N. 44 ORDINANZA 21 febbraio - 6 marzo 2001

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Regione  Siciliana  -  Concessione edilizia in sanatoria - Condizioni
  del  nulla  osta  dell'autorita'  preposta al vincolo, anche quando
  l'apposizione del vincolo sia successiva all'ultimazione dell'opera
  abusiva  - Natura ritenuta solo apparentemente interpretativa della
  norma  censurata - Conseguente, lamentata, incidenza sulla funzione
  giurisdizionale - Manifesta infondatezza della questione.
- Legge Regione Siciliana 31 maggio 1994, n. 17, art. 5, comma 3.
- Costituzione, art. 101, secondo comma.
(GU n.11 del 14-3-2001 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Fernando SANTOSUOSSO;
  Giudici:  Cesare  RUPERTO,  Massimo VARI, Riccardo CHIEPPA, Gustavo
ZAGREBELSKY,  Carlo  MEZZANOTTE,  Guido  NEPPI  MODONA, Piero Alberto
CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 5, comma 3,
della   legge   della   Regione   Siciliana  31  maggio  1994,  n. 17
(Provvedimenti  per  la prevenzione dell'abusivismo edilizio e per la
destinazione  delle costruzioni edilizie abusive esistenti), promosso
con  ordinanza  emessa il 26 giugno 1998 dal Tribunale amministrativo
regionale della Sicilia sul ricorso proposto da Crupi Paolo contro la
Soprintendenza  ai  beni culturali ed ambientali di Palermo ed altro,
iscritta  al  n. 183  del  registro ordinanze 1999 e pubblicata nella
Gazzetta   Ufficiale  della  Repubblica  n. 14,  1a  serie  speciale,
dell'anno 1999.
    Visti  l'atto  di  costituzione  di Crupi Paolo nonche' l'atto di
intervento della Regione Siciliana.
    Udito  nella  camera di consiglio del 13 dicembre 2000 il giudice
relatore Riccardo Chieppa.
    Ritenuto  che  nel  corso  di  un giudizio per l'annullamento del
parere  parzialmente  negativo  espresso dalla Soprintendenza ai beni
culturali  ed  ambientali  di  Palermo in relazione ad una istanza di
concessione edilizia in sanatoria (peraltro di opere abusive in parte
allo  stato  grezzo,  che  esigevano  un  completamento posteriore al
vincolo),   il  Tribunale  amministrativo  regionale  della  Sicilia,
aderendo alla richiesta di parte - ancorche' modificando il parametro
costituzionale   da   questi   indicato  (artt. 2,  41,116,117  della
Costituzione), avendo ritenuto il profilo manifestamente infondato -,
ha  sollevato  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 5,
comma  3,  della  legge della Regione Siciliana 31 maggio 1994, n. 17
(Provvedimenti  per  la prevenzione dell'abusivismo edilizio e per la
destinazione   delle  costruzioni  edilizie  abusive  esistenti),  in
riferimento all'art. 101, secondo comma, della Costituzione;
        che  l'art. 23, comma 10, della legge della Regione Siciliana
10  agosto  1985, n. 37 prevedeva, ai fini delle concessioni edilizie
in sanatoria, il rilascio, da parte degli enti di tutela, di un nulla
osta,   sempre   che  il  vincolo  fosse  antecedente  all'esecuzione
dell'opera;
        che  la  norma  impugnata  stabilisce,  al  contrario, che il
rilascio  del  nulla  osta  dell'autorita' preposta alla gestione del
vincolo  debba  intervenire anche quando il vincolo sia stato apposto
successivamente all'ultimazione dell'opera abusiva;
        che  il  giudice  a  quo  rileva che l'art. 5, comma 3, della
legge   della   Regione   Siciliana   31   maggio  1994,  n. 17,  pur
qualificandosi   norma   interpretativa,   in   realta'   inciderebbe
profondamente  sul dato letterale della norma interpretata, in quanto
introdurrebbe  una  previsione non desumibile dal testo interpretato,
nel quale si fa espresso riferimento alla preesistenza del vincolo;
        che  in  tal  modo  -  secondo il giudice rimettente - mentre
l'originaria norma regionale applicherebbe correttamente il principio
della irretroattivita' (art. 11 delle preleggi), il quale, se pur non
elevato,  al  di  fuori della materia penale, a rango costituzionale,
tuttavia   rappresenterebbe   una   regola   essenziale   del  nostro
ordinamento  a  cui  il  legislatore  deve attenersi, la norma di cui
all'art. 5,   comma   3,   della  legge  regionale  n. 17  del  1994,
esorbitando  dall'ambito di una interpretazione autentica della norma
precedente,  violerebbe il disposto dell'art. 101 della Costituzione;
ne  conseguirebbe  che,  per la sua natura interpretativa, in realta'
solo  apparente,  vincolerebbe  l'interpretazione  del  giudice,  con
palese violazione dell'art. 101, secondo comma, della Costituzione;
        che  nel giudizio si e' costituita la parte privata, la quale
ha  chiesto  la declaratoria di illegittimita' della norma impugnata,
svolgendo   argomentazioni   adesive   a   quelle  dell'ordinanza  di
rimessione;
        che  e'  altresi' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,   che   ha  concluso  per  la  infondatezza  della  questione,
richiamando  la  giurisprudenza costituzionale, secondo cui in nessun
caso la illegittimita' costituzionale di una legge di interpretazione
autentica  potrebbe derivare da una presunta portata innovativa della
stessa;  la  legge  interpretativa,  peraltro,  non  inciderebbe  sul
principio  della  divisione  dei  poteri,  giacche' essa agirebbe sul
piano astratto delle fonti normative;
        che,   nell'imminenza   della   data  fissata  per  l'udienza
pubblica,  la  parte  privata  nel  giudizio  a quo ha depositato una
memoria, con la quale ribadisce le proprie conclusioni in ordine alla
illegittimita'  costituzionale  della norma impugnata. In particolare
sottolinea  che  detta  norma difetterebbe dei requisiti propri della
legge  di  interpretazione autentica e non sarebbe giustificabile sul
piano  della  ragionevolezza,  in  quanto  incide  arbitrariamente su
situazioni  sostanziali  poste  in essere da leggi precedenti, e che,
pur  riconoscendosi  un  alto  valore  alla  tutela  paesaggistica ed
ambientale,  tuttavia  non  potrebbe  essere  leso  il  principio  di
irretroattivita'  e  piu'  in generale il principio di giustizia e di
uguaglianza  dell'affidamento,  della  parita' di trattamento e della
certezza del diritto.
    Considerato  che  i  profili  suscettibili di essere esaminati in
questa sede sono esclusivamente quelli su cui si e' basato il giudice
rimettente per sollevare la questione di legittimita' costituzionale,
con    riguardo   all'unico   parametro   costituzionale   preso   in
considerazione  (art. 101,  secondo  comma,  della Costituzione), con
esclusione  di  quelli  dichiarati  manifestamente infondati (tra cui
quello relativo all'art. 3 della Costituzione);
        che,  pertanto, non possono essere prese in considerazioni le
deduzioni formulate dalla parte privata attinenti alla ragionevolezza
ed  alla arbitrarieta' di modificazioni incidenti su situazioni poste
in  essere  sulla base di leggi preesistenti, con asserita violazione
dei  principi  di  eguaglianza  e  di  affidamento  e  di  parita' di
trattamento, riconducibili in astratto al parametro dell'art. 3 della
Costituzione (rispetto al quale vi e' una preclusione in questa sede,
derivante dalla manifesta infondatezza formulata dal giudice a quo);
        che  al  legislatore  spetta  la  possibilita'  di  dare  una
interpretazione  di una legge ed anche di innovare al contenuto della
stessa    legge,   con   il   rispetto   di   valori   ed   interessi
costituzionalmente  protetti,  ma  l'esercizio  di tale attivita' non
puo',  di  per  se',  considerarsi  lesivo  della  sfera riservata al
giudice, potendo questi, a sua volta, pienamente valutare l'effettivo
contenuto  della  norma  interpretativa  e  della sua innovazione nel
sistema della preesistente norma interpretata;
        che  non risulta, ne' e' stato dedotto, alcun elemento da cui
possa  desumersi  una  volonta'  del  legislatore  di  sovrapporsi  a
situazioni  definite  o  comunque decise in sede giurisdizionale o di
incidere  intenzionalmente su concrete fattispecie sub iudice (v., da
ultimo, sentenze n. 525 del 2000 e n. 416 del 1999);
        che,  infatti,  la  funzione  giurisdizionale  non puo' dirsi
violata  per  il  solo  fatto dell'intervento legislativo, perche' il
legislatore  non  tocca la potesta' di giudicare, quando si muove sul
piano  generale  ed  astratto  delle  fonti  e  costruisce il modello
normativo (sentenza n. 432 del 1997);
        che,   del  resto,  il  modello  normativo  prevede  che  sia
richiesto  il  nulla  osta  dell'autorita' preposta alla gestione del
vincolo,  quando esista al momento della pronuncia sulla richiesta di
sanatoria   un   vincolo,   anche  se  apposto  successivamente  alla
ultimazione   dell'opera   (con  esclusione,  tuttavia,  di  sanzioni
amministrative  pecuniarie  in  quest'ultimo  caso), essendo evidente
l'esigenza  di un intervento dell'autorita' preposta al vincolo anche
al fine di un contributo alla verifica dell'epoca del commesso abuso,
nonche'  per  la  valutazione  di  compatibilita'  con le esigenze di
tutela e di necessita' di eventuali prescrizioni o limitazioni;
        che,  in realta' - di fronte ad un edificio di cinque piani -
il   parere   negativo  e  la  parziale  demolizione  disposta  dalla
Sovraintendenza  (basato su un giudizio estetico ritenuto dal giudice
a   quo   immune   dai  vizi  denunciati)  comportava  la  necessaria
preclusione,  per  questa  parte,  di  sanatoria  totale  che avrebbe
consentito  (dopo  che  gia'  esisteva  ed  era  operante il vincolo)
ulteriori  opere  di completamento della porzione di edificio rimasta
allo stato grezzo;
        che  la  norma  denunciata non preclude alcuno dei poteri del
giudice  di accertare gli eventuali vizi di legittimita' (anche sotto
i  diversi  profili  sintomatici  dell'eccesso  di potere) del parere
negativo di nulla osta dell'autorita' preposta al vincolo, nonche' di
valutare  gli  effetti  negativi del rifiuto di nulla osta in caso di
vincolo,  sopravvenuto all'abuso edilizio prima della definizione del
condono,  ed il raccordo con la norma base originaria prescrivente la
subordinazione   delle   concessioni  in  sanatoria  "al  nulla  osta
rilasciato  dagli  enti  di  tutela  sempre  che  il  vincolo,  posto
antecedentemente    all'esecuzione    delle   opere,   non   comporti
inedificabilita' e le costruzioni non costituiscano grave pregiudizio
per  la tutela medesima" (art. 23 della legge della Regione Siciliana
10 agosto 1985, n. 37);
        che   l'ordinanza   di  rimessione  sottolinea  i  rischi  di
compromissione di un interesse pubblico primario alla tutela dei beni
culturali-paesaggistici, ed invero e' la stessa Costituzione che, tra
i  principi  fondamentali,  pone  la tutela dell'ambiente-paesaggio a
garanzia  della  qualita'  della  vita  dell'uomo, inteso come valore
prioritario;
        che,  in  definitiva,  il  problema in astratto rilevante sul
piano   costituzionale   non   e'   dato  dalla  natura  della  legge
interpretativa  o  innovativa, ma puo' riguardare i limiti che simili
leggi  incontrano  quanto  alla  loro  portata retroattiva, questione
nella  specie  esulante dalla invocata tutela costituzionale sotto il
profilo esclusivo dell'art. 101, secondo comma, della Costituzione;
        che pertanto risulta la manifesta infondatezza dei profili di
illegittimita' costituzionale denunciati.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi

                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 5, comma 3, della legge della
Regione  Siciliana  31  maggio  1994,  n. 17  (Provvedimenti  per  la
prevenzione  dell'abusivismo  edilizio  e  per  la destinazione delle
costruzioni  edilizie  abusive  esistenti), sollevata, in riferimento
all'art. 101,   secondo  comma,  della  Costituzione,  dal  Tribunale
amministrativo  regionale  della  Sicilia con l'ordinanza indicata in
epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma  nella  sede  della Corte costituzionale,
palazzo della Consulta il 21 febbraio 2001.
                     Il Presidente: Santosuosso
                        Il redattore: Chieppa
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 6 marzo 2001.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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