N. 91 ORDINANZA 21 - 30 marzo 2001
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Reati e pene - Procedibilita' dei reati - Appropriazione indebita - Procedibilita' d'ufficio in caso di ricorrenza delle circostanze indicate nel numero 11 dell'art. 61 cod. pen. - Asserita, irragionevole, disparita' di trattamento di fattispecie analoghe, a fronte della perseguibilita' a querela del furto aggravato (a seguito della legge 25 giugno 1999, n. 205) - Legittimo esercizio della discrezionalita' legislativa in materia - Manifesta infondatezza della questione. - Cod. pen., art. 646, ultimo comma. - Costituzione, art. 3.(GU n.14 del 4-4-2001 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: Cesare RUPERTO; Giudici: Fernando SANTOSUOSSO, Massimo VARI, Riccardo CHIEPPA, Gustavo ZAGREBELSKY,Valerio ONIDA, Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA,Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK;
ha pronunciato la seguente Ordinanza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 646, ultimo comma, del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 2 maggio 2000 dal Tribunale di Fermo nel procedimento penale a carico di Luigi Spinozzi, iscritta al n. 595 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, 1a seriespeciale, n. 43 dell'anno 2000. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri. Udito nella camera di consiglio del 7 febbraio 2001 il giudice relatore Franco Bile. Ritenuto che il Tribunale di Fermo, nel corso di un procedimento penale, ha sollevato - in riferimento all'art. 3 della Costituzione - la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 646, ultimo comma, del codice penale, nella parte in cui, per il delitto di appropriazione indebita, prevede la procedibilita' d'ufficio qualoraconcorra alcuna delle circostanze indicate dal n. 11 dell'art. 61 cod. pen.; che il rimettente - premesso che il giudizio penale a quo pende a carico di una persona, che, avendo ricevuto da altra un ricevitore guasto per ripararlo, se ne era appropriato al fine di procurarsi un ingiusto profitto; che era contestata l'aggravante ex art. 61, n. 11, cod. pen., trattandosi di fatto commesso con abuso di prestazione d'opera; e che la parte offesa aveva rimesso la querela "con contestuale accettazione dell'imputato" - dichiara di trovarsi nell'impossibilita' di definire il giudizio indipendentemente dalla soluzione della proposta questione di legittimita' costituzionale; che, circa la non manifesta infondatezza della questione, il rimettente rileva che, avendo l'art. 12 della legge 25 giugno 1999, n. 205 (Delega al Governo per la depenalizzazione dei reati minori e modifiche al sistema penale e tributario) reso procedibile a querela il furto aggravato dalla medesima circostanza, si sarebbe "determinata un'incomprensibile disparita' di trattamento tra fattispecie criminose analoghe a sfavore di chi commette il reato piu' grave", ossia il furto; che, anche qualora i due delitti si reputassero di pari gravita', non sussisterebbero "ragionevoli motivi di una loro differente disciplina sotto il profilo della procedibilita'", posto che essa sul piano pratico darebbe luogo a situazioni analoghe, le quali, in ipotesi di remissione della querela da parte della persona offesa, riceverebbero irrazionalmente trattamenti giuridici diversi, come accadrebbe nel caso in cui la sussumibilita' del fatto nell'una o nell'altra fattispecie criminosa dipendesse dal carattere condizionato o meno dell'affidamento del bene ad un soggetto; che e' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, tramite l'Avvocatura generale dello Stato, sostenendo l'infondatezza della questione, anzitutto sull'assunto della disomogeneita' delle situazioni poste a confronto dal rimettente, ed in secondo luogo sul rilievo che la disciplina della perseguibilita' di un reato aquerela implicherebbe opzioni di politica legislativa non necessariamente fondate sul disvalore delle condotte incriminate, ma riferite talvolta "ad altre esigenze ritenute meritevoli di tutela da parte del legislatore", quali, nella specie, lo scopo di decongestionare il funzionamento della "macchina giudiziaria", essendo statisticamente il furto uno dei reati piu' ricorrenti, per il quale il procedimento penale si conclude sovente senza l'individuazionedell'autore. Considerato che recentemente questa Corte (ordinanza n. 354 del 1999) ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale della norma impugnata, sottolineando che, secondo la propria costante e risalente giurisprudenza, "la scelta del modo di procedibilita' dei reati coinvolge la politica legislativa e deve, quindi, rimanere affidata a valutazioni discrezionali del legislatore, presupponendo bilanciamenti di interessi e opzioni di politica criminale spesso assai complessi, sindacabili in sede di giudizio di legittimita' costituzionale solo per vizio di manifesta irrazionalita'" ed ha escluso, alla stregua di questo canone di valutazione, che fosse ravvisabile alcuna irragionevolezza nella scelta legislativa di prevedere la procedibilita' d'ufficio, "in quanto l'interversione del possesso di cose altrui che abbia luogo in violazione del vincolo eminentemente fiduciario scaturente dai rapporti di cui all'art. 61, n. 11, cod. pen., assume un disvalore sociale particolare"; che il rimettente dubita ora della ragionevolezza del mantenimento di siffatta perseguibilita' d'ufficio assumendo che essa sarebbe venuta meno, per effetto della recente eliminazione della perseguibilita' d'ufficio del furto nel caso di ricorrenza della stessa aggravante di cui al n. 11 dell'art. 61; che il primo profilo da cui si dovrebbe desumere la lesione del principio di ragionevolezza, cioe' lamaggiore gravita' del furto rispetto all'appropriazione indebita in caso di concorrenza della suddetta aggravante, non solo e' enunciato in modo apodittico, derivando dal mero rilievo che il furto suppone il c.d. impossessamento della cosa altrui mediante sottrazione, ma - tenuto conto che l'incidenza dell'aggravante non puo' che operare allo stesso modo - appare smentito dal confronto fra le pene edittali, il quale evidenzia che i due reati, nella configurazione come reati semplici, sono puniti con la reclusione nella stessa misura, onde l'irrilevanza delle differenze riscontrabili quanto alla pena pecuniaria, fissata per l'appropriazione indebita senza limite minimo, a differenza che per il furto, e per quest'ultimo con un limite massimo minore rispetto all'altro reato; che il secondo profilo da cui il rimettente - subordinatamente ammettendo la pari gravita' dei due reati - desume la lesione del principio della ragionevolezza, cioe' quello del differente trattamento di fattispecie che essendo analoghe meriterebbero identica disciplina, appare inconferente, in quanto poggia sull'erroneopresupposto che la discrezionalita' del legislatore nella previsione della procedibilita' d'ufficio o a querela di un reato debba basarsi solo sul profilo della maggiore o minore gravita', onde, a parita' di gravita' di due reati diversi, si debba estrinsecare con la previsione di una regola identica; che, invece, gia' da tempo (ord. n. 27 del 1971) questa Corte ha precisato che la perseguibilita' d'ufficio di un reato non e' necessariamente in relazione alla gravita' di esso ed ha sottolineato che tra le molteplici esigenze che il legislatore puo' considerare, nell'esercizio della discrezionalita' che in materia e' a lui riservata, vi puo' anche essere quella di assicurare - attraverso il meccanismo della perseguibilita' a querela - una significativa deflazione del lavoro giudiziario, in ragione della rilevante incidenza statistica del reato (ord. n. 294 del 1987); che, come emerge dai lavori parlamentari, proprio questa risulta essere stata l'esigenza perseguita in concreto dal legislatore con la norma che il rimettente assume come tertium comparationis; che, pertanto, il legislatore, mantenendo la procedibilita' d'ufficio dell'appropriazione indebita nel caso previsto dalla norma impugnata, ha fatto legittimo esercizio della discrezionalita' a lui riservata in materia e, dunque, la sollevata questione dev'essere dichiarata manifestamente infondata. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
Per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 646, ultimo comma, del codice penale, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Fermo, con l'ordinanza indicata in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 marzo 2001. Il Presidente: Ruperto Il redattore: Bile Il cancelliere: Di Paola Depositata in Cancelleria il 30 marzo 2001. Il direttore della cancelleria: Di Paola 01C0363