N. 25 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 marzo 1999
Ordinanza emessa il 10 marzo 1999 dal tribunale di Pisa nel procedimento civile vertente tra INPS e Cellini Ada Previdenza e assistenza sociale - Pensioni sociali - Ultrasessantacinquenni non coniugati divenuti invalidi - Limiti reddituali - Meccanismo differenziato di determinazione - Omessa previsione - Ingiustificato e irrazionale deteriore trattamento rispetto agli ultrasessantacinquenni coniugati divenuti successivamente invalidi - Incidenza sulla garanzia previdenziale - Richiamo alla sentenza della Corte costituzionale n. 88/1992. - Legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 26. - Costituzione, artt. 3 e 38.(GU n.4 del 24-1-2001 )
IL TRIBUNALE Nella causa di previdenza in grado di appello promossa dall'INPS nei confronti di Cellini Ada avverso la sentenza del pretore del lavoro di Pisa emessa l'11 dicembre 1996, n. 1776. Ha pronunciato la seguente ordinanza con ricorso al pretore del Lavoro di Pisa depositato il 7 giugno 1995, Cellini Ada, sostenendo di essere stata riconosciuta invalida civile al l00% dopo il raggiungimento del sessantacinquesimo anno di eta' e deducendo di possedere un reddito lire 7.483.000) superiore a quello richiesto per il conseguimento di tale pensione ma di gran lunga inferiore a quello stabilito per gli invalidi civili (lire 17.374.490), chiedeva che essendo stata respinta la domanda presentata all'INPS il 16 dicembre 1994, l'istituto fosse condannato a corrisponderle la pensione sociale, essendo il proprio reddito compatibile con quello differenziato da determinarsi per l'ultrasessantacinquenne divenuto invalido, in applicazione della sentenza della Corte cost. 9 marzo 1992, n. 88, con cui era stata dichiarata la illegittimita' costituzionale dell'art. 26 della legge 30 aprile 1969, n. 153, in relazione agli artt. n. 3 e 38 Cost., nella parte in cui, nell'indicare il limite di reddito cumulato con quello del coniuge ostativo al conseguimento della pensione sociale non prevedeva un meccanismo differenziato di determinazione per gli ultrasessantacinquenni divenuti invalidi. L'INPS resisteva in giudizio sostenendo che il vuoto legislativo apertosi dopo la pronuncia della Corte della Costituzione sopra indicata non potesse essere colmato dal giudice e fosse comunque ostativo all'accoglimento della domanda. Il pretore richiamata la sentenza della Corte cost. invocata dalla ricorrente, ritenuto che, tenuto conto delle esigenze tutelabili e in mancanza di parametri normativi fosse compito dello stesso giudice di porre frattanto rimedio alla omissione legislativa in via di individuazione della regola del caso concreto (cosi' implicitamente applicando i criteri fissati dalla Corte cost. in altra recedente pronuncia del 26 giugno 1991 n. 295), e considerato che il principio affermato dalla Corte nella sentenza 88/1992 con riferimento all'ipotesi di reddito cumulato con quello del coniuge dovesse fortiori valere per l'ipotesi di monotitolarita' essendo in tal caso maggiore lo stato bisogno fissava con riferimento a tale ipotesi (ricorrente nel caso di specie) il limite di reddito per la pensione sociale in favore dell'ultrasessantacinquenne divenuto invalido in misura pari ai doppio di quello stabilito per il caso di pensione sociale ordinaria e, accertato che tale limite non era superato dalla ricorrente, accoglieva la domanda da questa proposta. La sentenza veniva impugnata dall'INPS che riproponeva le difese svolte in primo grado contestando, in particolare, che, in mancanza di un intervento legislativo il reddito potesse essere determinato direttamente dal giudice. L'appellata si costituva resistendo all'appello e chiedendone il rigetto. In ipotesi chiedeva che venisse sollevata questione di legittimita' costituzionale dell'art. 26 della legge 153/1969 per violazione degli artt. 2, 3 e 32 Cost. Ritenuto in diritto Con la sentenza n. 88 del 1992 la Corte cost. ha dichiarato la illegittimita' costituzionale dell'art. 26 della legge 153/1969 nella parte in cui la norma non prevede un meccanismo di determinazione del limite di reddito ostativo al conseguimento della pensione sociale l'ultrasessantacinquenne non invalido. La pronuncia di incostituzionalita' della norma e' stata emessa con espresso riferimento all'ipotesi in cui, trattandosi di soggetto coniugato, il tetto di reddito rilevante in base alla disposizione sopra indicata, sia quello dell'anziano aspirante alla pensione cumulato con quello del coniuge. In esito alla pronuncia della Corte, solo con riferimento a tale specifica ipotesi la norma sopra indicata puo' pertanto ritenersi illegittima e si apre la strada (a seguito del vuoto normativo che ne e' derivato ed in assenza di un intervento riparatore da parte del legislatore) alla possibilita' di una determinazione giudiziale del reddito differenziato (Cass. 24 maggio 1994 n. 5046) ai fini della "individuazione della regola del caso concreto" (Corte cost., 26 giugno 1991, n. 295), Nella diversa ipotesi (pure considerata dall'art. 26 della legge 153/1969) in cui il reddito cui deve farsi riferimento non sia quello cumulato ma solo quello dell'ultrasessantacinquenne divenuto invalido, la norma sopra indicata mantiene integro il suo contenuto precetivo che e' di piena equiparazione della posizione dell'ultrasessantacinquenne divenuto invalido a quella dell'ultrasessantacinquenne sano. Ne consegue che, versandosi nel caso di specie in una ipotesi di monotitolarita' redditualita', facendo puntuale applicazione del disposto normativo, la domanda della ricorrente dovrebbe essere respinta. Non puo' tuttavia ignorarsi come le ragioni poste dalla Corte a sostegno della ritenuta illegittimita' costituzionale dell'art. 26 legge 153/1969 con riferimento alla fatispecie presa in esame siano del tutto mutuabili nelle ipotesi in cui l'aspirante al trattamento pensionistico sia un soggetto monoreddito perche' identica e' la ratio giustificativa della previsione di un tetto reddituale differenziato con riferimento alla due distinte fattispecie dell'ultrasessantacinquenne invalido coniugato o singolo. Puo' anzi fondatamente sostenersi che il principio affermato riguardo all'ipotesi di reddito cumulato debba valere a fortiori per il caso di monotitolarita' nel quale lo stato di bisogno e' maggiore. I motivi addotti dalla Corte costituzionale a fondamento della sentenza n. 88/1992 inducono dunque fondatamente a dubitare della legittimita' costituzionale dell'art. 26 della legge 153/1969 anche con riferimento al soggetto monoreddito, configurandosi anche tale ipotesi una situazione di arbitraria parificazione di situazioni di diverse (ultrasessantacinquenne sano e divenuto invalido) comportanti "differenti esigenze di assistenza" e, conseguentemente, la previsione di diversi livelli di reddito ai fini previdenziali, a seconda che all'eta' avanzata si colleghi solo uno stato di bisogno economico ovvero che ad esso si accompagnino anche esigenze di cure ed assistenza piu' gravose per un sopraggiunto stato di invalidita'. La questione, oltre che non manifestamente infondata, e' altresi rilevante nella fattispecie oggetto di causa, essendo accertato, in fatto, che la ricorrente ha fondato la propria domanda su un reddito superiore a quello richiesto per il conseguimento della pensione sociale ma notevolmente inferiore a quello previsto per la pensione di invalidita', tanto da poter essere ricompreso nel reddito differenziato da determinarsi nei confronti dell'ultrasessantacinquenne divenuto invalido.
P. Q. M. Visto l'art. 23 legge 11 marzo 1953 n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' dell'art. 26 legge 30 aprile 1969 n. 153 in relazione agli artt. 3 e 38 Cost. nella parte in cui nell'indicare il limite di reddito proprio del soggetto non coniugato ostativo al conseguimento della pensione sociale non prevede un meccanismo differenziato di determinazione per gli ultrasessantacinquenni dovenuti invalidi. Dispone la sospensione del presente procedimento e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone altresi' che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento. Cosi' deciso in Pisa, il 10 marzo 1999. Il Presidente: Funaioli Il giudice relatore: Dinisi 01c0065