N. 424 SENTENZA 9 - 16 ottobre 2000

Sentenza 9-16 ottobre 2000
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Reato  in  genere - Reato di favoreggiamento personale (art. 378 cod.
pen.)   -   Cause   di  non  punibiita'  -  Mancata  estensione  alla
ritrattazione  di  dichiarazioni  false o reticenti rese alla polizia
giudiziaria  che assume sommarie informazioni di propria iniziativa -
Asserita  lesione  del principio di eguaglianza (anche in relazione a
quanto  stabilito  nella  sentenza  n. 101 del 1999) - Non fondatezza
delle questioni.
- Cod. pen., art. 376, primo comma.
- Costituzione, art. 3.
(GU n.43 del 18-10-2000 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Cesare MIRABELLI;
  Giudici:  Francesco  GUIZZI,  Fernando  SANTOSUOSSO,  Massimo VARI,
Riccardo   CHIEPPA,   Gustavo   ZAGREBELSKY,   Valerio  ONIDA,  Carlo
MEZZANOTTE,  Fernanda  CONTRI,  Guido  NEPPI  MODONA,  Piero  Alberto
CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK;
ha pronunciato la seguente


                              Sentenza

nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 376,  primo
comma,  del codice penale, promossi con ordinanze emesse il 20 maggio
1999  dal  giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di
Ivrea,  il  28 aprile  1999  dal  giudice per le indagini preliminari
presso  il  tribunale  dei minorenni di L'Aquila, il 29 novembre 1999
dal  tribunale  di  Ivrea  e  il  17 dicembre  1999  dal tribunale di
Salerno,  rispettivamente  iscritte  ai  nn. 425  e  431 del registro
ordinanze  1999  e  ai  nn. 43  e  125  del registro ordinanze 2000 e
pubblicate  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica nn. 36 e 37,
prima  serie  speciale,  dell'anno  1999  e  nn. 8  e 15, prima serie
speciale, dell'anno 2000.
    Visti  gli  atti  di  intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 7 giugno 2000 il giudice
relatore Gustavo Zagrebelsky.

                          Ritenuto in fatto

    1.1. - Con  ordinanza  del  20 maggio  1999  (r.o.  425/1999), il
giudice  per  le  indagini  preliminari presso il tribunale di Ivrea,
nell'udienza  preliminare,  ha  sollevato  questione  di legittimita'
costituzionale   dell'art. 376,   primo   comma,  del  codice  penale
(Ritrattazione),   in  riferimento  all'art. 3,  primo  comma,  della
Costituzione.
    1.2. - Nel  procedimento  principale,  due  persone,  imputate di
favoreggiamento  personale  (art. 378  cod.  pen.) per avere riferito
circostanze  non  veritiere  in  sede  di informazioni raccolte dalla
polizia    giudiziaria   su   iniziativa   di   quest'ultima,   hanno
successivamente   reso,   nell'interrogatorio   svolto   nell'udienza
preliminare,  dichiarazioni  contrarie  a  quelle  precedenti  e,  al
termine   dell'atto,   hanno   eccepito  l'incostituzionalita'  della
disposizione  che  regola la ritrattazione, in quanto non applicabile
nei  loro  riguardi; a tale eccezione da' corso il giudice di merito,
ritenendola non manifestamente infondata.
    Ad  avviso  del  rimettente,  a seguito della sentenza n. 101 del
1999    della    Corte    costituzionale    -   che   ha   dichiarato
l'incostituzionalita'  dell'art. 376,  primo  comma, cod. pen., nella
parte  in  cui  non  prevede  la  ritrattazione  come  causa  di  non
punibilita' per chi, richiesto dalla polizia giudiziaria delegata dal
pubblico  ministero  a norma dell'art. 370 cod. proc. pen. di fornire
informazioni  ai  fini delle indagini, abbia reso dichiarazioni false
ovvero  in  tutto  o  in parte reticenti - si sarebbe determinata una
irrazionalita' nuova e ulteriore nella materia della ritrattazione.
    Infatti,  la  disciplina  dell'assunzione  di  informazioni dalle
persone che possono riferire circostanze utili ai fini delle indagini
da  parte  della  polizia giudiziaria di propria iniziativa (art. 351
cod.  proc.  pen.) e l'assunzione delle stesse informazioni su delega
del  pubblico  ministero  (art. 370  cod.  proc.  pen.)  e' unitaria,
valendo  le  stesse  regole  di  documentazione  (art. 357 cod. proc.
pen.),  il  medesimo  rinvio alle norme applicabili nello svolgimento
dell'atto   (art. 362,   comma 1,   secondo   periodo,  in  relazione
all'art. 351, comma 1, secondo periodo, cod. proc. pen.), la medesima
utilizzabilita' delle dichiarazioni cosi' acquisite nel prosieguo del
processo   (art. 500  cod.  proc.  pen.);  ma,  a  fronte  di  questa
unitarieta'  di  disciplina,  si e' determinata, in conseguenza della
citata   pronuncia   della   Corte   costituzionale,  una  differenza
nell'ambito di applicazione della ritrattazione, che e' valevole solo
in un caso - cioe' per le dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria
operante  su  delega  del  pubblico ministero - e non nell'altro. Una
differenza,  questa, osserva il rimettente, che dipende oltretutto da
un   elemento   formale,   del  tutto  "esterno"  alla  volonta'  del
dichiarante, il quale potrebbe anche ignorare se l'atto e' assunto su
iniziativa  autonoma  della  polizia giudiziaria ovvero su delega del
pubblico ministero.
    L'ordinanza  di rimessione svolge poi una disamina testuale della
sentenza n. 101 del 1999 della Corte costituzionale, avente a oggetto
una  questione  non  coincidente  con quella ora sollevata: mentre il
ragionamento   della   sentenza   e'   condotto   sul   piano   della
ingiustificata  differenziazione  di  trattamento  di  due ipotesi di
assunzione  di  informazioni  che,  pur se integranti sul piano delle
condotte  l'una  il reato di favoreggiamento personale (art. 378 cod.
pen.)  e l'altra il reato di false informazioni al pubblico ministero
(art. 371-bis  cod.  pen.),  costituiscono  tuttavia  aspetti  di una
stessa  attivita', facente capo al pubblico ministero quale organo di
direzione  delle  indagini  preliminari,  nella questione ora rimessa
all'esame   della   Corte   e'   invece   prospettata   una   diversa
irrazionalita', che scaturisce proprio dall'estensione della causa di
non   punibilita'   quale   e'   stata  effettuata  con  la  sentenza
costituzionale  citata. Ne' e' possibile, osserva il rimettente, dare
soluzione al problema in via interpretativa, non potendosi creare una
causa  di  non  punibilita'  nuova,  non espressamente prevista dalla
legge;  e'  dunque  necessario  un  ulteriore  intervento della Corte
costituzionale.
    Quanto  alla  rilevanza, conclude il giudice rimettente, essa sta
nella  alternativa  tra  il  rinvio  a giudizio degli imputati per il
reato  di  favoreggiamento  personale  loro  contestato,  e  il  loro
proscioglimento, in caso di accoglimento della questione sollevata.
    1.3. - Nel giudizio cosi' instaurato e' intervenuto il Presidente
del  Consiglio  dei  Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
generale   dello   Stato,   che   ha   chiesto  una  declaratoria  di
inammissibilita' o di infondatezza della questione.
    Osserva   l'Avvocatura  che  la  ragione  della  declaratoria  di
incostituzionalita'  cui  fa  richiamo il rimettente (sentenza n. 101
del  1999)  e',  proprio secondo la motivazione di essa, da ravvisare
essenzialmente  nel  fatto  che  l'assunzione  personale e diretta da
parte  del  pubblico ministero di informazioni da persone che possono
riferire circostanze utili ai fini delle indagini (art. 370, comma 1,
primo  periodo,  cod.  proc.  pen.)  e  l'assunzione  delle  medesime
informazioni  avvalendosi  della  polizia giudiziaria a cio' delegata
(secondo  periodo  della  stessa  disposizione)  costituiscono "forme
diverse   della  medesima  attivita',  facente  sostanzialmente  capo
comunque  al  pubblico ministero nell'esercizio dei poteri che a esso
spettano   quale   organo   che   dirige   le   indagini  preliminari
all'esercizio dell'azione penale (artt. 326 e 327 cod. proc. pen.)".
    Tale  rilievo,  unitamente  a  quelli della identita' di forme di
garanzia  procedurale  e  di  regole  di documentazione nei due casi,
nonche'  della necessaria equivalenza di atti diretti e atti delegati
per  la  loro  utilizzabilita'  nel  processo, ha fatto concludere la
Corte    costituzionale   nel   senso   della   arbitrarieta'   della
differenziazione    di   trattamento   quanto   all'efficacia   della
ritrattazione.
    Ma   questi  argomenti,  afferma  l'Avvocatura,  non  valgono  in
relazione  al  caso,  ora  in  esame,  delle  dichiarazioni rese alla
polizia giudiziaria su iniziativa di quest'ultima: non v'e' identita'
di   situazione   sostanziale  ne'  v'e'  ragione  di  assimilare  le
dichiarazioni  anzidette  a  quelle  rese alla polizia giudiziaria su
delega   del   pubblico   ministero   o - tantomeno - a  quelle  rese
direttamente al pubblico ministero.
    Percio',   una   pronuncia   di   incostituzionalita'  nel  senso
prospettato  dal  rimettente  si  tradurrebbe  in  una  inammissibile
sostituzione del giudice costituzionale al legislatore, in difetto di
qualsiasi  ragione per estendere la portata della richiamata sentenza
a un caso diverso da quello in essa considerato.
    2.1.  -  Questione  analoga e' stata sollevata dal giudice per le
indagini  preliminari  presso il tribunale dei minorenni di L'Aquila,
con ordinanza del 28 aprile 1999 (r.o. 431/1999).
    Premesso  di  aderire all'interpretazione della giurisprudenza di
legittimita'  secondo  la  quale  la  mancanza  di  una condizione di
procedibilita'  per il reato presupposto non ha rilievo ai fini della
sussistenza  e  punibilita'  del  reato  di favoreggiamento personale
(cosi'  che,  nella  specie,  la  mancanza  di  querela  per il reato
"principale"  di lesioni non ha incidenza), il rimettente rileva che,
con  una  prima  pronuncia  del  1982  (sentenza  n. 228),  la  Corte
costituzionale  ha ritenuto non fondata una questione affine, in base
all'argomento  che, essendo l'obiettivo della ritrattazione quello di
dare soddisfazione all'interesse alla giusta definizione del giudizio
principale,  tale  obiettivo  non  poteva  raggiungersi  nel  caso di
favoreggiamento  a mezzo di false o reticenti dichiarazioni rese alla
polizia giudiziaria, risultando irreversibile il pregiudizio arrecato
alle  investigazioni.  Ma,  prosegue  il  giudice a quo la disciplina
legislativa,  sostanziale e processuale, e' successivamente cambiata,
e  la  Corte  ha  a  sua  volta  mutato indirizzo, affermando, con la
sentenza  n. 101 del 1999, l'incostituzionalita' dell'art. 376, primo
comma,  cod.  pen.,  in  quanto  non  applicabile  anche  a chi abbia
ritrattato   false   o  reticenti  dichiarazioni  rese  alla  polizia
giudiziaria  delegata  dal  pubblico  ministero a norma dell'art. 370
cod. proc. pen.
    La  pronuncia  non  menziona  espressamente,  nel dispositivo, il
reato  di  favoreggiamento  personale, ma si desume dalla motivazione
che  con  essa  la Corte, ampliando la portata della ritrattazione di
cui  all'art. 376  cod.  pen.,  ha  incluso  in  questa  causa di non
punibilita'  la  fattispecie  del  favoreggiamento,  sia pure in casi
particolari.   La  decisione  pero',  rileva  ancora  il  rimettente,
concerne   pur  sempre  l'ipotesi  dell'atto  delegato  dal  pubblico
ministero,  e  pertanto non e' invocabile nella fattispecie, diversa,
che  si  presenta  nel  giudizio  principale,  di  false  o reticenti
dichiarazioni  rese alla polizia giudiziaria che agisca non su delega
del  pubblico ministero, ma di propria iniziativa; ipotesi alla quale
d'altra  parte  la  dichiarazione di incostituzionalita' non e' stata
neppure estesa in via conseguenziale a norma dell'art. 27 della legge
11 marzo   1953,   n. 87,   non   sussistendone   le  condizioni.  Ma
all'anzidetta  ipotesi  puo'  e deve riferirsi, per il rimettente, la
stessa ratio della pronuncia costituzionale in discorso.
    Non  potrebbe  obiettarsi - afferma ancora il giudice di merito -
che la differenziazione sia il frutto di una scelta incensurabile del
legislatore che, nella sua discrezionalita', ha voluto distinguere le
dichiarazioni  false  secondo  l'autorita'  che  ne  e' destinataria,
poiche'  una  simile differenziazione si traduce in una disparita' di
trattamento  ingiustificata,  se  si rileva che, di fronte a condotte
assimilabili,  si  fa ricadere sull'imputato l'effetto sfavorevole di
una scelta investigativa di puro carattere processuale, estranea alla
volonta'  e alla disponibilita' dell'imputato stesso. Per di piu', si
osserva,  l'impossibilita'  di  giovarsi  della ritrattazione finisce
proprio  per  intralciare  l'indagine e l'accertamento della verita',
perche'  rende indifferente la resipiscenza dell'indagato, che non e'
percio' incentivato a dire il vero.
    La  questione,  conclude  il rimettente, e' rilevante, perche' se
accolta  porterebbe  all'emissione  di  un  decreto di archiviazione,
anziche' al prosieguo del procedimento penale.
    2.2.  -  Nel giudizio cosi' promosso e' intervenuto il Presidente
del  Consiglio  dei  Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
generale  dello  Stato,  che  ha  concluso  per  l'inammissibilita' o
l'infondatezza   della  questione,  con  argomentazioni  testualmente
corrispondenti  a  quelle  dell'atto  di  intervento depositato nella
causa iscritta al r.o. n. 425/1999.
    3.1. - Anche il tribunale di Ivrea, con ordinanza del 29 novembre
1999  (r.o.  n. 43/2000), ha sollevato questione di costituzionalita'
sull'art. 376    cod.   pen.,   in   riferimento   all'art. 3   della
Costituzione,  con  motivazione  e  secondo  profili argomentativi in
tutto  corrispondenti a quelli prospettati nell'ordinanza del giudice
per   le  indagini  preliminari  presso  lo  stesso  tribunale  (r.o.
n. 425/1999).
    3.2.  -  Nel  relativo  giudizio  il Presidente del Consiglio dei
Ministri,  intervenuto  tramite l'Avvocatura generale dello Stato, ha
ripetuto  gli  argomenti  svolti  nei  due  atti  di intervento sopra
indicati,  concludendo  per l'inammissibilita' o l'infondatezza della
questione.
    4.1.  -  Questione  sostanzialmente corrispondente alle tre sopra
riferite  e'  stata  infine  sollevata  dal tribunale di Salerno, con
ordinanza   del   17 dicembre  1999  (r.o.  n. 125/2000),  sempre  in
riferimento all'art. 3 della Costituzione.
    Nella   specie,   il   tribunale   procede   per   il   reato  di
favoreggiamento  personale  integrato  da false dichiarazioni rese in
sede  di "sommarie informazioni" assunte dalla polizia giudiziaria di
propria  iniziativa,  dichiarazioni  successivamente  ritrattate  nel
corso del procedimento penale.
    Anche  in  questo  caso  il  rimettente invoca la ratio decidendi
della   sentenza   n. 101   del   1999  della  Corte  costituzionale,
argomentando  la richiesta estensione della ritrattazione all'ipotesi
delle  informazioni  assunte  dalla  polizia  giudiziaria  di propria
iniziativa  sul  duplice  rilievo  a)  della identita' della condotta
rispetto  a  quella  consistente  nelle  informazioni  assunte  dalla
polizia  giudiziaria  su  delega  del  pubblico  ministero e b) della
impossibilita'  di  giustificare  un effetto sfavorevole all'indagato
solo  in  ragione  di  scelte  investigative  a esso non imputabili e
generalmente dallo stesso neppure conosciute.
    Alla stregua dell'art. 3 della Costituzione, quindi, non potrebbe
individuarsi  alcuna giustificazione razionale della differenziazione
di  trattamento,  che  anche  il  tribunale di Salerno ritiene essere
controproducente  sul  piano  degli  obiettivi  di  resipiscenza e di
accertamento del vero cui mira la speciale causa di non punibilita'.
    La questione, conclude l'ordinanza, e' rilevante in rapporto alla
possibilita'   di   adottare   una  declaratoria  di  proscioglimento
immediato  (art. 129  cod.  proc.  pen.)  in  luogo  della  richiesta
sentenza di "patteggiamento".
    4.2. - Anche in questo giudizio costituzionale l'Avvocatura dello
Stato  ha  spiegato  intervento  per  il Presidente del Consiglio dei
Ministri:   le   argomentazioni   e   la   conclusione,   nel   senso
dell'inammissibilita'  o  dell'infondatezza,  sono  le medesime degli
altri atti di intervento depositati nei giudizi sopra indicati.

                       Considerato in diritto


    1. -   Il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale
di  Ivrea, il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale
dei  minorenni  di  L'Aquila, il tribunale di Ivrea e il tribunale di
Salerno  sollevano,  in  riferimento  all'art. 3  della Costituzione,
questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 376, primo comma,
del  codice  penale,  nella  parte in cui non estende la causa di non
punibilita'  che  esso  prevede all'ipotesi della ritrattazione delle
dichiarazioni  false  o  reticenti  rese alla polizia giudiziaria che
assume  sommarie  informazioni  a  norma  dell'art. 351 del codice di
procedura penale.
    Secondo  i  rimettenti,  essendosi  prevista  nell'art. 376  cod.
pen. la  non punibilita' di coloro che abbiano reso false o reticenti
dichiarazioni  al  pubblico  ministero  (art. 371-bis  cod.  pen.)  o
abbiano  reso  falsa  testimonianza (art. 372 cod. pen.) qualora, non
oltre  la  chiusura  del  dibattimento, abbiano ritrattato il falso e
manifestato  il vero, non troverebbe giustificazione alcuna, e quindi
risulterebbe  violato  il  principio  di uguaglianza sotto il profilo
della  razionalita'  delle  determinazioni  legislative,  la  mancata
estensione  della medesima causa di non punibilita' a coloro i quali,
tramite  dichiarazioni  false  o  reticenti alla polizia giudiziaria,
siano  incorsi  nel reato di favoreggiamento personale (art. 378 cod.
pen.).
    L'identita'  di ratio delle norme che puniscono il mendacio nelle
diverse  fasi  di  svolgimento del processo penale e l'inesistenza di
ragioni  che possano indurre a valutare diversamente la ritrattazione
a  seconda che avvenga in una o in un'altra di tali fasi - sostengono
i  rimettenti  -  renderebbe  contraddittoria e quindi irrazionale la
mancata  estensione  alle  false  o reticenti dichiarazioni rese alla
polizia  giudiziaria  della  causa  di non punibilita' prevista nella
norma  impugnata,  applicabile - oltre che alla testimonianza davanti
al  giudice  -  alle dichiarazioni rese al pubblico ministero. E cio'
tanto piu' - si aggiunge - dopo la sentenza n. 101 del 1999 di questa
Corte  che  ha  dichiarato l'incostituzionalita' dell'art. 376, primo
comma,  cod.  pen.,  nella  parte in cui non prevede la ritrattazione
come causa di non punibilita' di chi abbia reso dichiarazioni false o
reticenti, richiesto dalla polizia giudiziaria operante su delega del
pubblico ministero a norma dell'art. 370 cod. proc. pen.

    2. - Le  questioni  di costituzionalita' cosi' esposte in sintesi
riguardano  la  stessa  disposizione,  sono prospettate sulla base di
argomenti  omogenei  e mirano alla medesima soluzione costituzionale.
Si puo' pertanto riunirle per deciderle con un'unica sentenza.

    3. - Le questioni non sono fondate.

    4. - Tutte  le  ordinanze  di rimessione argomentano la richiesta
estensione   della   ritrattazione  come  causa  di  non  punibilita'
all'ipotesi  -  non  prevista  dall'art. 376  cod. pen. - delle false
informazioni  rese alla polizia giudiziaria sulla base della asserita
inesistenza  di  ragioni che permettano di distinguere questa ipotesi
da quelle per le quali invece la causa di non punibilita' e' prevista
e,  in  particolare,  secondo  l'estensione  operata  con la sentenza
n. 101   del   1999   di   questa  Corte,  dall'ipotesi  delle  false
informazioni rese al pubblico ministero (art. 371-bis cod. pen.).
    Sarebbe  in  gioco,  secondo i rimettenti, l'esigenza di coerenza
del  sistema legislativo, esigenza contraddetta dalla possibilita' di
ritrattare, con effetti sulla punibilita', solo le dichiarazioni rese
al  pubblico  ministero  o  alla  polizia giudiziaria operante su sua
delega  e  non invece quelle rese alla polizia giudiziaria che agisce
di  propria iniziativa. Come le false dichiarazioni rese alla polizia
giudiziaria  operante  per delega del pubblico ministero, rilevanti a
titolo  di  favoreggiamento ove si siano integrati gli elementi della
fattispecie  prevista  dall'art. 378  cod. pen., sono state, sotto il
profilo degli effetti della ritrattazione, da questa Corte equiparate
alle   false   dichiarazioni  rese  al  pubblico  ministero  previste
dall'art. 371-bis  cod.  pen.,  cosi' ora le false dichiarazioni alla
polizia  giudiziaria - penalmente rilevanti anch'esse, se del caso, a
titolo  di  favoreggiamento  -  dovrebbero  essere equiparate, sempre
sotto il profilo della ritrattabilita', alle false dichiarazioni rese
alla polizia giudiziaria operante per delega del pubblico ministero.
    I giudici rimettenti fanno rilevare in particolare:
        a)  che  questa  Corte,  con la ricordata sentenza n. 101 del
1999,  ha  gia'  operato  l'equiparazione,  sotto  il  profilo  della
ritrattazione,  del  reato di favoreggiamento personale tramite false
informazioni  -  sia  pure solo nel caso specifico, allora rilevante,
delle  false informazioni alla polizia giudiziaria operante su delega
del  pubblico  ministero - al reato di false informazioni al pubblico
ministero,   cosicche'  si  tratterebbe  ora  solo  di  estendere  la
pronuncia   di  allora  fino  a  comprendere  il  medesimo  reato  di
favoreggiamento compiuto tramite false informazioni rese alla polizia
giudiziaria che agisce di propria iniziativa;
        b)   che  le  sommarie  informazioni  assunte  dalla  polizia
giudiziaria  per propria iniziativa (art. 351 cod. proc. pen.) non si
distinguono  da  quelle assunte su delega del pubblico ministero e da
quelle  assunte direttamente da quest'ultimo, in particolare sotto il
profilo  delle  regole  di  documentazione applicabili (art. 357 cod.
proc.  pen.),  delle  regole  di utilizzazione nel processo (art. 500
cod.  proc. pen.) e delle norme che impongono obblighi di veridicita'
ai dichiaranti (art. 351 cod. proc. pen. che rinvia alla disposizione
del  secondo  periodo  dell'art. 362,  dettato  per  l'assunzione  di
informazioni  da  parte  del  pubblico  ministero,  che rinvia, a sua
volta, agli artt. 197-203 cod. proc. pen.);
        c)  che,  d'altra  parte,  il  soggetto dichiarante non e' in
condizione,  nella  generalita'  dei  casi, di conoscere il titolo in
base   al   quale   la   polizia   giudiziaria  procede  ad  assumere
informazioni.

    Con  questi  riferimenti  a  dati  giurisprudenziali, normativi e
fattuali  omologanti,  i  giudici  rimettenti  fondano  il  dubbio di
costituzionalita'  che  giustifica  la  sottoposizione a questa Corte
della presente questione.

    5. - E'  da  respingere  l'assunto  che  nella  specie  si tratti
semplicemente di estendere la portata del precedente costituito dalla
sentenza di questa Corte n. 101 del 1999.
    Nella  sentenza  costituzionale  piu' volte citata, innanzitutto,
non   si  e'  affatto  affermata  l'assimilabilita',  ai  fini  della
disciplina  della  ritrattazione, del reato di favoreggiamento [reato
che ricorreva allora, in relazione a false dichiarazioni alla polizia
giudiziaria operante su delega del pubblico ministero, e ricorre ora,
in   relazione   a   false  dichiarazioni  alla  polizia  giudiziaria
procedente  ex  officio]  al  reato di false informazioni al pubblico
ministero. Se fosse stata fatta tale equiparazione, apparirebbe ovvia
la   deduzione:   come  allora  si  e'  estesa  la  disciplina  della
ritrattazione  prevista  per  le  false  dichiarazioni  a  un caso di
favoreggiamento   (false   dichiarazioni   alla  polizia  giudiziaria
delegata),  cosi'  ora  la  si  dovrebbe  estendere all'altro caso di
favoreggiamento    (mediante   false   dichiarazioni   alla   polizia
giudiziaria operante d'ufficio). Ma non e' cosi'. In quella sentenza,
l'affermazione    dell'irrazionalita'    della    disciplina    della
ritrattazione  risulto'  dall'equivalenza  esistente  tra l'attivita'
d'indagine svolta direttamente dal pubblico ministero e quella svolta
attraverso  attivita'  delegate  alla polizia giudiziaria, non tra il
reato di favoreggiamento personale e quello di false dichiarazioni al
pubblico  ministero.  Cosi',  nella sentenza citata, assumendo con la
giurisprudenza   comune   che   il   silenzio,   la  reticenza  e  le
dichiarazioni  false  alla  polizia  giudiziaria  possano integrare -
quando  ne  ricorrano  gli  elementi specifici della fattispecie - il
reato  di  favoreggiamento  personale  quando  la polizia giudiziaria
opera  tanto  ex  officio  quanto  su  delega  (in  tale  ultimo caso
escludendosi,  in  ragione della stretta legalita', il reato di false
informazioni   al   pubblico  ministero),  si  precisava  non  essere
necessario  "procedere  a  un raffronto tra" tali reati "per trovarvi
elementi  comuni  o  elementi  differenziali  che inducano a prendere
posizione  circa  la  razionalita'  della  disposizione impugnata che
prevede  la  ritrattazione  come  causa di non punibilita' solo in un
caso  e  non  nell'altro".  Il reato di favoreggiamento personale, in
sostanza,  veniva  in  considerazione  solo  come  presupposto  della
questione e non rappresentava un elemento costitutivo della questione
medesima.
    In  secondo  luogo, la sentenza n. 101 del 1999 si e' pronunciata
esclusivamente  sul  rapporto  esistente  tra  l'assunzione diretta e
personale  da  parte del pubblico ministero (art. 370, comma 1, primo
periodo,  cod.  proc. pen.) di informazioni dalle persone che possono
riferire  circostanze  utili  ai  fini  delle indagini (art. 362 cod.
proc.  pen.)  e  l'assunzione  delle  medesime informazioni per mezzo
della polizia giudiziaria a cio' delegata (art. 370, comma 1, secondo
periodo, cod. proc. pen.), riconoscendo che si tratta "esclusivamente
[di]  forme diverse della medesima attivita', facente sostanzialmente
capo  comunque  al pubblico ministero nell'esercizio dei poteri che a
esso  spettano  quale  organo  che  dirige  le  indagini  preliminari
all'esercizio  dell'azione penale (artt. 326 e 327 cod. proc. pen.)".
L'equivalenza  affermata  allora  dalla Corte, non riguardando dunque
affatto  le  attivita'  di  indagine  del pubblico ministero e quelle
della polizia giudiziaria come tali, ma solo il caso specifico in cui
questa seconda opera per delega del primo, non puo' di per se' essere
invocata  come  criterio di soluzione del dubbio di costituzionalita'
ora proposto.
    Contrariamente a quanto ritenuto dai rimettenti, la questione ora
da decidere e' dunque res integra.

    6. - Se l'omologazione operata con la sentenza n. 101 del 1999 di
questa  Corte  si  rendeva necessaria in quanto si era in presenza di
dichiarazioni  rese  nella stessa fase del processo, quando dunque la
ritrattazione  non  poteva  che  assumere  il  medesimo  valore  e la
medesima  incidenza  nello svolgimento delle indagini preliminari, la
stessa  cosa  non potrebbe ripetersi qui, in relazione all'assunzione
di  informazioni da parte della polizia giudiziaria, da un lato, e da
parte  del  pubblico  ministero  o  della polizia giudiziaria da esso
delegata,  dall'altro. Alla diversita' soggettiva corrisponde, se non
una  diversa  disciplina  delle  forme,  dell'utilizzabilita' e degli
obblighi   dei   dichiaranti,   una  normale  diversita'  di  cadenza
temporale,   le   informazioni  assunte  direttamente  dalla  polizia
giudiziaria riguardando di solito il momento iniziale delle indagini,
a  contatto  immediato  con i fatti o con la descrizione dei fatti da
cui  origineranno  le  indagini  preliminari  e  poi,  eventualmente,
l'esercizio dell'azione penale.
    In   questo   contesto,  non  appare  essere  una  contraddizione
manifestamente  irrazionale  -  condizione per l'intervento di questa
Corte   sulla   normativa  denunciata  -  che  il  legislatore  abbia
differenziato  la  disciplina  delle  dichiarazioni rese alla polizia
giudiziaria,  eventualmente  rilevanti  sotto il profilo del reato di
favoreggiamento,  negando in tal caso l'applicabilita' della causa di
non  punibilita'  della  ritrattazione.  Come  questa  Corte  ebbe  a
rilevare   gia'  nella  sentenza  n. 228  del  1982,  pronunciata  in
relazione  alla  disciplina  contenuta nel codice di procedura penale
abrogato,  ma  con  argomentazione  ancora applicabile al sistema del
codice  vigente,  pur  nelle  diverse  movenze  che  esso  ha assunto
soprattutto  in relazione alla disciplina delle indagini preliminari,
non  si  puo'  escludere  che  la  punizione  del  mendacio  e  delle
dichiarazioni reticenti assuma, nelle valutazioni del legislatore, un
diverso  significato,  alla stregua del diverso interesse protetto in
via  prevalente,  a seconda del momento in cui il primo e le seconde,
nello  svolgimento  del  processo,  vengono  normalmente a cadere. La
ritrattazione,  quale  prevista dal vigente codice penale, e' infatti
finalizzata  primariamente  a  dare  soddisfazione all'interesse alla
definizione  del giudizio penale (nel caso dell'art. 372 cod. pen.) o
all'esercizio  dell'azione  penale  (nel  caso dell'art. 371-bis cod.
pen.) fondati su elementi probatori veridici. Nella ipotesi in cui il
mendacio  si  realizzi tramite dichiarazioni alla polizia giudiziaria
che  agisce  di  sua  iniziativa, presumibilmente nella fase iniziale
delle   indagini,   aiutando   l'autore   del  reato  "a  eludere  le
investigazioni dell'autorita' o a sottrarsi alle ricerche di questa",
cio'    che   costituisce   l'elemento   materiale   del   reato   di
favoreggiamento,  la sanzione penale mira primariamente ad assicurare
il  massimo  di  efficacia  delle indagini e tempestivita' delle loro
conclusioni  (sentenza n. 228 del 1982), obbiettivo irrimediabilmente
compromesso   dalla   falsita'   delle   dichiarazioni   e  non  piu'
realizzabile,  nemmeno  con postume ritrattazioni. Onde, in tal caso,
la  ritrattazione  non conseguirebbe lo scopo, cio' che mostra, sotto
questo  profilo,  l'esistenza  di  un elemento differenziatore tra il
mendacio  (a  qualunque  titolo  penalmente  eventualmente rilevante)
realizzato  di  fronte  alla  polizia  giudiziaria  operante  di  sua
iniziativa,  da  un  lato,  ovvero di fronte alla polizia giudiziaria
delegata  dal  pubblico  ministero  o  davanti  al pubblico ministero
stesso,   dall'altro:   elemento   differenziatore   che   rende  non
manifestamente  irrazionale la diversa disciplina della ritrattazione
dettata nei casi considerati.
    Quanto  all'osservazione che, di fatto, non e' sempre percepibile
dal  soggetto dichiarante a quale titolo opera la polizia giudiziaria
che   raccoglie  le  informazioni,  cosicche'  esso  non  sarebbe  in
condizione,  nel  momento in cui rende la dichiarazione, di sapere se
essa   sara'   o   non  sara'  ritrattabile  con  l'effetto  previsto
dall'art. 376, primo comma, cod. pen., come risultante dalla sentenza
n. 101  del  1999 della Corte costituzionale, e' facile osservare che
comunque  il  dichiarante e' tenuto a rispondere secondo verita' alle
domande  che  gli  sono  poste  (art. 198,  comma 1, cod. proc. pen.,
richiamato  dall'art. 351  per  il  tramite  dell'art. 362 cod. proc.
pen.)  e  che non esiste - o almeno non e' argomentata dai rimettenti
l'esistenza  di  - un diritto costituzionale alla ritrattazione delle
false  dichiarazioni  comunque  rese  nel  processo penale, onde puo'
concludersi  che, di fronte all'assenza di diritti costituzionali che
possano  farsi  valere in materia (o, il che e' lo stesso, in carenza
di  argomenti  prospettati  in tal senso), sussiste un'ampia sfera di
discrezionalita'  del  legislatore  nel modellare la disciplina della
ritrattazione   delle   false   asserzioni  nelle  diverse  fasi  del
procedimento:  una  discrezionalita' che, contrariamente agli auspici
formulati in diverso senso dai commentatori, questa Corte e' tenuta a
rispettare.
    Ne'  appare  conferente,  infine,  l'osservazione,  contenuta  in
alcune  delle  ordinanze  di  rimessione, secondo la quale la mancata
previsione,  come  causa  di  non punibilita', della ritrattazione di
false  o reticenti dichiarazioni alla polizia giudiziaria operante di
propria iniziativa costituirebbe incentivo a persistere nel mendacio,
per   tentare   di  evitare  di  incorrere  in  responsabilita',  con
pregiudizio  della  stessa  efficacia  delle  attivita'  di indagine:
osservazione   quantomeno  controbilanciata  da  quella  per  cui  la
possibilita'  di  ritrattazione,  in  ipotesi  nel  momento in cui lo
sviluppo delle indagini abbia reso palese il mendacio o la reticenza,
costituirebbe  incentivo, per chi lo volesse, ad intralciare con tali
mezzi l'avvio delle indagini.
                          Per questi motivi

                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Riuniti i giudizi;
    Dichiara  non fondate le questioni di legittimita' costituzionale
dell'art. 376,   primo   comma,  del  codice  penale,  sollevate,  in
riferimento   all'art. 3  della  Costituzione,  dal  giudice  per  le
indagini preliminari presso il tribunale di Ivrea, dal giudice per le
indagini  preliminari  presso il tribunale dei minorenni di L'Aquila,
dal  tribunale  di  Ivrea e dal tribunale di Salerno con le ordinanze
indicate in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 9 ottobre 2000.
                      Il presidente: Mirabelli
                      Il redattore: Zagrebelsky
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 16 ottobre 2000.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
00C1147