N. 146 ORDINANZA 9 - 17 maggio 2001

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Ordinamento  penitenziario  -  Misure  alternative  alla detenzione -
  Affidamento  in  prova  al  servizio sociale Inapplicabilita' della
  misura  fuori del territorio nazionale (nella specie, nei confronti
  di un condannato residente in Germania) - Prospettata disparita' di
  trattamento  tra  i  cittadini  condannati,  residenti o meno nello
  Stato,  nonche' violazione del principio della funzione rieducativa
  della  pena,  del  diritto  al  lavoro  e del diritto di uscire dal
  territorio nazionale e di rientrarvi - Manifesta infondatezza della
  questione.
- Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 47.
- Costituzione, artt. 3, 4, 16 e 27.
(GU n.20 del 23-5-2001 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Cesare RUPERTO;
  Giudici:  Fernando  SANTOSUOSSO, Massimo VARI, Gustavo ZAGREBELSKY,
Valerio  ONIDA,  CarloMEZZANOTTE,  Guido  NEPPI MODONA, Piero Alberto
CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 47 della legge
26 luglio   1975,  n. 354  (Norme  sull'ordinamento  penitenziario  e
sull'esecuzione  delle  misure privative e limitative della liberta),
promosso  con  Ordinanza  emessa  l'8 marzo  2000  dal  tribunale  di
sorveglianza  di  Caltanissetta,  iscritta  al  n. 484  del  registro
ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 39, 1a serie speciale, dell'anno 2000.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 21 marzo 2001 il giudice
relatore Valerio Onida.
    Ritenuto  che,  con  Ordinanza emessa l'8 marzo 2000, pervenuta a
questa  Corte  il  5 luglio  2000,  il  tribunale  di sorveglianza di
Caltanissetta  ha sollevato questione di legittimita' costituzionale,
in  riferimento  agli  articoli  3,  4,  16  e 27 della Costituzione,
dell'art. 47    della    legge    26 luglio   1975,   n. 354   (Norme
sull'ordinamento   penitenziario   e   sull'esecuzione  delle  misure
privative  e  limitative della liberta), che disciplina l'affidamento
in  prova  al  servizio  sociale,  nella parte in cui non prevede che
l'esecuzione della misura possa aver luogo anche nel territorio di un
altro Stato appartenente all'Unione europea;
        che  il  remittente,  premesso  di  doversi pronunciare sulla
istanza di affidamento al servizio sociale di un condannato residente
in  Germania,  che  ivi ha un lavoro e vive con la famiglia, e che si
troverebbe   nelle   condizioni  soggettive  che  consentirebbero  la
concessione   del  beneficio,  da'  atto  che  sia  l'amministrazione
penitenziaria,  sia  la  giurisprudenza  della  Corte  di  cassazione
escludono  che  la misura possa essere applicata fuori del territorio
nazionale,  potendo essere destinatari dell'affidamento solo i centri
di servizio sociale, privi di competenza e non operanti all'estero;
        che,  tuttavia,  il  giudice  a  quo  ritiene  che  la prassi
amministrativa  -  che vede le strutture deputate non predisposte per
eseguire  la  misura fuori del territorio nazionale - debba cedere ai
principi  di  diritto;  e  che,  dovendo  la  pena avere una funzione
anzitutto  rieducativa,  sul  piano  personale  e  del  reinserimento
sociale (art. 27, terzo comma, Cost.), l'ordinamento dovrebbe rendere
operativo  tale  principio,  assicurare  la  garanzia  della "parita'
lavorativa"  fra  tutti  i  cittadini,  residenti  o meno nello Stato
(art. 3 Cost.), assicurare la tutela del principio costituzionale del
diritto  al lavoro, con la promozione delle condizioni che lo rendano
effettivo  (art. 4  Cost.),  nonche'  assicurare  che  la liberta' di
uscire  dal  territorio  nazionale  e di rientrarvi (art. 16, secondo
comma,  Cost.)  non  venga di fatto vanificata dall'impossibilita' di
svolgere attivita' lavorativa all'estero;
        che,   inoltre,   ad   avviso  del  remittente,  nella  ormai
consolidata   prospettiva   della   cittadinanza   europea   e  della
cooperazione  europea  in  campo  penale  e  della sicurezza, sarebbe
antistorico  escludere  un  beneficio,  cui  il  condannato  potrebbe
legittimamente aspirare, sol perche' i centri di servizio sociale non
potrebbero  coordinarsi  con  i  consolati  italiani all'estero o con
omologhi organismi operanti all'estero;
        che  e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
il  quale  conclude  chiedendo  che  la  questione sia dichiarata non
fondata,  osservando  che nessuna norma costituzionale imporrebbe che
l'esecuzione  di  una  misura  alternativa alla detenzione possa aver
luogo  fuori  del  territorio  dello  Stato  in  cui  si manifesta la
potesta'  punitiva;  e  che  comunque,  per  potere  eseguire la pena
all'estero, occorrerebbe una normativa apposita, la quale a sua volta
presupporrebbe  un  accordo  internazionale  che disciplinasse questo
aspetto della cooperazione penale, accordo oggi mancante nei rapporti
fra Italia e Germania.
    Considerato   che  l'esecuzione  di  una  misura  restrittiva  di
carattere  penale,  come l'affidamento in prova, comporta l'esercizio
di   poteri  autoritativi  per  il  controllo  sull'osservanza  delle
prescrizioni  imposte (art. 47, commi 5, 6 e 9, della legge 26 luglio
1975,  n. 354),  sotto  la  vigilanza  del magistrato di sorveglianza
(art. 47,  comma  10),  e con informazione dell'autorita' di pubblica
sicurezza  (art. 58  della  stessa  legge), poteri che non potrebbero
essere esercitati al di fuori del territorio nazionale in mancanza di
accordi con le autorita' di altro Stato;
        che  la  possibilita'  di  espiare  le pene nel territorio di
Stati  diversi da quello che ha emesso la condanna e' bensi' prevista
da  strumenti  convenzionali  internazionali (cfr. la convenzione sul
trasferimento  delle  personecondannate,  adottata  a  Strasburgo  il
21 marzo  1983,  e  resa  esecutiva  in Italia con la legge 25 luglio
1988,  n. 334,  nonche'  la  legge  3 luglio  1989,  n. 257,  recante
"Disposizioni  per  l'attuazione di convenzioni internazionali aventi
ad  oggetto  l'esecuzione  delle  sentenze penali"), e che, in questo
ambito,  e'  prevista  anche  la  possibilita' che cittadini italiani
condannati  in  Italia  siano  trasferiti  in altro Stato dell'Unione
europea,   tenuto   conto   della  loro  residenza  abituale  (art. 2
dell'Accordo  relativo  all'applicazione,  tra gli Stati membri delle
comunita'  europee,  della  convenzione  del  Consiglio  d'Europa sul
trasferimento  delle persone condannate, reso esecutivo in Italia con
la  legge  27 dicembre  1988,  n. 565,  ma  non  ancora operativo nei
confronti della Germania, che non risulta averloratificato);
        che,  in  ogni  caso,  tale eventualita' e' diversa da quella
della  esecuzione  di  una  misura  penale,  ad opera delle autorita'
italiane,  sul  territorio  di  un altro Stato, comportando piuttosto
l'esecuzione  della  stessa  o  di  analoga  misura  ad  opera  delle
autorita' di un altro Stato;
        che  peraltro,  in  assenza di pur auspicabili sviluppi della
normativa comunitaria e degli accordi di cooperazione con altri Stati
per  l'esecuzione  di  misure penali, non puo' ritenersi contrastante
con  alcuna  norma della Costituzione la limitazione della esecuzione
di  misure  penali  nazionali  all'ambito  territoriale  dello  Stato
italiano;
        che,  infatti, la disuguaglianza fra cittadini condannati che
vivono  e  lavorano  in  Italia  e  cittadini condannati che vivono e
lavorano  all'estero,  come  ogni  altra disparita' che puo' derivare
dalle   diverse   condizioni  personali  di  vita  e  di  lavoro  del
condannato,  e'  di mero fatto, e non discende dalla norma impugnata,
che  non  puo'  pertanto  ritenersi  in contrasto con l'art. 3, primo
comma, della Costituzione;
        che,  parimenti,  e'  di mero fatto, e non e' imputabile alla
norma  denunciata,  l'ostacolo  rispetto all'esercizio del diritto al
lavoro,  discendente  dalla  necessita'  di  dare  esecuzione  ad una
condanna  penale  e  dalle  modalita'  con  cui  tale esecuzione deve
avvenire;
        che  il  diritto  a  lasciare  il  territorio  nazionale ed a
rientrarvi,  anche  per  motivi  di  lavoro,  garantito  ai cittadini
dall'art. 16,  secondo  comma, della Costituzione, non ha nulla a che
fare  con  le  conseguenze  restrittive  discendenti  da una condanna
penale;
        che,  infine,  non  e' violato il principio di rieducativita'
della  pena, di cui all'art. 27, terzo comma, della Costituzione, per
il  solo  fatto che l'affidamento in prova al servizio sociale - come
ogni  altra  misura  restrittiva di esecuzione penale - puo' avvenire
solo  sul territorio nazionale e puo' percio' rivelarsi, in fatto, di
piu'   difficile   applicazione,  pur  essendo,  in  diritto,  sempre
possibile,   nei  confronti  di  un  condannato  che  vive  e  lavora
all'estero;
        che,  pertanto,  la questione appare manifestamente infondata
sotto tutti i profili.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi

                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita'  costituzionale dell'art. 47 della legge 26 luglio 1975,
n. 354  (Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle
misure   privative   e   limitative  della  liberta),  sollevata,  in
riferimento  agli  articoli  3,  4,  16  e 27 della Costituzione, dal
tribunale   di  sorveglianza  di  Caltanissetta  con  l'ordinanza  in
epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 9 maggio 2001.
                       Il Presidente: Ruperto
                         Il redattore: Onida
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 17 maggio 2001.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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