N. 8 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 17 gennaio 2001
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 17 gennaio 2001 (della Regione Lombardia) Ambiente (tutela dell') - Tutela idrogeologica del territorio - Autorizzazione del taglio di boschi nelle Regioni colpite da calamita' alluvionali - Prevista competenza del sindaco del comune su cui insiste l'area sottoposta a taglio, sentiti i pareri di organi comunali, statali e regionali - Denunciata lesione del riparto di competenze tra Stato e Regioni in materia di agricoltura e foreste, come definito dal d.P.R. n. 616/1977 e dai decreti legislativi nn. 143/1997 e 112/1998 - Mancata considerazione delle normative regionali vigenti - Contraddittorieta' e irragionevolezza sotto il profilo procedimentale - Incidenza sull'organizzazione interna regionale - Irragionevole compressione delle aspettative proprietarie. - Legge 11 dicembre 2000, n. 365, art. 2. - Costituzione, artt. 3, 5, 41, 97, 117 e 118, in relazione al d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 e al d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112. Ambiente (tutela dell') - Tutela idrogeologica del territorio - Procedura di adozione e attuazione dei piani stralcio per l'assetto idrogeologico - Determinazioni assunte dal comitato istituzionale dell'Autorita' di bacino, a seguito di esame dei progetti di piano nella istituenda conferenza programmatica - Previsto effetto di variante automatica agli strumenti urbanistici - Denunciata violazione delle potesta' di programmazione territoriale spettanti alle Regioni - Invasione delle competenze regionali in materia di agricoltura e foreste e in materia urbanistica. - D.L. 12 ottobre 2000, n. 279, art. 1-bis introdotto dall'art. 1 della legge di conversione 11 dicembre 2000, n. 365. - Costituzione, artt. 3, 5, 41, 97, 117 e 118, in relazione al d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 e al d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112.(GU n.10 del 7-3-2001 )
Ricorso, della Regione Lombardia, in persona del Presidente pro-tempore della giunta regionale, on. dott. Roberto Formigoni, rappresentata e difesa, come da delega a margine del presente atto ed in virtu' di deliberazione di G.R. n. 2983 del 29 dicembre 2000 di autorizzazione a stare in giudizio, dall'avv. prof. Giuseppe Franco Ferrari e dall'avv. prof. Massimo Luciani ed elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo in Roma, via Bocca di Leone, 78; Contro il Presidente del Consiglio dei ministri, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge 11 dicembre 2000, n. 365 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell'11 dicembre 2000, serie generale, n. 288) di conversione con modificazioni del decreto-legge 12 ottobre 2000, n. 279, recante interventi urgenti per le aree a rischio idrogeologico molto elevato ed in materia di protezione civile, nonche' a favore delle zone della Regione Calabria danneggiate dalle calamita' idrogeologiche di settembre ed ottobre 2000, nella parte in cui introduce l'art. 1-bis del decreto-legge 12 ottobre 2000, n. 279, a tenor del quale si dispone che le determinazioni di adozione dei piani stralcio di bacino, assunti dai Comitati istituzionali delle Autorita' di bacino, a seguito di esami dei progetti di piano nella conferenza programmatica prevista dal comma 3 del medesimo articolo, costituiscono variante agli strumenti urbanistici; dell'art. 2 della legge 11 dicembre 2000, n. 365, e conversione in legge con modificazioni del decreto-legge 12 ottobre 2000, n. 279, nella parte in cui dispone che nelle regioni danneggiate dalle calamita' idrogeologiche dell'autunno 2000 "chiunque voglia operare tagli di bosco, anche ceduo, in zone con vincolo idrogeologico ai sensi delle normative vigenti, deve inoltrare richiesta al sindaco del comune" (comma 1), che rilascia nulla osta allo svolgimento dei tagli, previa acquisizione di vari pareri di organi appartenenti ad enti di diversa natura e di diverso livello (comma 2). 1. - La materia "agricoltura e foreste" di cui all'art. 117, sedicesimo alinea, della Costituzione include pacificamente la tutela del patrimonio boschivo ed il suo utilizzo, anche negli ambiti territoriali caratterizzati da problematiche di dissesto idrogeologico e quindi coperti da vincoli finalizzati alla protezione del territorio da fenomeni di sfruttamento antropico o comunque di degrado. Gia' il d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 11, pur con tutti i limiti della disciplina ivi contenuta, evidenziati, sotto altra angolazione, da codesta ecc.ma Corte sin dalla sent. n. 142 del 1972, oltre che dalla dottrina (ad es. Cheli, in Le regioni, 1973, 119 ss.), menzionava espressamente tra le funzioni amministrative esercitate dagli organi centrali e periferici dello Stato in materia di agricolture e foreste, caccia e pesca nella acque interne, trasferite, per il rispettivo territorio, alle regioni a statuto ordinario "la bonifica integrale e montana" (art. 1, comma 2, lett. h), "i boschi e le foreste, i rimboschimenti e le attivita' silvopastorali ..." (art. 1, comma 2, lett. n). Il d.P.R. n. 616 del 1977, poi, abbandonando il criterio del "ritaglio" e ricorrendo ad attribuzioni di funzioni per blocchi, ricomprendeva tra l'altro, all'art. 66, nella materia de qua quale oggetto di trasferimento alle regioni e non di delega, "i boschi, le foreste e le attivita' di produzione forestale e di utilizzazione dei patrimoni silvo-pastorali", la "bonifica integrale e montana", e, all'art. 69 (intitolato "Territori montani, foreste, conservazione del suolo"), nonche', all'art. 69, comma 2, "tutte le funzioni esercitate dallo Stato o da altri enti pubblici..., concernenti i territori montani, le foreste la proprieta' forestale privata, i rimboschimenti e le proprieta' silvo-pastorali degli enti locali, compresi i poteri di determinazione dei vincoli e gli interventi sui terreni sottoposti a vincoli" e all'art. 69, comma 4, "le funzioni concernenti la sistemazione idrogeologica e la conservazione del suolo". La dottrina ha sempre sottolineato la globalita' di tale trasferimento come concernente l'agricoltura non solo sotto l'angolazione economica, ma anche nella sua valenza di protezione del territorio e dell'ambiente agricolo, forestale e montano (ad es. F. Trimarchi Banfi, Art. 69, in I nuovi poteri delle regioni e degli enti locali, a cura di F. Bassanini e A. Barbera, Bologna, 1978, 416 ss.; S. Bartole, Art. 117, in Commentario della Costituzione a cura di G. Branca, Bologna-Roma, 1985, 183 ss.). Prima ancora del d.P.R. n. 616, d'altronde, codesta ecc.ma Corte aveva, nella sentenza n. 72 del 1977, affermato che la tutela della flora afferisce alla protezione della natura come submateria della materia "agricoltura e foreste". Infine, il d.lgs. n. 1 12 del 1998, nel tracciare le nuove e sinora definitive linee del riparto di competenze tra Stato e regioni, ha confermato l'approccio evolutivo sopra descritto, nel senso di accentuare il carattere generale ed organico del conferimento delle funzioni a favore delle regioni. Il titolo II, relativo allo sviluppo economico e attivita' produttive, nel quale e' ricompresa la materia "agricoltura e foreste" (art. 11, comma 2), disciplina infatti, in attuazione della delega di cui all'art. 1 della legge n. 59 del 1997, il conferimento alle regioni e agli enti locali delle funzioni e dei compiti esercitati, nel settore dello sviluppo economico, da qualunque organo o amministrazione dello Stato o da enti pubblici da questo dipendenti (art. 11, cornma 1). Il titolo II, pur non contenendo disposizioni in tema di "agricoltura e foreste", fa espresso rinvio (art. 11, comma 2) al d.lgs. n. 143 del 1997, che aveva gia' provveduto anticipatamente, sempre in attuazione della legge n. 59 del 1997, a dettare separata disciplina nel settore. L'art. 1 di tale ultimo decreto legislativo stabilisce il conferimento delle funzioni amministrative alle regioni ed agli enti locali di tutte le fuzioni ed i compiti svolti dal Ministero di cui al comma 1 e relativi alle materie agricoltura, foreste, pesca, agriturismo, caccia, sviluppo rurale, alimentazione, prevedendo che questi sono esercitati dalle regioni, direttamente o mediante delega od attribuzione, nel rispetto delle disposizioni dell'art. 4 della legge 15 marzo 1997, n. 59, alle province, ai comuni, alle comunita' montane o ad altri enti locali e funzionali, ad eccezione di quelli tassativamente elencati nell'art. 2. E' chiaro, dunque, il carattere generale attribuito da tale disciplina al conferimento di funzioni nel settore di riferimento a favore delle regioni (G. Pastori, Commento all'art. 11, in Le regioni, nn. 3-4/1998, pag. 524). 2. - A seguito degli eventi meteorici ed alluvionali dell'autunno 2000, il Governo ha varato il d.l. n. 279 del 12 ottobre, contenente varie misure relative alle aree a rischio idrogeologico ed in materia di protezione civile. Esse includevano: interventi di salvaguardia per le aree a rischio elevato, in estensione ed integrazione di quanto gia' previsto dal d.l. n. 180 del 1998, convertito in legge n. 267 del 1998, potenziamento dei programmi di monitoraggio meteo-idro-pluviometrico, copertura del territorio nazionale mediante radar meteorologici (art. 1), attivita' straordinaria di polizia idraulica (art. 2), ricognizione dello stato di conservazione delle opere di sistemazione dei versanti (art. 3), rafforzamento dell'organizzazione della Agenzia di protezione civile di cui al d.lgs. n. 300 del 1999 (art. 6); misure urgenti a favore delle zone della Calabria danneggiate dalle recenti calamita' idrogeologiche (artt. 4 e 5). All'esercizio della decretazione di urgenza la regione Lombardia nulla aveva da eccepire. Tuttavia, in sede di conversione parlamentare in legge del decreto-legge, nonostante l'accertamento dell'esistenza dei presupposti di costituzionalita' da parte della I Commissione (Affari costituzionali) del Senato, non solo venivano apportate al decreto-legge significative integrazioni, tra cui in particolare l'art. 1-bis, ma si aggiungeva ex novo la disciplina dell'art. 2, che, come si e' detto introduttivamente, assoggetta qualunque taglio di bosco nelle zone assoggettate a vincolo idrogeologico a nulla osta comunale, sentiti i pareri "della competente commissione del comune, dell'Autorita' di bacino, del Corpo forestale dello Stato, competente per territorio, della sovrintendenza competente in materia di beni ambientali, nonche' della regione ...". 3. - Tale ulteriore disciplina e' lesiva della sfera di autonomia costituzionalmente garantita delle regioni, ed in specie della regione Lombardia, sotto molteplici profili di diritto. Violazione degli artt. 3, 5, 41, 97, 117 e 118 Cost., anche con riferimento al riparto di competenze determinato dal d.P.R. n. 616 del 1977 e dal d.lgs. n. 112 del 1998. Prendiamo le mosse, per esigenze di logica espositiva, dall'art. 2 della legge impugnata. Come si e' detto sub 1, la giurisprudenza costituzionale e la dottrina non hanno mai revocato in dubbio l'appartenenza della tutela del patrimonio forestale e della disciplina del vincolo idrogeologico alla materia "agricoltura e foreste" di cui all'art. 117 Cost., e pertanto la riconduzione delle relative funzioni amministrative alla competenza legislativa, ed in parallelo amministrativa, delle regioni. Univoca in tal senso e' stata pertanto l'interpretazione del d.P.R. n. 616 del 1977 e del piu' recente d.lgs. n. 112 del 1998. La competenza legislativa regionale e' stata tra l'altro esercitata da tempo dalla regione Lombardia. La disciplina vigente e' rappresentata dalla legge regionale 21 giugno 1988, n. 33, adottata proprio in attuazione del d.P.R. n. 616, che definisce organicamente l'assetto della materia, elenca in dettaglio gli interventi in zone vincolate a rischio idrogeologico ed in particolare detta prescrizioni analitiche circa il taglio dei boschi. In specie, stabilisce la l.r. Lombardia n. 33 del 1988, che nelle zone soggette a vincolo idrogeologico e geologico, imposto con le modalita' di cui alla medesima legge, sono soggetti a preventiva autorizzazione gli interventi, che incidano sugli assetti dei terreni, tra cui quelli concernenti "il taglio di boschi secondo quanto previsto dalle direttive di cui al primo comma del precedente art. 2 ad eccezione della normale attivita' silvocolturale" (art. 5, comma 1, lett. c), l.r. Lombardia n. 33/1988). L'iter procedurale previsto da tale disciplina comprende: un'attivita' istruttoria tecnica rimessa al servizio provinciale agricoltura, per la pronuncia finale di motivato parere (comma 3), il rilascio di autorizzazione mediante delega conferita dalla regione (comma 5) ed in ogni caso il potere della regione di sospendere l'efficacia delle autorizzazioni medesime (comma 6). In ultima analisi, la disciplina sinteticamente illustrata riconduce alla regione un potere di controllo e di sospensione dell'efficacia delle autorizzazioni relative agli interventi sopra descritti, il quale attribuisce alla stessa autorita' regionale un ruolo centrale ben diverso dalla funzione (prevista dalla legge impugnata) consistente nel rilascio di semplice parere all'interno di un iter che conferirebbe ora centralita' al ruolo assegnato all'ente locale (rectius, sindaco). La legge qui impugnata aggira, o per meglio dire, ignora completamente il riparto costituzionale di competenze, come definito dal d.P.R. n. 616 del 1977 e da ultimo dai decreti legislativi nn. 143 del 1997 e 112 del 1998. Essa infatti individua un nuovo regime uniforme per i tagli di bosco in zone a vincolo idrogeologico, omettendo qualunque riferimento al riparto esistente delle attribuzioni tra Stato e regioni, come definito da norme aventi carattere di integrazione del parametro del giudizio di costituzionalita', e introducendo un regime normativo ordinario, non limitato a circostanze contingenti o a situazioni di emergenza, dettato direttamente dallo Stato, a prescindere dalle normative regionali vigenti, e per giunta viziato nella razionalita' intrinseca. Essa infatti non ha la pretesa di porsi quale norma di legge-quadro, destinata, in materia totalmente coperta da trasferimento alle regioni, ad essere attuata da normazione regionale concorrente, ma contiene un regime in se' compiuto e minuzioso, non bisognoso di alcuna specificazione in un rapporto di dettaglio a principio. L'uniformita' della disciplina cosi' introdotta si aggiunge insomma alla minuziosita', tale da non lasciar residuare alcun margine specificativo a favore delle regioni in sede di competenza legislativa ripartita. Va aggiunto che la attribuzione diretta di competenze di amministrazione attiva al sindaco priva la regione di qualsiasi margine di discrezionalita' integrativa e aggira il livello regionale, spogliandolo di qualsiasi opzione allocativa delle attribuzioni amministrative, ed impedendogli, ad esempio, di individuare le province o le comunita' montane quali soggetti utilizzabili in vista di un obiettivo di interesse pubblico pur rilevante. Inoltre, la disciplina contestata presenta distinti e rilevanti profili di contraddittorieta' ed irragionevolezza intrinseche sul piano contenutistico. In primo luogo essa richiama, quali presupposti endoprocedimentali del nulla osta sindacale, pareri quanto meno singolari: cosi' quello della competente commissione del comune (si deve intendere quella consiliare, visto che non ne esistono altre paragonabili alla commissione edilizia; ma cosi' si va contro la tendenza, codificata dalla legge n. 142 del 1990 ed ora dal t.u. n. 267 del 2000, verso l'attribuzione al Consiglio comunale di funzioni di indirizzo, e non di amministrazione attiva puntuale); quella della sovrintendenza competente in materia di beni ambientali, che peraltro dovrebbe essere divenuta ormai organo regionale, sicche', per un verso, non e' dato intendere in che possa poi consistere l'ulteriore parere della regione e, per l'altro, si incide sull'organizzazione interna della regione stessa, identificando con legge dello Stato addirittura l'ordine ddle competenze dei suoi organi. Ne' si dica che il ruolo regionale, sottoposto a dura compressione mediante l'azzeramento di qualsiasi capacita' di scelta legislativa discrezionale, sia quanto a determinazioni contenutistiche sia quanto ad allocazioni di attribuzioni amministrative tra i livelli di governo, venga recuperato mediante un parere, obbligatorio si', ma non vincolante ed equiparato a quello della non meglio definita commissione comunale competente. Si tratta semmai della beffa aggiunta al danno, e non certo di una compensazione per la ben piu' grave sottrazione di competenze a garanzia costituzionale. In secondo luogo, l'attivita' assoggettata a nulla osta risulta indefinita, o definita in termini assai generici, cosi' da divenire incomprensibili sul piano applicativo. Il taglio indicato dalla disposizione normativa contestata potrebbe infatti anche includere il mero taglio manutentivo, ordinario e straordinario, e non il completo abbattimento del bene boschivo. Se cosi' fosse, gli uffici comunali, regionali e statali verrebbero di colpo ad essere soffocati da pratiche relative ad interventi di poca o nulla rilevanza sul piano forestale ed idrogeologico. Invece, come codesta ecc.ma Corte costituzionale ha gia' chiarito, gli ordinari interventi di silvicoltura e di "appropriato taglio" sono essenziali per la stessa conservazione del bosco, e quindi per la tutela dell'interesse che la stessa legge qui impugnata pretende di perseguire (sent. n. 14 del 1996, con nota di D. M. Traina. Legge Galasso e tutela dei boschi, in Giur. cost., 1996, 130 sgg.). Si ha, cosi', un'espropriazione di competenze regionali ancor piu' grave in quanto indiscriminata sul piano dell'impatto burocratico, oltre che della generalizzata lesione di aspettative proprietarie costituzionalmente protette, ancorche' in un'ottica di (apparente) funzionalizzazione ad esigenze di carattere sociale. Appare altresi' evidente la sproporzione tra il fine di salvaguardia del patrimonio forestale, in un'ottica di prevenzione di dissesti idrogeologici, perseguito al prezzo, costituzionalmente inaccettabile, della lesione della autonomia costituzionalmente garantita alle regioni, ed il mezzo rappresentato da un controllo sistematico su interventi di nulla o minima rilevanza sul patrimonio forestale, e persino su quelli necessari 7 per il suo incremento o addirittura per la sua preservazione. L'irragionevole compressione delle aspettative proprietarie si sovrappone cosi' all'intrinsecamente irrazionale disciplina amministrativa, che si e' piu' sopra censurata. 4. - Quanto all'art. 1-bis, inserito nel d.l. n. 279 del 2000 dalla legge di conversione qui impugnata, tale disposizione, integrando ed innovando la disciplina della legge n. 183 del 1989 in tema di piani stralcio per la tutela dal rischio idrogeologico, introduce al comma 5 un effetto di automatica variante degli strumenti urbanistici (si deve intendere comunali e sovracomunali) esistenti, per effetto dell'adozione dei medesimi piani stralcio, sia pure a seguito di conferenza programmatica indetta dalla regione con riferimento ad ambiti territoriali predeterminati, con partecipazione di comune e provincia (commi 3 e 4), da parte del comitato istituzionale dell'autorita' di bacino. Tale effetto automatico di un provvedimento amministrativo statale, non adeguatamente compensato dalla partecipazione procedimentale riconosciuta sia alla regione che agli enti locali, incide pesantemente sulle potesta' programmatorie dell'uso del territorio spettanti alla regione in base agli artt. 117 e 118 Cost., con riferimento sia alla materia "agricoltura e foreste" sia alla. materia "urbanistica". Viceversa, l'effetto non automatico, di riconsiderazione degli strumenti urbanistici e di eventuale adeguamento di essi a seguito del piano stralcio, previsto dalla previgente legislazione, era decisamente meno invasivo della sfera di competenze costituzionalmente garantite alla regione. I piani stralcio adottati dall'Autorita' di bacino rappresentano l'esito di un percorso legislativo iniziato con la legge 18 maggio 1989, n. 183, recante "Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo", la quale ha previsto la redazione e l'approvazione dei piani di bacino anche per stralci relativi a settori funzionali (art. 17, comma 6-ter), e proseguito con il decreto-legge 11 giugno 1998, n. 180, recante misure urgenti per la prevenzione del rischio idrogeologico (convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 1998, n. 267 e modificato ulteriormente dal decreto legge 13 maggio 1999, n. 132, convertito con legge 13 luglio 1999, n. 226). In particolare, l'art. 17 della legge n. 183 del 1989, nell'indicare finalita' e contenuti del piano di bacino, prevedeva un meccanismo del tutto diverso, caratterizzato dal successivo obbligo di adeguamento della pianificazione urbanistica alle prescrizioni del piano, che, ove non adempiuto, rimetteva alla regione un potere di adeguamento d'ufficio. In base ai commi 4 e 5, i piani di bacino dovevano essere coordinati con i programmi nazionali, regionali e subregionali di sviluppo economico e di uso del suolo. Il successivo comma 6 disponeva poi che "Le regioni, entro novanta giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale o nel Bollettino ufficiale dell'approvazione del piano di bacino, emanano ove necessario le disposizioni concernenti l'attuazione del piano stesso nel settore urbanistico. Decorso tale termine, gli enti territorialmente interessati dal piano di bacino sono comunque tenuti a rispettarne le prescrizioni nel settore urbanistico. Qualora gli enti predetti non provvedano ad adottare i necessari adempimenti relativi ai propri strumenti urbanistici entro 6 mesi dalla data di comunicazione delle predette disposizioni e comunque entro 9 mesi dalla pubblicazione dell'approvazione del piano di bacino, all'adeguamento provvedono d'ufficio le regioni". La dottrina del resto ha piu' volte sottolineato la natura non assorbente della pianificazione di bacino rispetto alle altre pianificazioni settoriali, evidenziando al contrario che il piano di bacino non elimina gli altri piani ed i conseguenti interventi di settore; esso e' un piano aggiuntivo, che va coordinato con i programmi nazionali, regionali e subregionali di sviluppo economico e di uso del suolo e che, una volta approvato, richiede un intervento di adeguamento successivo da parte delle autorita' competenti (E. Salvia e F. Teresi, "Diritto urbanistico", Cedam, 1998). Cio' significa che il piano di bacino, proprio per le sue indicate finalita' settoriali, dovrebbe costituire svolgimento di una funzione di coordinamento da parte dello Stato, ai fini del migliore assetto del territorio, la quale si inserisca, comunque, in un quadro di competenze ripartite tra Stato e regioni, nell'ambito di un approfondito intervento di adeguamento successivo, che veda partecipi gli enti esponenziali degli interessi territoriali e urbanistici coinvolti.
P. Q. M. Per i suestesi motivi, voglia codesta ecc.ma Corte costituzionale, in accoglimento del presente ricorso, dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge 11 dicembre 2000, n. 365 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 11 dicembre 2000 - serie generale - n. 288), di conversione in legge con modificazioni del decreto-legge 12 ottobre 2000, n. 279, recante interventi urgenti per le aree a rischio idrogeologico molto elevato ed in materia di protezione civile, nonche' a favore delle zone della regione Calabria danneggiate dalle calamita' idrogeologiche di settembre ed ottobre 2000, nella parte in cui introduce l'art. 1-bis del decreto-legge 12 ottobre 2000, n. 279, e dell'art. 2 della medesima legge di conversione. Milano-Roma, addi' 8 gennaio 2001. Avv. prof. Giuseppe Franco Ferrari - Avv. prof. Massimo Luciani 01C0094