N. 6 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 16 gennaio 2001
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 16 gennaio 2001 (della Regione Emilia-Romagna) Ambiente (tutela dell') - Tutela idrogeologica del territorio - Procedura per l'adozione e l'attuazione dei piani stralcio per l'assetto idrogeologico - Prevista approvazione dei piani sulla base degli atti disponibili entro un termine perentorio - Previsto parere di una istituenda conferenza programmatica convocata dalle Regioni, in sostituzione del parere regionale ex lege n. 183/1989 - Prevista operativita' delle determinazioni del comitato istituzionale dell'Autorita' di bacino come varianti agli strumenti urbanistici - Denunciata invasione delle competenze legislative e amministrative regionali in materia di difesa del suolo, urbanistica, lavori pubblici, ambiente, agricoltura e forestazione, attivita' estrattiva - Violazione del principio di leale cooperazione tra Stato e Regioni - Violazione dei principi di ragionevolezza e di buon andamento amministrativo. - D.L. 12 ottobre 2000, n. 279 (convertito, con modifiche, nella legge 11 dicembre 2000, n. 365), art. 1-bis commi 2, 3, 4 e 5. - Costituzione, artt. 3, 5, 9, 97, 117 e 118. Ambiente (tutela dell') - Tutela idrogeologica del territorio - Autorizzazione del taglio di boschi nelle Regioni colpite da calamita' alluvionali - Prevista competenza del sindaco del comune su cui insiste l'area sottoposta a taglio - Denunciata lesione delle competenze legislative ed amministrative regionali in materia di agricoltura, foreste e vincolo idrogeologico - Mancata considerazione della legislazione regionale vigente - Violazione dei principi di ragionevolezza e di buon andamento amministrativo - Ingiustificata disparita' di trattamento fra Regioni. - Legge 11 dicembre 2000, n. 365, art. 2, commi 1 e 2. - Costituzione, artt. 3, 5, 44, ultimo comma, 97, 117 e 118. Amministrazione pubblica - Rapporti di lavoro a tempo determinato instaurati per esigenze connesse alla tutela del territorio - Prevista possibilita' di stabilizzazione, limitatamente al personale assunto dalle Autorita' di bacino e dalle Regioni colpite dal sisma del 27 settembre 1997 - Conseguente preclusione di analoga possibilita' per il personale assunto dalle Regioni allo stesso titolo - Denunciata violazione dei principi di ragionevolezza e di buon andamento amministrativo - Ingiustificata disparita' di trattamento. - D.L. 12 ottobre 2000, n. 279 (convertito, con modifiche, nella legge 11 dicembre 2000, n. 365), art. 6-bis e 6-ter. - Costituzione, artt. 3 e 97.(GU n.10 del 7-3-2001 )
Ricorso della Regione Emilia-Romagna, in persona del presidente della giunta regionale pro-tempore Vasco Errani, autorizzato con deliberazione della giunta regionale n. 12 del 9 gennaio 2001 (all. 1), rappresentata e difesa - come da procura speciale rogata dal notaio dott. Federico Stame del collegio notarile di Bologna, rep. n. 44.636 in data 9 gennaio 2001 (all. 2) - dagli avv.ti Giandomenico Falcon di Padova, Franco Mastragostino di Bologna e Luigi Manzi di Roma, con domicilio eletto in Roma presso lo studio dell'avv. Manzi, via Confalonieri n. 5. Contro il Presidente del Consiglio dei ministri per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale: 1) del decreto-legge 12 ottobre 2000, n. 279, recante "Interventi urgenti per le aree a rischio idrogeologico molto elevato e in materia di protezione civile, nonche' a favore delle zone della regione Calabria danneggiate dalle calamita' idrogeologiche di settembre ed ottobre 2000", come convertito, con modificazioni, nella legge 11 dicembre 2000, n. 365, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, serie generale, n. 288 dell'11 dicembre 2000, e precisamente: dell'art. 1-bis, commi 2, 3, 4 e 5; degli artt. 6-bis e 6-ter; 2) dell'art. 2, commi l e 2, della legge di conversione, 11 dicembre 2000, n. 365. Fatto e diritto Con decreto-legge 12 ottobre 2000, n. 279 il Governo ha dettato una disciplina recante "Interventi urgenti per le aree a rischio idrogeologico molto elevato e in materia di protezione civile, nonche' a favore delle zone della Regione Calabria danneggiate dalle calamita' idrogeologiche di settembre ed ottobre 2000", onde disporre misure di salvaguardia e altre misure in materia di protezione civile ai fini di immediata e maggiore prevenzione. Riguardo al presente ricorso rilevano le disposizioni indicate in epigrafe che, lungi dal realizzare le finalita' dichiaratamente perseguite, appaiono gravemente invasive delle attribuzioni costituzionalmente garantite in capo alle regioni suscettibili di alterare l'assetto della disciplina nella materia, in violazione dei principi di ragionevolezza e di buon andamento, determinando per di piu' una impropria ed incoerente discriminazione fra regione e regione, senza che quest'ultima trovi fondamento nelle finalita' perseguite, con i caratteri della necessita' e dell'urgenza, dal provvedimento legislativo in esame. Tale censura di ordine generale va ora meglio specificata e precisata in relazione alle singole disposizioni qui impugnate. 1. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1-bis, commi 2, 3, 4 e 5 del decreto-legge 12 ottobre 2000, n. 279, inserito, in sede di conversione, con la legge 11 dicembre 2000, n. 365, Violazione degli artt. 5, 9. 117 e 118 della Costituzione. Violazione del principio di leale cooperazione. Violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione. Violazione dei principi di ragionevolezza e di buon andamento. I piani di bacino, la cui disciplina e' contenuta nella legge 18 maggio 1989, n. 183, possono essere realizzati anche per stralci relativi a settori funzionali (art. 17, comma 6-ter). L'art. 1 del decreto-legge n. 180/1998 obbliga poi le autorita' di bacino di rilievo nazionale e interregionale e le regioni per i restanti bacini, ad adottare, entro il 30 giugno 2001, piani stralcio per l'assetto idrogeologico (PAI). Per quanto riguarda il bacino di rilievo nazionale del fiume Po, il progetto di piano stralcio per l'assetto idrogeologico e' stato adottato dalla autorita' di bacino l'11 maggio 1999. Effettuate le prescritte forme di pubblicizzazione, si e' aperta la fase di partecipazione prevista dall'art. 18, commi 3, 4, 5, 6, 7 e 8 della legge n. 183/1989. Sono cosi' pervenute, relativamente al territorio della Regione Emilia-Romagna, numerose osservazioni, che sono attualmente all'esame dei competenti uffici regionali, in vista della espressione delle controdeduzioni sulle osservazioni e del parere sul progetto di piano, che spetta alla regione formulare, cosi' come previsto dall'art. l8, comma 9, della legge n. 183/1989. In tale situazione di diritto e di fatto e' intervenuto l'art. 1-bis del decreto-legge qui impugnato. Esso, sotto il titolo "Procedura per l'adozione dei progetti di piani stralcio" innova sensibilmente la disciplina prevista dalla legge n. 183/1989 stabilendo che: a) la "adozione" (in realta' approvazione) dei piani stralcio sia "effettuata, sulla base degli atti e dei pareri disponibili... entro e non oltre il termine perentorio del 30 aprile 2001 per i progetti di piano adottati antecedentemente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto" (comma 2); come detto, il piano del bacino del Po si trova appunto in tale situazione; b) ai fini dell'adozione ed attuazione dei piani stralcio e della necessaria coerenza tra pianificazione di bacino e pianificazione territoriale, le regioni convochino una conferenza programmatica, articolata per sezioni provinciali o per altro ambito territoriale, cui partecipano, oltre alla regione e ad un rappresentante dell'autorita' di bacino, le province e i comuni interessati (comma 3); c) la conferenza esprima un parere - che tiene luogo di quello di cui all'art. 18, comma 9, della legge n. 183/1989 - sul progetto di piano con particolare riferimento alla integrazione a scala provinciale e comunale dei contenuti del piano, prevedendo le necessarie prescrizioni idrogeologiche ed urbanistiche (comma 4); d) il comitato istituzionale della autorita' di bacino tenga conto delle determinazioni della conferenza, in sede di adozione del piano (sempre comma 4); e) le determinazioni assunte in sede di comitato istituzionale, a seguito di esame della conferenza programmatica, costituiscano variante agli strumenti urbanistici (comma 5). Ora, tali disposizioni appaiono gravemente lesive delle prerogative regionali in materia. Occorre intanto premettere che la stessa circostanza che il testo della norma non chiarisca se la sua applicazione riguardi unicamente la contingente situazione d'urgenza (e sia, quindi, preordinata alla sola formazione dei primi piani stralcio), ovvero determini la permanente sostituzione della disciplina di cui alla legge n. 183/1989, induce a ritenere che si possa trattare di una disciplina a regime, e non meramente transitoria. Ma anche se si trattasse della sola prima applicazione, va sottolineato che neppure l'urgenza e la necessita' di addivenire rapidamente all'adozione dei primi piani stralcio per l'assetto idrogeologico potrebbero giustificare l'esautoramento o il restringimento delle attribuzioni regionali in materia, tutelate dagli articoli 117 e 118 della Costituzione. Cio' vale a maggiore ragione ove si consideri che tali piani, pur adottati con procedura straordinaria, tuttavia producono effetti del tutto corrispondenti a quelli dei piani di bacino, sia in termini di pluralita' e rilevanza degli interessi coinvolti, sia in termini di stabilita' nel tempo. In sintesi, anche la sola prima applicazione incide consistentemente su molteplici aspetti della tutela e dell'uso del territorio, rientranti nelle competenze della regione stessa. Naturalmente se, come sembra, si tratta poi di disciplina destinata a sostituire permanentemente quella contenuta nella legge n. 183/1989, la lesivita' dell'innovazione risulta confermata ed anzi rafforzata. Il ruolo spettante alle regioni nell'approvazione dei piani di bacino e' stato riconosciuto da codesta stessa ecc.ma Corte costituzionale, con la sentenza 20-25 febbraio 1990, n. 85, proprio con riferimento alla legge 18 maggio 1989, n. 183. In tale sentenza la Corte costituzionale ha posto in rilievo che "la difesa del suolo e' una finalita' il cui raggiungimento coinvolge funzioni e materie assegnate tanto alla competenza statale quanto a quella regionale" ed "essendo dunque un obiettivo comune allo Stato e alle regioni puo' essere perseguita soltanto attraverso la via della cooperazione fra l'uno e gli altri soggetti". La regione fonda anzi il proprio ricorso sulla essenzialita', cosi' riconosciuta, della propria partecipazione. In tale prospettiva veniva ritenuta legittima costituzionalmente la legge n. 183/1989, pur allora contestata dalle regioni, in quanto essa, indubbiamente ponendosi quale legge di riforma economico-sociale e di principi, ai sensi dell'art. 117 Cost., conteneva una articolata distribuzione dei ruoli tra Stato e regioni. In particolare le regioni partecipavano alla formazione dei piani di bacino pur di rilievo nazionale con l'espressione di un parere obbligatorio ai fini della loro adozione, e provvedevano per quanto di propria competenza alla loro attuazione secondo modalita' conformi alle ordinarie competenze pianificatorie delle regioni e degli enti locali. Tale sistema risulta, oggi, radicalmente alterato dall'art. 1-bis in esame, in modo che risulta tanto piu' incomprensibile ove si abbia riguardo alle profonde trasformazioni successive, ed in particolare alla legge n. 59/1997 e al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, con il quale si sono conferite alle regioni ulteriori, consistenti attribuzioni, anche con riferimento alla difesa del suolo (cfr. artt. 87 segg, del decreto legislativo n. 112/1998). Sulla base di tali considerazioni e' possibile soffermarsi solo brevemente sulla illegittimita' costituzionale dei singoli aspetti del sistema ora introdotto dal citato art. 1-bis del decreto-legge n. 279 del 2000. In primo luogo, il comma 2 dell'art. l-bis dispone che l'adozione (in realta' approvazione) dei piani stralcio e' effettuata "sulla base degli artt. e dei pareri disponibili". Il che - stante anche la ristrettezza dei termini all'uopo previsti (il 30 aprile 2001 per la prima applicazione, sei mesi come termine ordinario) e la complessita' del contenuto del parere - parrebbe consentire l'adozione dei singoli piani anche a prescindere dal preventivo parere delle competenti regioni, rendendo meramente eventuale l'esercizio delle loro attribuzioni, costituzionalmente garantite, in materia. Si noti che ugualmente eventuale diviene il parere della conferenza programmatica, di cui al successivo comma 3, la cui promozione e convocazione e' demandata alle regioni e che, stando al dato letterale di cui al comma 4, parrebbe chiamata ad esprimere il parere previsto dall'art. 18, comma 9, della legge 18 maggio 1989, n. 183, in sostituzione della regione (illegittimamente, come qui si ritiene). In secondo luogo, i commi 3 e 4 del medesimo art. 1-bis paiono, come detto, sostituire al parere della regione - cui, ai sensi dell'art. l8, comma 9 della legge n. 183/1989 compete di esprimersi, altresi', sulle osservazioni di cui ai commi 4 e 8 - quello di una istituenda conferenza programmatica, articolata per sezioni provinciali o per differenti ambiti territoriali (deliberati dalla regione), alle quali partecipano le province ed i comuni interessati, unitamente alla regione e ad un rappresentante dell'autorita' di bacino. In tale ottica, il comma 4 stabilisce, infatti che il parere della conferenza "tiene luogo di quello di cui all'art. 18, comma 9, della legge 18 maggio 1989, n. 183". La conferenza esprime parere non solo ai fini della adozione, ma anche della attuazione del piano stralcio "con particolare riferimento alla integrazione a scala provinciale e comunale dei contenuti del piano, prevedendo le necessarie prescrizioni idrogeologiche ed urbanistiche"; di esso il comitato istituzionale dell'autorita' di bacino tiene conto in sede di adozione del piano. In tal modo, a meno di non ritenere che il parere della conferenza programmatica si aggiunga a quello della regione (il che parrebbe escluso dal chiaro dettato del comma 4, secondo capoverso), cui comunque spetta di esprimersi sulle osservazioni, come piu' sopra evidenziato, il ruolo della regione risulta fortemente depotenziato e reso evanescente rispetto alla sfera degli interessi, il cui apprezzamento e' demandato all'istanza regionale, dal suo assorbimento nell'ambito dei vari enti partecipanti alla conferenza (e dei vari interessi di cui gli stessi sono portatori), fra cui, nel caso della regione Emilia-Romagna, oltre duecento comuni. D'altronde, la circostanza che la conferenza sia chiamata ad esprimersi sia in vista dell'adozione che dell'attuazione dei piani stralcio e che il parere abbia particolare riguardo alla integrazione a scala provinciale e comunale dei contenuti del piano, prevedendo le necessarie prescrizioni idrogeologiche ed urbanistiche determina - ove fosse confermato il carattere sostitutivo del suddetto parere rispetto a quello gia' di competenza regionale - la commissione di interessi e valori diversi, insuscettibili di essere adeguatamente apprezzati e graduati, senza violare i principi di ragionevolezza e di buon andamento e senza porre la regione nella impossibilita' di esercitare, nel rispetto delle proprie attribuzioni, gli specifici poteri che le competono relativamente all'adozione dei piani di bacino. L'irragionevolezza sostanziale ora rilevata ha un suo risvolto nella indeterminatezza e in realta' indefinibilita' giuridica dello stesso organismo chiamato a rendere il parere. Non esistono infatti, ne' possono esistere, procedure in grado di portare ad espressione unitaria valutazioni di enti cosi' numerosi ed eterogenei, che oltretutto, mettendo insieme la regione, le province e i comuni, fanno riferimento ad ambiti di popolazione coincidenti e sovrapposti. Non si comprende secondo quali regole la "conferenza" potrebbe esprimere un parere unitario, che d'altronde non potrebbe che vanificare le rispettive assunzioni di responsabilita'. Sembra chiara sotto questo aspetto la violazione dell'art. 97 Cost. Per altro verso, la circostanza stessa che l'ambito di azione della "conferenza programmatica" riguardi anche l'attuazione dei piani stralcio provoca una ulteriore incidenza diretta della nuova disciplina sulla pianificazione territoriale di competenza regionale, sull'assunzione delle delibere di adeguamento al piano stralcio per l'assetto idrogeologico, nonche' su quelle riguardanti i piani paesistici, i piani dei parchi, i piani e i programmi di tutela ambientale, di agricoltura e forestazione o, ancora, sulle deliberazioni che riguardano la realizzazione di opere pubbliche che risultino necessarie per la concreta attuazione delle previsioni del piano stralcio per l'assetto idrogeologico. Sotto questo profilo, la norma in esame invade illegittimamente, con disposizioni di carattere organizzativo e procedurale che irrazionalmente si sovrappongono alle procedure previste dalle specifiche leggi regionali, l'ambito della potesta' legislativa ed amministrativa della regione nella regolamentazione delle funzioni ad essa demandate, in particolare nella materia urbanistica, dei lavori pubblici, della tutela paesistica ed ambientale, dell'agricoltura e della forestazione, della attivita' estrattiva. In terzo luogo, in base al successivo comma 5, le relative determinazioni, assunte "a seguito di esame della conferenza programmatica, costituiscono variante agli strumenti urbanistici". In tal modo, le decisioni dell'autorita' di bacino elidono le competenze della regione e dei comuni, nella fondazione degli strumenti urbanistici e sostituiscono direttamente ed automaticamente la disciplina dei piani territoriali ed urbanistici, finendo per incidere sulla essenza stessa delle attribuzioni regionali in materia. Diverso e' infatti stabilire, a livello dei principi della materia, un dovere di adeguamento dei piani di competenza regionale, provinciale e comunale ad un livello di programmazione che per la propria specialita' risulta vincolante, diverso e' che le previsioni dei piani stralcio direttamente entrino come varianti nella ordinaria pianificazione territoriale. Tale seconda variante costituisce un inammissibile ingresso nella materia urbanistica, rimessa alla potesta' legislativa ed amministrativa regionale ai sensi degli artt. 117 e 118 Cost., di organi e meccanismi di pianificazione estranei al sistema, e costituisce altresi' una statuizione puntuale che annulla ogni possibile sviluppo in sede regionale. Ne' si puo' dire che la compressione delle competenze regionali sia necessaria al conseguimento degli obbiettivi di salvaguardia ambientale. E' palese infatti che la sola applicazione della gia' esistente disposizione dell'art. 17, comma 5, legge n. 183/1989 (che consente di attribuire immediata efficacia vincolante a specifiche prescrizioni del piano di bacino), e' di per se' sufficiente ad assicurare l'immediata operativita' di specifiche determinazioni del piano. Irragionevolmente, dunque, l'art. l-bis qui impugnato sottrae alla regione la possibilita' di stabilire le norme necessarie ed opportune in relazione al coordinamento e all'adeguamento dei piani e programmi regionali (in primis i piani paesistici) e dei piani urbanistici locali alla pianificazione idrogeologica. Il che, oltretutto, contrasta con le stesse caratteristiche dei piani di bacino che, come chiarito nella sentenza n. 85/1990, sono si piani territoriali, ma esclusivamente finalizzati alla difesa del suolo e alla "conservazione dinamica del suolo attraverso la imposizione di vincoli e di opere di carattere idraulico, idrogeologico-agrario e forestale ... come tali essi non si svolgono attraverso misure e opere inerenti alle competenze urbanistiche ... o a quelle attinenti alle altre competenze regionali o provinciali ..."; come tali essi determinano vincoli generali, cui si riconnette un obbligo di adeguamento e di conformazione della strumentazione urbanistica, senza che cio' possa determinare alcuna interferenza sulle prescrizioni di dettaglio e sulle destinazioni d'uso del territorio. Si noti, da ultimo, che il piano idrogeologico costituisce per propria natura un piano-direttore, essendo redatto alla scala 1:25.000 e rapportato alla vastita' dei territori interessati. Anche da un punto di vista tecnico e cartografico, dunque, appare incongrua una sua automatica inserzione negli strumenti urbanistici. Per tutto quanto sopra rappresentato, l'art. 1-bis, commi 2, 3, 4 e 5 e' costituzionalmente illegittimo per la violazione degli artt. 5, 9, 117 e 118 della Costituzione, nonche' per violazione degli artt. 3 e 97, per violazione dei principi di ragionevolezza e di buon andamento e del principio di leale cooperazione fra Stato e Regioni. 2. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, commi l e 2, della legge 11 dicembre 2000, n. 365. Violazione degli artt. 5, 117 e 118 della Costituzione. Violazione degli artt. 3, 44, ultimo comma, e 97 della Costituzione. Violazione del principio di ragionevolezza e di buon andamento. Disparita' di trattamento. L'art. 2 della legge 11 dicembre 2000, n. 365, di conversione in legge, con modificazione, del decreto-legge 12 ottobre 2000, n. 279 introduce inopinatamente, avuto riguardo alle sole regioni danneggiate dalle calamita' idrogeologiche, di cui al decreto-legge medesimo, un singolare procedimento secondo cui chiunque intenda operare tagli di bosco, anche ceduo, in zone con vincolo idrogeologico, deve inoltrare richiesta al sindaco del comune in cui insiste l'area sottoposta a taglio, il quale rilascia apposito nulla osta, dopo aver acquisito ben cinque "pareri", e precisamente il parere della competente commissione comunale, della autorita' di bacino, del corpo forestale dello Stato, della sovrintendenza competente in materia di beni ambientali, nonche' della regione. Si tratta di materia che ha da tempo formato oggetto di trasferimento ai sensi del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 11 (art. 1, lett. n) e del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (art. 69, comma 5); di materia che la Regione Emilia-Romagna ha adeguatamente disciplinato, dettando le relative prescrizioni anche sanzionatorie e delegando le relative competenze alle comunita' montane e alle province, che le svolgono nel quadro delle prescrizioni di polizia forestale anche avvalendosi, a fini istruttori, del corpo forestale della Stato (cfr. l.r. Emilia-Romagna 4 settembre 1981, n. 30). In tal modo, il legislatore, lungi dall'introdurre principi che la regione possa sviluppare nella propria legislazione, sovverte la legislazione regionale gia' in atto da un lato irragionevolmente innovando l'assetto delle competenze, che nella Regione Emilia-Romagna gia' prevedono l'esercizio della relativa funzione ad un livello territoriale piu' adeguato alla valutazione dei fenomeni idrogeologici, dall'altro introducendo nel procedimento elementi di aggravamento e macchinosita' oggettivamente ingiustificati in termini di violazione del criterio di ragionevolezza e di rispetto del principio di buon andamento. Tra l'altro, la legislazione statale attribuisce funzioni amministrative esterne in materia regionale ad organi statali, e persino ad organismi che hanno funzioni meramente strumentali ed istruttorie, quali il corpo forestale dello Stato. Per di piu' il comma l assoggetta al nulla osta del sindaco tutte le operazioni di tagli di bosco, anche ceduo, ivi comprese usuali operazioni di cura e manutenzione delle zone agricole e montane: il che determina un aggravio all'esplicazione di interventi quotidianamente occorrenti sul territorio, per le esigenze di vita degli abitanti nelle zone montane, per la salvaguardia dei territori da dissesto idrogeologico, per la manutenzione dei soprassuoli forestali e la pulizia delle sponde lungo fiumi e torrenti, nell'osservanza della disciplina regionale e, in ultima analisi, un disincentivo alle attivita' di manutenzione delle aree boschive, con l'effetto di produrre un risultato contrario a quello costituzionalmente previsto a favore delle zone montane, a norma dell'art. 44, ultimo comma, Cost., e con violazione del principio di buon andamento. Ne deriva la conseguente violazione degli artt. 117 e 118 Cost. in relazione alle materie agricoltura, foreste e vincolo idrogeologico. Ne' d'altronde si intende la ragione per la quale la disposizione in esame stabilisca, al comma 1, l'assoggettamento allo speciale procedimento da essa previsto soltanto dei cittadini delle regioni colpite dalle calamita' idrogeologiche cui si riferisce il decreto-legge n. 279/2000. Non vi e' per cio', infatti, alcuna razionale giustificazione: e' ben strano e contraddittorio che si voglia prevenire in relazione ad alcune regioni soltanto, per il fatto che esse sono state gia' colpite. Se dunque di una piu' gravosa disciplina vi fosse bisogno, questa dovrebbe avere carattere generale, mentre per il suo carattere parziale essa si traduce in un peso del tutto ingiustificatamente posto a carico di solo parte della popolazione. Complessivamente, la disposizione impugnata appare illegittima per violazione degli artt. 5, 117 e 118 Cost., degli artt. 3, 44, ultimo comma, e 97 della Costituzione. Violazione, nonche' del principio di ragionevolezza e di buon andamento. 3. - Illegittimita' costituzionale degli artt. 6-bis e 6-ter del decreto-legge 12 ottobre 2000, n. 279, inseriti in sede di conversione, con la legge 11 dicembre 2000, n. 365. Violazione degli articoli 3 e 97 della Costituzione. Violazione del principio di ragionevolezza e di buon andamento. Le disposizioni in parola consentono alle autorita' di bacino di rilievo nazionale, che utilizzano personale con rapporto di lavoro a tempo determinato assunto ai sensi del decreto-legge n. 180/1998 (art. 6-bis) nonche' alle regioni e agli enti locali, colpiti dalla crisi sismica del 27 settembre 1997, che hanno provveduto ad assunzioni di personale a tempo determinato ai sensi dell'art. 14, comma 14 del decreto-legge 30 gennaio 1998, n. 6 (art. 6-ter), di trasformare i predetti rapporti a tempo indeterminato. In tal modo, si determina una evidente disparita' di trattamento e una violazione dei principi di ragionevolezza e di buon andamento, atteso che le disposizioni in parola contemplano la stabilizzazione del rapporto di lavoro per le sole autorita' di bacino di rilievo nazionale e per i soli enti colpiti dalla crisi sismica del 27 settembre 1997, e non anche con riferimento ad altri enti (tra cui la Regione Emilia-Romagna) per il personale assunto allo stesso titolo, senza che le relative misure trovino specifico e puntuale fondamento nelle finalita' poste alla base dell'intervento d'urgenza del Governo. Al contrario, proprio il riferimento esclusivo ai territori ove calamita' si sono gia' verificate contraddice irragionevolmente l'intento preventivo che dichiaratamente ispira il decreto. Appare chiara, sotto questo profilo, la violazione degli artt. 3 e 97 Cost.
P. Q. M. Chiede voglia codesta ecc.ma Corte costituzionale dichiarare l'illegittimita' costituzionale: 1) del decreto-legge 12 ottobre 2000, n. 279, recante "Interventi urgenti per le aree a rischio idrogeologico molto elevato e in materia di protezione civile, nonche' a favore delle zone della Regione Calabria danneggiate dalle calamita' idrogeologiche di settembre e ottobre 2000", come convertito, con modificazioni, nella legge 11 dicembre 2000, e precisamente: dell'art. 1-bis, commi 2, 3, 4, 5; degli art. 6-bis e 6-ter; 2) dell'art. 2, commi 1 e 2, della legge di conversione, 11 dicembre 2000, n. 365. Per violazione degli artt. 3, 5, 9, 44, ultimo comma, 97, 117 e 118 Cost. nonche' dei principi generali costituzionali di leale cooperazione, di ragionevolezza e di buon andamento, secondo quanto specificatamente esposto e illustrato in relazione alle singole disposizioni impugnate. Padova-Bologna-Roma, addi' 9 gennaio 2001 Avv. prof.: Giandomenico Falcon - Avv. prof.: Franco Mastragostino - Avv.: Luigi Manzi 01C0077