N. 145 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 novembre 2000

Ordinanza  emessa  il  16 novembre  2000  dal  tribunale  di Roma nel
procedimento  civile vertente tra Tosirom S.a.s, di Giuseppe Callara'
& C. e comune di Roma

Giustizia  amministrativa  -  Devoluzione  al  giudice amministrativo
delle  controversie in materia di edilizia e urbanistica e riserva al
giudice  ordinario  delle sole controversie relative ad indennita' in
conseguenza   di   atti   espropriativi   o  ablativi  -  Conseguente
sottrazione  al  giudice ordinario delle cause sui diritti soggettivi
connessi ad atti, provvedimenti e comportamenti delle amministrazioni
pubbliche  in  materia  di  edilizia - Irragionevolezza Disparita' di
trattamento  di  situazioni  identiche  -  Incidenza  sul  diritto di
difesa,  nonche'  sui  principi  del  giudice  naturale  e  di tutela
giurisdizionale,  di autonomia ed indipendenza della magistratura, di
giusto processo, di nomofilachia attribuito alla Corte di cassazione.
- D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 34.
- Costituzione, artt. 3, 24, 25, 100, 102, 103, 111 e 113.
(GU n.10 del 7-3-2001 )
                            IL TRIBUNALE

    Ha emesso la seguente ordinanza nella causa civile di primo grado
iscritta  al  n. 1085  del  ruolo  generale  degli affari contenziosi
civili  dell'anno  2000,  promossa  da  Tosirom  S.a.s.  di  Giuseppe
Callara'  &  C.,  con sede in Roma, v. della Camilluccia n. 589/c, in
persona del socio accomandatario e legale rappresentante pro-tempore,
Giuseppe   Callara',   rappresentato   e   difeso   dall'avv.  Sandro
Picciolini,  presso il cui studio in Roma, viale Parioli n. 72/F3, e'
elettivamente domiciliato.
    Contro  il  comune  di  Roma  in persona del sindaco pro-tempore,
Francesco  Rutelli, rappresentato e difeso dall'avv. Rodolfo Murra ed
elettivamente domiciliato presso la sede dell'Avvocatura comunale, in
Roma, v. del Tempio di Giove n. 21,
    Ogg.: responsabilita' extracontrattuale della p.a.
                            Rilevato che
    1. - Con  atto  di  citazione  notificato  il 23 dicembre 1999 la
Tosirom  S.a.s.  ha  convenuto  in giudizio il comune di Roma e ne ha
chiesto la condanna al risarcimento dei danni, quantificati in cinque
miliardi,  esponendo  che: in data 27 aprile 1992 aveva presentato al
sindaco  del  comune  di  Roma domanda di rilascio del certificato di
abitabilita' ed agibilita' del complesso immobiliare sito in Roma, v.
Mastrigli n. 15/c, di cui era proprietaria (e per il quale aveva gia'
ottenuto la concessione in sanatoria per abusi edilizi, in virtu' del
silenzio  assenso dell'amministrazione); non avendo ottenuto risposta
e avendo inutilmente diffidato il sindaco, aveva comunicato al comune
di  Roma di ritenere verificate le condizioni prescritte dall'art. 4,
comma  3,  d.P.R.  22 aprile  1994,  n. 425,  per  la  formazione del
silenzio-assenso   (anche  perche'  il  legale  rappresentante  della
Tosirom  era stato dal pretore di Roma assolto "per non aver commesso
il  fatto"  dall'imputazione  prevista  dagli  artt. 81  c.p.  e  221
t.u.l.s.  di  aver  occupato  e dato in locazione a terzi un immobile
privo  della  licenza di abitabilita'); con scrittura privata in data
10 ottobre  1998  aveva  stipulato un contratto preliminare nel quale
aveva  promesso di vendere il complesso immobiliare in questione alla
costituenda Cooperativa Residence Mastrigli, la quale aveva accettato
al  prezzo  di  cinque  miliardi  ma successivamente, con lettera del
19 maggio  2000,  le  aveva  comunicato  che  considerava  risolto il
preliminare  perche' il comune di Roma le aveva rappresentato che non
corrispondeva  al  vero  quanto dichiarato dalla Tosirom nell'art. 17
del  preliminare circa il possesso da parte della societa' venditrice
dell'attestato   di  abitabilita'  "per  silenzio  accoglimento";  la
societa'  attrice  ha  chiesto  il risarcimento del danno causato dal
comune  per  aver illegittimamente rifiutato di rilasciare la licenza
di abitabilita' e consistito nella perdita del prezzo di acquisto.
    2.  - Il comune di Roma si e' costituito in giudizio eccependo la
carenza  di  giurisdizione del g.o., essendo la controversia in esame
attribuita,  a  suo  avviso, alla giurisdizione esclusiva del g.a. in
quanto  concernente  la  materia  edilizia,  nel  cui  esteso  ambito
rientrano le controversie aventi ad oggetto gli atti, i provvedimenti
e   i   comportamenti   delle  pubbliche  amministrazioni,  ai  sensi
dell'art. 34  del  d.lgs.  n. 80  del  31 marzo  1998; nel merito, ha
dedotto  l'infondatezza della domanda, non potendo la Tosirom vantare
un diritto al rilascio della licenza di abitabilita' in quanto l'area
del  complesso  immobiliare in questione era sottoposta ad un vincolo
di  protezione  delle  bellezze naturali e paesistiche (imposto dalla
legge  n. 1497/1939, dal d.m. 24 febbraio 1986 e dalla delibera della
giunta  regionale  n. 10018 del 22 novembre 1988) ed era richiesto un
parere  dell'Autorita'  preposta alla tutela dei vincoli, la mancanza
del  quale,  inoltre,  costituiva  circostanza  incompatibile  con la
concessione in sanatoria che l'attrice affermava di aver acquisito in
virtu' del silenzio-assenso dell'amministrazione.
    3.  -  Alla  prima  udienza di comparizione del 5 ottobre 2000 il
g.i.  ha  assegnato  alle parti un termine per memorie e riservato la
decisione sul prosieguo della causa in considerazione della rilevanza
e apparente fondatezza dell'eccezione sollevata dal convenuto.

                         Osserva in diritto

    4. - Come   fondatamente   eccepito   dal   comune   di  Roma  la
controversia  in  esame  rientra tra quelle - "aventi per oggetto gli
atti,   i  provvedimenti  e  i  comportamenti  delle  amministrazioni
pubbliche  in  materia  urbanistica  ed  edilizia"  -  devolute  alla
giurisdizione  esclusiva del g.a., ai sensi del citato art. 34, comma
1,  del  d.lgs.  n. 80/1998,  norma questa non toccata dalla sentenza
n. 292/2000  della  Corte  costituzionale  (che  ha dichiarato, nella
materia   di   servizi   pubblici,  la  parziale  incostituzionalita'
dell'art. 33   del   d.lgs.   cit.  in  relazione  all'art. 76  della
Costituzione per eccesso di delega con riferimento all'art. 11, comma
4, lettera g, legge 15 marzo 1997, n. 59) e, del resto, estranea alla
questione  di  costituzionalita'  sollevata dalle sezioni unite della
Corte  di  cassazione  (ord.  n. 43/2000)  con  esclusivo e specifico
riferimento  alla  parte  dell'art. 34  che  sottrarrebbe  al  g.o. e
devolverebbe  al  g.a.  in  esclusiva  le  controversie  sui "diritti
soggettivi   connessi   a   comportamenti  materiali  della  pubblica
amministrazione  in procedure espropriative finalizzate alla gestione
del territorio".
    Il  predetto  articolo  34 costituisce la fonte normativa diretta
dell'attribuzione  al  g.a.  della  controversia  in  esame in cui la
societa'  attrice  ha  proposto  un  azione di risarcimento del danno
contro  il  comune  di  Roma a causa dell'illegittimo esercizio della
funzione  pubblica  concernente  il mancato rilascio della licenza di
abitabilita'.  In  mancanza  di  questa  disposizione,  infatti,  non
potrebbe  dubitarsi  della  giurisdizione del g.o., in considerazione
del  principio  secondo  cui  "l'azione  di risarcimento del danno ex
art. 2043  del  codice  civile nei confronti della p.a. per esercizio
illegittimo  della  funzione  pubblica  bene  e'  proposta davanti al
giudice  ordinario,  quale giudice cui spetta, in linea di principio,
la  competenza  giurisdizionale  a  conoscere di questioni di diritto
soggettivo...";    infatti    "stabilire   se   la   fattispecie   di
responsabilita'  per  atti  o  provvedimenti  illegittimi  dedotta in
giudizio  sia  riconducibile  al  paradigma dell'art. 2043 del codice
civile  costituisce  questione  di  merito,  atteso  che  l'eventuale
incidenza  della  lesione su una posizione di interesse legittimo non
deve  essere  valutata  ai  fini  della giurisdizione, bensi' ai fini
della  qualificazione del danno come ingiusto, in quanto lesivo di un
interesse  giuridicamente  rilevante"  (in  tal  senso  v. Cass. S.U.
n. 500/1999).
    Il nuovo criterio di ripartizione delle competenze dei due organi
giurisdizionali,   fondato   sulla  delimitazione  legislativa  delle
"materie"  attribuite  al g.a. in via esclusiva, cioe' con cognizione
piena   (di   annullamento  e  di  risarcimento)  estesa  ai  diritti
soggettivi,  rende  irrilevante  l'obiezione  che  nel  tentativo  di
dimostrare  l'infondatezza  dell'eccezione  sulla  giurisdizione  (e,
quindi,   l'inapplicabilita'   dell'art. 34  d.lgs.  cit.)  e'  stata
sollevata  dalla  societa'  attrice,  secondo cui la proposta domanda
risarcitoria  troverebbe radice non nell'illegittimo mancato rilascio
della  licenza di abitabilita' (che invece la Tosirom afferma di aver
ottenuto  per  effetto del silenzio-assenso sulla sua istanza) ma nel
comportamento  dei funzionari del comune di Roma che, avendo riferito
al promissario acquirente il fatto (asseritamente) non corrispondente
al  vero  del  mancato  rilascio  della licenza, avrebbe provocato la
risoluzione del contratto e alla Tosirom i danni conseguenti.
    Questa   alternativa   prospettazione,  che  mira  a  valorizzare
l'illiceita'  della  condotta  del  comune  sotto  il  profilo  della
violazione  del  principio  del  neminem  laedere  (per  informazioni
inesatte  rese  al  promissario acquirente), non e' utile a far venir
meno  l'inerenza  della controversia alla materia "edilizia", dovendo
infatti  il  giudice  -  al  quale  spetta  il  compito  di stabilire
l'imputabilita' dell'evento dannoso alla (responsabilita' della) p.a.
"come  apparato" (costituendo la colpa e il dolo requisiti essenziali
della  responsabilita'  aquilina  ex  art. 2043 del codice civile: v.
Cass.   S.U.  n. 500/1999  cit.)  -  valutare  se  la  Tosirom  abbia
effettivamente  ottenuto  o  meno la licenza di abitabilita', da cio'
dipendendo la decisione sul merito della domanda risarcitoria.
    La  qualificazione  dell'oggetto della controversia come inerente
alla  materia  "edilizia"  si deduce, del resto, dalla configurazione
normativa  del  certificato  di  abitabilita'  come  attestante  "sia
l'inesistenza   di   cause   di   insalubrita'   sia  la  conformita'
urbanistico-edilizia  del  manufatto"  (in tal senso, Cass., III sez.
pen.,  5 marzo 1997, in Cons. St., 1998, II, 406; l'art. 220 del r.d.
27 luglio  1934,  n. 1265,  infatti,  prevedeva  che  i  progetti  di
costruzione  "che  comunque  possono  influire  sulle  condizioni  di
salubrita'  delle  case esistenti, debbono essere sottoposti al visto
del  podesta',  che provvede previo parere dell'ufficiale sanitario e
sentita  la  commissione  edilizia";  l'art. 4 del d.P.R. n. 425/1994
cit.   ribadisce   nella   sostanza   le  condizioni  gia'  richieste
dall'abrogato  art. 221  r.d.  cit.:  dimostrazione  della salubrita'
degli ambienti e della conformita' della costruzione al progetto); e'
confermata  dall'ampiezza  della  formulazione  legislativa contenuta
nell'art. 34  del  d.lgs. n. 80/1998 che fa generico riferimento agli
atti,  ai  provvedimenti  e  ai  comportamenti  delle amministrazioni
pubbliche   "in   materia  urbanistica  ed  edilizia"  nonche'  dalla
estensiva interpretazione che significativamente la giurisprudenza ha
dato  della  materia  urbanistica  (v.  Cass.  S.U. nn. 43/2000 cit.;
493/2000).
    5. - Il difetto di giurisdizione del giudice adito nella presente
controversia   rende   rilevante  la  questione,  non  manifestamente
infondata   e   che   si   solleva   d'ufficio,   della  legittimita'
costituzionale  del citato art. 34, con riferimento agli artt. 3, 24,
25,  100,  102, 103, 111 e 113 della Costituzione (l'art. 34 e' stato
riprodotto  dall'art. 7  della  legge  n. 205/2000  che e' entrato in
vigore  successivamente  all'introduzione  del presente giudizio). Il
dubbio  di  costituzionalita'  della  suddetta  previsione  normativa
concernente  l'attribuzione  al  g.a. dell'intera materia (per quanto
qui rileva) dell'urbanistica ed edilizia sara' argomentato secondo un
ordine logico che, partendo da una necessaria e sintetica premessa di
carattere   generale,   prendera'   in  considerazione  ciascuno  dei
parametri costituzionali richiamati.
    6.  -  Premessa.  Come  e'  stato  unanimemente  osservato  dalla
dottrina  e dalla giurisprudenza (v. Cons. Stato, ad. pl., n. 1/2000,
punto  4.1), il d.lgs. n. 80/1998 e la legge n. 205/2000 (v., ad es.,
il  nuovo  comma  4  dell'art. 35  del  d.lgs. n. 80/1998, introdotto
dall'art. 7  legge  n. 205/2000,  nella  parte in cui ha conferito al
g.a.  il  potere  risarcitorio  pieno  anche  al  di  fuori della sua
giurisdizione  esclusiva) hanno realizzato "un cambiamento di rilievo
storico  nell'ordinamento"  che  "incide in via immediata sul riparto
della  giurisdizione  tra giudice amministrativo e giudice ordinario"
(sono  parole  del Cons. St., ad. gen., parere 12 marzo 1998, n. 30):
il   criterio   tradizionale,   ritenuto   superato  e  di  difficile
applicazione,  fondato  sulla  distinzione  tra  diritti soggettivi e
interessi  legittimi,  e'  stato  sostituito da quello caratterizzato
dalla  individuazione  legislativa  delle materie attribuite al g.a.,
presso  il quale, in considerazione dell'estrema vastita' e rilevanza
delle  stesse,  si  e'  inteso concentrare quasi l'intera gamma delle
piu'    rilevanti   controversie   nei   confronti   della   pubblica
amministrazione,  lasciando  al  g.o.  la  giurisdizione  per ipotesi
sostanzialmente residuali.
    Questo   disegno   di  politica  legislativa,  che  e'  giunto  a
compimento  con le innovazione legislative di cui si parla, e' invero
il  risultato di una tendenza espansiva della giurisdizione esclusiva
realizzatasi  nell'ultimo decennio mediante l'attribuzione al g.a. di
specifiche  materie  a  prescindere  dalla  qualificazione paritetica
ovvero  autoritativa  dell'azione  amministrativa  e,  quindi,  dalla
sussistenza  di  diritti  soggettivi o di interessi legittimi vantati
nei  confronti  della  p.a.  (si  possono citare ad esempi: l'art. 1,
comma  26  e  27,  legge  n. 249/1997  in  materia di comunicazioni e
telecomunicazioni;  l'art. 2,  comma 25, legge n. 481/1995 in materia
di   servizi   di   pubblica  utilita';  l'art. 6,  comma  19,  legge
n. 537/1993,  mod.  dall'art. 441  legge  n. 724/1994  in  materia di
contratti  per  la  fornitura di beni e servizi delle amministrazioni
pubbliche;  l'art. 7  legge  n. 287/1990  in  materia di tutela della
concorrenza e del mercato; l'art. 11, legge n. 241/1990 in materia di
accordi sostitutivi con la p.a.).
    La   rilevanza  del  fenomeno,  che  segna  una  vera  e  propria
trasfigurazione   del   g.a.   in   giudice  (quasi  naturale)  delle
controversie  in cui sia parte una p.a. e che ha consentito ad alcuni
autori  di  affermare  che  ormai  il  criterio di attribuzione della
giurisdizione  riposa  (neanche  sulla qualita' pubblica di una parte
del  rapporto ma) sull'oggettiva rilevanza pubblica di questo e cioe'
degli interessi controversi (secondo l'assunto che la forma giuridica
del  soggetto  non  incide  sulla  natura della funzione esercitata),
trova  sostegno  anche  nell'utilizzazione  che  la giurisprudenza ha
fatto  della nozione di "organismo di diritto pubblico" per fini (che
invece  erano  irrilevanti  per  il  diritto  comunitario  cui quella
nozione   apparteneva)   di   criterio   di   riparto  interno  della
giurisdizione  (non e' questa la sede per affrontare questa complessa
tematica: e' sufficiente richiamare: Cons. St., VI sez., n. 498/1995;
V   sez.,   n. 1577/1996;   VI   sez.,   n. 1478/1998;   Cass.   S.U.
n. 12200/1998).
    Indubbiamente,  com'e' stato da altri osservato, l'evoluzione del
modello  organizzativo  dello  stato  e  il  suo aprirsi alle istanze
democratiche  introdotte  dalla  Costituzione (si pensi allo sviluppo
delle  autonomie e all'ordinamento pluralista, al riconoscimento e al
sorgere di nuovi diritti, all'intervento dello stato nell'economia e,
nel  contempo,  alla  sottoposizione della stessa p.a. alle leggi del
mercato e al diritto comune, anche a causa dell'influenza del diritto
comunitario)   ha   messo   in  crisi  il  momento  autoritativo  che
tradizionalmente  caratterizzava  il  rapporto tra l'apparato statale
(titolare dell'interesse pubblico) e la societa' civile e i cittadini
(momento   della   liberta')   e   la   stessa  nozione  di  pubblica
amministrazione, come considerata dall'art. 26 r.d. n. 1054/1924 (che
attribuisce  al  Consiglio  di  Stato  di  decidere  "contro  atti  e
provvedimenti   di   un'autorita'   amministrativa   o  di  un  corpo
amministrativo  deliberante";  v.  artt. 2 e 3 legge n. 1034/1971 che
fanno  riferimento  agli  "organi"  dello  Stato  e  degli altri enti
pubblici),  ha  perduto i suoi tradizionali tratti identificativi (si
pensi  soltanto  all'ampliamento  del  fenomeno delle concessioni con
delega  di  potesta'  pubbliche  ai concessionari ed agli enti aventi
struttura e forma giuridica civilistica chiamati a svolgere attivita'
di interesse pubblico: v. art. 22 legge n. 142/1990).
    Il  profilarsi  del  cosiddetto  modello  "negoziale"  di  azione
amministrativa,  spesso  caratterizzato dallo schema dell'accordo tra
p.a.  e  destinatari  di  quell'azione  (v.  ad  es. l'art. 11, legge
n. 241/1990),   ha   fatto  entrare  in  crisi  la  figura  dell'atto
amministrativo quale espressione del momento autoritativo e la stessa
configurazione   della   giustizia  amministrativa  (tradizionalmente
costruita  in  termini  di giurisdizione di legittimita' di carattere
impugnatorio  degli atti amministrativi cui corrispondevano posizioni
di  interessi  legittimo)  come  momento di controllo giurisdizionale
della  dialettica  autorita'  -  liberta';  al contempo, e' emersa la
figura della "funzione amministrativa" quale esercizio di attivita' e
prestazioni  rese  dalla  p.a.  (che  vi  era obbligata da ragioni di
solidarieta'  sociale)  nell'interesse pubblico (nelle piu' disparate
materie:  sanitaria, previdenziale, assistenziale, della istruzione e
sicurezza  pubblica  ecc.)  e hanno avuto riconoscimento le posizioni
soggettive  pretensive del privato nei confronti della p.a. (v. Cass.
S.U. n. 500/1999).
    E' venuto cosi' in luce il problema del controllo giurisdizionale
dell'attivita' amministrativa (sotto il profilo, per usare una felice
formula,  del  "vizio  della funzione") nel cui ambito e' sempre piu'
rilevante  (a  scapito  di  quello  decisorio  che  si  realizza come
espressione di volonta' del potere pubblico) il momento conoscitivo e
di   valutazione  di  parametri  normativi  precostituiti  (in  norme
sovralegislative  costituzionali  e  comunitarie,  legislative  o  di
rilevanza  normativa  secondaria), nell'ambito del nuovo procedimento
amministrativo disciplinato dalla fondamentale legge n. 241/1990.
    Il  giudizio  amministrativo  classico rivelava la sua intrinseca
inidoneita'   a   dare  piena  tutela  a  situazioni  soggettive  che
richiedevano  una  valutazione  piena del fatto (secondo lo schema di
giudizio   sul   rapporto)  e  pieni  poteri  decisori  non  limitati
all'annullamento    dell'atto;   ma,   soprattutto,   qui   interessa
sottolineare  che  l'espansione  dell'area dei diritti soggettivi (si
pensi  solo all'art. 32 Cost.) come effetto del carattere (come si e'
detto) sempre piu' vincolato o paritetico dell'azione amministrativa,
alla  luce  del  principio  di uguaglianza sul quale si tornera' piu'
avanti,   non  derogato  dalla  (peraltro  solo  eventuale)  qualita'
istituzionalmente  pubblica  di  una  parte, avrebbe dovuto condurre,
secondo  una  linea  di  prevedibile evoluzione storica valutata alla
luce    dei    parametri    costituzionali,   all'ampliamento   della
giurisdizione  del  g.o.  (al quale, del resto, sono state attribuite
gran  parte  delle  controversie  in  materia  di pubblico impiego in
conseguenza    della,   peraltro   solo   parziale,   privatizzazione
sostanziale del rapporto) e alla corrispondente limitazione di quella
del g.a.
    Questa  evoluzione,  infatti, e' stata vista come rappresentativa
della  regressione dell'interesse legittimo in favore della categoria
relazionale  diritto-obbligo, a nulla rilevando che l'amministrazione
conservi  in  tale rapporto posizioni di supremazia, sostenendosi che
quale   che   sia   la  situazione  soggiacente  al  provvedimento  o
all'omissione  della  p.a.,  quale che sia la condotta richiesta alla
p.a.,  e' il dovere di comportarsi secondo buona fede che grava su di
essa e di tutelare l'affidamento degli amministrati che, ove violato,
ne genera la responsabilita'.
    Queste   osservazioni,   pur  fatte  a  scopo  solo  introduttivo
dell'esposizione   dei   dubbi  di  legittimita'  costituzionale  che
seguira',  non  sono  superflue  ai  fini  del giudizio di intrinseca
razionalita'  dell'art. 34  d.lgs.  n. 80/1998,  sotto il profilo del
coerente  esercizio  della  discrezionalita' legislativa con riguardo
all'evoluzione storica del sistema e ai presupposti del nuovo riparto
delle competenze giurisdizionali (l'intrinseca irragionevolezza sara'
argomentata anche nel paragrafo 7 a), parte finale, e 9 a).
    L'ampliamento  delle  attribuzioni  del  g.a. e' stato realizzato
facendo  ricorso  a  quella  giurisdizione  esclusiva,  residualmente
disciplinata  nel  r.d.  n. 1054/1924 e nella legge n. 1034/1971, che
consentiva  il  superamento  del vincolo costituito dall'impugnazione
dell'atto    e,   soprattutto,   l'estensione   della   giurisdizione
amministrativa ai diritti soggettivi.
    E'  della  costituzionalita' di questo ampliamento (riguardo alla
specifica materia edilizia di cui tratta l'art. 34 d.lgs. n. 80/1998)
che si dubita.
    7. - Con  riferimento  agli  art.  100,  primo comma , 102, primo
comma, 103, primo comma, e 113, primo comma, Cost.
    La conformita' della nuova giurisdizione esclusiva per materia ai
suddetti  parametri  costituzionali e' stata dal Consiglio di Stato e
da   una   parte   della  dottrina  affermata  come  conseguenza  del
superamento   storico   e   dell'erosione   (dimostrata  anche  dalla
legislazione  degli  anni  '90) del tradizionale criterio di riparto,
ritenuto   inattendibile,   fondato  sulla  distinzione  tra  diritti
soggettivi  ed  interessi  legittimi;  l'attribuzione  al  g.a. della
cognizione  dei diritti soggettivi - si sostiene - sarebbe consentita
dall'art. 103,  primo  comma,  Cost.;  questa evoluzione del sistema,
inoltre,  sarebbe  coerente  con  il principio delle pluralita' delle
giurisdizioni presente nella nostra carta fondamentale nonche' con la
specializzazione del g.a. a decidere nelle controversie "speciali" in
cui sia parte una p.a.
    7.  a)  -  E'  in  sostanza contestato che il g.o. sia nel nostro
ordinamento  costituzionale il giudice naturale (su questo aspetto si
tornera'  al  successivo  p. 8)  dei  diritti  soggettivi tra privati
nonche'  tra  privati  e  p.a.,  salvo  le  eccezioni  specificamente
previste  dalla  legge  (che tali devono rimanere e che devono sempre
avere adeguata e coerente giustificazione).
    Cio',   invece,   risulta   dall'evoluzione  storica  del  nostro
ordinamento   che  fonda  le  proprie  radici  nella  legge  n. 2248,
allegato E,  del  1865:  "Sono  devolute alla giurisdizione ordinaria
(...)  tutte le materie nelle quali si faccia questione di un diritto
civile  o  politico, comunque vi possa essere interessata la pubblica
amministrazione,  e  ancorche' siano emanati provvedimenti del potere
esecutivo  o  dell'autorita'  amministrativa"  (art. 2)  e  nel  r.d.
n. 1054  del  1924  che  attribuisce  "al  Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale   di   decidere  sui  ricorsi  (...)  contro  atti  e
provvedimenti   di   una  autorita'  amministrativa  o  di  un  corpo
amministrativo  deliberante,  che abbiano per oggetto un interesse di
individui o di enti morali giuridici" (art. 26).
    Secondo  autorevoli  e  condivisibili  opinioni, la Costituzione,
confermando  il  sistema in precedenza vigente, ha elevato i suddetti
principi   contenuti   nella   legge  del  1865  a  norme  di  ordine
costituzionale,  non modificabili, quindi, se non con il procedimento
di  revisione  costituzionale;  la carta costituzionale, inoltre, pur
non innovando rispetto al criterio di riparto fondato sulle posizioni
soggettive fatte valere (cioe', in sostanza, sulla causa petendi), ha
segnato un deciso passo avanti verso le istanze di tutela dei privati
nei confronti della p.a. (come e' dimostrato dall'art. 113, secondo e
terzo comma, Cost.).
    Infatti,  nel nostro ordinamento costituzionale il g.o. e', salvo
eccezione,  il  giudice  dei  diritti  con tendenziale generalita' ed
illimitatezza  delle  sue  attribuzioni (in tal senso, v. Corte della
Costituzione  n. 641/1987). Cio' risulta chiaramente ed e' dimostrato
dall'art. 102,   primo   comma,   della  Costituzione  ("La  funzione
giurisdizionale e' esercitatada magistrati ordinari"); dall'art. 113,
primo  comma  ("Contro  gli  atti  della  pubblica amministrazione e'
sempre   ammessa  la  tutela  giurisdizionale  dei  diritti  e  degli
interessi    legittimi   dinanzi   agli   organi   di   giurisdizione
[rispettivamente]  ordinaria  o  amministrativa"); dalla residualita'
dell'attribuzione  al  g.a.  della  cognizione dei diritti soggettivi
(art. 103,  primo comma: "Il Consiglio di Stato e gli altri organi di
giustizia  amministrativa  hanno  giurisdizione  per  la  tutela  nei
confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e,
in  particolari  materie  indicate  dalla  legge,  anche  dei diritti
soggettivi")  e,  per  converso,  dalla  possibilita' riconosciuta al
legislatore   ordinario  (v.,  in  tal  senso,  Corte  Costituzionale
n. 32/1970),   di  cui  il  legislatore  si  e'  spesso  avvalso,  di
attribuire  al g.o. i poteri di annullamento dell'atto amministrativo
(art. 113,  secondo  e  terzo comma: "Tale tutela giurisdizionale non
puo'  essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o
per determinate categorie di atti. La legge determina quali organi di
giurisdizione    possono    annullare   gli   atti   della   pubblica
amministrazione..."); dalla completezza della tutela offerta dal g.o.
rispetto  agli  atti  e  ai comportamenti illeciti ovvero nell'ambito
dell'attivita' di diritto privato della p.a. (com'e' dimostrato dalla
tendenziale  pianificazione  sostanziale  di  quest'ultima ai privati
rivelata  anche  dalla  sua  progressiva  sottoposizione  al  diritto
comune)  e  dalla  pienezza di cui e' dotato il g.o. nella conoscenza
dei vizi di legittimita' dell'atto (compresi, almeno in parte, quelli
derivanti  dalla  violazione della legge n. 241/1990), seppur ai soli
fini   della   disapplicazione   (v.,   tra   le  altre,  Cass.  S.U.
n. 4670/1997);  poi,  soprattutto, dal diritto vivente (v. Cass. S.U.
n. 500/1999)  che,  riconoscendo il diritto al risarcimento del danno
(la  cui  prospettazione  in giudizio e' idonea da sola a radicare la
giurisdizione  ordinaria) nei casi di lesione di posizioni soggettive
qualificabili  non  solo  come  interessi  oppositivi (i c.d. diritti
affievoliti)   ma   anche   come   interessi   pretensivi   ad  opera
dell'attivita'  illegittima  della  p.a., ha contribuito a rafforzare
l'equazione costituzionale "g.o. = giudice dei diritti", come effetto
anche   del   superamento  della  tradizionale  pregiudizialita'  del
giudizio amministrativo di annullamento e dell'estensiva applicazione
dell'istituto della "disapplicazione" dell'atto amministrativo.
    Significativa   della   forza   espansiva   della   giurisdizione
ordinaria,  del  resto,  e'  l'interpretazione  estensiva  data  alla
figura,  che  rileva  ai  fini del riparto delle giurisdizioni, della
carenza di potere in concreto: "la giurisdizione e' riservata al g.o.
se il privato contesta in radice l'esistenza del potere discrezionale
ovvero  sostiene  che  il potere e' esercitato al di fuori dei limiti
posti dalle norme che lo regolano, con la riserva, comune ad entrambe
le  ipotesi,  che  il  preteso diritto sia configurabile" (Cass. S.U.
n. 776/1968).
    Si  deduce  da  queste  considerazioni che l'asserito superamento
storico  della distinzione delle posizioni soggettive dei privati nei
confronti della p.a. in diritti soggettivi ed interessi legittimi non
solo  deve  fare i conti con la nostra carta costituzionale che su di
essa  fonda  il  riparto  delle  giurisdizioni ma, se e' avvenuto, e'
stato a tutto vantaggio dei diritti soggettivi (v. par. 6).
    7.  b)  -  Si sostiene, inoltre, che il nuovo criterio di riparto
delle  giurisdizioni  "per  blocchi  di materie" sarebbe giustificato
dall'art. 103,   primo   comma,   della   Costituzione  che  consente
l'attribuzione al g.a. della cognizione dei diritti nell'ambito della
c.d. giurisdizione esclusiva.
    La   residualita'   delle   controversie  appartenenti  a  questa
giurisdizione   (come   da   elenco  contenuto  negli  artt. 29  r.d.
n. 1054/1924 e 7 legge n. 1034/1971), caratterizzata tradizionalmente
dalla  sicura  e  necessaria  compresenza o coabitazione nella stessa
controversia  dedotta  in  giudizio  (e  non gia' genericamente nella
stessa  materia)  di  posizioni  di  interesse legittimo e di diritto
soggettivo  legate da un inestricabile noto gordiano, e' ben presente
nella  Carta costituzionale che, nell'art. 103, primo comma, consente
al  giudice  degli  interessi  la  cognizione "in particolari materie
indicate  dalla  legge,  anche  dei diritti soggettivi"; e si deduce,
inoltre,  dal  divieto (stabilito dagli artt. 30, secondo comma, r.d.
n. 1054/1924  e  7,  terzo  comma, legge n. 1034/1971) per il g.a. di
conoscere  nelle  stesse controversie devolute alla sua giurisdizione
esclusiva  dei diritti patrimoniali conseguenziali (significativa nel
senso  della  rilevanza  di  questa  limitazione,  prima  delle leggi
nn. 59/1997 e 205/2000, e' la sent. n. 292/2000 della Corte cost.).
    Sostanzialmente  coerente con l'attribuzione costituzionale della
cognizione  dei  diritti  al g.o., che si risolve anche in un vincolo
per  il  legislatore  ordinario  (v.  p.  8),  e'  l'evoluzione della
giurisdizione  esclusiva,  caratterizzata  dall'attribuzione  al g.a.
(non   di   blocchi   di   materie  ma)  di  specifiche  controversie
caratterizzate  dalla  compresenza  delle  due  posizioni  soggettive
tradizionali  (si pensi al criterio di riparto in materia concessoria
ai sensi dell'art. 5, primo e secondo comma, legge n. 1034/1971).
    Anche  nella  legislazione  degli anni '90 (v. rif. al p. 6), che
pure  ha  segnato  l'inizio  della  metamorfosi  della  giurisdizione
esclusiva,  vi  e'  traccia  della tendenza normativa a conservare al
g.o.  la  cognizione  dei  diritti  (si  vedano  gli  artt. 33  legge
n. 287/1990,  che  attribuisce  al  g.a. la giurisdizione sui ricorsi
avverso  i  provvedimenti  dell'autorita' garante della concorrenza e
del  mercato e al g.o. la giurisdizione sulle azioni di nullita' e di
risarcimento  del  danno  derivanti  dalle  violazioni delle norme di
settore,  e  7,  commi 11  e 13, legge n. 74/1992, che attribuisce al
g.a.  in  via  esclusiva di decidere sui ricorsi avverso le decisioni
adottate   dall'autorita'   garante  ma  fa  salva  la  giurisdizione
ordinaria  in  materia  di  concorrenza  sleale).  Non  puo' negarsi,
peraltro,  che  la  struttura  impugnatoria  dei  giudizi e la natura
amministrativa  delle c.d. autorita' indipendenti solo apparentemente
costituiscono   elementi   idonei  a  giustificare  la  giurisdizione
(esclusiva)  del g.a. nell'accezione tradizionale di cui s'e' parlato
(l'unica   costituzionalmente   accettabile),  stante  la  potenziale
consistenza  (esclusiva) di diritto delle posizioni soggettive incise
dalle decisioni delle stesse autorita'; del resto, in controtendenza,
la  legislazione  recente offre spunti nel senso della riaffermazione
della  giurisdizione  ordinaria  in  materia di diritti nonostante la
natura  amministrativa dell'autorita' e la struttura impugnatoria del
giudizio  (v.  art. 29 legge n. 675/1996 in materia di protezione dei
dati personali).
    Il  legislatore  del  1998  e  del 2000 ha invece segnato in modo
deciso  l'abbandono della tradizionale concezione della giurisdizione
esclusiva  e  l'approdo ad un nuovo tipo di giurisdizione nella quale
la cognizione dei diritti da parte del g.a. prescinde del tutto dalla
coesistenza  (e,  quindi,  dalla  cognizione  da  parte  dello stesso
giudice),  nella  specifica  controversia,  di posizioni di interesse
legittimo.
    E'   evidente   che   se   e'   assente  un  interesse  legittimo
(configurabile  rispetto all'esercizio di un'attivita' amministrativa
discrezionale   della   p.a.   e   cioe',  in  altri  termini,  nelle
controversie  in  cui  la  p.a.  agisca come pubblico potere) e se la
posizione  soggettiva  del privato e' di esclusivo diritto soggettivo
(perche'  l'azione proposta in giudizio e' di risarcimento del danno,
com'e'  appunto  avvenuto nella controversia in esame, ovvero perche'
il  privato  si  oppone all'attivita' illecita o materiale della p.a.
ovvero  perche' si tratta di diritti incomprimibili ovvero perche' la
p.a.  agisce  iure  privatorum), cioe' in altri termini se e' assente
quell'inestricabile nodo gordiano delle posizioni soggettive azionate
in  giudizio  che  consente  al  giudice degli interessi di conoscere
anche  dei diritti (la cui cognizione e' riservata dalla Costituzione
al  g.o.), consistente e' il dubbio della legittimita' costituzionale
(v., sul punto, le osservazioni di Cass. S.U. n. 5559/1981 in materia
elettorale  e  di  Cass.  S.U. n. 2957/1984 in materia di concessioni
edilizie nella legge n. 10/1977).
    Il   medesimo  dubbio  non  e'  fugato  accogliendo  l'autorevole
opinione secondo cui la giurisdizione esclusiva consiste in "qualcosa
di  diverso  di  un  puro e semplice trasferimento di controversie su
diritti  soggettivi;  e'  stato  il  conferimento, a quel giudice [il
g.a.], di un intero territorio popolato sia da diritti soggettivi che
da  interessi  legittimi,  ma  soprattutto  da figure in cui le dette
situazioni  si presentavano e si presentano cosi' connesse e di tanto
incerta qualificazione da suggerire la soluzione dell'attribuzione in
blocco ad un giudice unico delle controversie che le riguardano".
    Il  legislatore  del  1998  e del 2000, infatti, ha attribuito la
cognizione  di intere materie al g.a. a prescindere da ed in mancanza
di   qualsiasi   incertezza   nella  qualificazione  delle  posizioni
soggettive  fatte  valere  in termini di diritto soggettivo (si pensi
alla  domanda  di  risarcimento del danno nella controversia in esame
nell'ambito  della  materia  edilizia  ove  la  situazione  giuridica
sostanziale  dedotta  e'  indiscutibilmente di diritto all'integrita'
patrimoniale).
    Dei  seri dubbi di costituzionalita' di questa scelta legislativa
e'  consapevole  anche la Corte di Cassazione "atteso che detta norma
[l'art. 103  Cost.] nel costituzionalizzare la giurisdizione speciale
del  giudice amministrativo, ne ha contestualmente anche circoscritto
l'ambito a controversie comunque correlate all'interesse generale, in
quanto  volte  alla  tutela  di  (collegate)  posizioni  di interesse
legittimo  o  "in  casi  particolari"  "anche" di diritti soggettivi,
senza  possibilita' di indiscriminata estensione a tipologie di liti,
come  quella  in esame, coinvolgenti unicamente diritti patrimoniali"
(sent. n. 72/2000).
    Del  resto,  pur  accedendo  alla tesi secondo cui il costituente
(all'art. 103,  primo comma ) avrebbe dato facolta' al legislatore di
attribuire   al   g.a.   la  cognizione  di  posizioni  qualificabili
immediatamente  come  diritti  soggettivi,  a prescindere cioe' dalla
coesistenza  con  interessi  legittimi  ovvero  dall'incertezza nella
qualificazione   della   situazione   sostanziale,   il   dubbio   di
legittimita'   costituzionale  persiste:  questa  facolta',  infatti,
com'e'  dimostrato  dalla  storia  della  giustizia  amministrativa e
dall'assetto  costituzionale delle giurisdizioni, non puo' che essere
un'eccezione ("in particolari materie indicate dalla legge, anche dei
diritti  soggettivi") e sempre giustificata da un significativo grado
(sul   quale   si   tornera'   piu'  avanti)  di  peculiarita'  della
controversia  in  cui  sia  parte una p.a. (alla "peculiarita'" della
controversia  hanno  fatto riferimento, ad es., le sentt. della Corte
della   Costituzione  n. 185/1981  e  100/1984  per  giustificare  la
costituzionalita'   dell'attribuzione   al  g.a.  delle  controversie
sull'indennita'  di  buonuscita  dei  dipendenti  dello Stato e delle
aziende autonome).
    E'  evidente  che  la  recente  attribuzione  al  g.a.  di intere
rilevantissime materie (edilizia, urbanistica, servizi pubblici, gare
e  procedure  di  affidamento  di  lavori,  servizi  e  forniture  in
qualsiasi  materia,  oltre  a  quelle, considerevoli, gia' attribuite
negli   anni   '90),   per   giunta  spesso  di  generica  e  incerta
identificazione  (cosa che contribuisce ad interpretazioni ancor piu'
estensive),  ha oggettivamente determinato un'inversione nel rapporto
tra  la  regola (che ha nel g.o. il giudice dei diritti nei confronti
anche della p.a.: "la funzione giurisdizionale dev'essere esercitata,
salve   le   eccezioni  introdotte  nella  stessa  Costituzione,  dai
magistrati  ordinari":  in  tal  senso,  v.  Corte della Costituzione
n. 41/1957)  e l'eccezione, facendo cosi' di quest'ultima la regola e
configurando  il g.a. come nuovo giudice ordinario nelle controversie
in  cui  sia parte una p.a., in violazione anche dell'art. 100, primo
comma,  della  Costituzione  che significativamente lo considera come
giudice "nell'amministrazione" e non "dell'amministrazione".
    7.  c)  - La legittimita' della scelta operata dal legislatore e'
sostenuta  da  alcuni  autori  che  hanno  invocato l'inesistenza nel
nostro  ordinamento  di  un  principio di unita' della giurisdizione,
avendo   la  Costituzione  optato  per  il  diverso  principio  della
pluralita' delle giurisdizioni, cosa che giustificherebbe l'esistenza
di giudici diversi specializzati in settori diversi dell'ordinamento.
    Pur  ammettendo  questa  premessa  (ma la Corte costituzionale ha
piu'  di  una  volta  affermato  esistente  nel nostro ordinamento il
principio  generale,  pur tendenziale, di unita' della giurisdizione:
v. sentt. n. 41/1957 cit.; 48/1959), questi autori pero' non arrivano
al  punto di intendere la pluralita' delle giurisdizioni nel senso di
ammettere  l'esistenza  di  piu'  giudici  che  decidano controversie
identiche  ovvero non caratterizzate da una sostanziale ed intrinseca
reciproca  diversita'  con  riguardo  all'oggetto  e  alle  posizioni
soggettive  delle  parti.  Infatti,  essi  leggono  il  principio  di
pluralita'   delle   giurisdizione   in   funzione   di  una  assenta
specificita'  delle materie devolute al g.a., in considerazione della
peculiarita'  della  p.a.  come parte pubblica ovvero della rilevanza
pubblica dell'oggetto della controversia.
    Tuttavia,  le  circostanze  che  nella controversia sia parte una
p.a.  ovvero,  ancor  meno,  che il suo oggetto presenti un interesse
pubblico  ovvero  che le leggi applicabili al rapporto siano (secondo
un  evanescente  concetto) di natura "amministrativa", sono del tutto
irrilevanti  perche'  e'  alla consistenza delle posizioni soggettive
fatta  valere,  in connessione al bene della vita chiesto in giudizio
(petitum),  che  occorre  aver  riguardo  ai  fini  del riparto delle
giurisdizioni.  Come  un  autorevole  studioso  scrisse nel 1964: "e'
importante  affermare  la  vigenza  del principio della giurisdizione
unica  poiche'  esso  presuppone che i diritti soggettivi del privato
siano  tali  non solo nei confronti degli altri privati, ma anche nei
confronti   dell'autorita'   amministrativa;  da  questo  presupposto
consegue   che   giudice   delle   controversie   con   la   pubblica
amministrazione in ordine ai diritti soggettivi deve essere lo stesso
giudice delle analoghe controversie tra privati".
    Se  la situazione soggettiva vantata e' di diritto soggettivo, e'
perche'  la p.a. si e' posta sullo stesso piano del privato compiendo
un'attivita'  (in  senso  lato)  illecita  o  agendo iure privatorum,
sicche'  ogni  assenta  specificita'  viene  meno e non puo' rilevare
nella   sede   giurisdizionale,  cosi'  come  non  sembra  che  possa
giustificare    il    nuovo    criterio   del   riparto   un'asserita
specializzazione  del g.a. a decidere nelle cause con la p.a., aventi
natura civilistica, tradizionalmente riservate al g.o.
    8.  -  Con  riferimento agli art. 25, primo comma, e 102, secondo
comma, Cost.
    La  scelta del legislatore di attribuire al g.a. gran parte delle
controversie  in  cui  sia  parte una p.a. dev'essere esaminata anche
sotto  il  profilo  della sua conformita' al principio costituzionale
del giudice naturale.
    La   diffusa   tendenza  a  identificare  il  principio  espresso
dall'art. 25,  primo  comma, della Costituzione ("Nessuno puo' essere
distolto  dal giudice naturale precostituito per legge") in quello di
giudice  precostituito  per  legge, cosi' risolvendolo nel divieto di
costituzione   del  giudice  post  factum,  farebbe  ritenere  questo
principio  non utilizzabile al fine di sindacare la costituzionalita'
delle  leggi  che  incidono sulla materia giurisdizionale, come se la
costituzione  avesse riconosciuto al legislatore una discrezionalita'
piena   ed   insindacabile   in   fatto   di   organizzazione   delle
giurisdizioni.
    Questa  affermazione,  anche alla luce di influssi provenienti da
ordinamenti  stranieri vicini alla nostra esperienza, merita forse di
essere rivista almeno con riguardo a leggi (come il d.lgs. v. 80/1998
e  la  legge  n. 205/2000)  che  incidono  su profili non secondari o
semplicemente  procedimentali  della  giurisdizione  (ad  esempio  in
materia  di  regolamentazione  del  processo  o  della competenza del
singolo   giudice)   ma,   in   maniera  rilevantissima,  sull'ordine
costituzionale  delle  giurisdizioni.  Questa  espressione  -  che ha
radice  nella  costituzione  rivoluzionaria francese del 16-24 agosto
1790  (il  cui  art. 17  disponeva:  "l'ordine  costituzionale  delle
giurisdizioni  non  potra' essere alterato, ne' le parti sottratte ai
loro  giudici  naturali")  ed  alla  quale  molti  paesi  hanno fatto
riferimento  come  modello  per  l'edificazione  dei moderni Stati di
diritto  -  e'  significativa  nel  senso che nel concetto di giudice
naturale  (e  di  giudice  in  senso  lato  in uno Stato democratico)
confluiscono tutti i valori e i caratteri fissati nella costituzione.
    In  questo  senso  il  principio  del  giudice  naturale  si puo'
interpretare  (e  lo  e' stato in altri paesi; ad esempio in Germania
ove  lo  stesso  principio  e'  affermato  nell'art. 101  della legge
fondamentale) come vincolante per lo stesso legislatore ordinario che
non  potrebbe  alterare l'ordine costituzionale, cioe' quel nucleo di
principi che giustificano l'"essere giudice" in uno Stato di diritto.
E'   significativa,   ad  es.,  una  decisione  del  Consiglio  della
Costituzione  francese  che  dichiaro' incostituzionale una legge che
attribuiva al g.o. il potere esclusivo di decidere sulla legittimita'
di determinati atti amministrativi, affermando che "va inserito tra i
"principi  fondamentali  riconosciuti  dalle  leggi della Repubblica"
quello  secondo  cui, ad eccezione delle materie riservate per natura
all'autorita'   giudiziaria,   appartiene   in  ultima  istanza  alla
competenza della giurisdizione amministrativa il contenzioso relativo
all'annullamento   e  alla  riforma  degli  atti  amministrativi  che
costituiscono  l'espressione  dei  pubblici  poteri"  (CC. n. 86-224,
23 gennaio 1987).
    In  Italia  l'"essere  giudice"  riceve  sostanza dai caratteri e
dalle attribuzioni stabilite dalla Costituzione che riservano al g.o.
la  cognizione  dei  diritti  e, nelle controversie aventi ad oggetto
principale   (e  forse  esclusivo)  la  valutazione  di  legittimita'
dell'azione  della  p.a.  come potere pubblico, al g.a. la cognizione
degli interessi legittimi: questa regola puo' subire eccezioni ma non
stravolgimenti.
    Anche la Corte costituzionale, del resto, affermando, ad esempio,
"la  maggiore  idoneita' del giudice ordinario alla cura di interessi
concernenti  rapporti  di  natura  paritaria"  (v. sent. n. 641/1987)
ovvero  che  "la Corte dei conti e' il giudice naturale in materia di
pensioni  a  totale  carico  dello  Stato"  (v. ord. n. 388/1990), ha
accolto  del  principio  del  giudice naturale un'interpretazione non
tradizionale   ma   attenta  ai  valori  su  cui  si  fonda  l'ordine
costituzionale  delle  giurisdizioni,  la cui violazione da parte del
legislatore diviene suscettibile di controllo dal giudice delle leggi
sotto il profilo della violazione anche dell'art. 102, secondo comma,
della   Costituzione   ("Non   possono   essere   istituiti   giudici
straordinari  o  giudici  speciali"):  la  sottrazione  al g.o. della
controversie  sui diritti nell'intera materia urbanistica ed edilizia
(per  quanto  qui  interessa), infatti, finisce per connotare il g.a.
come giudice speciale o straordinario vietato dalla Costituzione.
    9. - Con riferimento agli artt. 3, primo comma, 24 e 111, settimo
e  ottavo  comma  (nella  nuova  numerazione  ex legge Costituzionale
n. 2/1999), Cost.
    9.  a)  -  Ancor piu' grave e' il dubbio di costituzionalita' con
riguardo  al  principio di uguaglianza ("Tutti i cittadini [...] sono
eguali  davanti  alla  legge":  art. 3),  di  cui costituisce aspetto
fondamentale    l'uguaglianza   davanti   alla   giustizia   e   alla
giurisdizione  (art. 24): da qui la regola che le controversie aventi
una  natura  giuridica uguale o affine siano giudicate dalla medesima
giurisdizione  o  da giurisdizioni strettamente identiche anche nelle
regole  di  composizione  (cfr.,  ad  es.,  Consiglio  Costituzionale
francese, n. 86-213, 3 ottobre 1986).
    Il  disegno  legislativo  di  unificare  dinanzi al g.a. - che e'
giudice  diverso  nella  composizione  rispetto  al  g.o.  e privo di
adeguata copertura costituzionale a garanzia della sua indipendenza e
autonomia  (v.  l'art. 104, primo comma: "La magistratura [ordinaria]
costituisce  un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere",
in confronto agli artt. 100, terzo comma e 108, secondo comma, Cost.:
"La  legge assicura l'indipendenza [del g.a.]"; v. anche gli articoli
sul  C.S.M.: 104, secondo comma e ss., e 105) - tutte le controversie
(e,  anzi,  il  che fa dubitare anche dell'intrinseca logicita' della
legge,  solo  quelle ritenute di maggiore rilevanza) in cui sia parte
una   p.a.   alimenta,   come   si   e'  gia'  detto,  il  dubbio  di
costituzionalita'  per  la  disparita' di trattamento tra i cittadini
dinanzi  alla  giurisdizione,  essendo  l'individuazione  del giudice
fatta  dipendere  dalla  qualita'  soggettiva di una parte (la p.a.),
alla  quale  la  Costituzione,  specie  quando  essa  non esercita un
"potere"  riconosciutole  dalla  legge o si rapporta ai privati su un
piano   di   parita',   non  riconosce  alcun  privilegio  o  statuto
particolare  (si  pensi  all'ingiustificata disparita' di trattamento
che,  nella  stessa  materia  edilizia, si avrebbe se la controversia
coinvolga  solo  privati,  che  rimarrebbe al g.o. pur se, ad es., il
fatto   illecito  dedotto  abbia  causa  in  una  condotta  o  in  un
comportamento  dell'amministrazione, ovvero sia proposta direttamente
nei  confronti  di  una  p.a.).  Il  dubbio  di  costituzionalita' e'
aggravato   dalla   mancanza   di   elementi   normativi  sicuri  per
identificare  nell'attuale momento storico il soggetto "p.a.", stante
la  tendenza (di cui s'e' fatto cenno al paragrafo 6) a valorizzare a
questo   fine   parametri   incerti   ed   evanescenti   come  quelli
dell'interesse  pubblico  dell'attivita'  svolta  e a svalutare altri
piu' sicuri quali la forma e la struttura giuridica del soggetto, con
il  conseguente  rischio  di  ampliare  a  dismisura la giurisdizione
amministrativa  attribuendole  ogni  controversia avente una generica
rilevanza  pubblica  (come  se  questa  fosse  incompatibile  con  la
cognizione  da parte del g.o.). La concretezza di questo rischio, del
resto,  e'  corroborato dal nuovo testo dell'art. 34 sostituito dalla
legge  n. 205/2000  che,  nel  devolvere  al  g.a. le controversie in
materia  edilizia,  fa  riferimento  agli atti, ai provvedimenti e ai
comportamenti  non solo delle amministrazioni pubbliche ma anche "dei
soggetti alle stesse equiparati".
    9.   b)   -   Un   ulteriore   e   ancor  piu'  grave  dubbio  di
costituzionalita' e' stato prospettato con riguardo all'art. 111, ora
settimo  e  ottavo  comma,  della Costituzione ("Contro le sentenze e
contro  i  provvedimenti  sulla liberta' personale, pronunciati dagli
organi  giurisdizionali ordinari o speciali sempre ammesso ricorso in
Cassazione  per  violazione  di  legge...  Contro  le  decisioni  del
Consiglio  di  Stato e della Corte dei conti il ricorso in Cassazione
e' ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione").
    Come rilevato dalla Corte di cassazione (v. sent. S.U. n. 72/2000
cit.):   "Anche   l'art. 3   della  Costituzione  potrebbe  risultare
vulnerato,  sia sotto il profilo della (dubbia) ragionevolezza di una
scelta   distributiva  tra  due  diversi  plessi  giurisdizionali  di
controversie  identicamente  attinenti  a vicende di inadempimento di
obbligazioni    di    diritto    comune;   sia   sotto   il   profilo
dell'eguaglianza,   cui   si   riconduce  l'esigenza  della  uniforme
interpretazione  della  legge che (stante la non ricorribilita' delle
sentenze  dei  giudici  amministrativi  per  violazione  di  legge ex
art. 360,  n. 3, c.p.c.) non avrebbe, viceversa, strumento alcuno per
attuarsi  a  fronte  di  differenti  orientamenti  (e  di  un diverso
"diritto  vivente",  quindi)  che dovesse (e lo potrebbe) formarsi in
ordine  a  medesime  disposizioni  codicistiche nelle non comunicanti
giurisprudenze dei giudici ordinari e amministrativi".
    La  previsione  costituzionale dell'impugnabilita' delle sentenze
del  g.a.  per i soli motivi inerenti alla giurisdizione alle sezioni
unite della Cassazione aveva nel sistema la razionale giustificazione
nella  sufficiente  eterogeneita'  ed  incomparabilita' dei territori
occupati  dai  diversi plessi giurisdizionali, sicche' ridotto era il
pericolo  di orientamenti giurisprudenziali contrastanti e l'uniforme
interpretazione  della legge era assicurata dalla Corte di cassazione
nell'ambito della giurisdizione ordinaria e dal Consiglio di Stato (e
dalla    Corte    dei    conti)   nell'ambito   della   giurisdizione
amministrativa.
    La  situazione  oggi  e' del tutto mutata: l'attribuzione al g.a.
della giurisdizione esclusiva su interi settori dell'ordinamento e la
pienezza  dei poteri decisori riconosciutigli (si veda il gia' citato
comma 4 dell'art. 35 d.lgs. n. 80/1998, mod. dalla legge n. 205/2000,
che  ha  conferito  al  g.a. il potere risarcitorio anche al di fuori
della  giurisdizione  esclusiva e nell'ambito della sua giurisdizione
generale  di  legittimita')  rendono  concreto  e forte il rischio di
contrasti giurisprudenziali tra le decisioni dei due giudici, essendo
il  g.a.  ormai  proiettato  in una dimensione civilistica che fino a
ieri  era territorio esclusivo del g.o. (si pensi alle categorie, che
dovranno  d'ora  in  poi essere applicate da Tribunale amministrativo
regionale    e    Consiglio    di    Stato,   del   danno   ingiusto,
dell'imputabilita'  del  danno, del rapporto di causalita', del danno
emergente   e   del   lucro   cessante,  del  diritto  all'integrita'
patrimoniale,  della  perdita  di chance, della libera determinazione
negoziale ecc.).
    La  non  impugnabilita' in Cassazione delle sentenze del g.a. per
violazione  di  legge  confligge  con il principio di uguaglianza non
solo  per  la  disparita'  dei gradi di giudizio cui sono soggette le
decisioni  dei  due  plessi giurisdizionali (la Corte costituzionale,
peraltro,  non  ha  mancato  di sottolineare la garanzia insita nella
"sussistenza  di  tre  gradi  di giurisdizione": v. sent. n. 641/1987
cit.)  ma,  soprattutto,  per  la  grave  ed ingiustificata deroga al
principio  di nomofilachia esercitato dalla Cassazione (cui spetta di
assicurare  "l'esatta  osservanza  e l'uniforme interpretazione della
legge,   l'unita'   del   diritto  oggettivo  nazionale"),  ai  sensi
dell'art. 65  dell'ordinamento  giudiziario. Questo principio, avente
copertura  costituzionale  nell'art. 111  della  Costituzione  (e  in
relazione  al  quale  vanno  letti anche gli artt. 363, 374, comma 2,
376,  comma 3,  384, comma 2, c.p.c.), svolge la funzione (assicurata
anche   dalla  prevedibilita'  delle  decisioni  giurisdizionali)  di
realizzare  l'unita'  e  la  certezza  del  diritto  e,  soprattutto,
l'uguaglianza  di tutti i cittadini di fronte alla legge e cioe' alla
sua  interpretazione,  la  quale  postula la necessita' di sottoporre
fattispecie  identiche  o  simili  (profilo questo sul quale non puo'
incidere  la  qualita' soggettiva delle parti) a identica disciplina.
Si  tratta  di  un  dubbio di costituzionalita' reso ancor piu' grave
dall'essere  il  principio  di  uguaglianza annoverato tra i principi
supremi  dell'ordinamento  costituzionale, non derogabile nemmeno dal
legislatore costituente in sede di revisione costituzionale (v. Corte
Costituzionale n. 1146/1988).
                              P. Q. M.
    Visti  gli  artt.  1  della legge costituzionale 9 febbraio 1948,
n. 1, e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara  rilevante  e non manifestamente infondata la questione,
che  solleva  d'ufficio,  di legittimita' costituzionale dell'art. 34
del  d.lgs.  31 marzo  1998,  n. 80,  nella parte in cui devolve alla
giurisdizione  esclusiva  del  giudice amministrativo le controversie
aventi  per oggetto gli atti, i provvedimenti e i comportamenti delle
amministrazioni  pubbliche in materia edilizia, per contrasto con gli
artt. 3, 24, 25, 100, 102, 103, 111 e 113 Cost.;
    Dispone  la  sospensione  del  presente  giudizio  e la immediata
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    Dispone  che  la  presente ordinanza sia notificata, a cura della
cancelleria,  al  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,  nonche'
comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della
Repubblica e alle parti.
        Roma, addi' 16 novembre 2000.
                        Il giudice: Lamorgese
01C0220