N. 6 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 16 gennaio 2001

Ricorso  per  questione  di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 16 gennaio 2001 (della Regione Emilia-Romagna)

Ambiente  (tutela  dell')  -  Tutela  idrogeologica  del territorio -
Procedura  per  l'adozione  e  l'attuazione  dei  piani  stralcio per
l'assetto  idrogeologico - Prevista approvazione dei piani sulla base
degli  atti disponibili entro un termine perentorio - Previsto parere
di  una  istituenda conferenza programmatica convocata dalle Regioni,
in  sostituzione  del parere regionale ex lege n. 183/1989 - Prevista
operativita'   delle   determinazioni   del   comitato  istituzionale
dell'Autorita'  di  bacino come varianti agli strumenti urbanistici -
Denunciata  invasione  delle  competenze legislative e amministrative
regionali  in  materia  di  difesa  del  suolo,  urbanistica,  lavori
pubblici,  ambiente, agricoltura e forestazione, attivita' estrattiva
-  Violazione del principio di leale cooperazione tra Stato e Regioni
-  Violazione  dei  principi  di  ragionevolezza  e di buon andamento
amministrativo.
- D.L.  12  ottobre  2000,  n. 279  (convertito, con modifiche, nella
  legge 11 dicembre 2000, n. 365), art. 1-bis commi 2, 3, 4 e 5.
- Costituzione, artt. 3, 5, 9, 97, 117 e 118.
Ambiente  (tutela  dell')  -  Tutela  idrogeologica  del territorio -
  Autorizzazione  del  taglio  di  boschi  nelle  Regioni  colpite da
  calamita'  alluvionali - Prevista competenza del sindaco del comune
  su  cui  insiste  l'area  sottoposta  a taglio - Denunciata lesione
  delle competenze legislative ed amministrative regionali in materia
  di   agricoltura,   foreste   e  vincolo  idrogeologico  -  Mancata
  considerazione  della  legislazione  regionale vigente - Violazione
  dei principi di ragionevolezza e di buon andamento amministrativo -
  Ingiustificata disparita' di trattamento fra Regioni.
- Legge 11 dicembre 2000, n. 365, art. 2, commi 1 e 2.
- Costituzione, artt. 3, 5, 44, ultimo comma, 97, 117 e 118.
Amministrazione  pubblica  -  Rapporti  di lavoro a tempo determinato
  instaurati  per  esigenze  connesse  alla  tutela  del territorio -
  Prevista   possibilita'   di   stabilizzazione,   limitatamente  al
  personale assunto dalle Autorita' di bacino e dalle Regioni colpite
  dal  sisma  del  27  settembre  1997  -  Conseguente preclusione di
  analoga  possibilita'  per  il personale assunto dalle Regioni allo
  stesso   titolo   -   Denunciata   violazione   dei   principi   di
  ragionevolezza  e di buon andamento amministrativo - Ingiustificata
  disparita' di trattamento.
- D.L.  12  ottobre  2000,  n. 279  (convertito, con modifiche, nella
  legge 11 dicembre 2000, n. 365), art. 6-bis e 6-ter.
- Costituzione, artt. 3 e 97.
(GU n.10 del 7-3-2001 )
    Ricorso  della  Regione Emilia-Romagna, in persona del presidente
della  giunta  regionale  pro-tempore  Vasco  Errani, autorizzato con
deliberazione  della  giunta regionale n. 12 del 9 gennaio 2001 (all.
1),  rappresentata  e  difesa  -  come da procura speciale rogata dal
notaio  dott. Federico  Stame  del collegio notarile di Bologna, rep.
n. 44.636 in data 9 gennaio 2001 (all. 2) - dagli avv.ti Giandomenico
Falcon  di  Padova,  Franco Mastragostino di Bologna e Luigi Manzi di
Roma,  con domicilio eletto in Roma presso lo studio dell'avv. Manzi,
via Confalonieri n. 5.
    Contro   il   Presidente   del  Consiglio  dei  ministri  per  la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale:
        1)   del  decreto-legge  12  ottobre  2000,  n. 279,  recante
"Interventi urgenti per le aree a rischio idrogeologico molto elevato
e  in materia di protezione civile, nonche' a favore delle zone della
regione   Calabria  danneggiate  dalle  calamita'  idrogeologiche  di
settembre ed ottobre 2000", come convertito, con modificazioni, nella
legge  11 dicembre  2000, n. 365, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della  Repubblica  italiana,  serie generale, n. 288 dell'11 dicembre
2000, e precisamente:
          dell'art. 1-bis, commi 2, 3, 4 e 5;
          degli artt. 6-bis e 6-ter;
        2)  dell'art. 2,  commi l e 2, della legge di conversione, 11
dicembre 2000, n. 365.

                           Fatto e diritto

    Con  decreto-legge  12 ottobre 2000, n. 279 il Governo ha dettato
una  disciplina  recante  "Interventi  urgenti  per le aree a rischio
idrogeologico  molto  elevato  e  in  materia  di  protezione civile,
nonche'  a favore delle zone della Regione Calabria danneggiate dalle
calamita' idrogeologiche di settembre ed ottobre 2000", onde disporre
misure di salvaguardia e altre misure in materia di protezione civile
ai fini di immediata e maggiore prevenzione.
    Riguardo al presente ricorso rilevano le disposizioni indicate in
epigrafe  che,  lungi  dal  realizzare  le  finalita' dichiaratamente
perseguite,   appaiono   gravemente   invasive   delle   attribuzioni
costituzionalmente  garantite  in  capo  alle regioni suscettibili di
alterare  l'assetto della disciplina nella materia, in violazione dei
principi  di  ragionevolezza e di buon andamento, determinando per di
piu'  una  impropria  ed  incoerente  discriminazione  fra  regione e
regione,  senza  che  quest'ultima  trovi  fondamento nelle finalita'
perseguite,  con  i  caratteri  della  necessita' e dell'urgenza, dal
provvedimento legislativo in esame.
    Tale  censura  di  ordine  generale  va  ora meglio specificata e
precisata in relazione alle singole disposizioni qui impugnate.
    1. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1-bis, commi 2, 3, 4
e  5  del decreto-legge 12 ottobre 2000, n. 279, inserito, in sede di
conversione,  con la legge 11 dicembre 2000, n. 365, Violazione degli
artt. 5, 9. 117 e 118 della Costituzione. Violazione del principio di
leale cooperazione. Violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione.
Violazione dei principi di ragionevolezza e di buon andamento.
    I  piani di bacino, la cui disciplina e' contenuta nella legge 18
maggio  1989,  n. 183,  possono  essere  realizzati anche per stralci
relativi  a  settori  funzionali (art. 17, comma 6-ter). L'art. 1 del
decreto-legge  n. 180/1998  obbliga  poi  le  autorita'  di bacino di
rilievo  nazionale  e  interregionale  e  le  regioni  per i restanti
bacini,  ad  adottare,  entro  il  30 giugno 2001, piani stralcio per
l'assetto idrogeologico (PAI).
    Per  quanto riguarda il bacino di rilievo nazionale del fiume Po,
il  progetto  di  piano stralcio per l'assetto idrogeologico e' stato
adottato  dalla  autorita'  di bacino l'11 maggio 1999. Effettuate le
prescritte  forme  di  pubblicizzazione,  si  e'  aperta  la  fase di
partecipazione  prevista  dall'art. 18, commi 3, 4, 5, 6, 7 e 8 della
legge n. 183/1989.
    Sono  cosi'  pervenute, relativamente al territorio della Regione
Emilia-Romagna, numerose osservazioni, che sono attualmente all'esame
dei  competenti  uffici  regionali,  in vista della espressione delle
controdeduzioni  sulle  osservazioni  e  del  parere  sul progetto di
piano,  che  spetta  alla  regione  formulare,  cosi'  come  previsto
dall'art. l8, comma 9, della legge n. 183/1989.
    In   tale  situazione  di  diritto  e  di  fatto  e'  intervenuto
l'art. 1-bis  del  decreto-legge qui impugnato. Esso, sotto il titolo
"Procedura  per  l'adozione  dei  progetti  di piani stralcio" innova
sensibilmente   la   disciplina   prevista  dalla  legge  n. 183/1989
stabilendo che:
        a) la "adozione" (in realta' approvazione) dei piani stralcio
sia  "effettuata,  sulla  base degli atti e dei pareri disponibili...
entro  e  non  oltre  il  termine perentorio del 30 aprile 2001 per i
progetti  di  piano adottati antecedentemente alla data di entrata in
vigore  della  legge  di conversione del presente decreto" (comma 2);
come  detto,  il  piano  del  bacino  del Po si trova appunto in tale
situazione;
        b)  ai  fini dell'adozione ed attuazione dei piani stralcio e
della   necessaria   coerenza   tra   pianificazione   di   bacino  e
pianificazione  territoriale,  le  regioni  convochino una conferenza
programmatica,  articolata per sezioni provinciali o per altro ambito
territoriale,   cui   partecipano,   oltre   alla  regione  e  ad  un
rappresentante  dell'autorita'  di  bacino,  le  province  e i comuni
interessati (comma 3);
        c)  la  conferenza  esprima  un  parere  - che tiene luogo di
quello  di  cui  all'art. 18,  comma 9, della legge n. 183/1989 - sul
progetto  di  piano  con  particolare riferimento alla integrazione a
scala  provinciale  e comunale dei contenuti del piano, prevedendo le
necessarie prescrizioni idrogeologiche ed urbanistiche (comma 4);
        d)  il comitato istituzionale della autorita' di bacino tenga
conto  delle determinazioni della conferenza, in sede di adozione del
piano (sempre comma 4);
        e)   le   determinazioni   assunte   in   sede   di  comitato
istituzionale,  a  seguito  di  esame della conferenza programmatica,
costituiscano variante agli strumenti urbanistici (comma 5).
    Ora,   tali   disposizioni   appaiono   gravemente  lesive  delle
prerogative regionali in materia.
    Occorre intanto premettere che la stessa circostanza che il testo
della  norma non chiarisca se la sua applicazione riguardi unicamente
la  contingente situazione d'urgenza (e sia, quindi, preordinata alla
sola  formazione  dei  primi  piani  stralcio),  ovvero  determini la
permanente   sostituzione   della   disciplina   di  cui  alla  legge
n. 183/1989,   induce  a  ritenere  che  si  possa  trattare  di  una
disciplina  a  regime,  e  non  meramente transitoria. Ma anche se si
trattasse  della sola prima applicazione, va sottolineato che neppure
l'urgenza  e la necessita' di addivenire rapidamente all'adozione dei
primi   piani   stralcio   per   l'assetto  idrogeologico  potrebbero
giustificare  l'esautoramento  o il restringimento delle attribuzioni
regionali  in  materia,  tutelate  dagli  articoli  117  e  118 della
Costituzione.
    Cio' vale a maggiore ragione ove si consideri che tali piani, pur
adottati  con procedura straordinaria, tuttavia producono effetti del
tutto  corrispondenti a quelli dei piani di bacino, sia in termini di
pluralita'  e  rilevanza degli interessi coinvolti, sia in termini di
stabilita'  nel  tempo.  In sintesi, anche la sola prima applicazione
incide consistentemente su molteplici aspetti della tutela e dell'uso
del territorio, rientranti nelle competenze della regione stessa.
    Naturalmente  se,  come  sembra,  si  tratta  poi  di  disciplina
destinata  a  sostituire permanentemente quella contenuta nella legge
n. 183/1989, la lesivita' dell'innovazione risulta confermata ed anzi
rafforzata.
    Il  ruolo  spettante  alle regioni nell'approvazione dei piani di
bacino   e'   stato  riconosciuto  da  codesta  stessa  ecc.ma  Corte
costituzionale,  con  la sentenza 20-25 febbraio 1990, n. 85, proprio
con  riferimento  alla legge 18 maggio 1989, n. 183. In tale sentenza
la  Corte costituzionale ha posto in rilievo che "la difesa del suolo
e'  una  finalita' il cui raggiungimento coinvolge funzioni e materie
assegnate tanto alla competenza statale quanto a quella regionale" ed
"essendo  dunque  un  obiettivo comune allo Stato e alle regioni puo'
essere  perseguita  soltanto attraverso la via della cooperazione fra
l'uno e gli altri soggetti". La regione fonda anzi il proprio ricorso
sulla    essenzialita',    cosi'    riconosciuta,    della    propria
partecipazione.
    In  tale prospettiva veniva ritenuta legittima costituzionalmente
la  legge n. 183/1989, pur allora contestata dalle regioni, in quanto
essa,    indubbiamente    ponendosi    quale    legge    di   riforma
economico-sociale  e  di  principi,  ai  sensi  dell'art. 117  Cost.,
conteneva una articolata distribuzione dei ruoli tra Stato e regioni.
In  particolare le regioni partecipavano alla formazione dei piani di
bacino  pur  di  rilievo  nazionale  con  l'espressione  di un parere
obbligatorio  ai  fini della loro adozione, e provvedevano per quanto
di propria competenza alla loro attuazione secondo modalita' conformi
alle  ordinarie  competenze pianificatorie delle regioni e degli enti
locali.
    Tale sistema risulta, oggi, radicalmente alterato dall'art. 1-bis
in esame, in modo che risulta tanto piu' incomprensibile ove si abbia
riguardo  alle  profonde trasformazioni successive, ed in particolare
alla legge n. 59/1997 e al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112,
con  il  quale  si sono conferite alle regioni ulteriori, consistenti
attribuzioni,  anche  con  riferimento  alla  difesa  del suolo (cfr.
artt. 87 segg, del decreto legislativo n. 112/1998).
    Sulla  base  di tali considerazioni e' possibile soffermarsi solo
brevemente  sulla  illegittimita'  costituzionale dei singoli aspetti
del  sistema  ora  introdotto dal citato art. 1-bis del decreto-legge
n. 279 del 2000.
    In primo luogo, il comma 2 dell'art. l-bis dispone che l'adozione
(in  realta'  approvazione)  dei  piani stralcio e' effettuata "sulla
base degli artt. e dei pareri disponibili".
    Il  che  -  stante  anche  la  ristrettezza  dei termini all'uopo
previsti  (il 30 aprile 2001 per la prima applicazione, sei mesi come
termine  ordinario)  e  la  complessita'  del  contenuto del parere -
parrebbe  consentire l'adozione dei singoli piani anche a prescindere
dal  preventivo  parere  delle competenti regioni, rendendo meramente
eventuale  l'esercizio  delle  loro  attribuzioni, costituzionalmente
garantite, in materia.
    Si   noti  che  ugualmente  eventuale  diviene  il  parere  della
conferenza  programmatica,  di  cui  al  successivo  comma  3, la cui
promozione  e convocazione e' demandata alle regioni e che, stando al
dato  letterale  di cui al comma 4, parrebbe chiamata ad esprimere il
parere  previsto  dall'art. 18,  comma 9, della legge 18 maggio 1989,
n. 183,  in sostituzione della regione (illegittimamente, come qui si
ritiene).
    In  secondo  luogo, i commi 3 e 4 del medesimo art. 1-bis paiono,
come  detto,  sostituire  al  parere  della  regione  - cui, ai sensi
dell'art. l8,  comma 9 della legge n. 183/1989 compete di esprimersi,
altresi',  sulle  osservazioni  di cui ai commi 4 e 8 - quello di una
istituenda   conferenza   programmatica,   articolata   per   sezioni
provinciali  o  per  differenti ambiti territoriali (deliberati dalla
regione), alle quali partecipano le province ed i comuni interessati,
unitamente  alla  regione  e  ad  un rappresentante dell'autorita' di
bacino.  In tale ottica, il comma 4 stabilisce, infatti che il parere
della  conferenza "tiene luogo di quello di cui all'art. 18, comma 9,
della legge 18 maggio 1989, n. 183".
    La  conferenza esprime parere non solo ai fini della adozione, ma
anche   della   attuazione   del   piano  stralcio  "con  particolare
riferimento  alla  integrazione  a  scala  provinciale e comunale dei
contenuti   del   piano,   prevedendo   le   necessarie  prescrizioni
idrogeologiche  ed  urbanistiche";  di esso il comitato istituzionale
dell'autorita' di bacino tiene conto in sede di adozione del piano.
    In  tal  modo,  a  meno  di  non  ritenere  che  il  parere della
conferenza  programmatica  si aggiunga a quello della regione (il che
parrebbe  escluso dal chiaro dettato del comma 4, secondo capoverso),
cui comunque spetta di esprimersi sulle osservazioni, come piu' sopra
evidenziato, il ruolo della regione risulta fortemente depotenziato e
reso   evanescente  rispetto  alla  sfera  degli  interessi,  il  cui
apprezzamento   e'   demandato   all'istanza   regionale,   dal   suo
assorbimento  nell'ambito  dei vari enti partecipanti alla conferenza
(e dei vari interessi di cui gli stessi sono portatori), fra cui, nel
caso della regione Emilia-Romagna, oltre duecento comuni.
    D'altronde,  la  circostanza  che  la  conferenza sia chiamata ad
esprimersi  sia  in vista dell'adozione che dell'attuazione dei piani
stralcio e che il parere abbia particolare riguardo alla integrazione
a scala provinciale e comunale dei contenuti del piano, prevedendo le
necessarie  prescrizioni  idrogeologiche  ed urbanistiche determina -
ove  fosse  confermato  il  carattere sostitutivo del suddetto parere
rispetto  a  quello  gia' di competenza regionale - la commissione di
interessi  e  valori  diversi, insuscettibili di essere adeguatamente
apprezzati  e  graduati, senza violare i principi di ragionevolezza e
di  buon  andamento  e senza porre la regione nella impossibilita' di
esercitare,  nel  rispetto  delle proprie attribuzioni, gli specifici
poteri  che  le  competono  relativamente  all'adozione  dei piani di
bacino.
    L'irragionevolezza  sostanziale  ora  rilevata ha un suo risvolto
nella  indeterminatezza  e in realta' indefinibilita' giuridica dello
stesso  organismo chiamato a rendere il parere. Non esistono infatti,
ne'  possono  esistere,  procedure in grado di portare ad espressione
unitaria  valutazioni  di  enti  cosi'  numerosi  ed  eterogenei, che
oltretutto,  mettendo  insieme  la  regione,  le province e i comuni,
fanno riferimento ad ambiti di popolazione coincidenti e sovrapposti.
    Non  si  comprende  secondo quali regole la "conferenza" potrebbe
esprimere  un  parere  unitario,  che  d'altronde  non  potrebbe  che
vanificare le rispettive assunzioni di responsabilita'.
    Sembra  chiara  sotto  questo  aspetto la violazione dell'art. 97
Cost.
    Per  altro  verso,  la  circostanza stessa che l'ambito di azione
della  "conferenza  programmatica"  riguardi  anche  l'attuazione dei
piani  stralcio  provoca  una ulteriore incidenza diretta della nuova
disciplina sulla pianificazione territoriale di competenza regionale,
sull'assunzione  delle  delibere di adeguamento al piano stralcio per
l'assetto  idrogeologico,  nonche'  su  quelle  riguardanti  i  piani
paesistici,  i  piani  dei  parchi,  i  piani e i programmi di tutela
ambientale,   di   agricoltura   e   forestazione  o,  ancora,  sulle
deliberazioni  che riguardano la realizzazione di opere pubbliche che
risultino  necessarie per la concreta attuazione delle previsioni del
piano stralcio per l'assetto idrogeologico.
    Sotto  questo profilo, la norma in esame invade illegittimamente,
con   disposizioni  di  carattere  organizzativo  e  procedurale  che
irrazionalmente   si  sovrappongono  alle  procedure  previste  dalle
specifiche  leggi  regionali,  l'ambito della potesta' legislativa ed
amministrativa della regione nella regolamentazione delle funzioni ad
essa  demandate, in particolare nella materia urbanistica, dei lavori
pubblici,  della  tutela paesistica ed ambientale, dell'agricoltura e
della forestazione, della attivita' estrattiva.
    In  terzo  luogo,  in  base  al  successivo  comma 5, le relative
determinazioni,   assunte   "a  seguito  di  esame  della  conferenza
programmatica, costituiscono variante agli strumenti urbanistici".
    In  tal  modo,  le  decisioni dell'autorita' di bacino elidono le
competenze  della  regione  e  dei  comuni,  nella  fondazione  degli
strumenti urbanistici e sostituiscono direttamente ed automaticamente
la  disciplina  dei  piani  territoriali  ed urbanistici, finendo per
incidere   sulla  essenza  stessa  delle  attribuzioni  regionali  in
materia.
    Diverso  e'  infatti  stabilire,  a  livello  dei  principi della
materia,  un dovere di adeguamento dei piani di competenza regionale,
provinciale  e  comunale  ad  un livello di programmazione che per la
propria  specialita' risulta vincolante, diverso e' che le previsioni
dei piani stralcio direttamente entrino come varianti nella ordinaria
pianificazione  territoriale.  Tale  seconda  variante costituisce un
inammissibile   ingresso  nella  materia  urbanistica,  rimessa  alla
potesta'  legislativa  ed  amministrativa  regionale  ai  sensi degli
artt. 117  e  118  Cost.,  di  organi  e meccanismi di pianificazione
estranei  al sistema, e costituisce altresi' una statuizione puntuale
che annulla ogni possibile sviluppo in sede regionale.
    Ne'  si  puo' dire che la compressione delle competenze regionali
sia  necessaria  al  conseguimento  degli  obbiettivi di salvaguardia
ambientale.  E'  palese  infatti  che la sola applicazione della gia'
esistente  disposizione dell'art. 17, comma 5, legge n. 183/1989 (che
consente  di  attribuire  immediata efficacia vincolante a specifiche
prescrizioni  del  piano  di  bacino),  e'  di per se' sufficiente ad
assicurare  l'immediata operativita' di specifiche determinazioni del
piano.
    Irragionevolmente,  dunque,  l'art. l-bis  qui  impugnato sottrae
alla  regione  la  possibilita'  di  stabilire le norme necessarie ed
opportune in relazione al coordinamento e all'adeguamento dei piani e
programmi  regionali  (in  primis  i  piani  paesistici)  e dei piani
urbanistici locali alla pianificazione idrogeologica.
    Il  che,  oltretutto, contrasta con le stesse caratteristiche dei
piani di bacino che, come chiarito nella sentenza n. 85/1990, sono si
piani  territoriali,  ma  esclusivamente  finalizzati alla difesa del
suolo   e  alla  "conservazione  dinamica  del  suolo  attraverso  la
imposizione   di   vincoli   e   di  opere  di  carattere  idraulico,
idrogeologico-agrario  e forestale ... come tali essi non si svolgono
attraverso misure e opere inerenti alle competenze urbanistiche ... o
a  quelle  attinenti  alle  altre  competenze regionali o provinciali
...";  come tali essi determinano vincoli generali, cui si riconnette
un  obbligo  di  adeguamento  e di conformazione della strumentazione
urbanistica,  senza  che  cio'  possa determinare alcuna interferenza
sulle  prescrizioni  di  dettaglio  e  sulle  destinazioni  d'uso del
territorio.
    Si  noti,  da  ultimo, che il piano idrogeologico costituisce per
propria   natura  un  piano-direttore,  essendo  redatto  alla  scala
1:25.000  e rapportato alla vastita' dei territori interessati. Anche
da un punto di vista tecnico e cartografico, dunque, appare incongrua
una sua automatica inserzione negli strumenti urbanistici.
    Per tutto quanto sopra rappresentato, l'art. 1-bis, commi 2, 3, 4
e  5  e'  costituzionalmente  illegittimo  per  la  violazione  degli
artt. 5,  9,  117  e  118  della Costituzione, nonche' per violazione
degli  artt. 3  e 97, per violazione dei principi di ragionevolezza e
di  buon  andamento e del principio di leale cooperazione fra Stato e
Regioni.
    2. - Illegittimita'  costituzionale  dell'art. 2,  commi  l  e 2,
della legge 11 dicembre 2000, n. 365. Violazione degli artt. 5, 117 e
118 della Costituzione. Violazione degli artt. 3, 44, ultimo comma, e
97  della  Costituzione. Violazione del principio di ragionevolezza e
di buon andamento. Disparita' di trattamento.
    L'art. 2  della legge 11 dicembre 2000, n. 365, di conversione in
legge,  con  modificazione, del decreto-legge 12 ottobre 2000, n. 279
introduce   inopinatamente,   avuto   riguardo   alle   sole  regioni
danneggiate  dalle  calamita' idrogeologiche, di cui al decreto-legge
medesimo,  un  singolare  procedimento  secondo  cui chiunque intenda
operare   tagli   di   bosco,   anche  ceduo,  in  zone  con  vincolo
idrogeologico,  deve inoltrare richiesta al sindaco del comune in cui
insiste  l'area sottoposta a taglio, il quale rilascia apposito nulla
osta,  dopo  aver  acquisito  ben  cinque "pareri", e precisamente il
parere  della  competente  commissione  comunale,  della autorita' di
bacino,   del  corpo  forestale  dello  Stato,  della  sovrintendenza
competente in materia di beni ambientali, nonche' della regione.
    Si  tratta  di  materia  che  ha  da  tempo  formato  oggetto  di
trasferimento  ai  sensi  del  d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 11 (art. 1,
lett.  n)  e del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (art. 69, comma 5); di
materia  che la Regione Emilia-Romagna ha adeguatamente disciplinato,
dettando  le relative prescrizioni anche sanzionatorie e delegando le
relative  competenze  alle  comunita' montane e alle province, che le
svolgono  nel  quadro  delle  prescrizioni di polizia forestale anche
avvalendosi, a fini istruttori, del corpo forestale della Stato (cfr.
l.r. Emilia-Romagna 4 settembre 1981, n. 30).
    In  tal  modo, il legislatore, lungi dall'introdurre principi che
la  regione  possa sviluppare nella propria legislazione, sovverte la
legislazione  regionale  gia'  in  atto  da un lato irragionevolmente
innovando    l'assetto    delle   competenze,   che   nella   Regione
Emilia-Romagna  gia' prevedono l'esercizio della relativa funzione ad
un  livello  territoriale piu' adeguato alla valutazione dei fenomeni
idrogeologici,  dall'altro  introducendo nel procedimento elementi di
aggravamento e macchinosita' oggettivamente ingiustificati in termini
di  violazione  del  criterio  di  ragionevolezza  e  di rispetto del
principio di buon andamento.
    Tra   l'altro,   la  legislazione  statale  attribuisce  funzioni
amministrative  esterne  in  materia  regionale  ad organi statali, e
persino  ad  organismi  che  hanno  funzioni meramente strumentali ed
istruttorie,  quali  il  corpo  forestale dello Stato. Per di piu' il
comma  l  assoggetta al nulla osta del sindaco tutte le operazioni di
tagli di bosco, anche ceduo, ivi comprese usuali operazioni di cura e
manutenzione  delle  zone  agricole  e  montane:  il che determina un
aggravio  all'esplicazione  di  interventi quotidianamente occorrenti
sul  territorio,  per  le  esigenze di vita degli abitanti nelle zone
montane, per la salvaguardia dei territori da dissesto idrogeologico,
per  la  manutenzione  dei  soprassuoli  forestali e la pulizia delle
sponde  lungo  fiumi  e  torrenti,  nell'osservanza  della disciplina
regionale  e,  in  ultima  analisi, un disincentivo alle attivita' di
manutenzione  delle  aree  boschive,  con  l'effetto  di  produrre un
risultato  contrario  a  quello  costituzionalmente previsto a favore
delle  zone montane, a norma dell'art. 44, ultimo comma, Cost., e con
violazione del principio di buon andamento.
    Ne  deriva  la conseguente violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
in   relazione   alle   materie   agricoltura,   foreste   e  vincolo
idrogeologico.
    Ne' d'altronde si intende la ragione per la quale la disposizione
in  esame  stabilisca,  al  comma  1, l'assoggettamento allo speciale
procedimento  da  essa  previsto soltanto dei cittadini delle regioni
colpite   dalle   calamita'   idrogeologiche   cui  si  riferisce  il
decreto-legge  n. 279/2000.  Non  vi  e'  per  cio',  infatti, alcuna
razionale  giustificazione:  e'  ben  strano e contraddittorio che si
voglia  prevenire  in  relazione  ad  alcune regioni soltanto, per il
fatto che esse sono state gia' colpite. Se dunque di una piu' gravosa
disciplina   vi   fosse  bisogno,  questa  dovrebbe  avere  carattere
generale,  mentre per il suo carattere parziale essa si traduce in un
peso del tutto ingiustificatamente posto a carico di solo parte della
popolazione.
    Complessivamente,  la  disposizione  impugnata appare illegittima
per  violazione  degli  artt. 5,  117 e 118 Cost., degli artt. 3, 44,
ultimo  comma,  e  97  della  Costituzione.  Violazione,  nonche' del
principio di ragionevolezza e di buon andamento.
    3. - Illegittimita'  costituzionale degli artt. 6-bis e 6-ter del
decreto-legge   12   ottobre   2000,  n. 279,  inseriti  in  sede  di
conversione,  con la legge 11 dicembre 2000, n. 365. Violazione degli
articoli  3  e  97  della  Costituzione.  Violazione del principio di
ragionevolezza e di buon andamento.
    Le  disposizioni in parola consentono alle autorita' di bacino di
rilievo  nazionale, che utilizzano personale con rapporto di lavoro a
tempo  determinato  assunto  ai  sensi  del decreto-legge n. 180/1998
(art. 6-bis)  nonche'  alle regioni e agli enti locali, colpiti dalla
crisi  sismica  del  27  settembre  1997,  che  hanno  provveduto  ad
assunzioni  di  personale  a tempo determinato ai sensi dell'art. 14,
comma  14  del  decreto-legge  30 gennaio 1998, n. 6 (art. 6-ter), di
trasformare i predetti rapporti a tempo indeterminato.
    In  tal modo, si determina una evidente disparita' di trattamento
e  una violazione dei principi di ragionevolezza e di buon andamento,
atteso  che  le disposizioni in parola contemplano la stabilizzazione
del  rapporto  di  lavoro  per le sole autorita' di bacino di rilievo
nazionale  e  per  i  soli  enti  colpiti  dalla  crisi  sismica  del
27 settembre 1997, e non anche con riferimento ad altri enti (tra cui
la  Regione  Emilia-Romagna)  per  il  personale  assunto allo stesso
titolo,  senza  che  le  relative misure trovino specifico e puntuale
fondamento  nelle finalita' poste alla base dell'intervento d'urgenza
del  Governo.  Al  contrario,  proprio  il  riferimento  esclusivo ai
territori   ove   calamita'   si  sono  gia'  verificate  contraddice
irragionevolmente  l'intento preventivo che dichiaratamente ispira il
decreto.
    Appare  chiara, sotto questo profilo, la violazione degli artt. 3
e 97 Cost.
                              P. Q. M.
    Chiede  voglia  codesta  ecc.ma  Corte  costituzionale dichiarare
l'illegittimita' costituzionale:
        1)   del  decreto-legge  12  ottobre  2000,  n. 279,  recante
"Interventi urgenti per le aree a rischio idrogeologico molto elevato
e  in materia di protezione civile, nonche' a favore delle zone della
Regione   Calabria  danneggiate  dalle  calamita'  idrogeologiche  di
settembre  e ottobre 2000", come convertito, con modificazioni, nella
legge 11 dicembre 2000, e precisamente:
          dell'art. 1-bis, commi 2, 3, 4, 5;
          degli art. 6-bis e 6-ter;
        2) dell'art. 2,  commi  1 e 2, della legge di conversione, 11
dicembre 2000, n. 365.
        Per violazione degli artt. 3, 5, 9, 44, ultimo comma, 97, 117
e  118  Cost.  nonche'  dei principi generali costituzionali di leale
cooperazione,  di  ragionevolezza e di buon andamento, secondo quanto
specificatamente  esposto  e  illustrato  in  relazione  alle singole
disposizioni impugnate.
        Padova-Bologna-Roma, addi' 9 gennaio 2001
Avv.  prof.: Giandomenico Falcon - Avv. prof.: Franco Mastragostino -
                          Avv.: Luigi Manzi
01C0077