N. 715 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 luglio 1999

Ordinanza   emessa  il  2 luglio  1999  dal  tribunale  di  Roma  nel
procedimento  civile  vertente  tra Mari Eleonora e Fiorini Franco ed
altra

Divorzio  - Indennita' di fine rapporto - Diritto a quota percentuale
spettante  all'ex  coniuge  non  passato  a nuove nozze e titolare di
assegno  divorzile - Azionabilita' nei confronti del datore di lavoro
debitore  dell'indennita'  - Esclusione - Irrazionalita' - Disparita'
di   trattamento   rispetto   alla  disciplina  relativa  all'assegno
divorzile.
- Legge 1o dicembre 1970, n. 898, art. 12-bis, primo comma.
- Costituzione, art. 3.
(GU n.48 del 22-11-2000 )
                            IL TRIBUNALE

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nella causa iscritta al
  n. di R.G. 03174/1997, tra Mari Eleonora, elettivamente domiciliata
  in  Roma  via  A.  Regolo  n. 12d, presso lo studio dell'avv. Italo
  Castaldi,  che  la  rappresenta  e difende giusta procura a margine
  dell'atto di citazione, attrice, e:
        Fiorini Franco, convenuto-contumace;
        Unicem  S.p.a.,  in  persona  di  un  procuratore  rag. Mario
  Perotto, rappresentata e difesa dall'avv. Massimo Ozzola con studio
  in  Roma via Germanico, 172, giusta procura in calce alla citazione
  notificata.
    Oggetto: famiglia - regime patrimoniale.

                      Svolgimento del processo

    Con  atto  di  citazione  notificato  in  data 7 aprile 1997 Mari
  Eleonora  conveniva  in  giudizio  davanti  all'intestato tribunale
  Fiorini  Franco e la Unicem S.p.a. chiedendo che venisse dichiarato
  il  suo  diritto  a  percepire  una  quota della indennita' di fine
  rapporto  spettante  al  Fiorini nella misura del 40% con ordine al
  datore di lavoro, Unicem S.p.a., di provvedere al diretto pagamento
  di tale quota o, in subordine, con condanna del Fiorini al relativo
  pagamento.
    Esponeva l'attrice di aver contratto matrimonio con il Fiorini in
  data  7 ottobre  1967 e di essersi separata dallo stesso nel 1980 .
  Aggiungeva  che  con  sentenza  del 10 ottobre 1989 il tribunale di
  Roma  aveva  dichiarato  la  cessazione  degli  effetti  civili del
  matrimonio,   ponendo   a   carico   del   Fiorini  un  assegno  di
  mantenimento,  oltre che per i figli, anche per la ex coniuge di L.
  100.000 mensili.
    Precisava  che  il  Fiorini  era  dipendente  Unicem,  presso  lo
  stabilimento di Guidonia ed era in procinto di andare in pensione.
    Il  convenuto  Fiorini  rimaneva  contumace, mentre si costituiva
  regolarmente  la  Unicem  S.p.a.  rimettendosi  alla  decisione del
  giudice.
    Prodotta  della  documentazione  e  precisate  le conclusioni, la
  causa veniva trattenuta in decisione.

                       Motivi della decisione

    Secondo   l'art. 12-bis  della  legge  1o dicembre  1970  n. 898,
  aggiunto  con  l'art.  8 della legge 6 marzo 1987 n. 74, il coniuge
  nei  cui confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o
  di  cessazione  degli  effetti civili del matrimonio ha diritto, se
  non  passato  a  nuove nozze e in quanto sia titolare di assegno ai
  sensi  dell'articolo  5, ad una percentuale dell'indennita' di fine
  rapporto  percepita  dall'altro  coniuge, all'atto della cessazione
  del  rapporto di lavoro anche se l'indennita' viene a maturare dopo
  la  sentenza.  Tale  percentuale  e'  pari  al  quaranta  per cento
  dell'indennita'  totale  riferibile agli anni in cui il rapporto di
  lavoro e' coinciso con quello del matrimonio.
    Il  testo  della  disposizione,  quindi,  attribuisce  al coniuge
  divorziato,  titolare  di assegno (e non passato a nuove nozze) una
  percentuale dell'indennita' di fine rapporto, nei limiti (anch'essi
  proporzionali)  in cui il matrimonio ha coinciso con il rapporto di
  lavoro dell'altro coniuge.
    La  disposizione  stessa,  poi,  fa  riferimento  alla indennita'
  "percepita"  e  precisa  che  tale  indennita' e' dovuta sul totale
  (riferibile  agli  anni  di  matrimonio) anche se la stessa viene a
  maturare dopo la sentenza.
    Dando  rilievo alla differente terminologia usata dal legislatore
  che distingue l'indennita' percepita e quella che viene a maturare,
  sembra  evidente che il riferimento alla "maturazione" debba essere
  inteso  nel  senso  del  progressivo aumentare dell'indennita', nel
  corso   degli   anni,   in   favore  del  lavoratore/creditore.  Il
  legislatore del 1987 ha voluto evitare che potessero influire sulla
  misura  della  indennita'  (da  prendere  a  base della percentuale
  spettante  al  coniuge,  in relazione al periodo coincidente con il
  matrimonio), le variazioni degli incrementi (legali o contrattuali)
  dell'indennita'  stessa  che  possono  essersi verificati nel corso
  degli  anni della attivita' lavorativa (anche dopo il divorzio). Ed
  in tale senso ha stabilito che la misura base, per il calcolo della
  percentuale  spettante  all'ex  coniuge,  e' quella dell'indennita'
  totale indipendentemente dalla circostanza che la stessa sia venuta
  a  maturare anche dopo la sentenza, con cio' escludendo che potesse
  essere  considerata  solamente la misura dell'indennita' "maturata"
  al  momento  dello  scioglimento  (o della cessazione degli effetti
  civili) del matrimonio.
    Il  riferimento all'indennita' maturata (anche dopo la sentenza),
  va  quindi  inteso  in  senso  diverso  da  quello della indennita'
  percepita.   Il   primo  riguarda  il  progressivo  incremento  del
  cosiddetto  "trattamento  di  fine  rapporto",  del  lavoratore nei
  confronti  dell'azienda  o  dell'ente  da  cui  dipende, il secondo
  invece  determina  la  misura  della  somma da prendersi a base del
  successivo  calcolo,  percentuale e proporzionale, che definisce il
  diritto dell'ex coniuge nei confronti del lavoratore.
    Il  tribunale  ritiene  quindi,  sulla  base del tenore letterale
  della  norma,  che  non  e'  suscettibile di altre interpretazioni,
  neppure  con  l'ausilio  di  altri  criteri  (e  secondo il proprio
  orientamento costante):
        che  il coniuge divorziato ha diritto, se non passato a nuove
  nozze,  ad  una  quota  dell'indennita'  di fine rapporto percepita
  dall'altro  coniuge,  all'atto  della  cessazione  del  rapporto di
  lavoro;
        che la misura di tale diritto va determinata sulla base della
  indennita'  totale  percepita,  indipendentemente dalla circostanza
  che l'indennita' sia maturata (in qualunque modo) dopo la sentenza;
        che  l'ex coniuge puo' chiedere la quota dell'indennita' solo
  se  la  stessa  e'  stata  percepita dopo il passaggio in giudicato
  della  sentenza  che ha pronunciato lo scioglimento o la cessazione
  degli  effetti  civili  del  matrimonio, e che gli ha attribuito un
  assegno divorzile.
    Su  tale  ultimo  punto,  il  convincimento  del  tribunale, gia'
  espresso  in  numerose  pronunce,  tutte  conformi, non puo' essere
  messo  in dubbio dalle due recenti (ed uniche) sentenze della Corte
  di  Cassazione,  n. 7249  del  1995  e  n. 5553 del 1999, che hanno
  invece  ritenuto  possibile  l'attribuzione  della quota unitamente
  alla  decisione  sul divorzio o a quella sull'assegno divorzile, in
  quanto  basate  su di una considerazione dell'espressione "maturata
  anche dopo", che non corrisponde al significato della disposizione.
    Quello  che  e'  rilevante,  e'  che  la disposizione legislativa
  ricollega  in  modo  evidente  e  non  contestabile il diritto alla
  percentuale,  con  la  circostanza  che l'indennita' sia percepita,
  ossia   non  solamente  "maturata"  o  "liquidata"  dall'azienda  o
  dall'ente  datore  di  lavoro,  ma  concretamente ed effettivamente
  versata   al   lavoratore.  Con  la  conseguenza  che  il  rapporto
  obbligatorio, secondo l'orientamento costante seguito dal tribunale
  di  Roma, sorge e si perfeziona solamente tra i due ex coniugi, con
  esclusione di qualsiasi coinvolgimento dell'azienda o dell'ente che
  deve corrispondere l'indennita'.
    Tale  parte  della  disposizione,  anch'essa  non suscettibile di
  diverse  interpretazioni  per  il suo chiaro tenore letterale, puo'
  ritenersi  in  contrasto,  ad avviso del tribunale, con il precetto
  dell'art. 3  della  Carta  costituzionale, e la relativa questione,
  sollevata   d'ufficio,   non  e'  manifestamente  infondata  ed  e'
  rilevante  nel presente giudizio in cui la parte attrice ha chiesto
  il pagamento della quota dell'indennita' direttamente alla societa'
  presso  cui  l'ex coniuge prestava la propria attivita' lavorativa.
  La disposizione infatti:
        1) non permette all'ex coniuge di riscuotere la propria quota
  dell'indennita'  direttamente  all'azienda  o  all'ente  datore  di
  lavoro,  per realizzare il suo diritto, neppure in via preventiva e
  cautelare, senza doverla richiedere a chi ha percepito l'indennita'
  stessa,  senza alcuna giustificazione razionale, dal momento che il
  diritto  e'  certo  e  semplicemente  determinabile sin dal momento
  della  sua  "liquidazione" ed il pagamento diretto non pregiudica m
  alcun modo il corrispondente diritto dell'obbligato;
        2)  e' solamente "punitiva" nei confronti dell'ex coniuge, in
  quanto  lo  pone in una posizione di inferiorita' rispetto a quella
  dell'altra  parte,  che  puo'  sottrarsi  agevolmente  alla propria
  obbligazione,  in relazione ad una sua vera od apparente condizione
  di impossidenza;
        3)  e'  in  contrasto,  senza  alcun motivo razionale, con le
  altre   disposizioni   che   mirano   ad   assicurare  e  garantire
  l'adempimento dell'obbligazione al pagamento dell'assegno divorzile
  (art. 8,  primo  comma,  legge  n. 898  del  1970,  sull'obbligo di
  prestare  idonea  garanzia;  art. 8,  secondo  comma, stessa legge,
  sulla  trascrivibilita'  della sentenza di divorzio; art. 8 terzo e
  quarto  comma,  stessa  legge,  sulla  possibilita'  di  richiedere
  direttamente  al  terzo datore di lavoro, la corresponsione diretta
  dell'assegno   divorzile),   pur   avendo  il  diritto  alla  quota
  dell'indennita'  di  fine  rapporto  la stessa natura assistenziale
  dell'assegno   divorzile,   di   cui   costituisce   una  sorta  di
  "accessorio" differito.
                              P. Q. M.
    Promuove    il    giudizio    di    legittimita'   costituzionale
  dell'art. 12-bis,   primo  comma,  della  legge  1o dicembre  1970,
  n. 898,  nella  parte  in  cui non consente che il coniuge, nei cui
  confronti  sia  stata  pronunciata  sentenza  di  scioglimento o di
  cessazione  degli  effetti  civili del matrimonio (se non passato a
  nuove  nozze  ed  in  quanto  titolare di assegno divorzile), possa
  ottenere  direttamente  dal  datore  di  lavoro dell'ex coniuge, la
  quota  dell'indennita'  di  fine  rapporto,  prevista  nella stessa
  disposizione.
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla  Corte
  costituzionale e sospende il giudizio in corso.
    Ordina  che  a  cura  della cancelleria la presente ordinanza sia
  notificata alle parti in causa, nonche' al Presidente del Consiglio
  dei Ministri e che vengano date le altre comunicazioni di legge.
        Roma, addi' 2 luglio 1999.
Il giudice istruttore in funzione di giudice unico: Ienzi
00C1249