N. 138 SENTENZA 9 - 17 maggio 2001

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Reati   e  pene  -  Pena  detentiva  -  Ammissione  alla  liberazione
  condizionale - Valutazione del sicuro ravvedimento del condannato -
  Condizione  della dimostrazione dell'impossibilita' di adempiere le
  obbligazioni  civili  - Rilevanza delle manifestazioni di effettivo
  interessamento  del condannato per la situazione morale e materiale
  dellepersone  offese - Prospettato contrasto con il principio della
  finalita'  rieducativa  della pena, nonche' lamentata disparita' di
  trattamento  priva di giustificazione fra condannati che dispongano
  o  siano,  invece,  privi di mezzi economici - Non fondatezza della
  questione.
- Cod. pen., art. 176.
- Costituzione, artt. 2, 27, terzo comma, e 3.
(GU n.20 del 23-5-2001 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Cesare RUPERTO;
  Giudici:  Fernando  SANTOSUOSSO,  Massimo  VARI,  Riccardo CHIEPPA,
Gustavo  ZAGREBELSKY,Valerio  ONIDA,  Carlo  MEZZANOTTE,  Guido NEPPI
MODONA,  Piero  Alberto  CAPOTOSTI,  Annibale  MARINI,  Franco  BILE,
Giovanni Maria FLICK;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 176 del codice
penale,  promosso con ordinanza emessa il 30 marzo 2000 dal tribunale
di  sorveglianza  di  Sassari  nel  procedimento  di sorveglianza nei
confronti  di  G.C.,  iscritta al n.407 del registro ordinanze 2000 e
pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 29, 1a serie
speciale, dell'anno 2000.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 7 febbraio 2001 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.

                          Ritenuto in fatto

    1. - Con  ordinanza  emessa  il  30 marzo  2000  (r.o. n. 407 del
2000),  il  tribunale  di  sorveglianza  di  Sassari ha sollevato, in
riferimento  agli  artt. 3  e  27,  terzo  comma, della Costituzione,
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 176 del codice
penale,  nella  parte in cui - secondo l'interpretazione datane dalla
Corte di cassazione ed assunta dal rimettente quale "diritto vivente"
-  attribuisce  particolare  rilievo, ai fini della concessione della
liberazione  condizionale,  nel  caso  in  cui il condannato si trovi
nell'impossibilita'  di adempiere le obbligazioni civili nascenti dal
reato, alle manifestazioni di effettivo interessamento del condannato
stesso  per  la situazione morale e materiale delle persone offese ed
ai tentativi fatti, nei limiti delle sue possibilita', per attenuare,
se non riparare interamente, i danni provocati.
    Il  giudice  a quo premette, in punto di fatto, che con ordinanza
del 1o aprile 1999 il tribunale di sorveglianza di Sassari, ritenendo
sussistenti  le  condizioni  previste  dall'art. 176 cod. pen., aveva
concesso   la   liberazione   condizionale   a   persona   condannata
all'ergastolo  per  duplice  omicidio.  A seguito di impugnazione del
pubblico  ministero  - che lamentava la mancanza ed illogicita' della
motivazione  in  ordine  al  requisito  del "sicuro ravvedimento" del
condannato  - la Corte di cassazione aveva annullato il provvedimento
con  rinvio  "per  nuovo  esame" allo stesso tribunale, enunciando il
principio  di  diritto  in  forza del quale il "sicuro ravvedimento",
richiesto  dalla  legge  ai  fini della concessione della liberazione
condizionale, non puo' identificarsi in una "normale buona condotta",
ma  postula,  al  contrario,  comportamenti  positivi  e  sintomatici
dell'avvenuto  abbandono delle scelte devianti. In tale prospettiva -
sempre  secondo la regula iuris dettata dal giudice di legittimita' -
assume uno specifico rilievo la fattiva volonta' del reo di eliminare
o attenuare le conseguenze dannose del reato, con la conseguenza che,
anche  nel  caso  di  impossibilita'  materiale  di adempimento delle
obbligazioni civili da esso derivanti, debbono essere particolarmente
valutate le manifestazioni di effettivo interessamento del condannato
per  la  situazione  morale  e  materiale  delle  persone offese ed i
tentativi  fatti,  nei  limiti  delle sue possibilita', per lenire il
pregiudizio arrecato.
    Ad  avviso  del  rimettente,  tale  interpretazione - consolidata
nella   giurisprudenza   di   legittimita'   e   comunque  vincolante
nell'ambito  del giudizio di rinvio in forza dell'art. 627 cod. proc.
pen. - porrebbe la norma denunciata in contrasto sia con il principio
costituzionale  della  funzione rieducativa della pena che con quello
di uguaglianza.
    Sotto  il  primo  profilo,  una  volta  inquadrata la liberazione
condizionale   tra   le   misure  premiali  penitenziarie  tese  alla
risocializzazione  dei  condannati  all'ergastolo  o  a  lunghe  pene
detentive, si dovrebbe infatti ritenere che il "sicuro ravvedimento",
richiesto  dall'art. 176  cod.  pen.,  vada  accertato sulla base dei
risultati   del   trattamento  rieducativo  durante  tutto  il  corso
dell'esecuzione  della  pena,  prescindendo  dalla  considerazione di
interessi  civilistici  di  natura  patrimoniale,  quali quelli delle
parti offese: conclusione, questa, avvalorata anche dalla previsione,
nell'ordinamento    penitenziario,   dell'istituto   premiale   della
remissione del debito, il quale implica la rinuncia dello Stato ad un
suo  credito al fine di agevolare la risocializzazione dei condannati
in disagiate condizioni economiche. D'altro canto, la circostanza che
la  norma  impugnata  subordini  espressamente  la  concessione della
liberazione  condizionale  all'adempimento delle obbligazioni civili,
salvo  che  il condannato dimostri di trovarsi nell'impossibilita' di
adempierle,   renderebbe   palese   come   l'attivita'   risarcitoria
rappresenti  una condizione di natura esclusivamente "oggettiva", non
utilizzabile come criterio di valutazione del ravvedimento.
    Sotto  il  secondo profilo, poi, l'interpretazione adottata dalla
Corte  di cassazione determinerebbe - a giudizio del rimettente - una
ingiustificata   disparita'  di  trattamento  fra  i  condannati  che
dispongono dei mezzi economici per adempiere gli obblighi risarcitori
e  quelli  che  ne  sono  privi.  Mentre, infatti, i primi potrebbero
essere  considerati  "ravveduti"  sulla  base della sola osservazione
svolta  durante il trattamento penitenziario, a prescindere dal reale
interessamento  per  le  vicende  delle persone offese (implicito nel
pagamento  di  una  somma di denaro); per i secondi si richiederebbe,
invece,  in  aggiunta  alla prova dell'impossibilita' di risarcire il
danno,  anche  una  concreta  manifestazione di solidarieta' verso le
stesse.
    Da  ultimo,  ed  in  punto  di rilevanza, il tribunale rimettente
rimarca  come  il  quesito  di costituzionalita' sollevato condizioni
l'esito  del  giudizio a quo giacche', nel caso di specie, l'avvenuta
rieducazione  dovrebbe  aversi  per  certa  alla  luce della condotta
tenuta  dal condannato durante il lungo periodo di carcerazione e poi
in  regime  di  semiliberta',  ed  altrettanto sicura risulterebbe, a
fronte  degli accertamenti svolti, la sua incapacita' di assolvere le
obbligazioni  risarcitorie  derivanti  dai reati commessi; situazione
nella  quale,  peraltro,  il reo non si sarebbe mai interessato della
sorte  dei familiari delle vittime, attivandosi per attenuare i danni
loro cagionati.
    2.   -  Nel  giudizio  di  costituzionalita'  e'  intervenuto  il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  il quale ha concluso per la
dichiarazione  di  inammissibilita'  o, in subordine, di infondatezza
della questione.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Il  tribunale  di  sorveglianza  di  Sassari  dubita della
legittimita'  costituzionale  dell'art. 176 cod. pen., nella parte in
cui,  secondo  l'interpretazione  datane  dalla Corte di cassazione -
interpretazione  che  il  rimettente  assume  in  termini di "diritto
vivente"  e che risulta comunque vincolante per il rimettente stesso,
in  quanto  giudice del rinvio, ai sensi dell'art. 627, comma 3, cod.
proc.   pen. -   attribuisce   particolare  rilievo,  ai  fini  della
valutazione  del  "sicuro  ravvedimento" richiesto per la concessione
della  liberazione  condizionale,  nel  caso  in cui il condannato si
trovi   nell'impossibilita'   di  adempiere  le  obbligazioni  civili
derivanti  dal reato, alle manifestazioni di effettivo interessamento
del  condannato  stesso  per  la  situazione morale e materiale delle
persone   offese   ed  ai  tentativi  fatti,  nei  limiti  delle  sue
possibilita',  per  attenuare,  se  non riparare interamente, i danni
provocati.
    Ad  avviso  del  giudice a quo la norma denunciata violerebbe, in
tale  lettura,  sia  l'art. 27,  terzo  comma, della Costituzione, in
quanto  subordinerebbe la finalita' rieducativa, cui l'istituto della
liberazione  condizionale  e'  ispirato,  ad interessi civilistici di
natura   patrimoniale;   sia   l'art. 3   della   Carta,   in  quanto
introdurrebbe  una  ingiustificata  disparita'  di  trattamento fra i
condannati  che  dispongono  dei  mezzi  economici  per  adempiere le
obbligazioni   civili   (i   quali   potrebbero   essere  considerati
"ravveduti"   sulla   base   dei   soli   risultati  del  trattamento
penitenziario)  ed  i  condannati  che  ne  sono  privi  (ai quali si
richiederebbe,    di   contro,   in   aggiunta   alla   dimostrazione
dell'incapacita'  di  adempiere dette obbligazioni, anche una fattiva
"manifestazione di solidarieta'" verso le persone offese).
    2. - La questione non e' fondata.
    Quanto  alla  prima  delle  due  censure in cui essa si articola,
giova rimarcare come la liberazione condizionale sia istituto che non
solo   "si   inserisce   decisamente   nell'ambito   della  finalita'
rieducativa della pena" (v., da ultimo, sentenza n. 418 del 1998), ma
che  si  pone,  altresi',  come momento tendenzialmente terminale del
trattamento  progressivo di "risocializzazione" del condannato a pena
detentiva,  promuovendone il pieno reinserimento nel tessuto sociale.
Tale  collocazione "terminale" dell'istituto si salda logicamente con
il  presupposto normativo, stabilito dall'art. 176, primo comma, cod.
pen.,  di  un "ravvedimento", non meramente congetturale o probabile,
ma "sicuro", ossia certamente avvenuto.
    In  simile  prospettiva,  anche  qualora si volesse attribuire al
concetto  di "rieducazione", evocato dall'art. 27, terzo comma, della
Costituzione,  un  contenuto  "minimale"  e  puramente  "negativo"  -
limitandolo  al  solo  rispetto della "legalita' esteriore" e, cioe',
all'acquisizione  dell'attitudine  a  vivere senza commettere (nuovi)
reati  -  resta  il  fatto che una prognosi sicuramente favorevole su
tale versante non puo' prescindere dalla valutazione di comportamenti
che  rivelino  la  acquisita  consapevolezza,  da  parte del reo, dei
valori  fondamentali della vita sociale. Trova collocazione in questa
cornice  l'assunto  della giurisprudenza di legittimita' - posto come
immediato  antecedente  logico della soluzione interpretativa oggetto
dell'odierno  scrutinio  di costituzionalita' - in forza del quale il
"sicuro ravvedimento", di cui all'art. 176 cod. pen., non puo' essere
identificato  sic  et  simpliciter  in una "normale buona condotta" -
ossia  nella  mera  astensione  da violazioni delle norme penali e di
disciplina  penitenziaria  nel  corso dell'esecuzione della pena - ma
postula comportamenti positivi, sintomatici dell'abbandono, anche per
il futuro, delle scelte criminali.
    Ora,  tra  i  valori  fondamentali  della  vita  in  comune  deve
evidentemente   annoverarsi  -  ed  in  posizione  prioritaria  -  la
solidarieta'  sociale,  la quale richiede l'adempimento di doveri che
l'art. 2 della Costituzione definisce inderogabili. E, d'altro canto,
rispetto   a   chi  si  sia  reso  autore  di  un  reato,  un  indice
particolarmente  significativo della acquisita consapevolezza di tale
valore  non  puo' non essere rappresentato dall'atteggiamento assunto
nei confronti della vittima del reato stesso.
    Sotto  questo  profilo,  e'  dunque  pienamente  coerente  con la
finalita'   rieducativa,  della  quale  la  liberazione  condizionale
partecipa,  la  condizione  normativa espressa dell'adempimento delle
obbligazioni  civili  derivanti  dal  reato,  salva  la dimostrazione
dell'impossibilita'  di  provvedervi  (art. 176,  quarto  comma, cod.
pen.): condizione che, per diffuso convincimento, viene in effetti in
rilievo, nell'economia dell'istituto - contrariamente a quanto sembra
ritenere  il  tribunale  rimettente - non solo e non tanto per la sua
funzione   oggettiva  di  reintegrazione  patrimoniale,  ma  anche  e
soprattutto come indice "soggettivo" dell'intervenuto ravvedimento.
    Ma,  al  tempo  stesso,  risulta  perfettamente  in  linea con la
predetta finalita' anche la lettura giurisprudenziale della norma che
il  giudice  a quo contesta, concernente il caso di impossibilita' di
adempimento  delle  obbligazioni civili. La circostanza, infatti, che
pure  in  simile  evenienza  il  condannato dimostri solidarieta' nei
confronti  della  vittima,  interessandosi  delle  sue  condizioni  e
facendo quanto e' possibile per lenire il danno provocatole, anziche'
assumere  un atteggiamento di totale indifferenza, non puo' non avere
-  per  le considerazioni svolte - un particolare peso nella verifica
dei risultati del percorso rieducativo.
    Ne'  ha  pregio,  in  contrario, l'argomento che il giudice a quo
ritiene  di  poter ricavare dall'istituto della remissione del debito
per   le   spese   del   procedimento  e  di  mantenimento,  previsto
dall'ordinamento  penitenziario  a favore dei condannati in disagiate
condizioni  economiche  (art. 56 della legge 26 luglio 1975, n. 354).
Ben diversa e', infatti, l'incidenza, sotto il profilo avuto di mira,
del  debito  in  parola  rispetto  a  quello per i danni direttamente
provocati  al  soggetto  passivo  del  reato:  ne', d'altra parte, la
soluzione  interpretativa  di  cui si discute puo' essere considerata
alla  stregua  di  un  "impedimento"  o,  comunque,  di  un "ostacolo
normativo"  sulla  direttrice  della risocializzazione del condannato
non  abbiente.  Nell'enunciare il principio in questione, difatti, la
Cassazione,  per  un verso, muove dalla premessa che l'impossibilita'
di  adempiere  le  obbligazioni  civili,  cui ha riguardo l'art. 176,
quarto comma, cod. pen., deve essere intesa in senso non assoluto, ma
relativo  (non  occorre,  cioe',  affinche'  essa resti integrata, un
totale difetto di risorse economiche); e, per altro verso, ha cura di
sottolineare  come  le  manifestazioni  di  "interessamento"  per  le
vittime  ed  i tentativi di lenire il nocumento loro causato - che il
giudice  deve  "particolarmente valutare" nell'esprimersi sul "sicuro
ravvedimento"  - restino comunque confinati nei limiti delle concrete
possibilita'  del  reo  (e,  cioe',  di quanto da lui realisticamente
"esigibile").
    3.  -  Manifestamente priva di consistenza e' la seconda censura,
riferita  all'art. 3  della  Costituzione: giacche' l'interpretazione
giurisprudenziale  avversata  dal  tribunale  rimettente,  lungi  dal
compromettere,  assicura  nella sostanza il rispetto del principio di
uguaglianza.
    Quell'"indice  del  ravvedimento" che per il condannato che ne ha
la  capacita'  viene ricavato dall'effettivo ed integrale adempimento
delle  obbligazioni  civili,  per  il  condannato  che  non  ha mezzi
adeguati  e'  tratto  da  alternative  forme di interessamento per le
sorti  delle  persone  offese,  le  quali  tengono luogo del concreto
sacrificio economico richiesto al primo.
                          Per questi motivi

                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  non fondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 176  del  codice  penale  sollevata,  in  riferimento  agli
artt. 3  e  27,  terzo  comma,  della  Costituzione, dal tribunale di
sorveglianza di Sassari con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 9 maggio 2001.
                       Il Presidente: Ruperto
                         Il redattore: Flick
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 17 maggio 2001.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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