N. 72 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 ottobre 2000

Ordinanza  emessa il 30 ottobre 2000 dal giudice di pace di Orbetello
sul  ricorso  proposto  da  Di  Tarsia  di Belmonte Francesco Edoardo
contro Prefetto di Grosseto

Sanzioni  amministrative  -  Giudizio  di  opposizione  all'ordinanza
ingiunzione  -  Controversie  devolute  al giudice di pace - Prevista
competenza   territoriale   del  giudice  del  luogo  della  commessa
violazione,   anziche'   del  luogo  di  residenza  dell'opponente  -
Violazione  del  diritto  di  difesa  -  Contrasto con i principi del
giusto  processo  e  della  buona  e imparziale amministrazione della
giustizia  -  Irragionevole  penalizzazione  della  parte processuale
"debole"  (in  contrasto con l'esigenza di riequilibrio perseguita in
altri casi dal legislatore).
- Legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 22.
- Costituzione,  artt.  3,  24,  25  e  111, secondo comma (nel testo
  modificato dall'art. 1, legge costituzionale 23 novembre 1999).
(GU n.6 del 7-2-2001 )
                         IL GIUDICE DI PACE
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nella  causa civile RG.
  n. 225/2000  promossa  dal dott. Francesco Edoardo Di Tarsia di Del
  Monte, residente a Bergamo.
    Contro  la  Prefettura  di Grosseto, rappresentata e difesa dalla
  dott.ssa  Stefania  Galella  nel giudizio di opposizione avverso il
  S.p.v.  n. 001510  del 9 agosto 2000 intestato al sig. Di Tarsia di
  Belmonte, per violazione di cui all'art. 142, comma 9, per avere lo
  stesso superato il limite di velocita'.
                         Osservato in fatto
    Con   ricorso   ex  art. 22  della  legge  689/1981,  ritualmente
  depositato  il  19  agosto  2000,  il  sig. Tarsia  di  Belmonte ha
  presentato opposizione al verbale in epigrafe elevato dalla Polizia
  stradale  di  Grosseto,  con  il  quale  gli e' stata contestata la
  violazione di cui all'art. 142 comma 9 del codice della strada, per
  aver  superato  di  oltre  40  km/h il limite di velocita' all'uopo
  stabilito  nel  tratto  stradale  del  km  157  circa della statale
  Aurelia direzione nord.
    Il presunto trasgressore ha, altresi, impugnato il decreto del 21
  agosto  2000  della  Prefettura  di  Grosseto con la quale e' stata
  comminata la sanzione accessoria della sospensione della patente di
  guida.
    In  sede  di  ricorso,  l'opponente  ha  affermato  l'inidoneita'
  dell'impugnato   verbale   a   consentire   l'accertamento  di  una
  violazione  del  codice  stradale  e  a  giustificare  le  relative
  sanzioni, per cui ha chiesto l'annullamento, in via principale, del
  verbale  della  Polstrada,  sia  per  quanto  concerne l'addebitata
  infrazione  e quindi il richiesto pagamento in misura ridotta della
  sanzione di L. 606.000, che per la sospensione della patente, e, in
  via   subordinata,  del  provvedimento  prefettizio  relativo  alla
  sanzione accessoria.
    La  Prefettura, costituitasi con comparsa di risposta, ha chiesto
  il rigetto del ricorso proposto.
    All'udienza  del  30 ottobre 2000 le parti costituite ribadiscono
  quanto gia' in atti. In particolare il ricorrente, nel far presente
  di  aver  gia' scontato la sanzione della sospensione della patente
  per   un   mese,   ha   rivolto   istanza  per  l'annullamento  del
  provvedimento de quo o, in subordine, "che si dichiari di aver gia'
  scontato la sanzione accessoria".
    A  questo  punto  il  giudice, rilevato che il ricorrente risulta
  residente  e  domiciliato  in localita' diversa da quella in cui e'
  stata  commessa  la  violazione  ascrittagli,  ha ritenuto che tale
  circostanza possa avere rilevanza ai fini di sollevare la questione
  della  costituzionalita'  di cui all'art. 22 (rectius 22-bis) della
  legge  24 novembre 1981 n. 689 e ss.mm., in relazione agli artt. 3,
  24  e  25  della Costituzione italiana. Conseguentemente ha sospeso
  d'ufficio  il  giudizio per trasmettere gli atti alla Corte cost. e
  di cio' hanno preso atto il ricorrente e la Prefettura.
                         Ritenuto in diritto
    Per effetto dell'art. 98 del d.lgs. 30 dicembre 1999, n. 507, con
  il  quale  e' stato introdotto l'art. 22-bis della legge 689/1981 e
  ss.mm.,  il  legislatore  ha  riattribuito  al  giudice  di pace la
  competenza  in materia di opposizione alle ordinanze-ingiunzione di
  cui all'art. 22.
    Contro  il  provvedimento  sanzionatorio  irrogato dall'Autorita'
  amministrativa,   "gli  interessati  possono  proporre  opposizione
  davanti   al  giudice  del  luogo  in  cui  e'  stata  commessa  la
  violazione"  entro  il termine di 30 giorni dalla notificazione del
  provvedimento,  mediante  deposito  in  cancelleria del ricorso con
  allegata l'ordinanza notificata.
    Secondo  la  prevalente  giurisprudenza  della  suprema Corte, il
  ricorso   deve   essere   materialmente   consegnato  al  personale
  dell'ufficio  giudiziario,  e,  quindi, non puo' formare oggetto di
  invio  per  posta o con altre forme di trasmissione, ad esempio via
  fax (Cass. sez. un. 17 giugno 1988 n. 4120).
    Nel   ricorso,   l'opponente,  ove  non  abbia  in  loco  un  suo
  procuratore  per  il  giudizio  de quo, e' obbligato a dichiarare o
  eleggere  domicilio nel comune in cui ha sede il giudice adito, e a
  presentarsi  alla  prima  udienza,  per  evitare  la  convalida del
  provvedimento    opposto   (art. 23,   comma   5),   a   differenza
  dell'ordinario    rito   civilistico   per   quanto   riguarda   la
  cancellazione della causa dal ruolo (art. 181 c.p.c.).
    A  parere  di questo organo giudicante la descritta normativa non
  sembrerebbe  garantire  agli "interessati", ove non siano assistiti
  da  un legale, la concreta possibilita' di difendersi, tenuto conto
  dei  gravami procedurali che vengono ad essi imposti per opporsi ad
  addebiti peraltro di modesta offensivita', con particolare riguardo
  l'obbligo di adire il giudice del luogo in cui e' stata commessa la
  presunta   violazione,   anziche'   di   quello  di  residenza  del
  ricorrente.
    Proprio nel caso all'esame di questo giudice, si e' rilevato come
  un signore abitante a Bergamo per contestare un'infrazione stradale
  elevatagli   nella  zona  di  Orbetello,  abbia  dovuto  presentare
  personalmente  in  cancelleria  il suo ricorso e, quindi, comparire
  successivamente  in  udienza, sopportando un notevole costo, sia in
  termini  economici che di tempo, che gli sarebbe stato risparmiato,
  se  la  competenza in materia fosse stata del giudice del suo luogo
  di residenza.
    Tale    procedura,    in    effetti,    privilegiando   il   foro
  dell'"amministrazione   repressiva",  per  usare  l'espressione  di
  un'autorevole  dottrina  (D'Auria,  in Politica del diritto, 1996),
  rende   particolarmente   difficoltoso   al  ricorrente  esercitare
  direttamente  il  suo  fondamentale diritto di difesa, ai sensi non
  solo  dell'art. 24  ("tutti  possono  agire  in giudizio"), ma ora,
  anche,   dell'art. 111,   2o   comma   della   Costituzione  (legge
  Costituzionale 23 novembre 1999, n. 2), per effetto del quale "ogni
  processo  si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni
  di parita', davanti a giudice terzo e imparziale".
    Nella  circostanza,  l'attribuzione della competenza territoriale
  al  giudice  del locus delicti, in pratica coincidente con il luogo
  dell'accertamento dell'infrazione, potrebbe essere in contrasto con
  i  princi'pi  del  giusto  processo  e  della  buona  ed imparziale
  amministrazione  della  giustizia, di cui anche alla Convenzione di
  Roma  per  la  salvaguardia  dei diritti dell'uomo e delle liberta'
  fondamentali,  cio' in quanto di fatto al presunto incolpato non e'
  garantita    una    posizione    processuale   paritaria   rispetto
  all'amministrazione  e  quindi mancano i presupposti perche' il suo
  ricorso  abbia  valenza  effettiva  e  non solo teorica, tanto piu'
  considerando  come  le  pretese  dell'autorita'  che ha irrogato la
  sanzione siano, tra l'altro, immediatamente esecutive.
    Siffatta procedura, di chiara origine penalistica, che aveva come
  destinatario  l'allora  pretore e il suo particolare rito, potrebbe
  non  essere piu' conforme alla vigente disciplina del "procedimento
  davanti  al giudice di pace", che prevede, in particolare, all'art.
  320 c.p.c., l'obbligatorio interrogatorio libero delle parti subito
  "nella  prima  udienza", cio' al fine acquisire dagli "interessati"
  utili  elementi  per la trattazione della causa, e quindi incentiva
  un  rapporto  diretto  dell'organo  giudicante  con  i protagonisti
  processuali, tanto piu', se, come nel caso di specie, il ricorrente
  puo' stare in giudizio senza l'assistenza di un legale.
    Va,  inoltre,  sottolineato  che  lo  stesso rito della 689/1981,
  imponendo  al  giudice di valutare la "personalita'" e le eventuali
  "condizioni  economiche  disagiate" dell'autore dell'infrazione, in
  sede  di  applicazione  delle  sanzioni (art. 11) e concessione del
  pagamento  rateale  della pena irrogata (art. 26), postula comunque
  la necessaria presenza personale dell'incolpato in giudizio.
    Sotto  questo  aspetto  e'  significativo,  altresi',  l'art. 23,
  settimo  comma,  della  legge 689/1981 che stabilisce la lettura in
  udienza del dispositivo da parte del giudice, proprio allo scopo di
  rappresentare oralmente al ricorrente l'autorita' della decisione.
    Tale   fondamentale   attivita'   processuale,  prevista  proprio
  nell'interesse  difensivo  del  trasgressore,  e'  da  ritenersi di
  dubbia  realizzazione  nel  caso  in  cui  l'opponente  si  trovi a
  risiedere  in  una localita' molto lontana dal punto in cui sarebbe
  stata commessa l'addebitata violazione stradale e non abbia i mezzi
  economici  per  rivolgersi  ad  un legale del posto, onde sostenere
  cola'  in  giudizio  le  proprie  ragioni contro l'"amministrazione
  repressiva".   Tra   l'altro,  poi,  l'  ammontare  della  sanzione
  irrogata,  in  genere,  non  e'  tale  da giustificare la spesa per
  l'assistenza  di un professionista, anche nell'ipotesi in cui fosse
  macroscopica  la  non  colpevolezza  del verbalizzato, considerata,
  inoltre,  la diffusa tendenza dei giudici de quibus a compensare le
  spese o liquidarle in via equitativa in misura simbolica.
    E'  indubbio  che l'attribuita competenza territoriale al giudice
  del  luogo  in  cui e' stata commessa l'infrazione sia unicamente a
  vantaggio  dell'amministrazione  nei cui confronti viene presentato
  ricorso,  in  quanto  i  suoi  funzionari, verosimilmente agevolati
  dalla vicinanza con gli uffici giudiziari, risultano facilitati nel
  reperimento delle prove e, quindi, piu' in generale, nell'attivita'
  processuale.  In  particolare,  poi,  l'autorita' verbalizzante, in
  sede  del  ricorso  amministrativo, e' addirittura destinataria per
  legge degli scritti difensivi indirizzati all'organo giudicante. Ma
  questa   opportunita'   logistica,   se   puo'  ammettersi  per  le
  controversie  di maggiore offensivita' all'esame ora del tribunale,
  la  cui  istruttoria  spesso  comporta  l'ammissione  di consulenze
  tecniche   e   di   complessi   riscontri  documentali  nei  luoghi
  dell'accertamento  dell'infrazione, non sembra ragionevole nel caso
  di  ricorsi  affidati  ai  giudici  di  pace,  in quanto proprio la
  relativa minore gravita' dell'illecito contestato non giustifica la
  competenza  territoriale  del  giudice del locus delicti, ossia, in
  pratica,  a favore dei verbalizzanti ed e' sicuramente penalizzante
  per  il  ricorrente,  ove  la  sua causa si svolga in una localita'
  fuori della provincia di residenza o di domicilio.
    Al  riguardo non si puo' escludere che il legislatore, in sede di
  emanazione   del   menzionato   d.lgs.  n. 507/1999,  abbia  voluto
  riconoscere una competenza di carattere generale al giudice di pace
  per  gli illeciti di minore allarme sociale, per i quali, se non e'
  richiesta   l'assistenza   (tecnica)   di   un   legale,  e'  pero'
  indispensabile    la    presenza    del    presunto    trasgressore
  nell'istruttoria,  per cui relativamente a questo comparto la norma
  di  cui  all'art.  22-bis  della  legge  689/1981  potrebbe  essere
  interpretata  nel  senso  che il giudice adito e' piu' propriamente
  quello del luogo in cui trova il ricorrente.
    Sono  state, infatti, escluse dalla sua competenza, ed attribuite
  ai  giudici  togati,  le opposizioni avverso le sanzioni pecuniarie
  superiori  a  30 milioni, e alcune tipologie di violazioni (lavoro,
  urbanistica,  ambiente,  valutario,  tributario  e  societario), di
  particolare  complessita'  giuridica, per la cui definizione assume
  specifico  rilievo  il momento tecnico dell'istruttoria e quindi la
  necessita'  per  il  ricorrente  di  doversi  fare  assistere da un
  legale.
    La  materia  del  riciclaggio,  nonostante  la sua contiguita' al
  valutario  e  al  monitoraggio  fiscale  - procedura contenziosa ex
  testo  unico  31  marzo  1988, n. 148 - non e' stata demandata alla
  competenza  esclusiva  dei giudici del tribunale ma riconosciuta di
  pertinenza  anche dei giudici di pace per le sanzioni comminate dal
  Ministero  del  tesoro  fino  a 30 milioni. Tale scelta legislativa
  puo'  essere  stata  determinata  dal fatto che gli illeciti di cui
  trattasi  sono  prevalentemente  di  carattere  formale,  in quanto
  provocati da ignoranza delle norme o da semplice disattenzione, per
  cui  si e' ritenuto che un giudice onorario fosse idoneo a valutare
  tali  circostanze,  proprio  per il suo istituzionalizzato rapporto
  diretto con l'incolpato (cfr. A. Simonetti in "Affari e Finanza" di
  La  Repubblica del 14 febbraio 2000 "Ai giudici di pace le liti tra
  il  Tesoro  e  i  distratti"  e  A.  Mengali,  in  Il controllo dei
  movimenti dei capitali, IPSOA, Milano).
    Peraltro  non  si  puo'  non  osservare  che anche il giudizio di
  opposizione ai provvedimenti sanzionatori del Ministero del tesoro,
  analogamente  a quello in materia di infrazioni stradali, espone il
  verbalizzato  all'onerosa  procedura di doversi difendere nel luogo
  in  cui risulta commessa la presunta violazione, che diventa ancora
  piu'  gravosa,  nel  caso in cui l'oggetto del contenzioso riguarda
  assegni  privi dei requisiti di legge, in quanto il titolo, essendo
  suscettibile  di  essere  presentato  in pagamento presso qualsiasi
  intermediario finanziario, radica la competenza nel luogo in cui e'
  avvenuto  tale regolamento, per lo piu' sconosciuto all'interessato
  al  momento  dell'emissione;  e che puo' essere ubicato in una zona
  molto lontana da quella di residenza del traente.
    Per  le  ragioni  suesposte  si  ha  motivo  di ritenere che, per
  effetto  della  vigente  procedura  di  opposizione  alle  sanzioni
  amministrative,  le parti in giudizio non siano in una posizione di
  parita',  e  sussista,  invece, uno squilibrio a danno del soggetto
  processualmente debole, ossia l'opponente, che normalmente rinuncia
  ad  esercitare  il  suo diritto di difesa per i costi eccessivi cui
  deve  sottoporsi,  mentre  invece l'amministrazione, grazie ai suoi
  uffici  periferici  o,  in  mancanza,  di  quelli di Prefettura, e'
  istituzionalmente  in  grado  di  resistere  con  i suoi funzionari
  sull'intero territorio nazionale.
    Del  resto,  proprio  considerando  l'articolazione  territoriale
  degli   uffici   di  Prefettura,  l'eventuale  trasferimento  della
  competenza  al  giudice  del  luogo di residenza del ricorrente non
  avrebbe  conseguenze  negative per l'amministrazione opposta, i cui
  uffici  periferici  potrebbero  correttamente  rappresentarla nelle
  cause  di  cui  trattasi. Si sottolinea, altresi', come ancor prima
  dell'avvento  del  "giusto  processo", l'evoluzione normativa fosse
  gia'  nel  senso  di valorizzare il foro del ricorrente, rispetto a
  quello  dell'opposto, proprio al fine di riequilibrare le posizioni
  dei  soggetti considerati normativamente deboli rispetto alle parti
  processuali  forti.  Sono da ritenersi espressioni di tale esigenza
  non  solo  il  tradizionale  rito  del  lavoro o il procedimento di
  opposizione al decreto penale di condanna, dal quale ultimo proprio
  la  procedura  della legge 689/1981 e' largamente ispirata, ma piu'
  recentemente la complessiva normativa a tutela del consumatore, con
  particolare  riguardo all'art. 25 della legge 6 febbraio 1996 n. 56
  ("Disposizioni    per    l'adempimento    di   obblighi   derivanti
  dall'appartenenza   dell'Italia  alla  Comunita'  europea  -  legge
  comunitaria   1991"),   il   quale  parrebbe  avere  introdotto  il
  cosiddetto    foro    esclusivo    del    consumatore,   ai   sensi
  dell'art. 1469-bis,  n. 13  del codice civile (clausole vessatorie)
  (cfr.  giudice  di pace di Prato, sentenza 28 gennaio 1999, in Foro
  It.I,  1695),  o  anche  all'art. 12  d.l. n. 50/1992 sui contratti
  negoziati  fuori dei locali commerciali e, infine, all'art. 10 d.l.
  n. 427/1998 in materia di multiproprieta'.
    Ne'  tali  deroghe  all'ordinaria competenza territoriale possono
  essere  qualificate,  come  ritiene  una  autorevole  dottrina,  un
  "eccesso   di   zelo"   nella  protezione  del  consumatore.  Esse,
  piuttosto,    mirano    ad   assicurare   al   soggetto,   ritenuto
  normativamente  debole  in  un lite, la possibilita' (economica) di
  potersi  difendere  nel suo luogo di residenza, dove verosimilmente
  gli e' meno oneroso rappresentare le proprie ragioni, emancipandolo
  da  dispendiosi spostamenti, sicuramente penalizzanti in termini di
  costi e di tempo.
                              P. Q. M.
    Visti  gli  artt.  3,  11,  24,  25  e  111,  secondo comma della
  Costituzione, e la legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara  di  ufficio rilevante e non manifestamente infondata la
  questione  di  legittimita'  costituzionale con riguardo alla parte
  dell'art. 22  della  legge  24  novembre  1981, n. 689 e ss.mm. che
  attribuisce  al  giudice  del  luogo  in  cui  e' stata commessa la
  violazione,  individuato  a  norma  dell'art. 22-bis, la competenza
  sulle controversie contro le ordinanze-ingiunzione.
    Ordina:
      la    sospensione   del   procedimento   per   pregiudizialita'
  costituzionale,  con  immediata trasmissione di copia autentica del
  fascicolo   d'ufficio  e  dei  fascicoli  delle  parti  alla  Corte
  costituzionale, a cura della cancelleria;
      la  notificazione  del  presente  provvedimento  a  cura  della
  cancelleria  alla  Presidenza  del  Consiglio  dei ministri ed alle
  parti in causa;
      la   comunicazione  della  presente  ordinanza,  a  cura  della
  cancelleria,   alla   Camera   dei  deputati  e  del  Senato  della
  Repubblica.
        Orbetello, addi' 30 ottobre 2000.
             Il giudice di pace coordinatore: Simonetti
01C0121