N. 155 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 gennaio 2001
Ordinanza emessa il 9 gennaio 2001 dal g.u.p. dal tribunale di Cremona nel procedimento penale a carico di Gallo Alessandro Processo penale - Applicazione della pena su richiesta Dissenso del pubblico ministero - Possibilita' per il giudice dell'udienza preliminare di ritenere infondato il dissenso e di pronunciare direttamente la sentenza - Violazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione - Lesione del principio della ragionevole durata del processo. - Cod. proc. pen., art. 448. - Costituzione, artt. 97 e 111, primo comma (recte: secondo comma).(GU n.10 del 7-3-2001 )
IL TRIBUNALE In sede di udienza preliminare, in relazione al reato di cui all'art. 589 c.p., il sig. Gallo, imputato, avanza richiesta di definizione mediante applicazione pena, nella misura finale di mesi 4 di reclusione. Non si costituivano parte civile i prossimi congiunti di Marzi Lorenzo, avendo gli stessi gia' intrapreso la vertenza in sede civile. Il p.m., all'udienza in data odierna, non prestava il proprio consenso, motivando "dato atto che la parte offesa ha interesse ad interloquire su ogni questione affidata al giudice dalla quale possa derivare pregiudizio alla propria pretesa risarcitoria al limite sotto il profilo dell'art. 165 c.p. - nella misura in cui e' addirittura legittima la sua costituzione anche dopo l'intervenuto consenso - Cass. 5 settembre 1996, n. 3305 - la speditezza e la celerita' costituiscono motivi di economia tali da giustificare il diniego del consenso ove a fronte di un'immotivata resistenza a definire questioni patrimoniali connesse al reato, il p.m. ravvisi ragioni che possono incidere sulla determinazione della pena e comunque sulla definizione del rapporto (a contrariis Cassazione 6 maggio 1992, n. 5366".) Ritiene preliminarmente questo giudice immotivato il diniego espresso dal p.m., cosi' come formulato. Il p.m. non giustifica di fatto il proprio dissenso in relazione alla congruita' della pena, ma unicamente sulla mancata definizione dell'aspetto civilistico relativo al risarcimento del danno. Ritiene questo giudice che, fuori dai casi tassativamente previsti (in relazione all'art. 77, comma 4, c.p.p.) nessun potere viene attribuito al p.m. nell'odierno processo penale a tutela delle pretese risarcitorie delle persone danneggiate dal reato - tanto che lo stesso sequestro conservativo - ai sensi dell'art. 316, primo comma, c.p.p. prevede l'azione del p.m. ai soli fini della tutela di un interesse pubblico erariale. La possibilita' del resto, esercitata nel caso concreto, di optare per la persona danneggiata per la tutela dei propri diritti per l'esercizio di una azione di risarcimento danni avanti al giudice civile, rende la presenza della parte civile nel processo penale del tutto "aleatoria." Nessun pregiudizio del resto puo' derivare alla stessa parte danneggiata, per espressa previsione di legge, dall'ipotesi di sentenza di applicazione pena, ai sensi dell'art. 445 c.p.p. (non avendo la sentenza di patteggiamento efficacia nei giudizi civili). In relazione alla subordinata - sospensione della pena - osserva questo Ufficio che l'odierno sistema, nel caso di specie, prevede una ipotesi di assicurazione obbligatoria della responsabilita' civile derivante da circolazione dei veicoli, assicurando in tale maniera le persone danneggiate ad ottenere l'eventuale risarcimento. Nessuna ulteriore condotta, a giudizio di questo Ufficio, puo' essere pretesa dal singolo imputato al fine di elidere le conseguenze dannose conseguenti al reato, in relazione ai criteri di cui all'art. 163 e ss. c.p.p. Ingiustificato, a giudizio di questo ufficio, appare pertanto il mancato consenso del p.m., ritenuto altresi' la pena proposta del tutto congrua al profilo di responsabilita' che emerge dagli atti (in relazione in particolar modo al grado della colpa ravvisabile, non particolarmente rilevante, il p.m. per altro non ha contestato tale aspetto). Emerge che qualora tale dissenso fosse stato manifestato avanti al giudice del dibattimento, per il combinato disposto dell'art. 556 c.p.p., 448 c.p.p., il giudice monocratico avrebbe potuto ritenere ingiustificato tale dissenso, e procedere immediatamente - o dopo la chiusura del dibattimento di primo grado - ad emettere sentenza di accoglimento della richiesta. L'attuale formulazione dell'art. 448 c.p.p. non sembra consentire, al giudice dell'udienza preliminare, di effettuare la medesima valutazione (di ingiustificato dissenso da parte del p.m.) che e' invece consentita - sulla base degli stessi identici atti (ex art. 135 disp. att. c.p.p. nuova formulazione) - al giudice del successivo giudizio, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento. Preso atto dei poteri - e delle garanzie di terzieta' - che l'attuale ordinamento attribuisce al giudice dell'udienza preliminare, gia' chiamato a decidere in relazione alle ipotesi di applicazione pena e giudizio abbreviato, la capitis deminutio nel caso di specie, come prevista dall'art. 448 c.p.p., appare del tutto ingiustificata. Gli effetti concreti della mancata previsione, nell'art. 448 c.p.p., di abilitare il giudice dell'udienza preliminare, o comunque il giudice dell'udienza di cui all'art. 447 c.p.p., ad una valutazione del dissenso espresso in quelle sedi dal p.m. sull'istanza di patteggiamento, sono di dilatare ulteriormente i tempi del procedimento, con conseguenti ulteriori spese (nuove notifiche, impegno di personale e magistrati) che rimarrebbero tra l'altro, in caso di accoglimento dell'istanza, completamente a carico dello Stato. Ne emergono pertanto a giudizio di questo giudice due profili di illegittimita' costituzionale: A) in relazione all'art. 111, primo comma, della Costituzione nella parte in cui viene violato il principio legale della ragionevole durata del processo (se e' la legge che deve assicurare la ragionevole durata, una disposizione come quella prevista dall'art. 448 c.p.p. vigente si pone in evidente contrasto con tale principio, avendo quale effetto proprio di allungare, senza una apparente ragione, la definizione del processo quanto meno fino alla successiva udienza avanti al giudice dibattimentale; B) in relazione all'art. 97 c.p., nel momento in cui non viene tutelato il buon andamento della pubblica amministrazione, determinando l'art. 448 c.p.p. un ingiustificato aggravio di spese e di impegno di risorse della pubblica amministrazione, con la prospettiva di non recuperarle in via definitiva in caso di successivo accoglimento dell'istanza di patteggiamento. Risulta inoltre evidente, che qualora la norma di cui all'art. 448 c.p.p. consentisse al giudice dell'udienza preliminare di valutare il dissenso espresso in questa sede dal p.m. sull'istanza di applicazione pena avanzata dalla parte, nel caso di specie questo ufficio emetterebbe, per le argomentazioni sopra esposte, sentenza ex art. 448 c.p.p., definendosi immediatamente il procedimento stesso.
P. Q. M. Visto l'art. 23 legge n. 87/1953; Ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza; Solleva questione di legittimita' costituzionale, in relazione all'art. 448 c.p.p., nella parte in cui non prevede che il giudice dell'udienza preliminare possa ritenere infondato il dissenso espresso sulla istanza di richiesta prevista dall'art. 444 c.p.p. e pronunciare immediatamente sentenza; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, con contestuale sospensione del presente procedimento; Ordina che la presente ordinanza sia notificata, a cura della cancelleria, alle parti in causa non presenti, nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri; Ordina che la stessa sia comunicata anche ai Presidenti delle due Camere del Parlamento Cremona, addi' 9 gennaio 2001. Il giudice: Beluzzi 01c0230