genova, con
ordinanza   di   data   anteriore   alla  legge  di  conversione  del
decreto-legge  n. 510  del  1996,  fondata sul rilievo secondo cui la
norma  impugnata,  emanata  in difetto dei requisiti di straordinaria
necessita'  ed  urgenza, costituirebbe mera reiterazione di quella di
cui  all'art. 9,  comma  21,  del decreto-legge 2 agosto 1996, n. 404
(Disposizioni  urgenti  in  materia  di  lavori socialmente utili, di
interventi  a  sostegno  del  reddito  e  nel settore previdenziale),
decaduto per mancata conversione.
    Questa  Corte  ha  gia'  avuto modo di affermare che "il vizio di
costituzionalita'  derivante  dall'iterazione  o  dalla  reiterazione
attiene,   in   senso   lato,   al  procedimento  di  formazione  del
decreto-legge   in   quanto   provvedimento  provvisorio  fondato  su
presupposti  straordinari di necessita' ed urgenza: la conseguenza e'
che  tale vizio puo' ritenersi sanato quando le Camere, attraverso la
legge  di conversione (o di sanatoria), abbiano assunto come propri i
contenuti o gli effetti della disciplina adottata dal Governo in sede
di decretazione d'urgenza" (sentenza n. 360 del 1996).
    Deve  poi  escludersi ogni rilievo, nella specie, dei presupposti
di  necessita'  ed  urgenza,  posto che l'efficacia retroattiva della
norma  convertita  in  legge  e'  tale  da  coprire  anche il periodo
intercorrente tra l'emanazione del decreto e la sua conversione.
    La conversione in legge del decreto n. 510 del 1996 - successiva,
come  si e' detto, all'ordinanza di rimessione - ha, pertanto, sanato
ogni  eventuale  vizio  attinente  al  procedimento di formazione del
decreto  stesso  e  porta  ad  escludere l'asserita violazione, nella
specie, dell'art. 77 Cost.
    10. - Tutti  i rimettenti, ad eccezione del pretore di Pordenone,
hanno   evocato,  sotto  differenti  profili,  il  parametro  di  cui
all'art. 3 Cost.
    In  particolare,  i  Pretori di Torino, di Milano, di Ferrara, di
Gorizia,  di  Bologna  ed  il  Tribunale  di Venezia individuano, tra
l'altro,  la  violazione del menzionato precetto costituzionale nella
efficacia  retroattiva  della norma, attraverso la quale risulterebbe
leso   il   principio   di   ragionevolezza   nonche'   l'affidamento
legittimamente sorto nei destinatari della norma stessa.
    La    retroattivita'   della   disciplina   denunciata,   siccome
finalizzata a spiegare effetti sui giudizi in corso, comprometterebbe
inoltre  -  ad avviso del pretore di Milano - l'esercizio neutrale ed
indipendente   della   funzione   giurisdizionale,   garantita  dagli
artt. 24, 101 e 104 Cost.
    Sulla  scorta  di  analoghe  considerazioni  la  norma, in quanto
retroattiva,  e'  ritenuta  in contrasto con gli artt. 101, 102 e 104
della Costituzione dai Pretori di Genova, di Ferrara, di Saluzzo e di
Gorizia,  ovvero  con  i  soli artt. 101 e 104 della Costituzione dal
pretore di Pordenone, mentre il pretore di Parma ravvisa nella deroga
al  principio di irretroattivita' della legge una lesione del diritto
di  difesa  di  cui  all'art. 24  Cost.,  per  la  limitazione che ne
conseguirebbe  alla possibilita' per i cittadini di agire in giudizio
per la tutela dei loro diritti.
    10.1. - Al  riguardo  va  premesso  che,  secondo  la consolidata
giurisprudenza  di  questa  Corte, il divieto di retroattivita' della
legge  -  pur costituendo fondamentale valore di civilta' giuridica e
principio generale dell'ordinamento, cui il legislatore deve in linea
di   principio   attenersi   -   non  e'  stato  elevato  a  dignita'
costituzionale,  salva  la previsione dell'art. 25 della Costituzione
relativo  alla  sola  materia  penale.  Il legislatore ordinario, nel
rispetto  di  tale  limite,  puo'  dunque  emanare norme retroattive,
purche'    trovino   adeguata   giustificazione   sul   piano   della
ragionevolezza  e  non  si  pongano  in contrasto con altri valori ed
interessi   costituzionalmente   protetti,   cosi'  da  non  incidere
arbitrariamente sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi
precedenti  (sentenze  n. 229  del 1999, n. 432 del 1997, nn. 153 e 6
del 1994, n. 283 del 1993).
    Ai  fini  del giudizio di legittimita' costituzionale della norma
denunciata,  sotto  il  profilo  considerato,  deve, dunque, in primo
luogo valutarsi se la sua efficacia retroattiva risponda a criteri di
ragionevolezza  ovvero  costituisca  un  regolamento  irrazionalmente
lesivo di interessi sostanziali tutelati da norme preesistenti.
    10.2. - Giova   a  questo  punto  ricordare  che  la  vicenda  di
privatizzazione    dell'Amministrazione    delle    poste   e   delle
telecomunicazioni  si e' sviluppata attraverso due distinti passaggi.
Dapprima,  con  l'art. 1  del  decreto-legge 1o dicembre 1993, n. 487
(Trasformazione    dell'Amministrazione    delle    poste   e   delle
telecomunicazioni  in  ente pubblico economico e riorganizzazione del
Ministero),  convertito  in legge, con modificazioni, con la legge 29
gennaio  1994,  n. 71,  detta Amministrazione e' stata trasformata in
ente  pubblico  economico  denominato  appunto  ente  Poste Italiane.
Successivamente,  in  base alla previsione gia' contenuta nel secondo
comma  dello  stesso  art. 1  del  decreto-legge n. 487 del 1993, con
deliberazione  del  Comitato  interministeriale per la programmazione
economica n. 244 del 18 dicembre 1997, l'ente Poste Italiane e' stato
trasformato  in  societa'  per  azioni,  le  cui  azioni  sono  state
attribuite  per  intero al Ministero del tesoro, del bilancio e della
programmazione economica.
    Da  tale  pur  sommaria  esposizione emerge con chiarezza come la
costituzione  dell'ente  Poste  Italiane  abbia rappresentato la fase
transitoria    del   processo   di   privatizzazione,   evidentemente
finalizzata   alla   realizzazione   delle  condizioni  economiche  e
strutturali  per  la  gestione  in  forma  di societa' per azioni del
servizio postale.
    10.3. - L'art.  6,  comma  2, del citato decreto-legge n. 487 del
1993,   costitutivo   dell'ente  Poste  Italiane,  prevedeva  che  il
personale  dell'Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni
restasse alle dipendenze dell'ente "con rapporto di diritto privato".
    Da  cio'  discendeva,  come  correttamente assumono i rimettenti,
l'applicabilita'  ai rapporti di lavoro a termine stipulati dall'ente
della  disciplina, appunto privatistica, di cui alla legge n. 230 del
1962,  applicabilita' del resto ribadita dall'art. 8 del C.C.N.L. del
26 novembre 1994 per i dipendenti dell'ente Poste Italiane.
    Le   informazioni   acquisite   da   questa   Corte   a   seguito
dell'ordinanza istruttoria del 18 dicembre 1998 - anche tenendo conto
delle   diverse   allegazioni  delle  parti  private  -  evidenziano,
peraltro,  nel  periodo  intercorrente  tra  la  data di costituzione
dell'ente   Poste   Italiane  e  quella  di  emanazione  della  norma
denunciata,  un diffuso e non spiegato ritardo, da parte degli organi
locali  dell'ente  preposti  alle  assunzioni  di  personale  a tempo
determinato,  nell'adeguarsi alla disciplina privatistica di cui alla
legge  n. 230 del 1962, cosi' da porre in essere i presupposti per la
trasformazione  in  rapporti  di  lavoro  a tempo indeterminato di un
elevatissimo  numero  di  rapporti a termine (comunque dell'ordine di
svariate  migliaia),  stipulati in violazione degli artt. 1 e 2 della
suddetta legge.
    L'assoluta  eccezionalita'  di  tale situazione, a prescindere da
qualsiasi  valutazione in ordine alle eventuali responsabilita' degli
organi  dell'ente, consente di individuare agevolmente la ratio della
norma  denunciata  nella  esigenza,  avvertita  come  prioritaria, di
salvaguardare  l'interesse  generale  al  buon  esito del processo di
privatizzazione  del  servizio  postale. Il legislatore - come emerge
con  chiarezza  anche  dai lavori preparatori - ha cioe' ritenuto che
l'imprevista  assunzione  coattiva con rapporto a tempo indeterminato
di  migliaia  di  lavoratori  potesse  gravemente ed irreparabilmente
pregiudicare   il   risanamento  finanziario  dell'ente,  costituente
ineludibile presupposto per la sua trasformazione in una societa' per
azioni,  destinata  ad  operare  sul  mercato  in  regime di parziale
concorrenza e con criteri di economicita'.
    Sulla  scorta  di  tali valutazioni, sicuramente non implausibili
alla  luce  degli  elementi  di  fatto  di  cui  si  e'  dato  conto,
l'attribuzione  di  efficacia retroattiva alla norma impugnata appare
giustificata  dalla  esigenza  di porre rimedio ad una situazione del
tutto   eccezionale   e   tale   da   compromettere  irreparabilmente
l'equilibrio  finanziario  e  lo  stesso  processo di privatizzazione
dell'ente.
    Il  sacrificio  imposto  ai  lavoratori  - peraltro attenuato dal
riconoscimento,  contenuto  nella  stessa  norma,  di  un  diritto di
precedenza  nelle  future  assunzioni a tempo indeterminato - risulta
dunque  non contrastante ne' con il principio di ragionevolezza ne' -
come  meglio  si  vedra'  piu' avanti - con altri valori ed interessi
costituzionalmente protetti.
    10.4. - Deve   per   altro   verso   escludersi  che  l'efficacia
retroattiva della norma, con la sua conseguente incidenza sui giudizi
in   corso,   comporti  una  lesione  delle  prerogative  del  potere
giudiziario e percio' la violazione degli artt. 101, 102 e 104 Cost.
    Questa  Corte  ha  da  tempo  chiarito,  infatti, che la funzione
giurisdizionale  non  puo'  dirsi  violata  per  il  solo fatto di un
intervento   legislativo   con   efficacia   retroattiva,  quando  il
legislatore  -  come  nella  specie - agisca sul piano astratto delle
fonti  normative  senza  ingerirsi  nella specifica risoluzione delle
concrete  fattispecie  in giudizio (in tal senso, ancora, le sentenze
n. 229  del 1999, n. 432 del 1997, n. 397 del 1994, n. 402 del 1993).
Sicche',  anche in relazione ai suddetti parametri, la questione deve
essere dichiarata infondata.
    10.5. - Sulla  scorta  di analoghe considerazioni deve, altresi',
escludersi  che  la  norma  denunciata sia in contrasto con l'art. 24
Cost.,  in quanto la modifica del modello normativo, cui la decisione
giudiziale   deve   riferirsi,   operando   sul   piano  sostanziale,
evidentemente  non  incide sul diritto alla tutela giurisdizionale, a
cui presidio e' posta la norma costituzionale invocata.
    11. - Il  parametro di cui all'art. 3 della Costituzione e' anche
evocato  da  gran parte dei rimettenti sotto il diverso profilo della
violazione  del principio di eguaglianza: in particolare, dai Pretori
di  Genova,  di Fermo, di Lecco, di Ferrara, di Parma, di Saluzzo, di
Livorno,  di Gorizia, di Latina, di Camerino, di Bologna, di Nicosia,
di  Macerata,  di  Trento  e  dal  Tribunale di Venezia, in relazione
all'ingiustificata   disparita'   di   trattamento   che   la   norma
introdurrebbe  tra  i  lavoratori  assunti  con  contratto  a termine
dall'ente  Poste  Italiane  e quelli assunti con analogo contratto da
altri datori di lavoro privati o enti pubblici economici; dai Pretori
di  Fermo, di Parma, di Latina, di Camerino e di Trento, in relazione
all'ingiustificata   disparita'   di  trattamento  tra  l'ente  Poste
Italiane  e gli altri datori di lavoro, anche in ipotesi operanti nel
medesimo  settore;  dai  Pretori di Milano e di Nicosia, in relazione
alla  protezione  accordata  agli  interessi  di  una delle parti del
rapporto, e cioe' il datore di lavoro, rispetto all'altra.
    Le   medesime   considerazioni   gia'   svolte   in  ordine  alla
ragionevolezza  della  norma,  quanto alla sua efficacia retroattiva,
rendono peraltro evidente la non fondatezza di tali censure.
    Le   denunciate   disparita'  di  trattamento  trovano,  infatti,
adeguata  giustificazione  nella  piu'  volte  ricordata  esigenza di
tutela   dell'interesse  pubblico  al  buon  esito  del  processo  di
privatizzazione  del  servizio  postale:  interesse,  questo,  la cui
rilevanza  e'  tale  da  rendere  non omogenee le situazioni poste di
volta in volta a raffronto dai rimettenti.
    La  legittimita'  costituzionale  di discipline differenziate del
lavoro  a  termine,  giustificate dalle peculiari caratteristiche dei
singoli  rapporti  di lavoro, e' stata del resto gia' riconosciuta da
questa Corte (sentenza n. 80 del 1994, ordinanza n. 347 del 1988). Ed
e'  per  altro  verso  significativa la considerazione che una regola
opposta  a  quella  della conversione del rapporto a termine nullo e'
dettata  dall'art. 36,  comma  8,  del decreto legislativo 3 febbraio
1993,     n. 29    (Razionalizzazione    dell'organizzazione    delle
amministrazioni  pubbliche e revisione della disciplina in materia di
pubblico  impiego,  a  norma dell'art. 2 della legge 23 ottobre 1992,
n. 421),  per  i  dipendenti  delle amministrazioni pubbliche, il cui
rapporto  di  lavoro  -  del  pari  privatizzato - presenta non poche
analogie  con quello dei dipendenti di un ente pubblico, quale l'ente
Poste  Italiane,  derivante  dalla  trasformazione  di  una  pubblica
amministrazione.
    Il  legislatore  in  ogni  caso, in relazione alla eccezionalita'
delle circostanze di fatto che hanno reso nella specie necessaria una
deroga  alla disciplina comunque ritenuta in via generale applicabile
ai  dipendenti  dell'ente Poste Italiane, ha contenuto l'operativita'
di detta deroga entro un preciso limite temporale, e cioe' dalla data
di  costituzione  dell'ente sino al 30 giugno 1997, con cio' evitando
il  consolidamento  di  situazioni  di  vantaggio in favore dell'ente
stesso e di correlativo svantaggio in danno dei suoi dipendenti.
    12. - Proprio  in  relazione  a  tale  aspetto  della  disciplina
denunciata,  il  pretore  di  Livorno  ed  il  Tribunale  di  Venezia
prospettano un'ulteriore violazione del principio di eguaglianza, con
riguardo  alla  disparita'  di  trattamento  che  sussisterebbe tra i
lavoratori  assunti  dall'ente Poste Italiane con contratto a termine
prima  del  30  giugno  1997  e quelli assunti successivamente a tale
data.
    Anche  tale  censura  e' tuttavia priva di fondamento, atteso che
l'individuazione  del termine entro il quale contenere la deroga alla
disciplina  comune  non puo' che essere rimessa alla discrezionalita'
del legislatore, rimanendo il relativo esercizio sottratto - salva la
manifesta   irragionevolezza,  non  ravvisabile  nella  specie  -  al
sindacato di legittimita' costituzionale.

    13.  -  L'asserita  disparita'  di  trattamento  tra l'ente Poste
Italiane  e  gli altri datori di lavoro operanti nel medesimo settore
e'  poi  ritenuta  dai  Pretori  di Fermo, di Latina, di Camerino, di
Macerata,  di  Trento e dal Tribunale di Venezia strumento distorsivo
della  concorrenza  tale  da  comportare violazione della liberta' di
iniziativa economica tutelata dall'art. 41 Cost.
    A  tale  proposito  e'  sufficiente tuttavia osservare che l'ente
Poste  Italiane  ha operato in regime di concorrenza limitatamente ai
servizi  di  tipo  non  universale e non riservato, restando peraltro
obbligato  - in base all'art. 1, comma 3, del contratto di programmma
del  17  gennaio  1995  - ad assicurare la prestazione, espressamente
qualificata  nello stesso Contratto di programma come prioritaria, di
tutti    i    servizi    universali    e   riservati,   gia'   svolti
dall'Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni.
    Non  sussistendo,  dunque,  nell'ambito  dei servizi postali, una
situazione di piena concorrenza, deve conseguentemente escludersi che
la  deroga  apportata  dalla  norma  denunciata  alla  disciplina dei
contratti  di  lavoro  a  termine,  limitatamente  a quelli stipulati
dall'ente  Poste  Italiane,  possa  considerarsi  in contrasto con la
liberta' di iniziativa economica privata sancita dall'art. 41 Cost.
    Giova  d'altro  canto  ricordare,  al  riguardo,  che la Corte di
giustizia della comunita' europea, in sede di pronuncia pregiudiziale
a norma dell'art. 177 del trattato CE, con sentenza del 7 maggio 1998
ha  statuito,  proprio in riferimento alla norma oggetto del presente
giudizio   di  legittimita'  costituzionale,  che  "una  disposizione
nazionale  che  esoneri una sola impresa dall'obbligo di osservare la
normativa  di applicazione generale riguardante i contratti di lavoro
a  tempo  determinato  non  costituisce  un  aiuto  di Stato ai sensi
dell'art. 92, n. 1, del Trattato CE".
    14. - Non  sussiste  nemmeno  la violazione del diritto al lavoro
prospettata,  con  riferimento  al parametro di cui all'art. 4 Cost.,
dai  Pretori  di Torino e di Saluzzo, con riferimento al parametro di
cui all'art. 35 Cost., dai Pretori di Fermo, di Parma, di Gorizia, di
Camerino  e  di  Macerata  e  con  riferimento ad entrambi i suddetti
parametri dai Pretori di Milano, di Lecco e di Bologna.
    Secondo  la  giurisprudenza  di  questa  Corte,  la  garanzia del
diritto al lavoro apprestata dagli artt. 4 e 35 della Costituzione e'
infatti  affidata  alla  discrezionalita' del legislatore quanto alla
scelta  dei tempi e dei modi di attuazione e non comporta una diretta
ed  incondizionata  tutela  del  posto  di lavoro (sentenze n. 46 del
2000, n. 419 del 1993, n. 152 del 1975; ordinanza n. 254 del 1997).
    15. - Va  altresi'  disattesa la censura riferita al parametro di
cui  all'art. 39 Cost., evocato dai Pretori di Torino, di Milano e di
Saluzzo e dal Tribunale di Venezia.
    Questa  Corte  ha  gia' avuto modo di affermare che nella attuale
situazione  di inattuazione delle regole costituzionali relative alla
stipulazione  di  contratti  collettivi  con efficacia erga omnes non
puo' ipotizzarsi un conflitto tra l'attivita' sindacale e l'attivita'
legislativa,  non essendovi alcuna riserva legislativa e contrattuale
a  favore  dei sindacati (sentenze n. 697 del 1988, n. 141 del 1980).
La  circostanza  che  una  determinata  disciplina  legislativa venga
recepita  ed  integrata  in  un  contratto  collettivo  di lavoro non
preclude  dunque  al  legislatore la possibilita' di modificarla o di
derogarvi,  tanto  piu'  quando  la  deroga sia - come nella specie -
giustificata  da  una  situazione  eccezionale,  a salvaguardia di un
interesse generale, ed abbia carattere di transitorieta'.
    16. - Palesemente  infondata e' infine la questione sollevata dal
pretore  di Lecco, con riferimento all'art. 41, secondo comma, Cost.,
sull'assunto che la norma, sacrificando il diritto al posto di lavoro
gia' sorto in capo ai lavoratori, detti una disciplina dell'attivita'
economica contrastante con la dignita' umana di costoro.
    Il  suddetto  parametro, essendo posto a salvaguardia dei diritti
fondamentali   della   persona   nello  svolgimento  delle  attivita'
produttive,  non  puo'  essere  infatti utilmente invocato - come del
resto  l'art. 4 della Costituzione - quando, come nella specie, venga
in  gioco  la tutela del posto di lavoro. Cio' che porta, ovviamente,
ad  escludere  la necessita' di qualsiasi ulteriore considerazione al
riguardo.
                          Per questi motivi

                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Riuniti i giudizi:
        a) dichiara  la manifesta inammissibilita' delle questioni di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 9,  comma 21, ultimo periodo,
del  decreto-legge  1o  ottobre 1996, n. 510 (Disposizioni urgenti in
materia  di  lavori  socialmente  utili, di interventi a sostegno del
reddito  e  nel  settore  previdenziale),  convertito  in  legge, con
modificazioni,  dall'art. 1,  comma  1, della legge 28 novembre 1996,
n. 608,  sollevate,  con  le  ordinanze  in  epigrafe, dal pretore di
Salerno,  in riferimento all'art. 3 della Costituzione, e dal pretore
di Padova, in riferimento agli artt. 3 e 39 della Costituzione;
        b) dichiara   non   fondate   le  questioni  di  legittimita'
costituzionale   dell'art. 9,   comma   21,   ultimo   periodo,   del
decreto-legge  1o  ottobre  1996,  n. 510  (Disposizioni  urgenti  in
materia  di  lavori  socialmente  utili, di interventi a sostegno del
reddito  e  nel  settore  previdenziale),  convertito  in  legge, con
modificazioni,  dall'art. 1,  comma  1, della legge 28 novembre 1996,
n. 608,  sollevate,  con  le  ordinanze  in  epigrafe, dal pretore di
Genova,  in  riferimento  agli  artt. 3,  77,  101,  102  e 104 della
Costituzione, dal pretore di Fermo, in riferimento agli artt. 3, 35 e
41  della  Costituzione,  dal  pretore di Torino, in riferimento agli
artt. 3,  4  e  39  della  Costituzione,  dal  pretore  di Milano, in
riferimento   agli   artt. 3,   4,  24,  35,  39,  101  e  104  della
Costituzione,  dal  pretore di Lecco, in riferimento agli artt. 3, 4,
35  e  41  della Costituzione, dal pretore di Ferrara, in riferimento
agli  artt. 3,  101,  102  e  104  della Costituzione, dal pretore di
Parma,  in  riferimento agli artt. 3, 24 e 35 della Costituzione, dal
pretore  di  Saluzzo,  in riferimento agli artt. 3, 4, 39, 101, 102 e
104  della  Costituzione,  dal  pretore  di  Livorno,  in riferimento
all'art. 3 della Costituzione, dal pretore di Gorizia, in riferimento
agli  artt. 3,  primo  comma,  35,  primo comma, 101, 102 e 104 della
Costituzione, dal pretore di Latina, in riferimento agli artt. 3 e 41
della  Costituzione,  dal  Tribunale  di Venezia, in riferimento agli
artt. 3,  39  e  41  della  Costituzione, dal pretore di Camerino, in
riferimento  agli artt. 3, 35 e 41 della Costituzione, dal pretore di
Bologna,  in riferimento agli artt. 3, 4 e 35 della Costituzione, dal
pretore di Nicosia, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal
pretore  di  Macerata,  in  riferimento  agli  artt. 3, 35 e 41 della
Costituzione, dal pretore di Trento, in riferimento agli artt. 3 e 41
della  Costituzione,  dal  pretore  di Pordenone, in riferimento agli
artt. 101 e 104 della Costituzione.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 9 ottobre 2000.
                      Il Presidente: Mirabelli
                        Il redattore: Marini
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 13 ottobre 2000.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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