N. 250 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 ottobre 2000

Ordinanza  emessa  il  18  ottobre  2000  dal g.u.p. dal tribunale di
Saluzzo  nel  procedimento  penale a carico di Gonella Lidia Maria ed
altro

Processo   penale  -  Giudizio  abbreviato  -  Diritto  del  pubblico
  ministero   di   contraddire   sulla  richiesta  di  ritoabbreviato
  formulata  dall'imputato,  esprimendo consenso o dissenso motivato,
  nonche' effettuando autonoma richiesta di integrazione probatoria -
  Mancata  previsione  - Mancata previsione, altresi', del potere del
  giudice  di decidere sull'ammissibilita' della richiesta medesima -
  Contrasto  con  il principio di imparzialita' e buonandamento della
  pubblica amministrazione - Violazione del principio di indipendenza
  del  giudice  -  Lesione del principio secondo cui ogni processo si
  svolge  nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parita',
  davanti a giudice terzo e imparziale.
- Cod. proc. pen., art. 438.
- Costituzione, artt. 97, 101 e 111.
(GU n.15 del 11-4-2001 )
                            IL TRIBUNALE

    Premesso  che  alla odierna udienza Gonella Lidia Maria e Arnolfo
Martino,  imputati  la  prima per i reati di cui agli artt. 368 e 372
c.p.  ed  il  secondo  per  i  reati di cui agli artt. 372 e 611 c.p.
commessi  in Savigliano il 29 novembre 1996 ed in Saluzzo il 5 maggio
1998, hanno chiesto, tramite il difensore munito di procura speciale,
che  il  processo  sia  definito  alla udienza preliminare allo stato
degli  atti, ai sensi degli artt. 438 e seguenti c.p.p., subordinando
l'istanza ad integrazione probatoria documentale;
        che   il   p.m.   ha   sollevato  questione  di  legittimita'
costituzionale   dell'attuale   formulazione   dell'art. 438   c.p.p.
deducendo la violazione degli artt. 1 01 e 111 della Costituzione;

                            O s s e r v a

    Premessa:  il  giudizio  abbreviato  fu concepito nell'intento di
snellire  il  corso  del  processo, del quale permetteva una chiusura
anticipata,  evitando  l'approdo dibattimentale; nella sua originaria
configurazione   normativa   il  giudizio  abbreviato  accordava  una
cospicua  attenuazione  della  pena  (un  terzo della sanzione che si
sarebbe dovuta applicare in via ordinaria) all'imputato che accettava
di  essere giudicato gia' alla udienza preliminare (o, in mancanza di
questa,  prima  dell'apertura del dibattimento) sulla base degli atti
contenuti  nel fascicolo delle indagini preliminari; l'ammissione del
rito speciale esigeva l'esplicito consenso del p.m. nonche' un vaglio
del  giudice,  il  quale poteva accogliere la richiesta dell'imputato
solo  se  il  giudizio  gli  fosse parso definibile "allo stato degli
atti", cosa che ovviamente impediva qualsiasi integrazione probatoria
al provvedimento ammissivo del giudizio abbreviato.
    Con  l'entrata  in  vigore della legge n. 479 del 1999 sono state
introdotte   molte  e  significative  modificazioni  alla  disciplina
normativa del giudizio abbreviato:
    - diventa  in  primo  luogo  superfluo  il  consenso del pubblico
ministero;
    - viene  meno  il  requisito della definibilita' allo stato degli
atti poiche' il giudizio abbreviato puo' essere disposto (deve essere
disposto)   sulla   base   di   una   semplice   richiesta  formulata
dall'imputato;
    - e' assicurata la possibilita' di assumere prove anche nel corso
del  giudizio  abbreviato  per  sopperire, ad eventuali incompletezza
della indagine preliminare.
    Conformita'   dell'attuale   assetto  normativo  con  i  principi
costituzionali:  dubita  lo  scrivente  che  l'attuale disciplina del
giudizio  abbreviato sia conforme ai principi costituzionali espressi
dagli artt. 97, 101 e 111 della Costituzione.
    1. - E'  innanzitutto  doveroso  soffermarsi  sul  nuovo art. 111
della  Costituzione,  il quale prevede che ogni processo si svolge in
contraddittorio tra le parti, in condizione di parita', davanti ad un
giudice terzo ed imparziale.
    Va  precisato  che  tale  disposizione,  a  parere  del  giudice,
riguarda  ogni fase processuale, considerato che i successivi commi 4
e  5  regolano, piu' specificamente, l'applicazione del principio del
contraddittorio  alle  sole  fasi nelle quali venga assunta la prova;
tale   distinzione   implica   che   i   principi  del  rispetto  del
contraddittorio  e della parita' delle parti nel processo operano sin
dall'inizio  del  processo  stesso  e che, pertanto, non vi e' alcuna
fase svincolata dalla loro applicazione concreta.
    Inoltre  si  ritiene che il principio del contraddittorio e della
parita'  delle parti avanti al giudice terzo implichi necessariamente
il  diritto non solo di interloquire, ma anche di vedere riconosciuta
alla propria manifestazione una efficacia giuridica nel processo.
    Cio'   premesso,  va  osservato  che  non  appare  conforme  alla
Costituzione  non  solo privare il p.m. del diritto di contraddire le
richieste  dell'imputato in tema di giudizio abbreviato, ma anche non
riconoscere   alle   eventuali   contrarie   deduzioni  del  p.m.  un
qualsivoglia rilievo giuridico nel processo.
    L'attuale  quadro  normativo  del  giudizio  abbreviato,  dunque,
evidenzia  chiari  dubbi  di legittimita' costituzionale laddove nega
sia  il  pieno  dispiegarsi  del contraddittorio anche nella presente
fase  processuale,  sia  il  rispetto  del principio di parita' delle
parti.
    Si  ritiene  pertanto,  anche ai fini della giudizio di rilevanza
della questione, che la possibilita' per il p.m. di contraddire su un
piano  di  parita'  di fronte alla richiesta dell'imputato conferendo
efficacia  giuridica  alle sue osservazioni circa la scelta del rito,
dovrebbe comportare una delle due seguenti prospettive processuali: o
il  dissenso  motivato del p.m. comporta la prosecuzione del processo
con  il  rito  ordinario,  salva  la  possibilita'  per il giudice di
riconoscere   al   termine  dello  stesso  la  non  congruita'  delle
motivazioni  addotte  ed  attribuire  lo sconto di pena all'imputato;
oppure  dovrebbe  riconoscersi al giudice la possibilita' di decidere
immediatamente   sulla   ammissibilita'   o   meno   della  richiesta
dell'imputato.  Solo  in  tal  modo  potrebbe  attuarsi  il principio
costituzionale previsto dall'art. 111 della Costituzione.
    Va  inoltre  sottolineato come l'attuale disciplina crea evidenti
disarmonie nel sistema processuale anche laddove alla perdita, per il
p.m.,  del diritto di contraddire sulla richiesta di rito abbreviato,
non  si  accompagna  neppure  una nuova disciplina sull'esercizio del
diritto  alla  prova,  posto  che il p.m. non ha facolta' di chiedere
integrazioni  probatorie  di iniziativa, ne' una nuova disciplina che
estenda   le   attuali   limitazioni   alla   facolta'   di  proporre
impugnazione:  infatti,  a  fronte  della  richiesta dell'imputato di
accedere  al  rito  abbreviato,  il  p.m.  non  ha alcuna facolta' di
chiedere  autonomamente integrazioni probatorie, e non puo' impugnare
le  sentenze  di  condanna,  ad  eccezione  del  caso di sentenza che
modifichi il titolo di reato.
    2. - La  disciplina  attuale nega inoltre al giudice il potere di
deliberare  sulle  questioni prospette dalle parti in contraddittorio
tra  di  loro,  escludendolo dall'assolvimento dei suoi indefettibili
compiti istituzionali che gli sono propri, e violando in tale modo il
principio  di cui all'art. 101 della Costituzione: laddove l'imputato
si  limiti  a  chiedere  che  il  processo  sia definito alla udienza
preliminare  allo stato degli atti (senza formulare alcuna istanza di
integrazione probatoria), il giudice deve e puo' valutare soltanto la
tempestivita'  e  la  ammissibilita'  formale  della richiesta, senza
poter respingere la istanza per motivi attinenti al merito e non alla
sola forma.
    3. - L'attuale   assetto   normativo,   pertanto,   introduce  un
singolare  diritto  soggettivo assoluto dell'imputato non tanto e non
solo  alla  mera scelta del rito, quanto addirittura al conseguimento
di   uno  sconto  di  pena:  infatti,  la  mancata  previsione  della
possibilita'  per  il  p.m. di esprimere il proprio dissenso motivato
sulla  richiesta  e  la  mancata previsione del potere del giudice di
respingere  la  richiesta  medesima  (salvo  il  limitato caso di cui
all'art. 438  comma  5 c.p.p.), unitamente alla impossibilita' per il
giudice  di  sanzionare  in  qualche  modo  la  mancanza dei naturali
presupposti  del  rito  speciale,  trasformano il diritto processuale
dell'imputato  alla  scelta  del  rito  in  un sostanziale diritto al
conseguimento   automatico   e   irragionevole  del  beneficio  della
riduzione di pena.
    Si   consideri  che  i  presupposti  logico  giuridici  del  rito
abbreviato   erano   chiaramente   da   rinvenire  nella  sostanziale
abbreviazione  dei  tempi  processuali  in  conseguenza  del  mancato
svolgimento  della  istruttoria  dibattimentale  o  della intera fase
dibattimentale,  ed  originariamente  era  proprio  in  base a queste
ragioni  che  il legislatore aveva riconosciuto uno sconto di pena al
soggetto richiedente. Secondo la normativa attuale, invece, tale rito
rimane del tutto svincolato dai presupposti sopra indicati, in quanto
qualora  il  giudice  ritiene  necessario  procedere  ad  una qualche
integrazione  probatoria  (di  ufficio o su istanza dell'imputato) ha
comunque  l'obbligo  di  applicare  la  diminuente del rito, malgrado
risultino  cosi'  evidentemente disattese le ragioni di speditezza ed
economia alla base dell'istituto.
    Si  consideri infatti che laddove l'imputato formuli una regolare
e   tempestiva  istanza  di  giudizio  abbreviato,  il  giudice  deve
ammetterlo  al  rito,  mentre  il  requisito della decidibilita' allo
stato  degli  atti non subordina l'ammissione al rito, ma soltanto la
necessita'  o  meno  di  integrazione probatoria. Sicche' non solo il
giudice  non  ha  facolta'  di esercitare alcuna valutazione circa la
sussistenza  dei presupposti logici del rito speciale in oggetto (con
violazione  dei  principi di cui all'art. 101 della Costituzione), ma
puo'   essere  costretto,  per  addivenire  alla  decisione,  ad  una
integrazione  probatoria  complessa  e  dispendiosa  che  contrasta e
smentisce   proprio   quegli  stessi  presupposti  logici;  l'attuale
disciplina  del rito abbreviato si presenta pertanto come irrazionale
laddove  confligge  con la finalita' "premiale" che ha ispirato e che
deve  ispirare  l'istituto  e  viene  a violare anche il principio di
imparzialita'   e   buon  andamento  della  pubblica  amministrazione
(art. 97   della   Costituzione)  poiche'  comporta  la  attribuzione
all'imputato  di  vantaggi significativi ma ingiustificati, in quanto
non   sempre   conseguenti  alla  realizzazione  dei  fini  ai  quali
dovrebbero essere preordinati.
                              P. Q. M.
    Vista la legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art.438  c.p.p. nella parte in cui
non  prevede il diritto per il p.m. di intervenire sulla richiesta di
rito   abbreviato   formulata  dall'imputato  esprimendo  consenso  o
dissenso   motivato,   nonche'   effettuando  autonoma  richiesta  di
integrazione  probatoria,  e  nella parte in cui non prevede autonomo
potere  del  giudice di decidere sulla ammissibilita' della richiesta
stessa, per violazione degli artt. 97, 101 e 111 della Costituzione;
    Sospende  il  giudizio  in  corso  nei  confronti  degli imputati
Arnolfo Martino e Gonella Lidia Maria;
    Ordina   la   immediata   trasmissione   degli  atti  alla  Corte
costituzionale in Roma;
    Manda  alla  cancelleria  per  la  notificazione  della  presente
ordinanza  al  Presidente del Consiglio dei ministri ed ai Presidenti
delle due Camere del Parlamento.
        Saluzzo, addi' 18 ottobre 2000.
                         Il giudice: Bonaudi
01C0337